Ecco papà Catrame seduto sul barilotto, colle gambe incrociate
alla maniera dei turchi, e circondato da tutti i marinai i quali sbarrano tanto
d'occhi e aguzzano per bene gli orecchi per non perdere una sillaba dl quanto
egli sta per narrare.
L'Oceano Indiano era così calmo da permettere a tutti - il
timoniere eccettuato - di prendere parte a quelle narrazioni interessanti e
meravigliose. Un leggero vento che veniva dalle coste d'Africa spingeva la nave
verso l'Est, a quella terra strana che si chiama India, e dalla quale eravamo
ancora lontani, tanto da poter udire tutte le dodici novelle richieste dal
nostro amabile capitano.
Mastro Catrame, dopo d'aver reclamato con un gesto e
un'occhiata uno scrupoloso silenzio da parte di tutto l'uditorio, tracannò d'un
sol fiato un grande bicchiere di vecchio Cipro per snebbiarsi il cervello,
spezzò coi lunghi denti gialli da vecchio topo un eccellente sigaro d'Avana che
gli porgeva il capitano, l'accese con visibile soddisfazione, poi disse con
voce grossa e da oltre tomba:
- Io appartengo a una generazione che è quasi tutta spenta,
poiché sono vecchio, vecchio assai, e tutti quelli che m'hanno veduto mozzo
riposano in fondo alla grande tazza3 da molti anni, o dentro il ventre
di qualche grosso pescecane.
Si fermò, quand'ebbe ciò detto, guardandoci con malizia per
vedere quale effetto avesse prodotto quella lugubre prefazione che metteva i
brividi, poiché aveva una intonazione strana, paurosa; poi continuò:
- Sono vissuto in un'epoca in cui si credeva alla comparsa dei
vascelli fantasmi, agli esorcismi per calmare le tempeste o per sciogliere le
grandi trombe marine, alle sirene che venivano a cantare sotto la poppa delle
navi attirando gli incauti marinai, agli spiriti del mare, a Nettuno, il re
degli abissi oceanici, alla comparsa dei marinai naufragati, ai mostri, alle
streghe, alle figlie della spuma. Voi non credete più a tutto ciò, le chiamate
leggende paurose, inventate da uomini ubriachi o dalla fantasia tetra dei
popoli nordici; ma v'ingannate. Papà Catrame ha veduto molto: le sirene, i
morti, i vascelli fantasmi e più ancora.
Il vecchio lupo di mare, dopo questo secondo esordio non meno
lugubre del primo, girò intorno un altro sguardo. Nessuno fiatava, né batteva
ciglio: eravamo tutti impressionati e i volti dei mozzi e dei giovani marinai
erano impalliditi. Solo il capitano si manteneva impassibile, e le sue labbra
si erano atteggiate ad un sorriso beffardo.
Papà Catrame rimase alcuni istanti silenzioso per raccogliere
meglio le idee, indi riprese:
- Non ricordo più l'epoca, poiché sono trascorsi moltissimi
anni ed io ero ancora un ragazzo, non più mozzo, ma non ancora marinaio. Avevo
preso imbarco su di una grande fregata a tre ponti, un tipo di nave che non si
trova più, poiché tutto è cambiato ora, cambiate le navi, come le abitudini
marinaresche.
- Si chiamava la Santa Barbara: ma il capitano, uno
spregiudicato che non temeva né Dio, né il diavolo, che bestemmiava da mane a
sera come il leggendario olandese del vascello fantasma, e non credeva in
nulla, le aveva imposto un altro nome: il Caronte.
- Brutte storie correvano sul conto di quella fregata,
comandata da quel dannato, un vero dannato, ve lo dice papà Catrame! Si diceva
che tutte le notti, nel fondo della tenebrosa cala, si udivano dei misteriosi fragori
e dei gemiti; che nelle corsìe4 si vedevano passare delle ombre bianche
che poi scomparivano, e che sulla cima degli alberi appariva sovente una
fiammella azzurra. Si diceva ancora che tutte le notti un marinaio nero nero,
col viso coperto da una lunga barba rossa, entrava nella cabina del capitano
per giocare e bere. Chi fosse, io non ve lo saprei dire; ma i marinai del Caronte
sussurravano che doveva essere messer Belzebù: altri invece asserivano che era
uno dei marinai fatti ingiustamente appiccare dal capitano, poiché quell'uomo
era crudele e aveva ucciso parecchi dei suoi per un nonnulla. Insomma tutti
avevano paura, e quando la nave approdava, non pochi marinai disertavano,
temendo di finirla male in compagnia di quel tizzone d'inferno.
- Un abate, che un tempo era stato amico del capitano, aveva
cercato di persuadere il testardo bestemmiatore a ridare alla nave il primiero
nome e a ravvedersi, ma non era riuscito a nulla; anzi aveva avuto in risposta
delle minacce; e il nome di Caronte era rimasto.
- Avevamo percorsi parecchi oceani e, cosa davvero strana,
nessuna tempesta ci era toccata; ma i rumori continuavano a bordo della
fregata, e di notte nessun marinaio avrebbe osato scendere solo e senza lume in
fondo alla cala. Si sarebbe lasciato frustare a sangue col gatto a nove
code5 piuttosto di calarsi in quella nera voragine.
- Così però non la poteva durare. Il bestemmiatore era ormai
giudicato: il vascello dell'olandese dannato doveva aver bisogno di un
marinaio, e voi dovete sapere che su quella nave maledetta, destinata a
navigare in eterno fra una continua tempesta, non salgono che gli empi e i
crudeli. Avevamo lasciate le coste dell'Africa diretti all'America meridionale,
al Callao. Appena lasciato il porto, un marinaio cadde da un pennone e si
annegò prima che si avesse avuto il tempo di mettere le imbarcazioni in acqua;
al secondo giorno un pennone cadeva dall'albero di trinchetto e piombava ai
piedi del capitano, che per poco non rimase ucciso; al terzo giorno una procellaria
venne a svolazzare tre volte sopra la nostra nave e precisamente sopra la
cabina del bestemmiatore.
- La procellaria è l'uccello delle tempeste e porta con sé la
sventura. Allora si credeva che fosse l'anima di un marinaio morto, e fra
l'equipaggio si sussurrò subito che era quella del disgraziato caduto
dall'albero e che veniva ad avvertirci di qualche grave sciagura.
- Un superstizioso terrore aveva invaso tutto l'equipaggio. Un
viaggio così male cominciato non doveva finire bene: qualche cosa di grave
stava per accadere, lo si sentiva per istinto; ma il capitano non se ne
preoccupava, anzi pareva che, come l'olandese maledetto, volesse sfidare il
destino e i decreti del Cielo. Bestemmiava più del solito, maltrattava
l'equipaggio più dell'usato, beveva e giocava da mane a sera.
- Ma ecco che un giorno, quando ci trovavamo nei pressi del
Capo Horn, l'aria si fa buia ed il mare monta. Sulla sconfinata distesa d'acqua
calano, come un immenso stormo di corvi, le tenebre, e il vento fischia
attraverso l'alberatura in un modo diverso dal solito, poiché quei fischi erano
stridenti, e di tratto in tratto pareva che nel fondo degli abissi marini
urlassero dei dannati.
- Nella stiva si udivano dei fragori paurosi; era un rotolare
di catene, quantunque là catene non ve ne fossero, erano boati profondi, poi
gemiti. Voi direte che erano i puntelli dei ponti, i corbetti6 o il
fasciame che scricchiolava. No! Ve lo dice papà Catrame!
Un fremito di paura corse per le membra di tutto l'uditorio a
quella solenne affermazione del vecchio marinaio. I mozzi si strinsero attorno
ai marinai, e i marinai addosso agli ufficiali. In quel momento si sarebbe
udita volare una mosca, tanto era profondo il silenzio che regnava sulla nave,
e si sentivano distinti i palpiti di tutti i cuori. Gli occhi di ciascuno erano
fissi fissi sul mastro, che pareva assumesse proporzioni gigantesche e che
diventasse di momento in momento più bianco, più diafano, e come uno dei
paurosi fantasmi che popolavano la cala del Caronte.
- Verso il tramonto, - riprese papà Catrame con voce cupa, -
ecco apparire in lontananza il Capo Horn, il temuto promontorio dell'America
meridionale. Parve allora che il mare raddoppiasse la sua ira, non altrimenti
che quello del Capo di Buona Speranza, quando l'olandese maledetto vendette
l'anima al diavolo, per superarlo malgrado la tempesta.
- In cielo guizzavano lampi abbaglianti e il tuono rombava
incessantemente, facendo tremare perfino gli alberi della nostra nave; fra le
nubi sibilava e strideva il vento, e le onde si accavallavano con una rabbia
tale che non vidi più mai dopo d'allora, quantunque abbia affrontato di poi non
so quanti uragani.
- L'equipaggio, spaventato, smarrito, pregava; ma il capitano,
no imprecava orrendamente contro il Cielo e invocava Satana per aiutarlo a
superare il promontorio.
- Ed ecco ad un tratto apparire sulle spumeggianti onde un
punto nero che si avvicina a noi con fulminea rapidità: era la procellaria,
quella stessa che era venuta a svolazzare tre volte sul ponte, dopo la morte
del marinaio.
- Girò ancora tre volte attorno a noi e si fermò sopra il
nostro vento7 dell'albero di mezzana.
- «È l'anima del marinaio!» - esclamarono tutti. - «Sciagura!
sciagura!...»
- «Ritorni all'inferno!» - urlò il capitano, e, puntato un
fucile, fece fuoco due volte contro l'uccello, ma senza colpirlo, poiché volò
via lentamente, fece tre giri ancora attorno al Caronte e sparve fra le
onde.
- Ci allontanammo dal capitano, inorriditi, esclamando:
«Sciagura!... sciagura!...»
- Egli ci rispose con un uragano di imprecazioni orribili.
- Il mastro d'equipaggio, un vecchio dalla barba bianca, che
credeva come me al ritorno delle anime, scese nella sua cabina, prese la croce
e la piantò sulla prua del legno.
- Quell'atto rese più che mai furibondo il bestemmiatore.
Slanciatosi giù dal ponte di comando, balzò sul castello di prua e gettò la
croce in mare!
- Quasi subito un lampo livido balenò fra le nubi, seguito da
un rombo così spaventevole che cademmo tutti tramortiti sul ponte. Quando ci
rialzammo la giustizia di Dio era compiuta: l'empio giaceva ai piedi
dell'albero maestro senza vita: un fulmine l'aveva ucciso!...
- Allora sulla linea fosca dell'orizzonte vedemmo il mare
alzarsi a prodigiosa altezza, mentre sulle alte rocce del Capo Horn
lampeggiava; poi apparve fra una luce sanguigna un gran vascello tutto nero,
colle vele pure nere sciolte al vento e guidato da un uomo di statura
gigantesca. Era il vascello dell'olandese maledetto, che veniva a reclamare
l'anima del bestemmiatore!
- Correva con una velocità spaventevole, urtato da tutte le
parti da onde mostruose e sulla cima dei suoi alberi brillavano tre fiamme
azzurre. Percorse un tratto dell'orizzonte, poi scomparve improvvisamente come
se si fosse inabissato.
- Voi mi direte che era una nave qualunque, ingrandita dalla
nostra paura, poiché voi non credete al vascello fantasma; ma io l'ho veduto
coi miei occhi, e gli occhi di papà Catrame erano buoni in quel tempo! Voi
direte che ho creduto di vedere, ma io vi affermo che ho veduto bene e nessuno
potrà mai farmi credere il contrario.
- Volete sapere di più? Quando l'indomani gettammo in mare il
cadavere del bestemmiatore, lo vedemmo alzarsi tre volte sopra l'acqua; poi le
onde se lo presero e lo portarono lontano lontano, verso il luogo ove era scomparso
il vascello fantasma.
- Papà Catrame è qui ancora, ma il capitano del Caronte
è a bordo dell'olandese, dannato anche lui a navigare eternamente sul mare
tempestoso fra il Capo Horn e quello di Buona Speranza!...
Un silenzio glaciale accolse la sinistra chiusa del vecchio
marinaio. Nessuno fiatava, all'infuori del capitano, che sorrideva sempre: si
sarebbe detto che tutti avevano paura di volgersi per la tema di scorgere il
vascello maledetto solcare l'orizzonte. Su tutti i volti si leggeva un superstizioso
terrore e i mozzi specialmente erano pallidissimi.
Papà Catrame centellinò un altro bicchiere di Cipro, si mise
la bottiglia sotto il braccio, ci augurò la buona notte con tono canzonatorio e
discese dal barile per tornare nella cala, quando il nostro capitano, che non
aveva cessato di sorridere durante la intera narrazione, gli fe' cenno di
arrestarsi:
- È questa la tua storia? - gli chiese con voce beffarda.
- Sì, - rispose il mastro, stupito per quella interrogazione.
- Dunque tu credi all'esistenza del vascello fantasma?
- Se credo!... L'ho veduto coi miei propri occhi!
- O hai creduto di vederlo?
Mastro Catrame lo guardò con certi occhi che pareva volessero
dire: «Ma voi impazzite?»
- Catrame, - disse il capitano, diventato serio. - Non ti è
mai passato pel capo il dubbio di aver veduto male o di essere stato ingannato
da qualche fenomeno?
- Mai, signore, - rispose il mastro, sempre più stupito.
- Dimmi allora: hai mai udito parlare del miraggio, o, se
meglio ti piace, della fata morgana?
- Non so cosa volete dire.
- Allora ti spiegherò io. Sul mare, come sugli ampi deserti,
specialmente sul Sahara, per esempio, avviene talvolta un fenomeno strano, ma
spiegabilissimo.
- Quando gli strati dell'aria, dilatati pel contatto caldo col
suolo o con una distesa d'acqua che ha una certa temperatura ed aventi una
densità differente, non si mescolano a quelli soprastanti, fanno vedere delle
curiosissime illusioni d'ottica: di una semplice roccia ti fanno vedere
un'isola verdeggiante, di un canotto un vascello, di un vascello un naviglio
mostruoso, di un uomo un gigante, eccetera. Ora cosa pensi tu dell'apparizione
del preteso olandese?
- Che gli scienziati hanno inventato delle belle frottole,
signore.
- No, Catrame: la frottola ce l'hai data da bere tu, o meglio
sei stato corbellato da un semplice miraggio. Il grande vascello che tu hai
veduto e che credevi appartenesse all'olandese maledetto, il quale, se non lo
sai, non è mai esistito, era una nave qualunque che passava all'orizzonte,
ingrandita e trasformata dalla fata morgana. Ah, Catrame, come sei credulo!...
Il mastro lo guardava trasognato. Stette parecchi minuti
immobile fissando il capitano, poi si allontanò a lenti passi e sparve pel
boccaporto. Benché quella spiegazione scientifica fosse giusta, fu poco
persuasiva pel nostro equipaggio, ed io scommetterei che quella notte più d'un
marinaio non dormì e che gli uomini di guardia aguzzarono più volte gli occhi
per vedere se all'orizzonte appariva il legno dell'olandese maledetto.
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