Gli astri incominciavano ad impallidire, quando Tremal-Naik,
quasi fuori di sé, ancora scombussolato dal colloquio avuto collo
strangolatore, giungeva al bengalow del capitano Macpherson.
Un uomo era appoggiato alla soglia della porta e sbadigliava,
respirando fragorosamente la fresca aria del mattino. Quest'uomo era il
sergente Bhârata.
- Olà, Saranguy! - gli gridò. - Da dove vieni?
Quella chiamata strappò bruscamente
Tremal-Naik dai suoi pensieri. Si volse indietro, credendo
di essere stato seguito dalla tigre, ma l'intelligente animale si era arrestato
sull'orlo della jungla. Bastò un rapido cenno del padrone perché scomparisse
fra i bambù.
- Da dove vieni, mio bravo cacciatore? - ripigliò Bhârata,
muovendogli incontro.
- Dalla jungla, - rispose Tremal-Naik,
ricomponendo gli alterati lineamenti.
- Di notte! E solo!
- E perché no?
- Ma le tigri?
- Non mi fanno paura.
- Ed i serpenti, ed i rinoceronti?
- Li disprezzo.
- Sai, giovinotto, che hai del coraggio?
- Lo credo.
- Hai incontrato qualcuno?
- Delle tigri, ma non hanno ardito avvicinarsi.
- E uomini?
Tremal-Naik trasalì.
- Uomini! - esclamò egli, affettando sorpresa. - Dove vuoi che
abbia trovato degli uomini, di notte, in mezzo alla jungla?
- Ve ne sono, Saranguy, e più d'uno.
- Non ti credo.
- Hai udito parlare dei thugs'?
- Gli uomini che strangolano?
- Sì, di quelli che adoperano il laccio di seta.
- E tu dici che sono qui? - chiese
Tremal-Naik, affettando terrore.
- Sì, e se cadi nelle loro mani ti strangoleranno.
- Ma perché sono qui?
- Sai chi è il capitano Macpherson?
- Non lo so ancora.
- È il nemico più spietato che abbiano i thugs.
- Comprendo.
- Noi facciamo a loro la guerra
- La farò anch'io. Odio quei miserabili.
- Un uomo coraggioso come te, non è da rifiutarsi. Verrai con
noi quando batteremo la jungla, anzi ti metterò a guardia di uno strangolatore
che è caduto in nostra mano.
- Ah! - esclamò Tremal-Naik, che non
riuscì a frenare il lampo di gioia che balenò negli occhi. - Avete un thug
prigioniero?
- Sì, ed è uno dei capi.
- Come si chiama?
- Negapatnan.
- E io veglierò su di lui?
- Sì, veglierai su di lui. Tu sei forte e coraggioso e a te
non scapperà.
- Sono persuaso. Basterà un pugno per ridurlo all'impotenza, -
disse Tremal-Naik.
- Vieni sulla terrazza. Tra poco vedrai Negapatnan e forse
avremo bisogno del tuo coraggio.
- Per che farne? - chiese Tremal-Naik con
inquietudine.
- Il capitano ricorrerà a qualche mezzo violento per farlo
parlare.
- Capisco. Diventerò carceriere ed all'occorrenza torturatore.
- Sei molto perspicace. Vieni, mio bravo Saranguy.
Entrarono nel bengalow e salirono sulla terrazza. Il capitano
Macpherson vi era di già, fumando una sigaretta, sdraiato indolentemente in una
piccola amaca di fibre di cocco.
- Mi rechi qualche novità, Bhârata? - chiese egli.
- No, capitano. Vi conduco invece un nemico acerrimo dei
thugs.
- Sei tu, Saranguy, questo nemico?
- Sì, capitano, - rispose Tremal-Naik, con
accento d'odio naturalissimo.
- Sii allora il benvenuto. Sarai anche tu dei nostri.
- Lo spero.
- Ti avverto che si arrischia la pelle.
- Se la giuoco contro le tigri, posso giuocarla contro gli
uomini.
- Sei un brav'uomo, Saranguy.
- Me ne vanto, capitano.
- Come ha passato la notte Negapatnan? - chiese Macpherson,
rivolgendosi al sergente.
- Ha dormito come uno che ha la coscienza tranquilla. Quel
diavolo d'uomo è di ferro.
- Ma si piegherà. Va' a prenderlo; comincieremo subito
l'interrogatorio.
Il sergente fece un mezzo giro sui talloni e poco dopo
ritornava conducendo Negapatnan, solidamente legato.
Il thug era tranquillissimo, anzi un sorriso sfiorava le sue
labbra.
Il suo sguardo si posò subito, con curiosità, su
Tremal-Naik, il quale si era messo dietro al capitano.
- Ebbene, mio caro, - disse Macpherson con accento sarcastico,
- come hai passata la notte?
- Credo di averla passata meglio di te, - rispose lo
strangolatore.
- E cos'hai deciso?
- Che non parlerò.
La mano del capitano corse all'impugnatura della sciabola.
- Che sieno tutti eguali, questi rettili? - gridò egli.
- Pare che sia così, - disse lo strangolatore.
- Non dirlo così presto, però. Ti dissi che posseggo dei mezzi
terribili.
- Non abbastanza terribili pei thugs.
- Dei mezzi che martirizzano al punto da invocare la morte.
- Mezzi che non valgono i nostri.
- Lo vedremo quando ti contorcerai fra gli spasimi più
tremendi.
- Puoi cominciare subito.
Il capitano impallidì, poi un'ondata di sangue gli salì al
volto.
- Non vuoi proprio parlare, adunque? - gli chiese con voce
strozzata dall'ira.
- No, non parlerò.
- È la tua ultima risposta? Bada...
- L'ultima.
- Sta bene, ora agiremo. Bhârata?
Il sergente s'avvicinò.
- C'è un palo nel sotterraneo?
- Sì, capitano.
- Legherai solidamente quell'uomo.
- Bene, capitano.
- Quando il sonno lo vincerà, lo terrai desto a colpi di
spillo. Se fra tre giorni non parlerà, farai macerare le sue carni a colpi di
frusta. Se si ostina ancora, verserai dell'olio bollente, goccia a goccia,
sulle sue ferite.
- Fidatevi di me, capitano. Aiutami, Saranguy.
Il sergente e Tremal-Naik trascinarono via
lo strangolatore, il quale aveva ascoltato la sentenza senza che un muscolo del
suo volto trasalisse.
Discesero una scala a chiocciola molto profonda ed entrarono
in una specie di cantina molto vasta, sostenuta da volte, ed illuminata da una
feritoia aperta a fior di terra, difesa da solide sbarre di ferro.
Nel mezzo ergevasi un palo, a cui fu legato lo strangolatore.
Bhârata vi pose accanto tre o quattro spilli lunghi e colla punta acutissima.
- Chi veglierà? - chiese Tremal-Naik.
- Tu, fino a questa sera. Poi un sipai ti darà il cambio.
- Va bene.
- Se il nostro uomo chiude gli occhi, pungi forte.
- Ti obbedirò, - rispose Tremal-Naik con
calma glaciale.
Il sergente risalì la scala. Tremal-Naik
lo seguì con lo sguardo fino che poté, poi, quando ogni rumore cessò, si sedette
di fronte allo strangolatore che lo fissava tranquillamente.
- Ascoltami, - disse Tremal-Naik
abbassando la voce.
- Hai anche tu qualche cosa da dire? - chiese Negapatnan,
beffardamente.
- Conosci Kougli?
Lo strangolatore udendo quel nome trasalì.
- Kougli!- esclamò. - Non so chi sia.
- Sei prudente, sta bene. Conosci Suyodhana?
- Chi sei tu? - chiese Negapatnan, con manifesto terrore.
- Uno strangolatore come lo sei tu, come lo è Kougli, come lo
è Suyodhana.
- Tu menti.
- Ti do una prova che dico il vero. La nostra sede non è nella
jungla, né a Calcutta, né sulle rive del sacro fiume, ma nei sotterranei di
Raimangal.
Il prigioniero rattenne a gran pena un grido, che stavagli per
uscire dalle labbra.
- Che sia vero che tu sei dei nostri? - chiese egli.
- Non ti ho dato le prove?
- È vero. Ma perché sei venuto qui?
- Per salvarti.
- Per salvare me?
- Sì.
- Ma come? Con qual mezzo?
- Lascia fare a me e prima di mezzanotte sarai libero.
- E fuggiremo assieme.
- No, io rimango qui. Ho un'altra missione da compiere.
- Una qualche vendetta?
- Forse, - disse Tremal-Naik con aria
tetra. - Ora silenzio e aspettiamo le tenebre.
Lasciò il prigioniero ed andò a sedersi ai piedi della scala,
aspettando pazientemente la notte.
La giornata lentamente passò. Il sole scomparve dietro
l'orizzonte e l'oscurità divenne profonda nella cantina.
Era il momento opportuno per agire. Fra un'ora e forse meno,
il sipai doveva scendere.
- All'opera, - disse Tremal-Naik,
alzandosi bruscamente e traendo dalla cintola due lime inglesi.
- C'è da fare? - chiese Negapatnan, con emozione.
- Devi aiutarmi, - rispose Tremal-Naik.
Taglieremo le sbarre della feritoia.
- Non s'accorgeranno che tu mi hai aiutato a fuggire?
- Non s'accorgeranno di nulla.
Sciolse i legami che stringevano il corpo, le braccia ed
entrambi i piedi del prigioniero, e assalirono vigorosamente i ferri, cercando
di non fare rumore.
Tre sbarre erano state di già divelte e non ne rimaneva che
una, quando Tremal-Naik avvertì uno scalpiccìo che veniva
dalla scala.
- Fermati! - diss'egli rapidamente. Qualcuno scende.
- Il sipai forse?
- Certo è lui.
- Allora siamo perduti.
- Non ancora. Sai gettare il laccio?
- Giammai fallii il colpo.
Tremal-Naik sciolse il laccio che portava
stretto attorno al corpo, nascosto dal dubgah e glielo diede.
- Mettiti presso alla porta - gli disse, estraendo il pugnale.
- Il primo che appare, uccidilo.
Negapatnan ubbidì prendendo il laccio nella mano dritta.
Tremal-Naik si mise di fronte a lui, dietro allo stipite
della porta, col pugnale alzato.
Il rumore andava avvicinandosi. D'un tratto un lume rischiarò
la scala e apparve un sipai, con una scimitarra sguainata.
- Attento, Negapatnan, - bisbigliò
Tremal-Naik.
La faccia del thug divenne terribile. Gli occhi mandavano
sinistri bagliori. Le labbra lasciavano a nudo i denti, le nari si dilatavano.
Pareva una bestia assetata di sangue. Il sipai si arrestò
sull'ultimo pianerottolo.
- Saranguy! - chiamò.
- Scendi, - disse Tremal-Naik. - Non ci si
vede più.
- Va bene, - rispose, e varcò la soglia della cantina.
Negapatnan era lì. Il laccio fischiò nell'aria e si strinse
così fortemente attorno al collo, che il sipai cadde al suolo senza emettere un
lamento.
- Devo strozzarlo? - chiese il thug, ponendo un piede sul
petto del caduto.
- È necessario, disse Tremal-Naik,
freddamente.
Negapatnan tirò a sé il laccio. La lingua del sipai uscì un
palmo dalle labbra, gli occhi schizzarono dalle orbite e la pelle da bronzina
divenne nera. Agitò per qualche istante le braccia, poi si irrigidì. Era morto.
- Che la dea Kâlì abbia il suo sangue, - disse il fanatico,
sciogliendo il laccio. - Spicciamoci, prima che scenda qualche altro.
La feritoia fu nuovamente assalita e la quarta sbarra fu
spezzata.
- Passerai? - chiese Tremal-Naik.
- Passerei per una feritoia molto più stretta.
- Sta bene. Ora legami solidamente e imbavagliami.
- Il thug lo guardò con sorpresa.
- Io legarti? E perché? - chiese.
- Perché non si sospetti che io sono uno dei tuoi.
- Ti capisco. Sei più astuto di me.
Tremal-Naik si gettò in terra presso al
cadavere del sipai, e Negapatnan lo legò e lo imbavagliò.
- Sei un brav'uomo, - disse il thug. - Se un giorno avrai
bisogno di un amico fedele, ricordati di me. Addio.
Si slanciò verso la feritoia, dopo di essersi armato delle
pistole del sipai, vi si issò e scomparve.
Non erano trascorsi ancora dieci secondi, che s'udì un colpo
di fucile ed una voce gridare:
- All'armi! Un uomo fugge!
|