XXXVII -
FRA L'ORO E LA MORTE
L'indomani, quantunque
fossero divorati dal desiderio di vuotare la vasca della cascata, Bennie e
Armando, Back e don Pablo si mettevano in marcia per esplorare i boschi,
essendo risoluti a sbarazzarsi di quel pericoloso individuo che attentava alla
loro vita e alle loro ricchezze. Falcone, invece, rimase a guardia della
caverna e dei cavalli. Mentre i due messicani si dirigevano verso le montagne,
il canadesi e il suo giovane amico, si misero a perlustrare la vallata,
visitando i boschi di pini, di cedri e di abeti che crescevano da ambo le
parti. Dopo aver esaminato i dintorni, si spinsero sotto i boschi che
fiancheggiavano la parte meridionale della valle. Si rimisero in caccia dietro
la selvaggina umana, procedendo però con grande precauzione per non venire
sorpresi e accolti a colpi di fucile, attraversata la radura, si gettarono
nella foresta, ed essendo il suolo umidissimo, scopersero due tracce, così
distinte da non potersi ingannare sulla loro qualità.
- Sono le orme di due
bianchi - disse Bennie
- Che siano del
californiano e del suo amico, il bushranger? - chiese Armando.
- Corna di bufalo!... Se
li troviamo, li abbatteremo senza esitare, giovanotto.
Erano giunti al margine
della vallata, dinanzi a un massiccio di rupi gigantesche, che s'alzavano verso
le montagne. Là gli alberi diventavano rari, e non si vedevano che magri
cespugli di cornioli, ribes e rose canine. I due cacciatori si erano fermati
dietro il tronco di un cedro, guardando attentamente quelle rocce, per timore
di cadere in qualche agguato. Le cime cessavano davanti a una rupe, la quale
mostrava numerose fenditure che permettevano di scalarla. Guardando verso la
cima, Bennie scorse una spaccatura abbastanza larga da permettere il passaggio
a un uomo, e che pareva si addentrasse nel macigno, formando una specie di
caverna.
- Che sia il loro
rifugio?... - si chiese.
Bennie stava per proporre
ad Armando di dare la scalata alla lupe, quando dalla spaccatura vide uscire
una leggera colonna di fumo.
- Ah!... - esclamò. - Non
mi ero ingannato!
- Sì, sono là dentro, -
mormorò Armando.
- E non hanno sospettato
la nostra presenza.
- Così deve essere, poiché
si sarebbero ben guardati dall'accendere il fuoco.
- Andiamo a sorprenderli,
Armando.
- Sì, andiamo, Bennie.
I due cacciatori
cambiarono le cartucce ai fucili per essere certi dei loro colpi, e si misero a
strisciare nascondendosi prontamente dietro le rocce. Il fumo continuava a
uscire però sempre leggero, anzi accennava a diminuire, e nessun rumore si
udiva uscire dal crepaccio. Bennie e il suo compagno, strisciando e
arrampicandosi con precauzione, per non far rotolare qualche pezzo di roccia,
in breve giunsero dinanzi alla spaccatura. Balzare in piedi con i fucili
imbracciati, pronti a far fuoco e slanciarsi dentro, fu cosa di un solo
istante.
- Fermi o vi uccido!... -
urlò il canadese.
Nessuno rispose a quell'intimazione
minacciosa. I due cacciatori si trovarono in una spaziosa caverna circolare
illuminata da alcuni tizzoni che bruciavano in mezzo a quell'antro. Con loro
vivo stupore non videro nessuno. Se mancavano gli uomini, trovarono però
numerosi oggetti che indicavano chiaramente come quella caverna fosse abitata.
Appese alle pareti c'erano fiocine, ramponi, qualche coltello col manico
d'avorio e delle reti; poi, sparsi al suolo, si vedevano dei sandali da neve
usati dagli indiani, sacchi di pelle contenenti vestiti o provviste, del pesce
secco o affumicato, e alcune pelli d'orso nero, di volpe, di ghiottoni e di
lupo. Un grido di stupore e insieme di delusione sfuggì dalle labbra del
canadese.
- Per centomila corna di
bufali!... - esclamò. - Abbiamo preso un granchio colossale!...
- Voi volete dire che
questa caverna non ha servito di dimora a uomini appai tenenti alla nostra
razza, - disse Armando.
- Questa è un'abitazione
di indiani, Armando.
- Allora ci siamo
ingannati.
- Completamente.
- E dove saranno andati
gli abitanti?
- Forse a caccia.
- E quelle orme?
- Sono state lasciate
dagli indiani.
- Erano impronte di
stivali forniti di chiodi, Bennie.
- Forse i pellirosse di
queste regioni avranno compreso che le nostre calzature sono più comode. Sono
contento di questa scoperta, poiché mi libera da un grosso peso che mi gravava
sullo stomaco. Dagli indiani non possiamo temere un brutto tiro.
- Aspetteremo il loro
ritorno?
- Perderemmo un tempo
prezioso, Armando. Lasciamo che si godano in pace la loro caverna.
- Rimane, però, una cosa
di spiegare.
- E quale?
- E quei fastelli di legna
trovati sotto la tettoia?
- Possono essere stati
abbandonati da qualche indiano venuto forse a spiarci senza avere cattive
intenzioni. Gli abitanti di queste regioni non sono ostili. Armando, anzi
rispettano l'uomo bianco. Ritorniamo e andiamo a vuotare il bacino della
cascata.
Ormai rassicurati,
lasciarono la caverna e fecero ritorno all'accampamento, informando della
scoperta Falcone, Back e don Pablo, già ritornati dalla loro escursione, senza
aver veduto nulla. Essendo tutti del parere di non doversi occupare di quegli
indiani, decisero di riprendere i loro lavori per vuotare la vasca della
cascata. Pranzarono alla lesta, poi munitisi di una solida fune a nodi, si
recarono al margine del salto d'acqua per discendere nel fondo di quella specie
di burrone. Per prudenza avevano portate con loro le armi, più tutta la polvere
che possedevano per preparare la mina. Legarono la fune al tronco di un pino
che cresceva a breve distanza dalle rocce, poi Bennie si calò nell'abisso. Gli
altri furono pronti a seguirlo, portando i picconi e una lunga miccia. Il
bacino, che doveva contenere tutte le ricchezze dei filoni d'oro della
montagna, misurava almeno novanta metri di circuito, ed era molto profondo. Per
squarciarlo, fu deciso di scavare una mina della profondità di tre metri, per
essere più sicuri dell'esito. Un'altra, invece, doveva collocarsi sotto
l'enorme roccia che divideva l'abisso del Barem, affinchè l'acqua fuggisse più
agevolmente. I cinque minatori si misero subito alacremente al lavoro,
desiderando, prima di sera, di mettere le mani sul supposto tesoro. Per tre ore
percossero con lena febbrile le rocce, maneggiando furiosamente i picconi, e
alle quattro pomeridiane le due mine erano pronte.
- Prepariamoci a risalire
- disse Falcone - L'esplosione sarà tremenda e forse dei pezzi di roccia
crolleranno.
In quell'istante giunse
fino ai loro orecchi il nitrito del mustano di Bennie.
- Oh!... - esclamò il
canadese. - Che cos'ha il mio cavallo, per essere inquieto?
- Che qualche indiano si
avvicini?... - chiese Armando.
- S'accomodi pure, -
rispose Bennie. - Abbiamo ben altro da fare, ora, che occuparci di lui.
- Fuoco alle mine, amici,
e poi fuggiamo - disse il signor Falcone. Le micce sono così lunghe che avremo
tutto il tempo per allontanarci - disse Back. - Bruceranno per cinque minuti.
Il canadese e il giovane
messicano, a un cenno del meccanico, diedero fuoco alle micce, poi tutti si
lanciarono verso la fune. Armando fu il primo a salire, ma invece di
arrampicarsi fino al margine superiore dell'abisso, si fermò su una specie di
piattaforma alta sette metri, per aiutare i compagni. Già tutti lo avevano
raggiunto e stavano per scalare il secondo tratto, alto oltre sette metri,
quando tutto a un tratto la fune, troncata verso la cima da una mano
traditrice, cadde nell'abisso, prima ancora che qualcuno dei minatori avesse
pensato ad afferrarla. Un urlo di furore e d'angoscia era sfuggito da tutti i
petti.
- Hanno tagliata la
fune?... - aveva urlato Back, precipitando in mezzo ai compagni, essendosi
issato per qualche metro.
- Tradimento!... - aveva
urlato Bennie.
Don Pablo, pronto come un
lampo, s'era slanciato verso la fune per riprenderla, ma era arrivato troppo
tardi. Quel pezzo di corda era caduto nel bacino, scomparendo sotto le acque.
- Miserabili!... - tuonò
il canadese. - Gettate un'altra fune o vi uccidiamo tutti!...
Un riso sardonico fu la
risposta. Udendolo, don Pablo era diventato pallido.
- La risata del californiano!...
- aveva esclamato. - Siamo perduti!
Bennie e Armando si erano
lanciati verso la parete rocciosa con la speranza di aggrapparsi alle
sporgenze, issarsi fino al margine superiore e scagliarsi sul miserabile.
S'accorsero però subito che mai sarebbero riusciti a compiere una simile
impresa.
- Canaglia!... Lancia una
fune o ti impiccheremo!... - urlò il canadese.
In lontananza si udì il
miserabile gridare:
- Saltate tutti assieme
alla mina!... Buona notte!...
Solo allora i cinque
disgraziati minatori s'accorsero del tremendo pericolo che li minacciava. Sotto
di loro, alla distanza di pochi metri le due miccie fumavano, accostando la
fiamma alle due cariche di polvere. Due o tre minuti ancora e sarebbe stata
finita per tutti.
- Siamo perduti!... -
aveva ripetuto don Pablo, tergendosi le stille di freddo sudore che gli
imperlavano la fronte. - Fra poco noi verremo lanciati in aria.
- E quel furfante è
fuggito!... - ruggì Bennie.
- Con il nostro oro!... -
aggiunse Falcone.
- Signore, tentiamo
qualcosa, - disse Back al meccanico. - Non dobbiamo attendere la morte, senza
far nulla.
- Non c'è nulla da fare, -
disse don Pablo. - Questa roccia non si può scalare.
- Cerchiamo almeno di
spegnere le mine - disse Bennie.
- Bisognerebbe scendere,
mentre la parete è diritta, senza crepacci, senza sporgenze.
- Se provassi a
saltare?...
- Vi uccidereste - disse
Falcone. - Vi sono sette metri d'altezza e sotto si trovano delle punte
rocciose che vi fracasseranno le gambe.
- Allora siamo condannati
a morire!...
Falcone non rispose non
sapeva che cosa dire. Ormai la morte gli sembrava inevitabile, ora che la fune
non si poteva più riprendere. Un breve silenzio seguì quell'esplosione di
impotente furore. I cinque disgraziati, stretti contro la roccia, guardavano
con terrore i due fili di fumo che sfuggivano dai fori delle mine. Ogni secondo
che passava sembrava lungo come un'ora. Già ormai cominciavano a rassegnarsi
alla loro terribile sorte, quando una voce umana echeggiò sull'orlo superiore
dell'abisso. Bennie, all'udirla, mandò un urlo da belva puntando subito il
fucile in alto, credendo che il californiano fosse tornato per assistere alla
loro agonia. Cieco d'ira, stava per far fuoco quando udì Falcone gridare:
- Degli indiani!...
Amici!... Bennie!... Forse siamo salvi!...
Quattro indiani erano
comparsi sull'orlo dell'abisso e guardavano con curiosità quegli uomini
radunati su quella piattaforma.
- Una corda!... Gettate
una corda!... - urlò Bennie. - Fate presto o siamo perduti.
Uno di quegli indiani
rendendosi conto di quanto stava accadendo, si tolse dai fianchi una lunga e
solida correggia e la lasciò pendere, mentre i suoi compagni ne tenevano una
estremità.
- Su, lesti!... - gridò
Falcone.
- A voi. Armando!... disse
Bennie. - Non perdete un istante!...
Il giovanotto si aggrappò
alla corda e si sentì sollevare rapidamente in aria. Senza neppure ringraziare
quei bravi indiani, giunti a buon punto per salvarli da una spaventosa morte,
si slanciò verso la caverna, vi entrò precipitosamente e andò a vedere i
crepacci che dovevano contenere l'oro. Il prezioso metallo era sparito!... Si
precipitò fuori gridando:
- Siamo stati derubati!...
Bennie e i suoi compagni arrivarono correndo.
- Canaglie!... - urlò il
canadese. - Ce la pagheranno.
Si guardò intorno. Il suo
cavallo, quello di Back e quello di don Pablo galoppavano incontro ai padroni;
il quarto invece era scomparso. I tre primi erano forse riusciti a fuggire, ma
l'ultimo era stato preso e probabilmente condotto via dal californiano.
- A cavallo!... - gridò
Bennie.
- A me Armando!... Venite
don Pablo!... Signor Falcone, Back, seguiteci come potete!...
Il canadese, il giovane
messicano e il nipote del mecanico balzarono in arcione e partirono al galoppo,
mentre i loro due compagni, dopo un breve consiglio, si arrestarono per
sorvegliare i viveri che si trovavano nella caverna. I tre cavalli, spinti a
corsa sfrenata, in pochi minuti attraversarono la valle in tutta la sua
lunghezza e giunsero al margine dei grandi boschi.
- Eccoli!... - gridò
Bennie che era in testa a tutti. - Al galoppo!... Al galoppo!...
A sei o settecento metri
da loro, in mezzo a una prateria di muschio, tre cavalli galoppavano
faticosamente. I due primi erano montati da due uomini che furono subito
riconosciuti per il californiano e per il bushranger, il terzo invece
era carico di un sacco voluminoso e molto pesante. Al grido di Bennie, i due
furfanti si erano voltati, poi si erano messi a percuotere spietatamente le
loro cavalcature per fare loro affrettare il passo e raggiungere il margine
della foresta.
- Fermatevi, o facciamo
fuoco!... - aveva gridato il canadese.
Due bestemmie furono la
risposta.
- Ah!... non volete
arrendervi!... - gridò Bennie. - Allora vi uccideremo!...
Con un mirabile volteggio
balzò a terra, lasciando che l'animale, trasportato dal proprio slancio,
continuasse la corsa e s'inginocchiò mirando attentamente il californiano. I
due banditi, credendo di non essere a tiro di fucile, bastonavano sempre le
loro cavalcature per gettarsi nel bosco, ma il terzo animale, che portava il carico
d'oro, faticava a seguirli. A un tratto si udì uno sparo.
Il californiano, colpito
nel cranio dall'infallibile palla del vecchio cacciatore di prateria, aprì le
braccia poi precipitò dalla sella, mandando un urlo di dolore. Il suo compagno,
spaventato, lasciò andare il cavallo che portava il sacco d'oro e si mise a
spronare furiosamente quello che montava. Fortunatamente don Pablo e Armando
non erano scesi d'arcione. Vedendo il furfante fuggire, lanciarono i loro
animali al galoppo, guadagnando rapidamente via.
- Arrenditi!... - gli
gridò Armando.
- No - rispose il bandito.
- Ti uccideremo!...
- Provatevi!...
Era giunto presso una
roccia che si alzava isolata su quella piccola pianura. Con un volteggio fu a
terra tenendo nella destra il winchester e nella sinistra un lungo
coltello. Prima che il suo cavallo fuggisse con due coltellate lo fece cadere,
poi si nascose dietro il corpo del povero animale, sdraiandosi al suolo.
- Adagio, Armando!... -
gridò don Pablo. - Quel bandito ha dodici palle nel suo fucile!...
In quel momento si udì
Bennie gridare:
- Muori, cane!...
Poi rimbombarono alcuni
colpi di rivoltella. Il messicano e Armando si volsero e videro il canadese
correre verso di loro, tenendo in pugno l'arma ancora fumante.
- Bennie!... - gridò
Armando.
- Quel gaglioffo è morto,
- rispose il canadese. - All'altro ora!...
- Armando!... A destra!...
- comandò don Pablo. - Guardatevi!...
Uno sparo rintronò, poi un
secondo. Il giovane italiano udì due palle fischiare a breve distanza. Balzò di
sella e si gettò dietro a un macigno che si trovava a breve distanza. Don Pablo
lo aveva imitato, nascondendosi in una depressione del suolo. Il bushranger,
dopo quei due colpi di fucile andati a vuoto, era tornato a nascondersi dietro
al cavallo, non lasciando vedere nemmeno la punta del suo berretto di pelle di raccoon.
- Crede di abbatterci come
oche, quel brigante!... - disse Bennie, che si avvicinava ai suoi amici,
strisciando a terra. - Fra poco lo manderemo a tener compagnia al californiano.
- L'avete ucciso? - chiese
Armando.
- Con la prima palla
l'avevo solamente ferito, la rivoltella ha fatto il resto. Il miserabile è
spirato senza poter dire amen. Amici miei, poiché il terreno è
favorevole, cerchiamo di circondare il bushranger, costringendolo a
scoprirsi.
I tre minatori,
approfittando delle depressioni del suolo, si divisero, strisciando in tre
diverse direzioni. Una rauca imprecazione li avvertì che il bushranger
si era accorto del loro progetto.
Questi, infatti,
abbandonando ogni prudenza, balzò in piedi e aprì un vero fuoco di fila,
sparando ora contro Bennie, ora contro Armando e verso il messicano.
- Fuoco!... - gridò il
canadese.
Tre colpi di fucile
risposero agli spari del winchester.
Il brigante, colpito da uno
o più proiettili, fece un salto in avanti mandando un urlo feroce, scaricò
ancora un colpo a casaccio, poi piombò giù, con il viso contro terra.
- Il colpo di grazia!... -
gridò Bennie, sparando un'altra volta.
Quest'ultima palla era
inutile il bushranger era caduto per non più rialzarsi!..
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