XXVIII -
L'INSEGUIMENTO DEI TANANA
Gli indiani, occupati a
danzare e a urlare, dapprima non si accorsero della presenza di quei quattro
animali, quando però questi comparvero nel campo illuminato dai falò, un grido
di terrore si fece udire. Uomini, donne e fanciulli, in preda a uno spavento
impossibile a descriversi, si riversarono all'impazzata attraverso le tende,
abbattendole, poi si dispersero in tutte le direzioni, urtandosi, atterrandosi
e calpestandosi, senza più occuparsi nè del morto, nè delle carni che
terminavano di abbrustolirsi. Nessuno aveva pensato di afferrare le armi, tanta
era stata la paura che li aveva invasi, alla vista dei quattro mostruosi
animali. Bennie e i suoi compagni, rimasti padroni del campo, si diressero
verso il recinto dei cavalli, che si trovava a breve distanza. Sbarazzarsi
delle pelli, caricare le casse sugli animali, e salire in arcione, fu l'affare
di pochi minuti. Stavano per partire, quando videro i Tanana ritornare a corsa
sfrenata, urlando e imprecando. Accortisi dell'inganno, erano corsi ad armarsi,
e ora si preparavano a dare addosso ai fuggiaschi, furiosi di essere stati così
ingenuamente giocati. Tre o quattro dei più veloci s'avventarono contro il
canadese, alzando contro di lui le fiocine, mentre un altro gli afferrava le
briglie del cavallo. Bennie non esitò. Comprendendo che il ritardo di un solo
mezzo minuto avrebbe potuto costare la vita a sè e ai suoi compagni, levò
rapidamente la rivoltella e la scaricò contro gli assalitori, mentre obbligava
il cavallo ad impennarsi. Due indiani caddero, morti o feriti. Gli altri si
scostarono precipitosamente, ripiegando sul grosso della banda.
- Al galoppo!... - urlò il
canadese, bruciando la sua ultima cartuccia.
I cavalli, punzecchiati
con i coltelli, partirono ventre a terra, nitrendo dolorosamente. I Tanana, non
per questo rinunciarono all'inseguimento. Essendo tutti gli indiani veloci
corridori, si lanciarono animosamente dietro ai cavalli, raddoppiando le urla e
le minacce. Bennie e i suoi compagni, certi della velocità dei loro corsieri,
non si preoccupavano. Però, volendo spaventare quegli ostinati inseguitori, di
quando in quando si volgevano per sparare qualche colpo di fucile, a casaccio,
essendo ormai l'oscurità molto fitta. I cavalli, spinti al galoppo, in pochi
minuti giunsero alla foresta, e vi si inoltrarono, filando come meteore fra i
giganteschi tronchi dei pini e degli abeti, i quali, fortunatamente,
permettevano agevolmente il passaggio. Le grida dei Tanana, a poco a poco,
diventavano sempre più fioche. Le loro gambe, per quanto robuste ed agili, non
potevano certamente gareggiare con quelle dei mustani di prateria. Dopo
mezz'ora di galoppo furioso, le urla degli inseguitori non si udivano più.
- Saranno tornati indietro
- disse il canadese, moderando la corsa del suo cavallo, per accordare un po'
di respiro alla povera bestia.
- Il diavolo se li porti
tutti nell'Yucon, assieme all'anima di quel vecchio catarroso. Pezzi di
canaglie! Credevano di aver a che fare con dei novellini o con dei polli?
- Dove ci dirigiamo,
Bennie? - chiese il signor Falcone.
- Sempre verso nord, per
ora. Quando saremo giunti sulle rive dell'Yucon, piegheremo a ovest per
arrivare al forte.
- Non avremo più molestie
da parte dei Tanana?
- Non credo. Saranno
tornati per seppellire il capo e prendere parte al banchetto funebre.
- Ci fermeremo questa
notte?
- Sarà necessario,
signore. I nostri cavalli non potranno resistere molto, e poi, con questa
oscurità, rischieremmo di precipitare in qualche palude. Rallentiamo un po' la
corsa e continuiamo a fuggire per frapporre una buona distanza fra noi e il
villaggio dei Tanana.
Accordato un po' di riposo
agli animali, dieci minuti dopo ripartirono al piccolo trotto, inoltrandosi
sempre più nella foresta. Quella seconda corsa durò un'ora, poi fu interrotta
dall'incontro di un largo corso d'acqua che correva da sud a nord-ovest,
certamente un affluente dell'Yucon. Non osando avventurarsi su quelle acque che
correvano rapidissime, formando qua e là numerosi gorghi, i fuggiaschi decisero
di sostare per attendere l'alba. Forse esisteva qualche guado o qualche
passaggio, ma con quell'oscurità non era possibile scoprire nè l'uno nè
l'altro. Scesero d'arcione senza però liberare i cavalli dalle selle e dalle
casse, per essere pronti a ripartire in caso di un nuovo attacco e, tese al
suolo le coperte, si sdraiarono l'uno accanto all'altro per tenersi più caldi,
essendo la notte piuttosto fredda. Avrebbero desiderato accendere un bel fuoco,
abbondando in quel luogo la legna resinosa però non ritennero prudente farlo,
per non attirare l'attenzione dei loro nemici, qualora qualcuno di loro avesse
continuato l'inseguimento. Quella notte, passata sotto la cupa ombra di alberi
giganti, senza fuoco e con un freddo che diventava sempre più intenso, fu
tutt'altro che piacevole. Specialmente Back, non ancora abituato a quel clima,
si lamentò molte volte e battè i denti senza interruzione. Quando cominciò a
spuntare l'alba, Bennie, aiutato da Armando, accese un po' di fuoco per
preparare un po' di thè caldissimo. Già la deliziosa bevanda era pronta, quando
i cavalli si misero a nitrire e a scalpitare, dando segni d'inquietudine. Il
canadese, sapendo che i mustani di prateria sentono da lontano l'avvicinarsi
del nemico, sia uomo o animale, s'alzò prontamente lanciando uno sguardo
sospettoso fra gli alberi.
- Che cosa avete, Bennie?
- - chiese Armando.
- I mustani hanno fiutato
l'avvicinarsi di un nemico.
- Che ci sia qualche orso
in questi dintorni?
- O i Tanana?
- Gli indiani, qui?
- Possono aver seguite le
nostre tracce, Armando. Servite il thè, e non occupatevi di me, per ora.
Prese il fucile e si
cacciò sotto gli alberi. Una nebbia piuttosto densa si era accumulata nella
foresta. ondeggiando in mezzo ai grossi tronchi e ai rami, però il canadese non
era uomo da smarrirsi. Si diresse verso sud a passi rapidi, poi si dileguò fra
i vapori. Armando, il messicano e il signor Falcone, bevuto frettolosamente il
thè, visitarono le bardature dei cavalli, assicurarono per bene le casse, poi
si tennero pronti a balzare in sella. L'assenza del canadese non durò che dieci
minuti. I suoi compagni lo videro tornare correndo, col fucile in mano e il
viso sconvolto.
- Presto in arcione! -
disse.
- I Tanana? - chiese il
signor Falcone.
- Stanno proprio per
arrivare.
I quattro uomini balzarono
in sella, poi partirono al galoppo, seguiti dal quinto cavallo, che portava la
grande cassa. In pochi minuti giunsero sulle rive del fiume. Là si accorsero che
non era possibile affrontare la corrente, essendo questa molto rapida e
interrotta da gorghi pericolosi, probabilmente profondissimi.
- Seguiamo la riva, -
disse Bennie. - In qualche luogo troveremo certamente un passaggio.
I cavalli, vivamente
eccitati, piegarono a sinistra, raddoppiando la corsa. La riva, però, diventava
sempre più aspra, elevandosi continuamente. Il fiume si restringeva,
precipitandosi impetuosamente fra due pareti rocciose, tagliate quasi a picco.
Là non si trovavano certamente dei guadi, e tanto meno dei passaggi. Bennie
cominciava a diventare inquieto, vedendo che la speranza di porre il fiume tra
sè e gli indiani, sempre più si dileguava.
- Saremo costretti a
continuare la corsa fino all'Yucon? - si chiedeva. - Se avessimo dei buoni
cavalli e non tanto carichi, la cosa non presenterebbe alcun pericolo:
disgraziatamente i nostri animali sono stanchissimi.
Temendo di veder sbucare
da un momento all'altro i Tanana, si volgeva di frequente, però fino a quel
momento gli indiani non erano ancora apparsi. Galoppavano ormai da una
mezz'ora, seguendo sempre la riva, diventata ormai altissima, quando, aguzzando
lo sguardo, il canadese scorse una sottile linea nera gettata sopra il fiume.
- Che ci sia un ponte? -
si chiese. - Che fortuna per noi, se non m'ingannassi!
- Bennie, - disse in
quell'istante Armando. - Vedo qualche cosa fra le due rive.
- L'ho notato - rispose il
canadese. - Se deve...
La frase gli fu troncata
da un urlìo assordante, che era scoppiato verso l'alto corso del fiume. I fuggiaschi
si volsero e videro una banda di Tanana correre lungo la riva, agitando
minacciosamente le scuri e le lance. Gli indiani, usciti dalla foresta, avevano
scorto i fuggiaschi, e si preparavano a inseguirli animosamente per impedire
loro il passaggio del fiume. Fortunatamente erano ancora lontani, mentre la
linea nera che attraversava il fiume non distava più di poche diecine di metri.
- Un ultimo sforzo! -
gridò Bennie.
I cavalli, percossi e
punzecchiati con i coltelli, ripartirono con nuova lena, sbuffando e nitrendo.
Un passaggio era stato gettato attraverso il fiume. Non si trattava di un vero
ponte, ma di tre lunghi tronchi di giovani pini, situati l'uno accanto
all'altro e privi di parapetto.
Far passare i cavalli su
quel pontile, non doveva essere un'impresa facile, però non era il momento di
esitare.
- Quando saremo giunti
sulla riva opposta, taglieremo i tronchi - disse Bennie. - Avanti, uno sforzo
ancora, e saremo salvi.
I cavalli salirono la riva
al galoppo, e s'arrestarono, ansanti, sudati e coperti di schiuma, presso il
ponte. I cavalieri scesero di sella, poi Back per primo afferrò strettamente le
briglie del mustano che portava la grande cassa, e si avventurò risolutamente
su quei tre tronchi di pino che parevano già semifradici. L'animale, vedendo
scorrere sotto l'acqua che turbinava e spumeggiava, dapprima arretrò nitrendo
di spavento, poi udendo la voce del padrone, si spinse innanzi, tremando e
scuotendo pazzamente la testa. I tronchi oscillavano e crepitavano sotto il
peso dell'uomo e dell'animale, minacciando di spezzarsi e di rovesciare gli
audaci che passavano sopra. Inoltre, l'umidità li aveva resi viscidi, e faceva
scivolare il mustano. Quella prima traversata, tuttavia, si compì felicemente,
senza che accadessero disgrazie. Back tornò indietro, e anche il secondo
cavallo passò, poi gli altri, guidati da Armando e da Falcone. Bennie era
rimasto ultimo per far fronte agli indiani. Costoro, vedendo sfuggire la preda,
raddoppiarono la corsa e le urla. Già non distavano che centocinquanta metri,
quando il canadese si decise a lanciarsi sul ponte.
- Preparatevi a tagliarlo,
- gridò ad Armando, che si era già armato di una scure.
Procedendo lestamente il
canadese era già giunto a metà del ponte, quando udì dietro di sè un grido, poi
una voce ben nota che diceva:
- Muori, cane!...
Si volse rapidamente, e
vide un uomo slanciarsi giù da una roccia, tenendo in pugno una scure.
Lo riconobbero subito: era
lo stregone della tribù!...
- Uccidetelo!... - urlò,
mentre cercava di affrettare il passo.
Prima che Back e il signor
Falcone avessero il tempo di afferrare le armi, risuonò un colpo secco e il
ponte traballò spaventosamente. Bennie si era lasciato cadere, stringendo con
suprema energia i tronchi di pino.
- Uccidetelo!.. - ripetè,
chiudendo gli occhi.
Un secondo colpo risuonò
seguito da uno schianto, ed il ponte, troncato da una furiosa mazzata,
precipitò nell'acqua, assieme al disgraziato canadese. Nello stesso istante
echeggiarono due spari. Lo stregone non ebbe il tempo di vedere il suo
avversario piombare fra i gorghi del fiume. Colpito dalle due palle, s'alzò di
scatto, aprì le braccia, lasciando cadere la scure, poi, a sua volta, rotolò
fra le spumeggiami acque del fiume.
- Bennie!...-gridarono Armando,
Back e il signor Falcone, precipitandosi verso la riva - Bennie!..
Una voce lontana rispose:
- Tengo il ponte!...
Fuggite!
- Ah!... Bravo
camerata!... - esclamò Armando, che aveva le lacrime agli occhi. In quel
momento i Tanara giunsero sull'opposta riva del fiume. Non potendo più
attraversarlo, si misero a lanciare le loro fiocine, urlando ferocemente. Il
messicano e i suoi compagni non si degnarono nemmeno di rispondere. Saliti a
cavallo, s'erano messi a galoppare sulla riva per raggiungere il loro compagno
che la corrente, rapidissima, trasportava lontano. Sulla spumeggiante
superficie del fiume, di tratto in tratto, si vedevano volteggiare, immergersi,
poi tornare a galla i tre tronchi del pino, tenuti uniti da alcune strisce di
pelle e aggrappato ad essi il cacciatore il quale, anche nella caduta, non
aveva abbandonato il suo fucile. Dopo lunghi sforzi era riuscito a gettarselo
in spalla, ed ora lavorava di braccia e di gambe per spingere i pini verso
riva. Gli indiani, accortisi della caduta del loro nemico, si erano messi a
correre lungo la riva, sperando che la corrente lo spingesse dalla loro parte
per massacrarlo prima che approdasse. Back e i suoi compagni, spingendo i
cavalli a corsa sfrenata, in breve giunsero là dove si dibatteva il canadese.
- Coraggio!.. - gridò il
signor Falcone.
- Gettatemi una corda -
rispose il canadese. - La corrente mi trascina e non riesco a vincerla.
Back si era buttato giù da
cavallo. Si aprì la casacca e snodò una lunga corda di pelle intrecciata
terminante in un anello di ferro, che portava stretta alla cintura. Era un lazo.
Il messicano, che sapeva maneggiarlo con abilità sorprendente, avanzò verso la
riva, attese che Bennie passasse, poi fece girare tre o quattro volte il nodo
scorsoio, imprimendogli una velocità crescente. La corda cadde nel fiume e andò
a stringersi attorno a un braccio del nuotatore.
- Aiutatemi - disse il
messicano, volgendosi verso Armando.
Il canadese, sapendo ormai
di non aver più nulla da temere aveva lasciato andare i pini e si era aggrappato
al lazo con le mani, mentre con i piedi si manteneva a galla. Back e
Armando ritirarono prontamente la corda, issando l'uomo che vi era appeso.
- Corna di bisonte!... -
esclamò Bennie, quando si ritrovò sulla riva. - Sono gelato!... Maledetto stregone!...
Il signor Falcone aveva
aperto una cassa, ed estratta una bottiglia l'aveva sporta al canadese,
dicendogli:
- Bevete, povero amico. È
del vecchio gin che serbavo per le grandi occasioni.
Il cacciatore mandò giù
quattro o cinque sorsi, balbettando:
- Grazie... signore!...
I Tanana erano giunti in
quel momento sulla riva opposta ed essendo in quel punto il fiume assai
stretto, si erano messi a lanciare le loro fiocine. Una andò a cadere in mezzo
ai fuggiaschi, sfiorando il messicano.
- Oh!... Canaglie!... -
gridò Armando. - Non l'avete ancora finita? Prendete!...
Con un colpo di fucile
abbattè il più vicino della banda. Gli altri, spaventati dalla matematica
precisione del tiro, e comprendendo ormai che nulla avrebbero avuto da
guadagnare in una lotta, fuggirono precipitosamente, salvandosi nel bosco
vicino.
- A cavallo - disse
Bennie.
- Siete mezzo gelato,
amico - osservò il signor Falcone. - Vi buscherete qualche malanno.
- Bah!... Ho la pelle corazzata
- rispose il cacciatore, ridendo. - Sono abituato ai bagni freddi. Cerchiamo un
buon posto per accamparci, poi mi asciugherò davanti al fuoco.
Risalirono in arcione, e
si diressero verso la foresta che si stendeva a settentrione. Trovata una piccola
radura aperta fra un cerchio di pini giganti, si fermarono per accamparsi. Il
luogo era propizio per una sosta. Di là potevano dominare un lungo tratto della
riva opposta, essendo il terreno un po' elevato. La tenda fu prontamente
rizzata, quindi fu acceso un fuoco gigantesco, capace di arrostire un bue.
Bennie fu spogliato, coperto con una coltre di grossa lana, strofinato per bene
con uno straccio imbevuto nel gin per riattivargli la circolazione del sangue,
poi fu lasciato accostarsi al falò. Mentre Armando torceva le vesti del
cacciatore e le metteva ad asciugare. Back e Falcone preparavano la cena,
usando le ultime provviste, non avendo avuto il tempo di portare con loro gli
avanzi dei due cigni. Divorato il pasto composto di un po' di pemmican
con pochi fagioli, e frittelle di farina cucinate nel grasso, si cacciarono
sotto la tenda, mentre Back vegliava il primo quarto. La notte, però, fu senza
allarmi. I Tanana, certi ormai di non poter più raggiungere i fuggiaschi, dopo
la caduta del ponte, non si fecero più vedere, e anche gli animali feroci non
disturbarono il sonno dei cacciatori. Ai primi albori, ben riposati da quella
dormita, ripartivano verso est, ansiosi di giungere al forte Scelkirk. Erano
senza provviste, e quel paese pareva priva di selvaggina. Mancavano perfino i
lupi, animali che s'incontrano dovunque nell'Alaska e nelle regioni vicine. A
mezzodì, dopo una corsa ripassavano l'affluente dell'Yucon presso la foce,
servendosi di un ponte costruito con alcuni tronchi di pino, e all'una galoppavano
sulla riva del fiume gigantesco. Un'anitra selvatica, uccisa da Armando, e una
dozzina di uova di cigno, trovate in due nidi abbandonati, fornirono il pranzo
e la cena. Il secondo giorno, poco dopo il tramonto, giunsero finalmente al
forte Scelkirk.
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