XX -
L'ASSALTO DELL'ORSO GRIGIO
Bennie e il suo giovane
amico si trovavano allora nella parte più selvaggia di quello stretto vallone,
o meglio, di quella lunga gola. Anche se era appena mezzogiorno, una luce
scialba, tetra, scendeva fra le due alte pareti rocciose che calavano quasi a
picco, rivestite di piante rampicanti, di muschi e di cespugli spinosi
inzuppati di umidità.
Ai lati dei due
cacciatori, sotto l'orlo delle pareti, ammassi di piante si stendevano formando
macchie fittissime e tenebrose. Querce, pini e betulle secolari, dai tronchi
nodosi o quasi lisci e rivestiti di muschi ammuffiti per l'umidità, si
rizzavano, rendendo cupa la gola con la loro ombra. Non si udiva alcun
cinguettìo d'uccelli, nè grida di falchi, nè di avvoltoi; solamente in distanza
un rombo sordo e continuo annunciava una cascata d'acqua, che precipitava nel
margine superiore della parete rocciosa. Bennie e Armando, coi fucili puntati,
ascoltavano, trattenendo il respiro. Una vaga inquietudine, causata dalla
selvaggia maestà di quella gola e dalla solitudine, si manifestava sui loro
volti di solito così calmi di fronte al pericolo. Alla loro destra, in mezzo a
un macchione di pini giganti che lanciavano le loro cime a sessanta metri, ad
intervalli si udivano frusciare delle foglie secche, come se un animale
cercasse di avanzare con precauzione.
- Che cosa sarà? - chiese
Armando, dopo alcuni istanti di silenzio.
- Non vedo nulla - rispose
il canadese.
- Pure qualcuno si
avvicina.
- E cerca anche di non
fare troppo rumore - aggiunse Bennie.
- Qualche animale, forse?
- È probabile.
- Non ci sono indiani in
questa regione?
- Sì, però sono rari;
preferiscono le pianure settentrionali. Eh!...
- Che cosa avete, Bennie?
- Giurerei di aver udito
un grugnito.
- Allora laggiù c'è un
orso.
- Può essere anche un carcajou;
questi animali sono numerosi nelle gole delle Montagne Rocciose.
- Che bestie sono?
- Dei veri predoni,
voracissimi, sanguinari, però non sono da temere, quantunque si dica che
possono lottare vantaggiosamente contro gli orsi neri ciò che però non credo.
- Volete che ci cacciamo
in quella macchia?...
- A quale scopo?... Non ho
nessuna voglia di gettarmi fra le zanne di qualche pericoloso animale. Non
sentite più nulla. Armando?
- No, - rispose il
giovanotto.
- E nemmeno io.
- Che la bestia ci spii?
- È probabile, - rispose
Bennie. - Poiché non si decide a mostrarsi, lasciamo che si diverta a suo
comodo; noi riprendiamo la marcia.
Dopo essersi rassicurati
che nessun altro rumore si udisse, i due cacciatori si misero in cammino,
voltandosi però di frequente per vedere se erano seguiti. La gola cominciava in
quel punto ad allargarsi un po', e anche le due pareti di granito raddolcivano
a poco a poco la loro china.
Degli olmi, splendide
piante che in quelle regioni acquistano quasi sempre un'altezza di cento e più
piedi e una circonferenza da quindici a venti, apparivano ai due lati della
valle, frammischiati a frassini bianchi, lauri verdi, ippocastani e macchioni
di cornioli e di mortelle. Il terreno diventava umidissimo e ai due lati delle
pareti rocciose si udivano scorrere, mormorando, dei torrentelli, i quali
serpeggiavano sotto quegli ammassi di verzura. Il canadese e l'italiano avevano
ripresa la loro conversazione, quando il primo la interruppe nuovamente,
esclamando:
- Che sia dannato se
m'inganno!...
- Che cosa avete, Bennie?
- chiese Armando.
- Sapete che la cosa
comincia a diventare noiosa?...
- Non vi comprendo.
- C'è qualcuno che ci
segue ostinatamente.
- E dove?
- È la terza volta che, in
trenta passi, ho udito smuovere le foglie.
- Dove? - chiese Armando.
- Alla nostra destra.
- Ancora? Che sia
l'animale che ha mandato quel grugnito?
- Sì, Armando, deve essere
lui, e se ci segue significa che non ha buone intenzioni. Cerca di
sorprenderci, ne sono certo.
- Che cosa avete
intenzione di fare, Bennie?
- Cercare un rifugio e
aspettare che l'animale si faccia vivo. Là!... Guardate, Armando, c'è un
crepaccio che fa per noi.
A quindici passi da loro,
alla base della parete rocciosa, si apriva una larga apertura, la quale pareva
si addentrasse profondamente nel fianco della montagna. Poteva essere un ottimo
rifugio, ma c'era pericolo che fosse la tana di qualche animale. Il canadese,
senza pensare a quest'ultima supposizione, si slanciò da quella parte scostando
i rami dei cornioli e delle mortelle, e fece atto di entrare. Un rauco
brontolio che veniva dall'interno lo arrestò di colpo.
- Diavolo!... - esclamò,
facendo subito un salto indietro. - Andavo a gettarmi fra le unghie di qualche
pericoloso animale. Benissimo!... Eccoci fra due belve: quale sarà la meno
feroce?
Si curvò, per vedere che
cosa poteva nascondere quella specie di caverna, e vide due occhi scintillare
nell'oscurità.
- Armando, è pronto il
vostro fucile? - chiese.
- Sì, - rispose il
giovanotto.
- Guardatemi alle spalle.
- E voi?
- Io cercherò di scovare
questa bestia. La sua tana ci è necessaria.
- Non commettete
imprudenze, Bennie.
- Anzi, cerco di salvarci.
L'animale che ci segue deve essere più pericoloso di questo poltrone, che non
si decide a mostrare il suo muso. Le foglie si muovono sempre?
- Vedo dei rami agitarsi.
- Avremo forse da
sostenere un doppio assalto. Sangue freddo e mirate bene.
Il canadese, che ormai
sapeva con quale nemico aveva a che fare, spezzò un grosso ramo e lo introdusse
nell'apertura, agitandolo fortemente. Il proprietario della oscura dimora
rinculò, mandando dei sordi brontolii.
- Ora so chi è
l'inquilino, - disse Bennie, - voi siete curioso di vedere un carcajou?
- In questo momento
rinuncerei al mio desiderio, Bennie. Sapete che animale ci perseguita?...
- No davvero.
- È un orso.
- Grigio? - chiese il
canadese, con apprensione.
- Un vero grizzly.
- Corna di bisonte!...
Allora la tana ci è necessaria, o verremo fatti a pezzi.
Senza attendere altro,
introdusse rapidamente la canna del fucile dentro il crepaccio. L'animale che
lo abitava vi si avventò contro, stringendola fra i denti e tentando di
stritolarla. Era quanto attendeva il canadese. Uno sparo sordo rintronò
riempiendo la caverna di fumo, seguito da un rantolo.
- Bennie, ecco l'orso che
avanza!... - gridò in quel momento Armando.
Senza occuparsi di sapere
se l'animale che aveva inghiottita la scarica del suo fucile fosse vivo o
morto, si gettò risolutamente dentro la caverna, seguito subito da Armando. I
suoi piedi urtarono in un corpo villoso che si dibatteva ancora al suolo,
scosso dalle ultime convulsioni dell'agonia.
- Vattene al diavolo! -
esclamò, rialzandosi prontamente, e volgendosi verso l'apertura per vedere se
l'orso li aveva seguiti.
Guardò di fuori e non vide
nulla. Che cosa era avvenuto del grizzly? Si era rintanato, o si era
nascosto dietro alle rocce per avventarsi sui due cacciatori appena si
mostrassero all'apertura della caverna? Benché il canadese fosse coraggioso, a quest'ultimo
pensiero si senti bagnare la fronte da alcune stille di sudore freddo.
- Comincio a credere che
noi siamo entrati in una vera trappola, - mormorò.
Si volse verso Armando. Il
giovanotto, inconscio del grave pericolo, stava osservando l'animale ucciso.
- Lasciate i morti e
pensiamo ai vivi, - disse il cow-boy.
- Che cosa desiderate,
Bennie?
- Sapete che non vedo il grizzly?
- Meglio per noi, Bennie.
- Peggio.
- E perché, mio bravo
cacciatore?
- Deve essersi nascosto dietro
la parete esterna con le zampe alzate, pronto a piombarci addosso appena ci
mostriamo. Avrei preferito un assalto di fronte.
- Lasciate che aspetti.
- Corna di bisonte!... -
gridò Bennie. - Volete rimanere qui dei giorni, in questa lurida tana?
- Si stancherà di
aspettarci.
- Ah!... Ecco, voi non
conoscete la cocciutaggine di quei bestioni.
- Avete dimenticato che
abbiamo due fucili e una rivoltella oltre i nostri bowie-knife?....
- I fucili!... Uhm!... Ci
vorrebbe il cannone per demolire quella massa.
- E così? - chiese
Armando, con voce tranquilla.
- Siamo presi, giovanotto.
- Cioè bloccati, -
corresse l'italiano.
- Sia come si vuole, non
possiamo uscire senza cadere fra le unghie del dannato animale. Quanto durerà
quest'assedio?
- I viveri non ci mancano,
Bennie.
- Sì, abbiamo la lingua
del cervo.
- E poi quest'animale.
- Puah!... Mangiare un carcajou?
Il diavolo mi porti se toccherò questa carne puzzolente. Nemmeno gli indiani,
che sono così poco schizzinosi in fatto di alimenti, lo mangerebbero.
- Bennie, che cosa
facciamo?
- Nulla, per ora; si
aspetta che il mostro si degni di mostrare il muso per mandargli una palla nel
cranio.
- State voi a guardia
dell'apertura?
- Sì, Armando.
- Allora approfitterò per
conoscere meglio questo animale che avete accoppato.
Il canadese alzò le spalle
e sorrise, ammirando il sangue freddo, davvero ammirevole, del suo giovane
compagno. Armando, senza più preoccuparsi del terribile grizzly, accese
un pezzo d'esca e si curvò sul carcajou, osservandolo con curiosità. Quell'animale,
che dai cacciatori di prateria viene chiamato anche wolverene, aveva il
corpo massiccio, coperto da un pelame foltissimo, arruffato, che gli dava un
aspetto tutt'altro che attraente.
La palla del canadese lo
aveva colpito in bocca fracassandogli la testa in modo così orribile, da non
essere più riconoscibile.
Armando, soddisfatta la
sua curiosità, si era avvicinato nuovamente a Bennie, il quale pareva fosse
occupato ad ascoltare attentamente i rumori che venivano dal di fuori.
- Nulla? - gli chiese.
- Sì - rispose il
cacciatore, a voce bassa.
- È dunque vicino il grizzly!
- È nascosto presso
l'uscita di questa caverna. L'ho sentito respirare.
- Non c'è modo di
sloggiarlo?
- Come fare? Appena uno di
noi mette fuori la testa, l'orso si slancia. Aspettiamo questa sera.
- E i nostri compagni,
Bennie?
- Ci aspetteranno al
campo.
- Saranno inquieti per la
nostra assenza
- Oibò!... Back sa che io
non sono uomo da farmi divorare come una bistecca. Carichiamoci, tenendo i
fucili pronti, e armiamoci di pazienza, giovanotto mio.
Si sdraiarono sul corpo
ancor tepido del carcajou per sottrarsi alla umidità di quella tana, e
attesero che un incidente qualunque decidesse l'orso a forzare il passaggio.
Vana speranza. Il grizzly, sicuro del fatto suo e per niente frettoloso
di guadagnare quelle bistecche umane, non si fece vivo. I due cacciatori, però,
erano più che certi che si teneva in agguato, poiché di tratto in tratto lo
udivano brontolare e soffiare. Certamente anche il mostro trovava che la cosa
andava un po' troppo a rilento. Molte ore, lunghe come secoli per i due
cacciatori, trascorsero, e le tenebre piombarono nella stretta valle. Bennie e
Armando aprirono bene gli occhi, temendo che il grizzly approfittasse
dell'oscurità per tentare un improvviso assalto.
- Che notte eterna ci si
prepara! - disse Armando, sbadigliando.
- E senza poter riposare
un solo istante - aggiunse Bennie. - Chi oserebbe chiudere gli occhi con un
vicino così feroce?...
- Situazione poco
invidiabile, Bennie.
- Cattivissima, Armando.
- Eppure bisogna fare
qualche cosa.
- Insegnatemi come.
- Bennie, siete proprio
certo che il grizzly sia sempre in agguato?
- Lo sospetto.
- Costringiamolo a
muoversi.
- In che modo?
- Credo di averlo trovato.
- Suvvia, parlate; volete
farmi morire d'impazienza, tiranno?
- Il mezzo è
semplicissimo.
- Continuate.
- Mi levo la giacca, la
metto sulla canna del mio fucile e la sporgo fuori dalla tana. Se l'orso si
trova ancora imboscato, vi si getterà sopra senza esitare, e voi approfittate
per mandargli una palla nel cervello.
Il canadese guardò il
giovane con sorpresa.
- Corna di buffalo!... -
esclamò. - Ecco un'idea splendida che mai mi sarebbe venuta, ve lo assicuro.
Giovanotto, siete furbo e farete molta strada, ve lo dice un vecchio cacciatore
di prateria.
- Allora non perdiamo
tempo.
Armando si spogliò
rapidamente della giacca e la appese all'estremità della canna del fucile,
mentre il canadese, dopo essersi messo davanti il coltello e la rivoltella, si
inginocchiava tenendosi pronto a far fuoco sul feroce grizzly.
- Siete pronto, Bennie? -
chiese Armando.
- Ho il dito sul grilletto
del fucile.
Il giovanotto strisciò
verso l'apertura, e reggendo l'arma con la destra, la sporse fuori, agitando vivamente
la giacca da destra a sinistra. Il canadese si aspettava di vedere l'orso
gettarsi su quella stoffa, mettendo in opera le lunghe unghie e i denti, ma,
con sua grande sorpresa, la bestia non si mosse.
- Oh!... Diavolo?... -
mormorò. - Che il grizzly se ne sia andato? Se si trovasse in agguato,
non avrebbe esitato a slanciarsi.
- Che cosa vuol dire
questo?
- Giovanotto, ritirate il
fucile e rimettetevi la giacca, prima che vi colga una costipazione, - suggerì
il canadese. - Presto, andiamocene da questa lurida tana.
- E l'orso?
- Il diavolo se lo sarà
portato via.
Armando ritirò l'arma,
indossò la giacca, poi si alzò.
I due cacciatori rimasero
alcuni istanti immobili, trattenuti da un po' di diffidenza, poi Bennie si
spinse risolutamente innanzi, tenendo un dito sul grilletto del fucile. Con un
ultimo salto si slanciò all'aperto, gettando un rapido sguardo all'intorno.
- Nulla - disse,
respirando liberamente.
Armando lo aveva subito
raggiunto, pronto ad aiutarlo in caso di pericolo.
- E l'orso? - chiese.
- Scomparso, - rispose
Bennie.
- E forse sono parecchie
ore che se n'è andato.
- Chi può dirlo?
- Quante angosce ci
avrebbe risparmiate!
- Confessate di aver
passato delle brutte ore? - chiese Bennie, ridendo.
- Ora sì.
- E anch'io, Armando. Si
può essere coraggiosi e anche provare dei brividi di paura.
- Dove sarà andato quel
dannato animale? - chiese il giovanotto guardando con inquietudine le macchie
vicine.
- Forse a dissetarsi.
- Che cosa facciamo,
Bennie?
- E me lo chiedete? Si
giuoca di gambe, giovanotto.
- Non chiedo di meglio.
- Andiamocene.
I due cacciatori, dopo
aver dato un nuovo sguardo sui macchioni, si gettarono in mezzo alla valletta,
a passo di corsa. La luna era allora sorta a mostrare la sua rotondità sulla
cima di un'alta montagna tagliata a cono. I suoi raggi, d'una limpidezza
perfetta, cadevano quasi a piombo nella cupa e selvaggia gola, proiettando sul
terreno ineguale larghe chiazze biancastre, e facendo scintillare, come
rivoletti d'argento fuso, i torrentelli che scorrevano, mormorando, lungo i
pendii. Un silenzio profondo regnava in quel paesaggio, rotto soltanto
dall'eterno rombo della cascata che precipitava all'estremità della valletta.
Bennie e Armando, tenendosi celati sotto la tetra ombra dei pini, delle betulle
e dei grandi olmi, procedevano con passo sempre più rapido, ansiosi di lasciare
quel brutto luogo e di arrivare all'accampamento. Di tratto in tratto, però, si
arrestavano per riprendere lena e per ascoltare, temendo di essere sempre
seguiti dal feroce grizzly. Già non distavano più di trecento passi dal
luogo dove si vedeva precipitarsi la cascata, con un salto immenso, quando ai
loro orecchi giunse improvvisamente un grido che pareva umano.
- Corna di bisonte!... -
esclamò Bennie, arrestandosi.
- Un grido? - chiese Armando.
- E umano - rispose il
canadese.
- Siete certo di non
esservi ingannato?
- No, Armando.
- Che sia Back che viene
in nostro soccorso?
- No: conosco troppo bene
la sua voce per ingannarmi.
- Ascoltiamo, Bennie.
Tesero gli orecchi,
sperando di udire qualche altro grido, ma tutto era ritornato in silenzio;
solamente
la cascata rumoreggiava
sempre con crescente fracasso.
- È strano, - disse
Bennie, dopo alcuni istanti di silenzio. - Chi può aver mandato quel grido?
- Tacete!... - esclamò
Armando.
Un urlo acuto, un urlo di
spavento certamente, era di nuovo echeggiato verso l'estremità della gola,
seguito subito da due detonazioni.
- Avanti! - gridò Bennie.
- Qualcuno è stato assalito laggiù.
I due cacciatori si misero
a correre, salendo la ripida china della gola. Il terreno era ineguale,
interrotto da crepacci, radici e cespugli; tuttavia i due bravi cacciatori
guadagnavano rapidamente strada, saltando agilmente gli ostacoli. A un tratto,
sulla cima d'una roccia videro disegnarsi una forma gigantesca. Un orso enorme,
alto più di due metri e mezzo, poiché si teneva ritto sulle zampe posteriori,
cercava di arrampicarsi su per i fianchi della gola. Doveva essere furibondo.
Il suo pelame grigiastro era irto, i suoi occhi brillavano come due carboni
accesi, e dalla gola lasciava sfuggire sordi grugniti.
- Il grizzly!... -
aveva esclamato Bennie, arrestandosi.
L'orso, il cui udito
doveva essere acutissimo, udì la voce umana e si voltò rapidamente. Vedendo i
due cacciatori, con un salto straordinario si gettò giù dalla rupe, si rizzò
sulle zampe posteriori, e si diresse incontro a loro, con una rapidità che non
si sarebbe mai supposta in un corpo così massiccio. Quell'animale faceva paura.
Le sue zampe anteriori si agitavano nel vuoto, mostrando artigli tremendi e la
sua bocca, larga quanto quella di una tigre, era lorda di schiuma sanguigna.
- Attenzione, Armando!...
- gridò Bennie. - Fate fuoco dopo di me.
Puntò risolutamente il
fucile, e dopo aver mirato un minuto secondo, lasciò partire il colpo. Il grizzly
ricevette la palla in pieno petto. Fece subito un balzo indietro, digrignando i
denti e mandando un urlo di rabbia e di dolore, ma non cadde, anzi continuò la
corsa per gettarsi sul temerario cacciatore. Armando a sua volta fece fuoco,
mirandolo alla testa. Quella seconda ferita non bastava a quel gigante. Ai due
cacciatori mancava il tempo d'introdurre una nuova cartuccia, essendo ormai
l'orso a soli cinque passi.
- Fuggite!... - gridò
Bennie. Entrambi si lanciarono a precipizio giù per la china, cercando un rifugio
e tentando di ricaricare le armi. Il grizzly, reso doppiamente feroce
dal dolore che gli causavano le due ferite, si era precipitato dietro di loro,
facendo rintronare la valletta delle sue urla tremende e rigando il suolo di
sangue. Dopo quindici passi il canadese si volse e puntò nuovamente l'arma.
- Prendi, questa!... -
gridò. Un terzo sparo rintronò, seguito subito da un quarto. Questa volta
l'orso cadde, agitando pazzamente le zampe. Credendolo ormai mortalmente
ferito, Bennie gli si era avvicinato stringendo la rivoltella.
Tutto a un tratto il grizzly,
con una mossa fulminea, si rizzò e agguantò l'imprudente con una zampa,
cercando di tirarselo al petto e di fracassargli le costole con una stretta
irresistibile. Armando aveva mandato un grido di terrore e si era
coraggiosamente lanciato in aiuto del compagno. Il canadese non aveva perduto
la testa. Invece di opporre resistenza allo strappo di quella tremenda zampa,
le cui unghie si erano infisse fra la cintura e la cartuccera, si lasciò
trascinare, però appena si sentì addosso al petto villoso del mostro, puntò la
grossa rivoltella e scaricò, uno dietro l'altro, i sei colpi, quasi a
bruciapelo. Il grizzly, crivellato da quelle scariche, allargò le zampe, mandò
un ultimo urlo più spaventoso degli altri, che risuonò nella gola destando una
lunga eco, poi stramazzò pesantemente all'indietro.
- Morto?... - disse
Armando, che aveva impugnato il bowie-knife.
- Il diavolo s'è portata
via la sua anima, - rispose il canadese, tergendosi il freddo sudore che gli
bagnava la fronte.
- Corna di bisonte!...
Credevo di andarmene diritto all'altro mondo!...
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