XXIV -
L'ELDORADO DELL'ALASKA
La voce sparsasi nel 1858
che nella Columbia, fra le sabbie del Fraser, erano stati scoperti ricchi
giacimenti d'oro, fu la principale fortuna dell'Alaska. Oltre trentamila
minatori californiani, invasi dalla febbre dell'oro, si rovesciavano sulla
Columbia, mettendo in serio pericolo la prosperità di San Francisco, capitale
della California. Constatata la scarsità dell'oro di quelle miniere, gran parte
di quegli emigranti ritornarono disillusi in California, però i più arditi,
continuarono la marcia verso le regioni più ricche di giacimenti auriferi.
Avanzando a piccole tappe, esplorando incessantemente i terreni dove
supponevano di trovare il prezioso metallo, a poco a poco si spinsero
nell'Alaska, superando l'enorme distanza che li separava dalla Columbia. Quanto
tempo impiegarono a giungere fino alle rive dell'Yucon? Quanti di loro poterono
arrivare su quel suolo saturo d'oro? Quanti lasciarono le loro ossa, spolpate
dai lupi, su quelle terre desolate, coperte di nevi e di ghiaccio la maggior
parte dell'anno? Comunque sia, quei pochi fortunati che riuscirono a
raggiungere gli affluenti settentrionali del grande fiume, si accorsero di aver
finalmente scoperto l'Eldorado che da tanti anni e con tanta pazienza
cercavano. Sembra che la prima miniera lavorata fosse quella chiamata di
Cassier Bar, situata in una regione desolata, verso il corso superiore
dell'Yucon, fra montagne quasi inaccessibili. Quei primi minatori si guardarono
bene dal propalare la scoperta, per non attirare altre persone, però, verso il
1885, qualche notizia cominciò a trapelare. Si sapeva che cercatori d'oro
riuscivano a guadagnarsi giornalmente molti dollari e che le sabbie aurifere
del fiume Stewart rendevano anche di più. Con tutto ciò rarissimi avventurieri
osarono recarsi su quei luoghi, a causa delle difficoltà del viaggio, della
mancanza quasi assoluta di comunicazioni, del freddo, dei pericoli e delle
spese ingenti che esigevano quelle imprese temerarie. Nel 1892, però, altre
notizie più precise cominciarono a trapelare. Si diceva che dei filoni di una
ricchezza favolosa erano stati scoperti sulle rive del Klondyke. Quelle notizie
scossero i più increduli e l'emigrazione cominciò dapprima lenta, poi più
animata. Avventurieri di ogni specie salparono dai porti degli Stati
dell'Unione o della Columbia, risalendo l'Yucon fino a Dawson e lanciandosi
animosamente attraverso quelle solitudini nevose, mentre i cacciatori canadesi
accorrevano dalle rive del Makenzie o dal Lago degli Schiavi. Molti, sfiniti
dalle privazioni e dalle fatiche, ci lasciarono miseramente la vita, e i loro
cadaveri servirono di pasto ai famelici lupi, ma i più forti, e i più fortunati
giunsero alla meta sospirata.
L'oro abbondava negli
affluenti dell'Yucon, forse più che sui famosi terreni della California.
Fortune rapide, enormi, furono accumulate; però molto altrettanto rapidamente
scomparvero nei bar di Dawson e attorno ai tavolini da gioco, fra i
colpi di coltello e di rivoltella. Gli americani, da gente pratica, fondarono
subito una città fra i pantani dell'Yucon e del Klondyke, alla quale imposero
il nome di Dawson, aprendo alberghi e bar in gran numero, alberghi e case da
giuoco che consistevano in capanne a uno o due piani, con una stanza per i
viaggiatori a scompartimenti, divisi da tende di cotone. Non mancarono anche di
fondare un giornale, il Klondyke News che, però, ebbe vita breve, avendo
preferito i tipografi di lasciare il loro lavoro, per il più pesante, ma anche
più redditizio mestiere di minatore. Sul finire del 1896, già più di ottanta
milioni d'oro erano stati estratti e nel '97 più di cento. Non crediate però
che questa produzione si arresti a queste cifre. Altri filoni si sono scoperti,
ancora più ricchi, e altri si continuano a scoprire verso sud, nei valloni del
Sant'Elia. Sembra anzi che i maggiori debbano trovarsi sepolti nei fianchi di
quell'enorme massiccio di montagne, poiché le lunghe e ampie morene del nord
attestano che l'oro proviene dal sud, da vene quarzose spaccate dai ghiacci e
disgregate dai torrenti, e trasportate dalle acque a valle. Gli scienziati che
hanno studiato quelle regioni, sono convinti che il Sant'Elia nasconda ben
altri tesori che quelli del Klondyke e dello stesso parere sono i minatori,
anzi vanno più oltre affermando che lassù sia possibile trovare delle rocce
intere formate del prezioso metallo!...
Il signor Falcone e i suoi
compagni avevano posto il loro accampamento all'estremità di un vallone ancora
semicoperto di neve e reso selvaggio da altissimi pini, abeti, larici e
betulle. Un corso d'acqua, che si dirigeva verso settentrione, formando di
tratto in tratto laghetti minuscoli, scorreva a breve distanza, promettendo
pesci eccellenti e uccelli acquatici. Delle loro provviste non rimanevano che
poche libbre di farina, un sacchetto di pemmican del peso di due libbre,
che avevano conservato gelosamente e un po' di the con pochissimo zucchero.
Tutto il resto era stato consumato durante la lunga ed aspra traversata delle
montagne.
- Armando, amico mio, -
disse Bennie, quando si fu riscaldato con una tazza di the. - Se non rinnoviamo
le nostre provviste, fra pochi giorni saremo costretti a metterci a razione.
- Non vedo nemmeno un
volatile, Bennie - rispose il giovanotto. - Mi pare che questo vallone non sia
molto propizio per la caccia.
- Ragazzo impaziente!...
Credete che la selvaggina corra a baciarvi le mani in attesa che voi
l'ammazziate, per cacciarla nella pentola?
- Non chiedo tanto,
Bennie, mi sembra però che questo luogo sia privo di animali.
- Se non troveremo
selvaggina da pelo e da piuma, pescheremo negli stagni. Forse che sdegnereste
un bel paio di trote bianche?
- No, davvero.
- Prima andremo quindi a
visitare quegli stagni.
- Verrò anch'io, - disse
il signor Falcone. - Back basterà a sorvegliare il nostro campo.
- Venite pure, signore, -
disse Bennie.
- E come pescheremo? -
chiese Armando.
- Faremo delle fiocine con
i nostri bowie-knife, - rispose il canadese. - I pesci sono grossi, e
non sarà difficile colpirli. Col mio coltello attaccato a un bastone, ho preso
dei bei lucci e delle grosse trote nel Piccolo lago degli Schiavi, e anche in
quello del Buffalo e dei salmoni nel Fraser.
- Allora andiamo.
Raccomandarono a Back di
vegliare attentamente e di legare i cavalli per timore che si allontanassero,
poi si diressero verso l'estremità del vallone, dove scorsero un bacino molto
vasto, una specie di laghetto alimentato da un fiumicello. Un'ora dopo si
trovavano sulle rive. Quel laghetto pareva non avesse acque molto profonde
poiché nel mezzo vi si scorgevano dei gruppi di piante acquatiche, sui quali
volteggiavano alcune coppie di anitre e di aironi. Tuttavia doveva essere
egualmente ricco di pesci, poiché alla superficie si vedevano numerose
bollicine d'aria; Bennie stava per inoltrarsi sotto un boschetto per tagliare
dei lunghi rami con i quali improvvisare delle fiocine, quando la sua
attenzione fu attirata da un oggetto nerastro che si vedeva ondeggiare
all'estremità di una piccola insenatura.
- Oh!... - esclamò. - Che
cosa c'è laggiù?
- Mi sembra un canotto -
disse il meccanico, che aveva osservato in quella direzione.
- Andiamo a vedere - disse
Bennie. - Se è veramente una barca, vi prometto una bella pesca.
Si diressero verso quella
piccola cala, seminascosta da alcune macchie di salici e di betulle nane. Non
si erano ingannati. Legato a una striscia di pelle, si trovava un canotto
indiano in ottimo stato e capace di portarli tutti. Quei galleggianti, che gli
indiani sanno costruire con molta abilità e con materiali che trovano lungo le
rive dei loro fiumi e dei loro laghi, non sono ricavati da tronchi d'albero
scavati. Si compongono d'una solida armatura di salice, coperta con larghi
pezzi di corteccia di betulla, uniti insieme da sottilissime radici di abete e
calafate con resina. Sono ordinariamente lunghi dieci piedi, però ce ne sono
anche da sedici, e questi possono portare comodamente tre persone. Malgrado la
loro estrema leggerezza, possono affrontare le correnti più rapide senza
correre il pericolo di rompersi o di rovesciarsi. Il canotto scoperto da Bennie
aveva a bordo due fiocine, una provvista di resina e un paio di corte pagaie
con la pala molto larga.
- Faremo una corsa sul
laghetto, - disse il canadese, - e andremo ad arpionare le trote, al largo.
- Credo che non ce ne sia
bisogno, - disse il signor Falcone che, da qualche istante osservava dei pali
sporgenti dalle acque, a circa cinquecento metri dalla riva. - O m'inganno, o
laggiù ci sono di quei panieri da pesca usati dagli indigeni.
- È vero, signore, - disse
Bennie, dopo aver osservato attentamente quelle pertiche. - Andiamo a vedere.
Entrati nel canotto.
Armando si mise a prora, il signor Falcone a poppa, per mantenere meglio
l'equilibrio, e Bennie nel centro, con i remi. Il leggero galleggiante, spinto
vigorosamente, uscì dall'insenatura, dondolandosi graziosamente, e si diresse
rapidamente verso quei panieri da pesca. Armando, curvo sulla prora, esplorava
intanto le acque trasparenti per vedere se erano ricche di pesci, e dovette
presto convincersi che quel laghetto era straordinariamente pescoso. Pesci di
ogni specie, per lo più grossi, guizzavano in fondo al bacino, rifugiandosi in
mezzo alle piante acquatiche, alcuni neri come carboni, altri bianchi a
riflessi argentei, e altri ancora di una bella tinta azzurra. Ce n'erano tanti,
che una rete sarebbe stata subito riempita.
Bennie, pur continuando a
remare, guardava, e quando ne scorgeva qualcuno, s'affrettava a nominarli.
- Una nalina...
poco buono... buono pei cani... Una trota bianca... eccellente!... eccellente!...
Un pesce a crine di cavallo... passabile... Un luccio... buono... Un barbio...
squisito!...
Arrancando con maggior
lena, il canotto giunse finalmente là dove erano stari immersi i canestri
indiani. I Co-Yuconi e i Tanana non conoscono l'uso delle reti, pure hanno
trovato il modo di prendere i pesci che popolano abbondantemente i loro corsi
d'acqua e i loro laghi, adoperando certi panieri foggiati a imbuto, fabbricati
con vimini sottilissimi. Quando comincia l'inverno, piantano dei pali nei fiumi
o nei bacini, vi appendono gli imbuti e lasciano che il freddo formi il
ghiaccio, avendo però la precauzione di mantenere aperto un buco. I pesci,
vedendo quel barlume di luce, si cacciano dentro agli imbuti e rimangono
prigionieri in gran numero. Bennie che conosceva quel sistema di pesca, si
affrettò ad alzare i panieri, certo di trovarli pieni; però, con sua grande
sorpresa, non trovò in tutti e tre che quattro grossi lucci, del peso
complessivo di quindici o venti chilogrammi.
- I bricconi hanno distrutto
tutti gli altri - disse.
In quel momento udì in
aria un lungo fischio, e vide calare sul laghetto, a circa trecento metri, un
bellissimo cigno dalle candide penne.
- A voi, Armando, - disse.
- Quel volatile vale molto più di questi pescicani d'acqua dolce.
Il giovanotto si era
alzato col fucile in mano per mirare, quando vide il grazioso volatile battere
disperatamente le ali, e fare sforzi infruttuosi per rialzarsi.
- Che succede laggiù?... -
si chiese il giovane, stupito. - Pare che quel povero cigno sia alle prese con
qualcuno.
- Che si sia imbrogliato
fra le piante acquatiche? - chiese il signor Falcone.
- Non posso crederlo -
disse il canadese. - A me sembra che sia stato afferrato da qualche abitante
del lago. Non vedete che ha la testa sott'acqua, e non può liberarla?
- Suppongo che non ci
siano coccodrilli, qui - disse Armando.
- No, giovanotto - rispose
Bennie.
- Credo d'indovinare di
che cosa si tratta, - disse il signor Falcone, il quale osservava attentamente
gli sforzi che faceva il volatile.
- Spiegati, zio, - disse
Armando.
- Quel cigno è stato
afferrato da qualche luccio.
- Oh!... Zio!...
- Non credi?
- Un luccio prendersela
con un cigno?
- Ti stupisce?
- Mi sembra un'assurdità.
- Bennie, amico mio
andiamo un po' a vedere - disse il signor Falcone.
Il canadese riprese i remi
e spinse il canotto al largo. Intanto il povero cigno continuava a dibattersi
disperatamente per liberare la testa, che rimaneva ostinatamente sott'acqua. Le
sue larghe ali, si agitavano furiosamente, facendo spruzzare nembi di spuma,
senza, però, riuscire a sollevare il corpo. Dei fischi soffocati giungevano
agli orecchi del canadese e dei suoi compagni, interrotti da una serie di suoni
strani che parevano prodotti da una tromba. Ad un tratto il povero cigno, vinto
dal nemico subacqueo, distese un'ultima volta le ali, arruffò le sue belle
penne, poi si abbandonò sull'acqua senza vita.
- È morto - disse Armando.
Bennie, temendo che il
vincitore se lo trascinasse sott'acqua, con quattro vigorosi colpi di remo
raggiunse il volatile. Armando e il signor Falcone si curvarono e lo trassero a
bordo, ma non solo. Un grosso pesce, che fu subito riconosciuto per un luccio,
vi era appeso. Quel piccolo squalo d'acqua dolce aveva afferrato il volatile
per la testa, credendo d'inghiottire la preda gigante, come se si fosse
trattato di un semplice pesce di qualche libbra, e non potendo riuscire nel suo
intento, l'aveva soffocata. Il ghiottone, però, che aveva già ingollata la
testa, era rimasto anche lui asfissiato, restando appeso alla preda. Il luccio,
uno dei più grossi, era pesante circa otto chili e provvisto di una bocca
armata di numerosi e robusti denti, capace di contenere la testa del volatile.
- Se raccontassimo che uno
di questi pesci è stato sorpreso mentre cercava di impadronirsi d'un cigno, ci
riderebbero in viso - disse Armando, il cui stupore non aveva limiti.
- Chi conosce la voracità
dei lucci, non si sorprenderebbe, - disse il signor Falcone. - Questo caso non
è nuovo, Armando.
- Sono così audaci dunque
questi pesci?
- Sono i più battaglieri e
i più voraci abitanti delle acque dolci, e non a torto vengono chiamati lupi
di fiume. Non puoi immaginare le stragi che fanno. Come vedi non sono
grandi, pure si gettano contro tutti, con coraggio disperato, riuscendo quasi
sempre vincitori. Se ne sono visti alcuni scagliarsi contro i cani.
- Sembrerebbe impossibile.
- Anche le lontre,
talvolta, devono sostenere veri combattimenti.
- Devono fare delle stragi
nei bacini e nei fiumi - disse Bennie.
- Dei veri massacri, -
rispose il signor Falcone. - Un giorno, un certo Cholmondeley, proprietario di
un ricco vivaio di pesci, ebbe la malaugurata idea di mettervi dentro un luccio
d'una trentina di libbre, perché s'ingrossasse un po'. Dopo un anno, quel
ghiottone aveva distrutto tutti i pesci del vivaio, non risparmiando che un
grosso carpione, ridotto però anche lui in uno stato miserando, a causa delle
numerose ferite riportate nel combattimento
- Che voracità!... -
esclamò Armando.
- Pensa che in due soli
giorni consumano tanto cibo da superare il proprio peso.
- Allora cresceranno
rapidamente.
- Prodigiosamente, più di
tutti i pesci.
- Ditemi, zio, è vero che
nel corpo dei lucci si sono trovati degli oggetti preziosi?
- È verissimo. Armando. In
Inghilterra ne fu pescato uno del peso di dieci chili, che aveva nello stomaco
un orologio appeso a un nastro, e due sigilli.
- E come aveva fatto ad
inghiottirli?
- Doveva averli mandati
giù, assieme a dei brandelli di carne appartenenti al proprietario di quegli
oggetti, un povero ragazzo che era annegato nell'Ouse pochi giorni prima. Si
sono trovati nei loro intestini anche dita umane, con degli anelli, e perfino
dei pezzi di piombo appartenenti alle reti dei pescatori.
Mentre il signor Falcone e
suo nipote chiaccheravano, Bennie non aveva cessato di remare per condurli alla
spiaggia, giudicando sufficienti, per il momento, le prede che si erano
procurate quasi senza fatica. Tornati nell'insenatura, legarono il canotto,
contando di servirsene più tardi, e presero la via dell'accampamento, per prepararsi
una abbondante colazione. Credendo di abbreviare il cammino, si erano
addentrati in una pineta, che descriveva una grande curva, occupando quasi
l'intera larghezza del vallone, quando tutto a un tratto si videro precipitare
addosso cinque enormi lupi grigi.
Armando stava per
caricarli col calcio della carabina, credendo di metterli facilmente in fuga,
quando vide Bennie lanciarsi precipitosamente verso il tronco d'un albero e
appoggiarvisi contro, come per impedire di venire assalito alle spalle.
- Seguitemi!... - aveva
gridato il canadese. - I lupi sono idrofobi!..
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