Il giorno seguente l'oceano fu agitatissimo, essendosi levato
un vento assai caldo, che veniva dai deserti della costa araba, la quale non
distava che poche decine di leghe.
Due volte, durante la giornata, fummo costretti a prendere
terzaruoli11 sulle vele basse, onde diminuire la superficie della tela,
e ad imbrogliare i pappafichi e i contropappafichi12.
Verso il tramonto però, il vento diminuì sensibilmente, ed
anche il mare si calmò un poco, sicché papà Catrame, che senza dubbio aveva
molto calcolato su quel cambiamento di tempo, sperando di evitare la sesta
novella, di buona o cattiva voglia fu costretto a prendere posto sul barile. Ma
quel vecchio orso prima di sciogliere la lingua brontolò assai, perdette un
buon quarto d'ora nel caricare la pipa e si soffiò il naso almeno dodici volte
e con un tal fracasso da assordarci.
Quando però si fu sfogato a modo suo, mettendo a dura prova la
pazienza dell'uditorio, si decise ad aprire la bocca.
- Narrano le leggende... - incominciò.
- Basta di leggende! - esclamò il capitano. - Auff! non la
finirai più adunque con quelle vecchie storie?
- Non vi garbano?
- Ne ho le tasche piene, papà Catrame.
Il mastro si mise a sogghignare, ma in certo modo da far
rabbrividire tutto l'equipaggio.
- Ah! - esclamò egli, lisciandosi il mento e tirandosi la
bianca barba. - Non vogliono udire le antiche leggende? Benissimo... Allora
cambieremo rotta e correremo prima un paio di bordate.
Ci guardò poi uno per uno, come volesse prima assicurarsi che
c'eravamo tutti, indi ci chiese:
Avete mai veduto voi, durante certe notti, brillare dei fuochi
sul mare?...
- Abbiamo veduto il fuoco di sant'Elmo scintillare sulla cima
degli alberi, - rispondemmo.
Papà Catrame si strinse nelle spalle, mentre un sorriso
beffardo gli spuntava sulle sottili labbra.
- Sant'Elmo e i suoi fuochi non hanno a che fare colla mia
domanda. Vi ho chiesto se avete veduto dei fuochi apparire in mezzo alle onde.
- Mi pare di averne veduto uno su di una spiaggia deserta, -
disse un timoniere.
- Tu sei un asino; chiudi la bocca e non aprirla se non ti do
il permesso. Si dice...
Si fermò per vedere quale faccia avesse il capitano, ma,
vedendolo tutto attento, continuò:
- Si dice adunque, e non solo da poco tempo, ma da molti
secoli, che su certi mari di quando in quando appariscono, e specialmente di
notte, dei fuochi che pare salgano dalla profondità degli oceani e che mandano
una luce intensa. Cosa siano, io non ve lo saprei dire; ma si diedero molte
spiegazioni più o meno stravaganti, più o meno vere, più o meno paurose. Alcuni
dicono che si formano per una combinazione di gas, sviluppatisi da qualche
grosso cetaceo galleggiante a fior d'acqua; altri che sono accesi da feroci
predatori entro gusci, per attirare le navi contro qualche vicina scogliera e
quindi impadronirsi degli avanzi; altri ancora affermano che provengono da vulcani
sottomarini; ma i più ritengono che siano segnali misteriosi che fanno i
naufraghi del mare per attirare le navi in qualche grave pericolo ed avere
nuovi compagni in fondo agli abissi marini, o per salvarle. Credete ora a
quella versione che meglio vi piace; a me poco cale, giacché so che non
credereste a ciò che io voglio dire in proposito.
- Per Giove! - esclamò il capitano. - Ci vuol poco a
indovinare che tu credi alle fiamme dei naufraghi!
- Sì, di quelli morti malamente, - proruppe il mastro con profonda
convinzione. - Ma lasciamo là; io credo, mentre voi non credete affatto;
ebbene, non se ne parli più e tiriamo innanzi, o, prima che finisca la mia
pena, non mi rimarrà un pezzo di lingua.
- La storia che sto per raccontarvi si è svolta appunto nei
mari della grande penisola indiana.
- Montavo in quel tempo un vascello olandese, poiché io ebbi
sempre la mania di cambiare sovente nave, onde percorrere l'orbe terracqueo in
tutti i sensi e apprendere le manovre che sono in uso presso i marinai delle altre
nazioni.
- Portava un nome così barbaro che non me lo ricordo più, per
quanto abbia messo a prova il mio cervellaccio; ma questa dimenticanza non
influisce, né diminuisce l'interesse della mia novella. Vi dirò però che quella
nave non godeva la fiducia di nessuno, e che era destinata a finir male.
- Infatti, quando venne varata, tre marinai erano rimasti
uccisi, e voi sapete che una nave battezzata col sangue, anziché collo
champagne, non porta fortuna; più tardi un piroscafo americano le aveva dato
una tale speronata sotto l'anca di babordo, da mandarla a picco in tredici
minuti, proprio dinanzi al porto di Rotterdam, e voi non ignorate che una nave
rimessa a galla non è mai sicura, poiché si dice che abbia una forte tendenza a
ritornare in fondo al mare.
- Saranno ubbie di vecchi marinai superstiziosi, ma io vi dico
che quella nave camminava molto male; che quando la si caricava affondava più
di tutte le altre; che quando veniva colta da una tempesta, tendeva sempre a
precipitare negli avvallamenti delle onde, come se avesse una voglia matta di
tornar a riposare in fondo all'oceano, senza occuparsi di quei poveri diavoli
che la montavano. E poi, se aveste udito come gemeva! pareva che si lagnasse ad
ogni colpo di mare; scricchiolava tutta, i suoi puntelli si piegavano come
stuzzicadenti, le sue costole cedevano e si udiva la chiglia torcersi con
profondi brontolii. Vi assicuro che la spina dorsale di quella compatriota del
vascello fantasma non era gran fatto solida, e tutti noi che la montavamo
provammo più volte delle forti paure.
- Aggiungete che a bordo correva una strana diceria, che
faceva impallidire tutti gli uomini dell'equipaggio ogni volta che tornava al
loro pensiero. Si diceva che un vecchio marinaio che passava per un indovino di
prima forza e che aveva assistito all'immersione della nostra nave dopo la
speronata dell'americano, aveva fatto un brutto pronostico, cioè aveva detto
che sarebbe tornata ad affondare il giorno in cui avesse incontrato uno di quei
fuochi misteriosi che sorgono dal fondo dell'oceano.
- Io sarò superstizioso, ma ho sempre creduto che certe navi
abbiano una tendenza spiccata a scendere negli strati oscuri del mare e non
galleggino che a grande stento. La mia doveva essere una di quelle, tanto più
che era stata disgraziata fino dal principio della sua discesa nelle onde.
- Ride qualcuno di voi?... Increduli!... Vi auguro di montare
una nave eguale a quella olandese, e vorrei essere presente il giorno in cui vi
toccasse la disgrazia che colpi papà Catrame e i suoi compagni. Ora aprite gli
orecchi e non fiatate più!
- Malgrado il funebre augurio del vecchio indovino e i grandi
difetti della nave, avevamo fatto parecchi viaggi senza che ci toccasse alcun
che di grave. Però tutte le notti gli uomini di guardia aguzzavano gli sguardi,
temendo sempre di scorgere la fatal fiamma, e ogni volta che scorgevano un
punto luminoso, la luce di un faro o il fanale di posizione di qualche nave,
trasalivano e correvano a svegliare i compagni, temendo che il nostro legno
cominciasse a inabissarsi. Tanta era anzi la certezza di sentirselo mancare
sotto i piedi, che alcuni asserivano d'averlo veduto abbassarsi di parecchi
pollici nel momento che la suoneria di bordo batteva i dodici tocchi, per poi
risalire lentamente al primiero livello, appena i primi albori rischiaravano
l'orizzonte.
- Era un vascello stregato? - chiesero alcuni marinai, che si
sentivano accapponire la pelle a quel racconto pauroso.
- Che ne so io! - rispose papà Catrame. - Vi dirò che anch'io
credetti una volta di sentire la nave abbassarsi lentamente e che, quando
rimontò, la vidi tracciare attorno a se stessa un largo cerchio di spuma,
precisamente come fanno le balene e i grandi mammiferi marini, allorché salgono
alla superficie del mare per respirare...
Papà Catrame s'interruppe per lasciare che la curiosità
impressionasse meglio l'uditorio, si bagnò il gorgozzule con un sorso di Cipro,
si lisciò per la centesima volta il mento e la barba, - aveva tale manìa quella
sera, - poi con un certo accento che fece correre più d'un brivido, riprese il
filo della narrazione.
- Avevamo lasciato il Madagascar con un carico d'avorio nero
diretti a Calcutta... Ah! voi sbarrate gli occhi e mi guardate come tanti punti
ammirativi?... Non sapete dunque cosa sia l'avorio nero? Ecco gli scienziati
moderni!... Quell'avorio era composto di schiavi africani destinati alle
piantagioni di indaco, essendo allora la tratta permessa, senza che
gl'incrociatori delle nazioni europee si immischiassero, come fanno oggi in
quel genere speciale di merci viventi. Erano certi pezzi d'uomini alti come i
nostri granatieri, con certi muscoli e certi pugni che, se vi davano uno
scapaccione, vi mandavano da poppa a prua a baciare il bompresso13.
- Quella disgraziata nave aveva preso il largo di mala voglia.
Non so cosa avesse, ma camminava più lentamente d'una lumaca; quando eravamo
costretti a bordeggiare, si inchinava tanto da far temere che da un istante
all'altro si rovesciasse o, come diciamo noi, s'ingavonasse; e quando le onde
la scuotevano, s'abbassava pesantemente negli avvallamenti e non voleva saperne
di rimontare. Si sarebbe detto che aveva un'anima e che quell'anima aveva
giurato di andar a riposare in fondo a quel mare da cui gli uomini l'avevano
tratta. Se vi narrassi degli scricchiolii che emetteva e dei fragori che si
udivano in fondo alla stiva ad ogni colpo di mare, vi farei rizzare i capelli.
- In certi momenti pareva che qualche mostro battesse sotto la
chiglia, come per avvertirla che era tempo di tornare sotto le onde. Ed
infatti, specialmente di notte, si udivano dei fragori inesplicabili, che
sembravano prodotti da un immane martello. Eppure navigavamo in pieno oceano e
la carena né toccava, né urtava contro alcuna scogliera, né sopra alcun banco.
- Eravamo giunti a circa cento leghe dalla foce del Gange, un
fiume immenso che solca l'India e sulle cui sponde sorge Calcutta. Bene o male,
la nave si era spinta fino a quel punto, ma non pareva disposta a tirare molto
innanzi, poiché camminava sempre più lentamente e gli scricchiolii erano diventati
così insistenti e così acuti, che c'impedivano perfino di dormire.
- Il capitano, temendo che da un istante all'altro il legno si
disarticolasse in causa della cattiva sua costruzione, procedette ad una
visita, ma non riscontrò alcuna avaria; solo s'accorse che sotto l'anca di
tribordo, e cioè nel punto dove lo sperone del piroscafo americano l'aveva
colpita, penetravano poche gocce d'acqua. I puntelli parevano solidi, i
corbetti sempre uniti al fasciame, i bagli a posto, le ruote di prua e di poppa
salde e il paramezzale appariva dritto, ciò che indicava come la chiglia non
avesse ceduto d'un solo centimetro, malgrado i numerosi viaggi che aveva fatto
e le non poche tempeste superate.
- Calò la notte, buia come la culatta di un cannone o il fondo
d'un barile di catrame, senza luna e senza stelle. Il mare era diventato color
dell'inchiostro: però in mezzo alle larghe ondate si scorgevano di tratto in
tratto dei fugaci bagliori. Era un principio di quel fenomeno che chiamano
fosforescenza marina e che è comune nei mari dei climi caldi, oppure li
produceva qualche causa misteriosa? Non ve lo saprei dire.
- Anche il vento quella sera aveva nei suoi fischi un non so
che di strano, che faceva su tutti noi una certa impressione.
- Le undici erano suonate da pochi minuti nella cabina del
capitano, ed io avevo montato il mio quarto di guardia da poco più di un'ora,
quando il timoniere, che stava appoggiato alla ribolla del timone, giacché in
quel tempo la ruota ancora non era in uso, mi disse:
- «Catrame, ascolta attentamente».
- Rabbrividii, paventando qualche cosa di sinistro, e tesi gli
orecchi.
- Udii distintamente tre forti colpi che venivano dalla carena
del legno e che rintronavano nella stiva. Pareva proprio che qualcuno avesse
vibrato tre potenti martellate contro la chiglia, e, fossero i miei occhi o la
paura o la realtà, vidi la nave trabalzare tre volte e ricadere pesantemente,
sollevando una grande onda circolare.
- «Che la nave abbia toccato?» - chiesi sottovoce.
- «È impossibile», - mi rispose il timoniere. - «Siamo ancora
lontani dalle coste indiane e, che io sappia, il golfo del Bengala non ha
bassifondi».
- «Che i negri vogliano spaventarci?»
- «Va' a vedere se dormono».
- Feci appello al mio coraggio e scesi nel frapponte.
- Gli schiavi stavano sdraiati uno addosso l'altro e dormivano
profondamente, anzi russavano sonoramente come tante grancasse. Risalii in
coperta più spaventato di prima e nel momento in cui montavo i due ultimi
gradini, udii risuonare nelle profondità del legno altri tre colpi sordi,
simili a quelli di prima.
- La cosa cominciava ad impensierirmi: o il legno toccava su
qualche bassofondo, o stava per avverarsi la sinistra profezia del vecchio
marinaio. Di lì non si poteva scappare.
- Riferii al timoniere quanto avevo veduto e udito. Lo vidi
diventare pallido come un morto e farsi il segno della croce.
- «Vedi alcun fuoco apparire sul mare?» - mi chiese
balbettando.
- Girai gli occhi in tutte le direzioni, ma era buio; anche
quei misteriosi bagliori che poco prima si scorgevano attorno alla nave, erano
scomparsi.
- Trascorse un'altra mezz'ora fra la più viva ansietà per
tutti noi, ed i misteriosi rumori non si ripeterono. Però la nave scricchiolava
più di prima, e ai nostri orecchi giungeva una specie di gorgoglio, che pareva
prodotto da una fuga d'acqua. Non ci facemmo gran caso, credendo che fossero le
onde che s'infrangessero contro la prua.
- Ad un tratto ecco risuonare distintamente i tre colpi di
prima; ma questa volta erano così potenti che tutti gli uomini di quarto li
udirono.
- Non saprei descrivervi il terrore che s'impadronì di tutti
noi, in quel terribile momento. Se fosse apparso dinanzi alla prua della
stregata nave un mostro spaventevole, non avremmo provato un'emozione così
forte, poiché un certo coraggio tutti l'avevamo; ma quell'inesplicabile mistero
ci faceva agghiacciare il sangue e rizzare i capelli.
- D'improvviso un grido immenso echeggiò a prua, ma un grido
di terrore e di disperazione. Guardai: là, sulla oscura linea dell'orizzonte,
una grande fiamma d'una limpidezza ammirabile, che spandeva sul mare
circostante una viva luce, brillava. Era una fiamma perfettamente immobile,
tranquilla, più larga che lunga, ma che nel mezzo formava tre punte acute.
- Eravamo perduti: la sinistra profezia del vecchio marinaio
olandese si avverava!...
- Quasi nel medesimo tempo udimmo sorgere dal frapponte urla
terribili. Gli schiavi sentivano per istinto che la loro ultima ora era
suonata, o scorgevano anch'essi, attraverso alle pareti della nave, la
misteriosa fiamma?
- Pazzi di terrore, ci eravamo aggruppati tutti a prua, e
guardavamo sempre quella luce. Una forza inesplicabile ci teneva come
inchiodati sul ponte, e ci sentivamo affascinati da quel bagliore che
rischiarava il lontano orizzonte, nell'egual modo dell'uccello che si sente
affascinare dagli occhi del serpente.
- Una voce ci strappò da quella immobilità strana:
- «Si salvi chi può!... la nave affonda!...»
- Era stato il capitano a gettare quel grido d'allarme. Ci
curvammo sui bordi e vedemmo che la nave affondava lentamente con un largo
dondolìo. In un baleno calammo in acqua i canotti. Nel momento di entrarvi
udimmo i poveri negri mandare grida strazianti. Essi pure si erano accorti che
il vascello andava a picco.
- Seguito da alcuni coraggiosi compagni, scesi nel frapponte e
tentai di spezzare le catene che stringevano quei disgraziati, ma il tempo
mancava.
- La nave oscillava fortemente, scricchiolava sinistramente,
fremeva tutta, e giù nella cala si udivano i muggiti delle acque irrompenti
nella stiva e l'urtarsi dei legnami galleggianti.
- Fuggii in coperta assieme a coloro che mi avevano seguito.
Balzai nel canotto ormeggiato sotto la poppa e ci allontanammo colla massima
celerità, onde non venire travolti e inghiottiti dal gorgo.
- La nave affondava lentamente, ma irresistibilmente, come se
fosse attratta in fondo al mare da una forza misteriosa. Girava su di se stessa
come si trovasse in mezzo di un vortice; dal frapponte si elevavano urla
d'angoscia emesse dai poveri negri, i quali vedevano montare l'acqua senza
poterla evitare perché trattenuti dalle catene e si sentivano a poco a poco
affogare; gli alberi oscillavano come se fossero lì lì per spezzarsi o cadere
in coperta con tutta l'attrezzatura, e dal fondo del legno provenivano di
quando in quando dei colpi sordi, prolungati, che si ripetevano nei nostri
cuori, mentre all'orizzonte brillava più limpida che mai la grande fiamma!...
- Ad un tratto una sorda detonazione rintronò nella profondità
del vascello e il ponte, sotto la spinta dell'aria interna, compressa dal
montare continuo dell'acqua, saltò in aria come sotto la spinta d'una
polveriera che scoppia. Allora il legno affondò rapidamente: sparvero le sue
murate, i primi pennoni, poi i secondi, i terzi, gli ultimi, e finalmente le
punte degli alberetti.
- Per alcuni istanti udimmo risuonare sotto le acque le urla
del nostro carico vivente, poi un'onda, una specie di muraglia liquida, si
distese muggendo sul mare e la nave stregata scese in fondo agli immensi e
tenebrosi abissi del golfo del Bengala.
- Quasi subito la fiamma che brillava all'orizzonte si spense,
e ci trovammo avvolti nella più profonda oscurità.
- Guardai l'orologio: erano le tre del mattino meno sei
minuti. Rabbrividii: proprio in quell'ora, due anni prima, quella nave era
calata in mare sotto la speronata del piroscafo americano!...
- Due ore dopo le nostre scialuppe approdavano a Sangor, la
prima isola che s'incontra alla foce del Gange. Prima di sbarcare guardammo
verso il Sud: il mare era deserto e ancora tenebroso e la fiamma non era più
riapparsa. La profezia del vecchio olandese si era avverata!...
Mastro Catrame scosse il capo e parve immergersi in profondi
pensieri. Un funebre silenzio seguì quella paurosa narrazione; eravamo tutti
vivamente impressionati e i nostri occhi scorrevano il mare indiano, temendo di
scorgere ad ogni istante quella misteriosa fiamma. Anche il capitano taceva.
Mastro Catrame stette alcuni minuti raccolto, poi, alzando
lentamente il capo e fissando il capitano, gli chiese:
- Non ridete ora?
Guardammo l'interrogato: aveva il capo chino sul petto, le
braccia strettamente incrociate, e pareva che facesse uno sforzo straordinario
per sciogliere quell'enigma.
- Non ridete? - ripeté il vecchio.
Nemmeno questa volta il capitano rispose; egli pensava sempre.
Un sorriso di trionfo apparve sulle labbra di papà Catrame.
Scese dal barile, si mise sotto il braccio la sua bottiglia semivuota e se
n'andò senza guardarci.
Ma mentre scendeva la scala che metteva nella stiva, udivamo
risuonare, ad intervalli, il suo riso beffardo.
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