Quando Tremal-Naik tornò in sé, si trovò
rinchiuso in uno stretto sotterraneo illuminato da un piccolo spiraglio difeso
da una doppia fila di grosse sbarre e solidamente legato a due anelli di ferro,
infissi in una specie di colonna.
Dapprima si credette in preda ad un brutto sogno ma ben presto
si convinse che era realmente prigioniero.
Una vaga paura s'impossessò allora di quell'uomo, che pur
aveva dato tante prove di un coraggio sovrumano.
Cercò di riordinare le idee, ma nel suo cervello regnava una
confusione che non riusciva a diradare. Si rammentava vagamente di
Negapatnan, della fuga di lui, della limonata, ma nulla di
più.
- Chi può avermi tradito? - si chiese, rabbrividendo. - Cosa
accadrà ora di me?
Cos'è questa nebbia che mi offusca il cervello?... Che mi
abbiano ubbriacato con qualche bevanda a me sconosciuta?
Fece uno sforzo per alzarsi, ma subito ricadde; aveva udito
aprirsi una porta.
- Chi scende qui? - chiese.
- Io, Bhârata, - rispose il sergente avanzandosi.
- Finalmente - esclamò Tremal-Naik. - Mi
spiegherai ora per quale motivo lo mi trovo qui prigioniero.
- Perché ormai sappiamo che tu sei un thug.
- Io!... Un thug!...
- Sì, Saranguy.
- Tu menti!...
- No, hai parlato, hai tutto confessato.
- Quando?
- Poco fa.
- Tu sei pazzo, Bhârata.
- No, Saranguy, ti abbiamo dato da bere la youma e tu hai
confessato ogni cosa.
Tremal-Naik lo guardò con ispavento. Si
ricordava della limonata che il capitano gli aveva fatto bere.
- Miserabili! - esclamò con disperazione.
- Vuoi salvarti? - disse Bhârata, dopo un breve silenzio.
- Parla, - disse Tremal-Naik con voce
rotta.
- Confessa tutto e forse il capitano ti farà grazia della
vita.
- Non lo posso: ucciderebbero la donna che io amo.
- Chi?
- I thugs.
- Quale storia narri tu? Parla.
- È impossibile! - esclamò Tremal-Naik con
accento selvaggio. - Sian tutti maledetti!
- Ascoltami, Saranguy. Ormai noi sappiamo che i thugs hanno la
loro sede a Raimangal, ma ignoriamo e quanti siano e dove vivano. Se tu lo
dici, chissà, forse non morrai.
- E cosa farete di tutti quei thugs? - chiese
Tremal-Naik con voce strozzata.
- Li fucileremo tutti.
- Anche se fra essi vi fossero delle donne?
- Esse prima di tutti.
- Perché?... Quale colpa hanno?
- Sono più terribili degli uomini. Rappresentano la dea Kâlì.
- T'inganni, Bhârata! T'inganni!
- Tanto peggio. -
Tremal-Naik si prese la fronte fra le
mani, conficcandosi le unghie nella pelle.
I suoi occhi erravano smarriti, il suo volto era pallidissimo,
quasi cinereo, ed il petto gli si sollevava impetuosamente.
- Se si concedesse la vita ad una di quelle donne... forse
parlerei.
- È impossibile, poiché prenderli vivi costerebbero torrenti
di sangue. Li soffocheremo tutti, come bestie feroci, nei loro sotterranei.
- Ma ho una donna, una fidanzata! - esclamò
Tremal-Naik con un accento disperato. - Vuoi tu, tigre,
farla morire!... No, no, non parlerò. Uccidetemi, tormentatemi consegnatemi
alle autorità inglesi, fate di me quello che volete, non parlerò.. I thugs sono
numerosi e potenti, si difenderanno e forse salveranno colei che io tanto ho
amato e che amo ancora.
- Una domanda ancora. Chi è questa donna?
- Non posso dirlo.
- Saranguy, - disse con voce alterata, - vuoi dirmi chi è
quella donna?
- Mai.
- È bianca o abbronzata?
- Non te lo dirò.
- Sarà una fanatica come le altre.
Tremal-Naik non rispose.
- Sta bene, - ripeté il sergente. - Fra tre o quattro giorni
ti condurremo a Calcutta.
Una viva commozione alterò i lineamenti del prigioniero, il
quale guardò il sergente che usciva e la feritoia.
- Questa notte bisogna fuggire, - mormorò, - o tutto è
perduto.
La giornata trascorse senza che qualche cosa di nuovo
accadesse. A mezzodì e al tramonto fu portata al prigioniero un'ampia scodella
di carri e una coppa di tody.
Appena il sole tramontò dietro le foreste e l'oscurità nella
cantina divenne fitta, Tremal-Naik respirò. Stette cheto
per tre lunghe ore, temendo che qualcuno improvvisamente entrasse, poi si mise
alacremente all'opera per tentare l'evasione.
Gli indiani sono famosi nel legare le persone ed occorre una
lunga pratica per sciogliere i loro nodi complicatissimi.
Tremal-Naik per fortuna possedeva una forza prodigiosa e
buoni denti.
Con una scossa allentò una corda che gl'impediva di curvare la
testa poi, pazientemente, non badando al dolore, avvicinò uno dei polsi alla
bocca e si mise a lavorare coi denti, tagliando, segando, sfilacciando.
Riuscito a tagliare la corda, sbarazzarsi degli altri legami
fu per lui l'affare d'un sol momento.
S'alzò stiracchiandosi le membra indolenzite, s'avvicinò
poscia alla feritoia e guardò fuori.
La luna non era ancora sorta, ma il cielo era splendidamente
stellato.
Buffi d'aria fresca e imbalsamata dal profumo di mille diversi
fiori, entravano per la feritoia.
Nessun rumore veniva dal di fuori, né persona umana scorgevasi
sulla fosca linea dell'orizzonte.
Il prigioniero afferrò una delle sbarre e la scosse furiosamente;
la curvò ma non la spezzò.
- La fuga per di qui è impossibile, - mormorò.
Si guardò attorno cercando un oggetto qualsiasi che potesse
aiutarlo a svellere le spranghe, ma non ne trovò alcuno.
- Sono perduto, - mormorò, con ispavento. - Eppure non voglio
morire, non voglio scendere nella tomba ora che la felicità è vicina.
S'avvicinò alla porta, ma s'arrestò di botto. Un sordo
mugolìo, che veniva dal di fuori, era giunto improvvisamente fino a lui.
Volse la testa verso la feritoia e la vide occupata da una
massa oscura in mezzo alla quale brillavano due punti luminosi, verdognoli.
Una speranza gli attraversò il cervello.
- Darma!... Darma!... - mormorò con voce tremante per
l'emozione.
La tigre emise un secondo brontolìo, scuotendo le spranghe di
ferro. Il prigioniero s'avventò verso la feritoia, afferrando le zampe della
fedele bestia.
- Sono salvo! - esclamò egli. - Brava Darma, lo sapevo che tu
saresti venuta a trovare il tuo padrone. Ora non temo più il capitano né il suo
sergente.
Lasciò la feritoia e corse in un angolo dove aveva visto un
brano di carta. Lo pulì accuratamente, si morse un dito facendo uscire alcune
goccie di sangue e con una scheggia strappata al palo scrisse rapidamente e
come lo permettevano le tenebre, le seguenti righe:
Sono stato tradito e rinchiuso nella prigione di Negapatnan.
Soccorretemi prontamente o tutto è perduto.
Tremal-Naik
Arrotolò la cartolina, tornò alla feritoia, la legò con una
cordicella al collo della tigre.
- Corri, Darma, ritorna dai thugs, - le disse: - Il tuo
padrone corre un gran pericolo.
La fiera scosse la testa e partì colla rapidità di una
freccia.
- Va', - diceva l'indiano, seguendola cogli occhi.- Essi
comprenderanno quale pericolo io corro e verranno a salvarmi o mi daranno
almeno un mezzo qualsiasi per evadere.
Passò una lunga ora. Tremal-Naik
aggrappato convulsivarnente alle sbarre, attendeva ansiosamente il ritorno, in
preda a mille timori.
D'un tratto nel fondo della pianura scorse la tigre che s'avvicinava
con balzi giganteschi.
- Se la scoprissero? mormorò, tremando.
Fortunatamente Darma poté giungere fino alla feritoia senza
essere stata scoperta dalle sentinelle. Al collo portava un grosso involto che
Tremal-Naik, con gran pena, riuscì a far passare tra le
sbarre.
L'aperse. Conteneva una lettera, una rivoltella, un pugnale,
delle munizioni, un laccio e due mazzolini di fiori accuratamente rinchiusi in
due vasi di cristallo.
- Cosa significano questi fiori? - si domandò, sorpreso.
Aprì la lettera, la espose ad un raggio di luna che penetrava
per la feritoia e lesse:
Siamo circondati da alcune compagnie di sipai, ma uno dei
nostri segue Darma.
Grandi pericoli ci minacciano e la tua evasione è necessaria.
Unisco alle armi due mazzi di fiori. I bianchi addormentano, i
rossi combattono l'efficacia dei bianchi.
Addormenta le sentinelle e tieni ben appresso i rossi. Una
volta libero, espugna l'abitazione e tronca la testa del capitano. Nagor
segnalerà la sua presenza col noto fischio e ti presterà man forte. Affrettati.
Kougli
Forse qualche altro si sarebbe spaventato nel leggere quella
lettera, ma non così Tremal-Naik. In quel momento supremo
si sentiva tanto forte da espugnare la casa anche senza l'aiuto di Nagor.
- L'amore mi darà la forza e il coraggio per operare il
miracolo, - aveva detto egli.
Nascose le armi e le munizioni sotto un mucchio di terra e
tornò alla feritoia.
- Vattene, Darma, - le disse. - Tu corri un gran pericolo.
La tigre s'allontanò, ma non aveva fatto venti passi che s'udì
una delle sentinelle gridare:
- La tigre!... La tigre!...
Vi tenne dietro un colpo di fucile.
Un'altra detonazione rimbombò, ma la brava bestia aveva
raddoppiata corsa e in breve tempo fu fuori di vista.
S'udì un rumore di passi precipitati ed alcuni uomini
s'arrestarono dinanzi alla feritoia.
- Ehi! - esclamò una voce che Tremal-Naik
riconobbe per quella di Bhârata. - Dov'è la tigre?
- È scappata, - rispose la sentinella che stava nella veranda.
- Dov'era?
- Presso la feritoia.
- Scommetterei cento rupie contro una, che è un'amica di
Saranguy.
Presto, due uomini nella cantina o il briccone ci sfugge.
Tremal-Naik aveva udito tutto. Prese i due
vasi, li spezzò, gettò i fiori bianchi nell'angolo più oscuro, nascose i rossi
in seno e si sdraiò addosso al palo, accomodandosi attorno al corpo le corde e
stringendole meglio che poté.
Era tempo! Due sipai armati e muniti d'una torcia resinosa
entrarono.
- Ah! - esclamò uno. - Ci sei ancora, Saranguy?
- Chiudi il becco che io voglio dormire, - disse
Tremal-Naik fingendosi di cattivo umore.
- Puoi dormire, mio caro, e con tutta tranquillità poiché noi
veglieremo.
Tremal-Naik alzò le spalle, s'appoggiò al
palo e chiuse gli occhi. I due sipai, piantata la fiaccola in una spaccatura
della parete, si sedettero per terra colle carabine fra le ginocchia.
Erano trascorsi appena pochi minuti quando
Tremal-Naik avvertì un acuto profumo che davagli alla
testa, malgrado i fiori rossi che tramandavano un profumo non meno acuto e
affatto speciale.
Guardò i due sipai: sbadigliavano in modo tale da temere che
si slogassero le mascelle.
- Provi nulla tu? - chiese il soldato più giovane, dopo
qualche tempo.
- Sì, - rispose il compagno. - Mi pare d'essere...
- Ubbriaco, vuoi dire.
- Proprio così, e mi sento prendere da una voglia
irresistibile di chiudere gli occhi.
- Da cosa provenga ciò?
- Non lo saprei.
- Che ci sia qualche manzanillo presso di noi?
- Non ne ho veduto nel parco.
La conversazione cadde lì. Tremal-Naik,
che stava attento, li vide chiudere a poco a poco gli occhi, riaprirli tre o
quattro volte, poi richiuderli. Lottarono ancora per qualche minuto, poi caddero
pesantemente a terra, russando sonoramente.
Era il momento d'agire. Tremal-Naik si
strappò di dosso i legami e silenziosamente s'alzò.
- La libertà...! esclamò.
Andò a prendere le armi, legò solidamente i due addormentati e
slanciossi verso la scala.
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