XXXV -
LA FEBBRE DELL'ORO
Tre giorni dopo il drappello,
attraversate nuove e più folte foreste, nuovi pantani e burroni difficilissimi,
giungeva presso la foce del Barem, in una valla profonda fiancheggiata da due
cateratte e fronteggiata dall'aspra catena del Dom. Quel luogo, forse mai visto
nemmeno dagli indiani, i quali d'altronde si tenevano solamente sulle rive dei
grandi fiumi, essendo più pescatori che cacciatori, era selvaggio e anche
bello. Pini maestosi coprivano i fianchi della vallata, lanciando le loro cime
a sessanta metri dal suolo, proiettando una fitta e tetra ombra sui pendii,
mentre delle vere foreste di cedri e di abeti si stendevano sui monti. Falcone
e i suoi compagni si erano fermati, guardando con un misto di ammirazione e di
timore quel cupo vallone.
- È qui, sotto i nostri
piedi, l'oro? - chiese finalmente Bennie, mentre i suoi occhi percorrevano
senza posa le rocce della valle, come se avesse cercato di scoprire il prezioso
metallo che rinserravano.
- Sì, - rispose don Pablo.
- La montagna di fronte, le due cateratte, il Barem in mezzo: il minatore non
ha mentito.
- Mano alle zappe!... -
gridò il canadese. - Voglio veder l'oro!
- Calmatevi, Bennie, -
disse Falcone, ridendo. - Nessuno ci porterà via il nostro oro.
- Mi sento bruciare i
piedi, signor Falcone.
- Vi credo, però non
dobbiamo essere così impazienti. Innanzi tutto, non sappiamo ancora quale sia
il luogo dove si svolge il filone aurifero.
- È vero, - disse Pablo. -
Bisognerà prima fare degli assaggi.
- E montare lo sluice
- aggiunse Armando.
- E mettere a bollire le
pentole, - disse Back. Non abbiamo ancora fatto colazione.
- Al diavolo la
colazione!.. - esclamò Bennie. - Chi avrà voglia di mangiare pensando che,
sotto di noi, ci sono dei milioni da raccogliere?
I minatori scoppiarono in
una risata.
- Ridete!... - esclamò
Bennie. - Oh!... I flemmatici!... Non provate dunque la febbre dell'oro?
- Forse più tardi, - disse
Falcone. - Suvvia, prepariamo il nostro campo innanzi tutto e poi la colazione.
Dovendo fermarsi là fino
al termine della buona stagione, cioè un paio di mesi e forse più, cercarono un
posto comodo che li mettesse anche al coperto dai venti freddissimi della
regione artica e, in caso d'attacco da parte di qualche banda di indiani o di bushranger,
permettesse loro di difendersi meglio. Avendo scoperta una roccia scavata, con
numerose fessure che parevano fatte appositamente per servire da nascondiglio,
fu scelta per l'accampamento. Si trovava a breve distanza dalla riva sinistra
del Barem, sicchè potevano anche sorvegliare lo sluice, contando di
collocarlo in quel luogo. La tenda fu rizzata davanti alla caverna, che fu
destinata ai cavalli. Per quel giorno nessuna esplorazione fu tentata, avendo
occupato interamente il tempo a prepararsi l'alloggio, a far grosse provviste
di muschio che doveva servire da letto, di legna per la cucina e a collocare al
coperto le casse. L'indomani invece montarono lo sluice, quel prezioso
strumento che, con tante fatiche, avevano condotto dalle praterie degli Stati
Uniti. Lo sluice non è altro che una specie di cassa, ordinariamente
circolare, che viene montata su due solidi pali per mezzo di robusti arpioni di
ferro fuso. Internamente è diviso in parecchi scompartimenti, otto, dieci o
anche dodici. Il primo, il più ampio, riceve la terra frammista a pezzi di
roccia, che viene levata dal claim, ossia dal pozzo aurifero. Lo
strumento deve essere collocato presso le rive di un torrente o di un fiume, e
l'acqua che passa sullo sluice disgrega rapidamente la terra. I pezzi di
roccia vengono portati via dalla corrente, ma la sabbia e l'oro passano
attraverso una latta bucherellata e precipitano nel secondo scompartimento.
Un'altra latta bucherellata più minutamente, permette il passaggio all'oro e ai
frammenti più piccoli. Qui, però, si trova già una certa quantità di mercurio,
il quale assorbe subito il metallo prezioso, impedendogli di venire portato via
dall'acqua. Il passaggio così continua finché l'oro si raccoglie, quasi puro,
nell'ultimo scompartimento dove si trovano parecchie scanalature piene di
mercurio, della profondità di otto millimetri. Con questo sistema si può essere
certi che nemmeno un atomo di metallo sfugge, mentre con quello antico della
ciotola di legno, buona parte delle pagliuzze se ne andavano con l'acqua. Non
fu che al terzo giorno che i minatori si misero all'opera per fare gli assaggi,
al fine di accertarsi della maggiore o minore ricchezza dei filoni d'oro che
dovevano distendersi sotto la valle. Questo lavoro, detto di prospection,
è il più difficile e insieme il più faticoso. Per formarsi un'idea quasi esatta
della direzione dei filoni, è necessario scavare a casaccio numerose buche che
affondano fino all'incontro dello strato aurifero, indicato per lo più dalla
presenza di una sabbia bigia o rossastra. I minatori, ansiosi di conoscere la
ricchezza del sottosuolo di quella selvaggia vallata, si misero animosamente
all'opera, scavando una prima buca in prossimità del fiume. L'incontro dello
strato sabbioso non si fece attendere molto A due metri di profondità Bennie e
il giovane messicano scoprirono un largo filone di sabbia grigiastra amalgamata
ad alcune pagliuzze d'oro. Un evviva fragoroso avvertì il signor Falcone,
Armando e Back che il giacimento aurifero era stato subito trovato. Sei secchie
di quella terra furono subito issate e portate nello sluice. Tutti i
minatori erano accorsi ansiosi di conoscere la ricchezza di quelle sabbie
aurifere. L'acqua disgregò le sabbie, portando via i frammenti di roccia e la
materia rimasta precipitò, di crivello in crivello, fino all'ultima cassa,
contenente le scanalature piene di mercurio.
- Attenzione, signori!...
- gridò Bennie - Fra pochi istanti conosceremo la ricchezza del filone che
abbiamo scoperto.
- Io non so se sia la
febbre dell'oro che comincia a invadermi, ma sento che il mio cuore batte
forte, - disse Armando.
- È l'emozione che prova
il giocatore quando punta una grossa posta, - disse don Pablo.
Back e Falcone avevano
intanto chiuso il passaggio d'acqua, e levate le lastre traforate,
spazzolandole accuratamente per far cadere nell'ultimo scompartimento le goccioline
di mercurio che si trovavano sospese, e che dovevano contenere delle particelle
d'oro. Levata la cassa, si vide ondeggiare il mercurio amalgamato al prezioso
metallo, mescolato però con alcuni piccoli frammenti di ghiaia rimasti
galleggianti. Bennie e il giovane messicano, i più abili in simili operazioni,
versarono quell'amalgama in un piatto di legno, la sbarazzarono dei corpi
estranei, poi lo versarono in un sacchetto fatto con tela grossa e ruvida.
- Perché la mettete lì dentro?
- chiese Armando che seguiva attentamente quelle diverse operazioni.
- Per sbarazzare l'oro dal
mercurio, - rispose Bennie
- E vedremo poi l'oro?
- Non ancora; Back, è
pronta la padella? ,
- Sì - rispose il
messicano. Il canadese prese a due mani il sacchetto, lo mise sopra il piatto
di legno, e cominciò a torcere la tela a tutta forza. Il mercurio, così
compresso, sfuggì da tutti i pori cadendo, come una pioggia d'argento liquido,
nel recipiente. Quando Bennie aprì il sacco, mostrò ai compagni stupiti, un
blocco pesante un mezzo chilogrammo, ma che pareva d'argento, anziché d'oro.
- Corna di bisonte!... -
esclamò il canadese facendo un salto.
- Caramba! - esclamò don Pablo.
- Il filone è d'una
ricchezza prodigiosa!...
- Sì, Bennie!...
- Il minatore non vi ha
ingannato!...
- No!... No!... Canarios!...
Noi diventeremo ricchi come Cresi.
- È tutto oro quello? -
chiese Armando. - Un mezzo chilogrammo d'oro con poche secchie di terra!
- Abbi pazienza un
momento, - disse il signor Falcone. - Non è tutto oro, essendo ancora
amalgamato a del mercurio, però ti dico che il filone da noi scoperto è di una
ricchezza inverosimile. Se contiene il 25 od il 30 per cento di mercurio,
possiamo dire di aver messo le mani su una miniera favolosa.
Back aveva acceso rapidamente
alcuni rami resinosi e messo sopra la fiamma una padella di ferro. Bennie prese
il prezioso blocco e lo lasciò cadere. Il mercurio in pochi minuti, si
volatilizzò, e nel fondo del recipiente apparve l'oro raccolto dallo sluice,
di una splendida tinta fulva. Un grido di meraviglia e di gioia sfuggì a tutti
i petti:
- L'oro!... L'oro!...
Quanto oro!... E realmente la quantità di metallo prezioso trovato nella
padella dopo l'evaporizzazione del mercurio, era veramente prodigiosa. Nè
Bennie, nè Back, nè don Pablo avevano mai veduto, in una sola battuta, ricavare
quasi un mezzo chilo d'oro con sole sei secchie di sabbia aurifera. Si poteva
ormai credere che il terreno di quel vallone fosse un vero impasto di terriccio
e di minerale.
- Amici, signor Falcone,
Armando, noi saremo ricchi come nababbi, tanto ricchi da poter comperare
bastimenti, case, campagne... ma che case!... Delle città intere!...
- Se tutte le battute
rendessero tanto, si potrebbe credervi, Bennie - disse Falcone. - La ricchezza
mineraria di questa valle supera tutte quelle della California, dell'Australia
e dell'Africa meridionale. Vedremo se il filone continuerà.
- Ne troveremo degli
altri, per centomila corna di bisonte! Amici, lavoriamo, o io mi metto a
danzare una giga così furiosa da rompermi le gambe. Bisogna che mi
muova, che zappi, che gridi, che balli!...
- Calma, Bennie, - disse
Armando, ridendo - Finora non abbiamo guadagnato che un paio di biglietti da
mille.
- Sotto questa terra ci
sono milioni.
- Li raccoglieremo; senza
però diventare pazzi.
- Al lavoro, - disse
Falcone. Bennie e Back ridiscesero nel claim, mentre Armando e Pablo si
incaricavano di ritirare le secchie piene di sabbia aurifera. Falcone fu invece
destinato alla direzione dello sluice, lavoro meno faticoso e più adatto
alla sua pratica meccanica. Durante l'intera giornata i cinque minatori non
posarono nè i badili, nè i picconi, nè le secchie, lavorando febbrilmente per
strappare alla terra i tesori che teneva sepolti. Alla sera l'oro fu versato
nelle padelle, depurato degli ultimi residui di mercurio, e quindi pesato con
una bilancia che Falcone aveva portato con sè.
In quelle dieci ore di
lavoro avevano ricavato dodici chili di oro, quasi puro, guadagnando settemila
dollari. Quella sera al campo ci fu un po' di baldoria per festeggiare il lieto
avvenimento. L'ultimo prosciutto d'orso fu divorato assieme a una deliziosa
zuppa di fagiuoli, e poi venne data la stura a una delle sei bottiglie di whisky
che avevano portato con loro.
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