La condanna di papà Catrame stava per terminare; ancora una novella
e poi la sua lingua, dopo tanto lavoro, doveva alfine riposare, e molto
probabilmente per un bel pezzo. Era però tempo: poiché la nostra nave stava per
avvistare le coste indiane, e se il vento avesse continuato a mantenersi buono,
il giorno seguente dovevamo scoprire le vette delle grandi montagne.
Disgraziatamente per mastro Catrame, che calcolava appunto su
quel vento per giungere in India prima della sera e quindi evitare la novella
che gli restava da raccontare, alla notte successe una calma quasi completa,
che durò per tutto il giorno.
Quando il sole scomparve, eravamo ancora assai lontani dalla
costa, forse un trecento miglia. Papà Catrame parve dapprima contrariato e
tardò una buona mezz'ora prima di lasciare la cala; ma finalmente risalì sul
ponte e non ci sembrò di cattivo umore.
Forse si consolava pensando che era l'ultima sera. Chissà però
se invece non gli spiacesse di finire la pena, addolcita dalle eccellenti
bottiglie del nostro capitano? Amava tanto quel delizioso Cipro, che non gli si
faceva ingiuria a pensarlo.
- Animo, papà Catrame, - disse il capitano, quando lo vide
seduto sul famoso barile: - tira fuori la tua miglior novella, allegra o
funebre non importa; ma bada che sia interessante. Se piacerà a tutti, in
compenso ti regalerò... Indovina.
- Due bottiglie, - rispose il mastro, leccandosi le labbra.
- No: il barile che ti serve da trono.
- Cosa volete che ne faccia?
- Per Giove! Lo spillerai, vuotandolo un po' per sera, ma
senza ubriacarti, veh!...
- Me lo darete pieno? - chiese il vecchio, i cui occhi
brillarono di cupidigia.
- Pieno, e di quel Cipro che tanto ti piace.
- Ventre di balena! Mi ubriacherò un'altra volta per
guadagnare un altro barile.
- Alto là! papà Catrame: ché alla seconda sbornia ti cambio
pena e ti carico di ferri per un mese. Sai il proverbio: «Uomo avvisato...» con
quel che segue. Ora lasciamo le chiacchiere e narraci la tua ultima novella.
- Il titolo! - esclamarono tutti.
- «L'apparizione del naufrago», - rispose papà Catrame. - Fate
silenzio e lasciatemi parlare.
Stava per aprire la bocca, quando lo vedemmo improvvisamente
trasalire e poi diventare pallido pallido, mentre la fronte gli si imperlava di
sudore. Il suo viso manifestava una viva ansietà.
- Cosa avete? - chiedemmo.
- Ti senti male, papà Catrame? - domandò alla sua volta il
capitano alzandosi.
Il mastro non rispose: pareva che ascoltasse con profondo
raccoglimento.
- Non avete udito nulla? - chiese egli, dopo qualche istante.
- Nulla, - rispondemmo stupiti.
Egli mandò un gran sospiro, poi, tergendosi il sudore,
mormorò:
- Mi pareva di averla udita.
- Che?... - chiese il capitano.
- La voce di mastro Aniello.
- Chi è questo Aniello?...
- Un mio amico morto sul mare... To'! È strano... si direbbe
che è una mania... eppure mi pare sempre di udire quel grido tutte le volte che
penso a lui!... Quanti misteri nasconde questo mare!...
Papà Catrame tacque: pareva che ascoltasse ancora: ma non si
udivano che i sibili del venticello notturno attraverso l'attrezzatura e il gorgoglìo
dell'acqua, tagliata dall'acuto sperone del veliero.
Nessuno di noi osava rompere il silenzio di quel vecchio
originale: si sarebbe però detto che una vaga paura ci aveva invasi, e anche il
capitano pareva, forse per la prima volta, impressionato.
Finalmente papà Catrame si scosse, si passò una mano sulla
fronte quasi volesse cacciare lontano da sé non so quale doloroso ricordo, poi
cominciò:
- Non avete mai udito parlare dell'apparizione dei naufraghi?
Io non avevo mai creduto che un amico affezionato o un parente adorato potesse
ricomparire dopo la sua morte; ma ho dovuto arrendermi all'evidenza di questo
strano fenomeno, se fenomeno può chiamarsi.
- Le leggende del mare sono piene di tali apparizioni, e, per
quanto sembrino incredibili, vennero registrate da molti e molti autori.
- I bretoni affermano che, quando un marinaio muore durante
una tempesta, comparisce la notte seguente sulle spiagge del paese natio e ne
dà l'annuncio con grida lamentevoli; che quando una moglie muore nella propria
casa, apparisce al marito che si trova lontano, sullo sterminato mare, fra le
onde del primo uragano.
- Anche gl'inglesi credono a queste apparizioni: è nota la
storia dell'apparizione di una giovane donna, annegatasi sul mare e che per
lungo tempo fu vista aggirarsi sulle spiagge gallesi coperta di alghe e di
conchiglie, e si dice che ancora oggi, durante certe notti oscure e tempestose,
se ne odono i lamenti; ed è pure nota e ancora commentata in tutta la marina
britannica la fine miseranda d'uno dei più brillanti e audaci ufficiali di
mare, diventato pazzo in seguito ad un bacio ricevuto da sua sorella morta in
Inghilterra, la quale gli era apparsa nella cabina nello stesso momento in cui
cessava di vivere.
- Se dovessi citare tutti i racconti che corrono fra gli
equipaggi dei due mondi, non finirei più. Mi contenterò di raccontarvi ciò che
toccò a me, alcuni anni or sono, nell'Atlantico settentrionale, a mille e
duecento miglia dalle coste europee.
- Vi presento un bel tipo di marinaio innanzi tutto: mastro Aniello.
Eravamo cresciuti assieme, ci eravamo imbarcati come mozzi assieme e sullo
stesso vascello, e ci volevamo un gran bene, come se fossimo fratelli.
- Quando giungevamo in qualche porto, scendevamo sempre in
compagnia, e che bevute, figlioli miei! Erano bei tempi quelli: le tasche
sempre piene, e poi giovani tutti e due. Del vino ne abbiamo ingollato tanto da
far navigare una corvetta di prima classe.
- Un giorno però, il diavolo volle metterci la sua coda, e la
nostra amicizia subì un fiero colpo. Mastro Aniello aveva messo gli occhi su di
una bruna figlia della sua terra natìa; il suo cuore prese fuoco come le
ardenti lave dell'Etna... e la sposò. Pare impossibile! Un marinaio di quello
stampo, innamorarsi di una donna!... Uh! quando ci penso, getterei in mare il
mio berretto!...
- Ci lasciammo, amici sempre, ma non più fratelli come prima.
La donna gli aveva rubato il cuore, e per me non ne restava che un briciolo
grosso quanto il salivagnolo che tengo in bocca. Passarono parecchi anni senza
che io nulla sapessi di lui, quando me lo vidi giungere sul vascello che
montavo, non ricordo più se in un porto della Turchia o della Spagna. Si era
arruolato in qualità di quartiermastro fra il nostro equipaggio.
- Ma non era più il mio Aniello d'un tempo, allegro, buono,
senza pensieri pel capo. Era invecchiato di dieci anni, triste, taciturno, d'un
umore sempre nero.
- La sua donna era morta, la sua barca da pesca era andata a
picco in una notte tempestosa, ed egli era ridiventato marinaio; ma si vedeva
che ancora piangeva la bruna figlia del paese natìo, e come la piangeva!...
Guardate un po' cosa doveva toccare a quel lupo di mare!... Ventre di foca...
Non l'avesse mai veduta quella donna!...
- Dunque mastro Aniello era diventato irriconoscibile: parlava
solo di rado, viveva da parte e non beveva quasi più. Eh! se avesse vuotato
delle bottiglie, l'umor nero se ne sarebbe andato qualche volta; ma non c'era
verso che volesse arrendersi ai miei ottimi consigli.
- Bei consigli d'ubriacone! - esclamò il capitano.
Papà Catrame finse di non intendere e continuò:
- Una sera ci trovavamo circa trecento miglia lontano dalle
coste dell'America settentrionale. Il tempo era cattivo: soffiava un ventaccio
rigido che veniva dai banchi di Terranova e le onde montavano all'assalto del
nostro vascello come un branco di molossi affamati, urlando su tutti i toni.
- Io ero di guardia alla ruota del timone e mi affaticavo a
mantenere il legno sulla buona rotta, quando vidi avvicinarsi a me mastro
Aniello, col viso scomposto e gli occhi stravolti.
- «Catrame», - mi disse, - «credi tu che i morti ritornino?»
- «Che ubbìe ti saltano pel capo?» - risposi. - «Ti pare che
questo sia il momento di parlare di cose così lugubri? Va' a bere una
bottiglia, Aniello, e scaccia le melanconie».
- Egli crollò il capo e riprese:
- «Dunque tu non credi?»
- «No», - risposi.
- «E cosa diresti se io ti dicessi che poco fa, dinanzi alla
prua della nave, fra due onde, ho veduto apparire la mia donna?»
- Lo guardai rabbrividendo; mi ricordavo della storia dell'ufficiale
inglese, e non ignoravo le dicerie dei marinai bretoni.
- «Hai veduto male, Aniello», - diss'io, cercando di apparire
calmo.
- Egli mandò un profondo sospiro e mi lasciò, mormorando non
so quali parole.
- L'indomani, quando lo rividi sul ponte, mi parve che fosse
più triste del solito. Salì sul castello di prua senza guardarmi in viso, e
stette lì parecchie ore, immobile, col viso alterato, gli occhi fissi fissi
sulle onde e le braccia strettamente incrociate.
- Povero Aniello!... Cercava fra quelle onde l'apparizione
veduta nella notte? O forse il suo cervello non era più fermo come prima e gli
danzava nella zucca? Lo lasciai fare, ma non lo perdetti d'occhio, poiché
sentivo per istinto che quel disgraziato doveva finire male la sua vita.
- Da quel giorno infatti notai che cercava avidamente la
morte. Si esponeva dove le onde si rovesciavano con maggior furia sul nostro
legno; s'avventurava, con una temerità che faceva raddrizzare i capelli sulle
più alte cime della alberatura e si spingeva fino all'estremità dei pennoni,
anche durante le più fiere tempeste, per fare un nodo o per aggiustare una
fune.
- Invano io lo rimproveravo e gli dicevo che simili prodezze
bisognava lasciarle ai mozzi, più agili e più lesti di lui: crollava il capo,
mi faceva cenno di tacere e mi lasciava lì senza pronunciare una sola parola.
- Eravamo giunti a mezza via fra l'America e l'Inghilterra,
quando fummo sorpresi da un violentissimo uragano, uno dei più formidabili che
io abbia veduti e provati.
- Il nostro vascello pareva che fosse diventato un semplice
guscio di noce. Rollava disperatamente, s'inabissava fino al capo di banda,
imbarcava ad ogni istante vere montagne d'acqua e si rovesciava sui fianchi con
tale violenza da farci ruzzolare come botti, da babordo a tribordo.
- Quantunque fosse ancora giorno, l'oscurità era quasi
completa. Si sarebbe detto che il sole era andato a passeggiare nell'altro
emisfero e che le tenebre si erano imposte alle nubi.
- Ad un tratto si spezza l'alberetto di maestra, rimanendo
sospeso per un semplice paterazzino23. Il vento e le onde
gl'imprimevano tali scosse, da temere che da un istante all'altro ci piombasse
sul capo.
- Nessuno ardiva salire lassù per spingerlo in mare, poiché la
furia del vento era tale da trascinare con sé l'uomo più saldo e robusto.
- D'improvviso apparisce sul ponte mastro Aniello. Vede
l'alberetto e si slancia verso le griselle24 per salire.
- Compresi che quell'uomo andava a cercare la morte. Lo
raggiunsi nel momento in cui stava per montare sui primi scalini.
- «Disgraziato, cosa fai?» - gli chiesi. - «Non vedi che lassù
vi è la morte?»
- Egli mi guardò con due occhi che mandavano vivi bagliori,
con due occhi da pazzo, e sorrise tristemente.
- «La morte!...» - esclamò con voce rauca. - «Forse che
Aniello la teme? Va', Catrame, e se muoio, ricordati di me».
- Con una spinta irresistibile mi allontanò, poi sparve fra
l'oscurità, e mentre saliva, lo udivo ridere, ma d'un riso che faceva fremere e
raggrinzare il cuore.
- Alla vivida luce d'un lampo lo vidi sull'alto dell'albero
lottare contro il vento che cercava di spingerlo nello spumeggiante abisso,
inerpicarsi sulle esili griselle delle crocette, poi afferrare l'oscillante
alberetto.
- Cosa accadde poi? L'oscurità non mi permise di vedere altro;
ma d'improvviso udii echeggiare tra i fischi del vento e i muggiti dell'oceano
un urlo acuto, terribile, e distinsi a stento una massa confusa piombare fra le
onde. Mastro Aniello era caduto insieme coll'alberetto e il mare li aveva
inghiottiti entrambi!...
Papà Catrame si arrestò: era pallido e sulla sua fronte rugosa
vidi apparire delle grosse gocce di sudore.
Sembrava che ascoltasse di nuovo: si era curvato verso il
tribordo e impallidiva sempre più. Ascoltammo anche noi; fosse illusione od
altro, udimmo o ci sembrò di udire in lontananza un grido che pareva d'uomo.
- Avete udito? - chiese mastro Catrame, con voce alterata.
- Non ho udito nulla, - rispose il capitano.
- Eppure!...
- Hai scambiato qualche scricchiolio del legname con un grido.
Tira innanzi, papà Catrame, che sono curioso di sapere come termina la tua
storia.
- È una cosa strana, - riprese il vecchio marinaio, come
parlando fra sé. - Ho sempre quel grido straziante negli orecchi, quel grido
che mi parve come un ultimo addio dell'amico d'infanzia!... Povero Aniello!
Chissà quale pensiero gli passò pel capo, nel momento in cui piombava
nell'oceano dall'alto della crocetta! Orsù, pensiamo ad altro.
- Tutte le manovre tentate per salvare quel disgraziato,
riuscirono vane. L'uragano ci trascinava verso l'Est con furia irresistibile, e
l'amico mio trovò fra le onde la morte, che con tanta ostinazione cercava.
- Da quel momento cominciai a provare delle misteriose paure e
quasi quasi dei rimorsi. Se gli avessi impedito di salire su quell'albero,
forse sarebbe ancora vivo. Sia maledetta quella notte!...
- Per lungo tempo fui in preda ad una viva agitazione e negli
orecchi avevo sempre quelle parole che egli mi aveva dette pochi giorni prima
che morisse: «Catrame, credi tu che i morti ritornino?...»
- Devono ritornare, sì, checché ne dicano gli spregiudicati, e
anche Aniello doveva tornare. Lo sentivo attorno a me, sebbene non lo vedessi
ancora. Quando di notte io scendevo nella cala, mi pareva di veder dinanzi a me
un'ombra più nera e più densa delle tenebre; udivo dei fruscii strani nelle
corsie della nave e, quando mi trovavo solo, tintinnare i bicchieri e le
bottiglie e oscillare la mia branda, anche se il mare era perfettamente
tranquillo.
- Avrò sognato forse, quantunque so che ero desto; ma una
notte sentii due labbra gelide posarsi sulla mia fronte e un'altra volta
svolazzare qualche cosa attorno al viso. In quei momenti, sempre mi tornava
alla memoria quella frase: «I morti ritornano», e sentivo agghiacciarmi il cuore.
- Erano passati due mesi. Avevamo toccato le coste inglesi ed
eravamo ripartiti per quelle americane con un carico di cotoni lavorati.
- Una sera, mentre ci trovavamo presso a poco nel punto dove si
era inabissato mastro Aniello, nello scendere nella stiva udii distintamente un
grido che pareva sorgesse dalle profondità dell'oceano. Era il grido echeggiato
fra l'uragano due mesi innanzi, era quello emesso da Aniello nel momento in cui
piombava giù dall'albero.
- Atterrito, risalii in coperta e mi diressi a prua, spinto da
una forza misteriosa. La notte era cupa: soffiava forte il vento, e il mare si
rompeva furioso contro il nostro veliero.
- D'improvviso, a una gomena di distanza, vidi apparire sulla
superficie dell'oceano un largo flotto di spuma, poi balzare su un alberetto, e
aggrappato a quello un uomo.
- L'apparizione si spiegò manifesta sulle onde e distinsi
nettamente mastro Aniello, coperto di conchiglie e di alghe marine. Mi guardò
per alcuni istanti, mi fece un segno colla destra a mo' di saluto, poi
s'inabissò in mezzo ad un cerchio fosforescente che spiccava vivamente fra la
profonda oscurità.
- Voi direte che in quel momento io sognavo, o che il mio
cervello non era a posto, o che i miei occhi hanno creduto di vedere; ma io vi
rispondo di no! Ero sveglio come sono ora, il vento era gelido e non permetteva
di sognare o di dormire in piedi, né avevo assaggiato un sorso di vino o di
liquore.
- Rimasi come inchiodato sul castello di prua, pazzo di
terrore, cogli occhi fissi sul muggente oceano, parendomi sempre di vedere
riapparire il morto, e nei miei orecchi sentivo risuonare dei funebri
rintocchi, come quella notte terribile in cui udii la campana dell'inglese
Morthon.
- Quando mi tolsero di là, poiché da solo non sarei stato
capace di fare un passo, io deliravo. Caddi ammalato, non so se per lo spavento
o per l'emozione provata, e nei miei deliri mi pareva di sentire sulla fronte
il freddo bacio di mastro Aniello e di vedermelo ricomparire dinanzi pallido
come i morti, seminudo e cogli occhi sbarrati, fissi su di me, come in quel
momento in cui lo vidi sorgere dagli abissi dell'oceano, tra il candido flotto
di spuma.
- Guarii..., le visioni sparvero..., la paralisi che mi colse
passò... trascorsero molti anni..., eppure tutte le volte che mastro Anielllo
mi torna alla memoria, odo ancora quel grido straziante, e chissà... forse non
cesserà se non colla mia morte...
Mastro Catrame tacque, chinando il capo sul petto. Nessuno
osava parlare: eravamo anche noi impressionati vivamente da quella triste
storia. Anche il capitano taceva e mi pareva che fosse diventato pallido come
il vecchio marinaio.
Per parecchi minuti un profondo silenzio regnò a bordo del
nostro legno, appena rotto dal flebile lamento del vento e dal frangersi delle
onde. Ad un tratto il capitano si scosse e, guardando il mastro, che continuava
a tacere:
- Hai sognato, papà Catrame, - disse.
Il vecchio crollò il capo.
- No, - rispose poi.
- La paura ti ha fatto vedere l'amico tuo.
- No, - ripeté il mastro.
- Forse fu una...
- È inutile! - esclamò il mastro con tono energico. - I
naufraghi riappariscono!...
In quell'istante sul mare s'alzò un grido acuto, un grido che
pareva voce umana.
Balzammo tutti in piedi lividi pel terrore, mentre mastro
Catrame precipitava dal barile, urlando con voce strozzata:
- Lo udite?... È lui!...
Il capitano era impallidito come noi.
È impossibile! - esclamò.
Il grido si fece riudire, e questa volta più chiaro e vicino.
- È lui! - ripeté mastro Catrame con voce tremante.
Il capitano fece un gesto di furore e si slanciò verso la
murata prodiera, mentre tutti gli altri si stringevano attorno al vecchio
marinaio.
Uno scroscio di risa echeggiò a prua.
- Ah! un dugongo!25, - disse il capitano. - L'India ci
è vicina - Un dugongo! - esclamarono i marinai, respirando.
Mastro Catrame si alzò lentamente, si terse il freddo sudore
che gli inondava la fronte e se ne andò balbettando:
- Eppure i morti ritornano!
E sparve nella stiva, mentre il veliero correva ratto verso
l'India, le cui coste spiccavano nettamente fra i pallidi raggi dell'astro
notturno, il vento mormorava dolcemente fra l'attrezzatura, e l'onda
gorgogliava attorno allo sperone, mandando strani bagliori.
Il giorno dopo, il nostro veliero gettava l'ancora nel porto
di Bombay, di fronte all'isola di Salsette.
Mastro Catrame, come era sua abitudine, rimase rintanato nelle
tenebrose cavità della cala; quell'uomo aveva in orrore la terra e quando si sentiva
vicino alla costa non avrebbe abbandonato la sua nave per cento bottiglie di
vino di Cipro.
Io, avendo compiuto il mio impegno col capitano e contando di
rimanere in India qualche tempo, prima di abbandonare la nave volli rivedere
una volta ancora il vecchio mastro.
Lo trovai in fondo alla sua cala, sdraiato a fianco del famoso
barile che il capitano, come aveva promesso, gli aveva donato, e pieno di
quell'eccellente Cipro così caro financo ai mussulmani.
Quando mi vide si alzò, spillò un gran bicchiere, e,
offrendomelo col più amabile sorriso che fosse mai apparso su quelle labbra
d'orso, mi disse:
- Vi auguro buona fortuna, signore, e spero, nel prossimo
viaggio, di vuotare in vostra compagnia un altro boccale di questo delizioso
vino.
Poi, mentre io sorseggiavo il contenuto del bicchiere, mi si
piantò dinanzi colle braccia incrociate sul petto, guardandomi fisso fisso. Mi
pareva imbarazzato e dimenava la lingua come se avesse voluto dire qualche cosa
d'altro, senza però osarlo.
- Orsù, papà Catrame, - diss'io ridendo. - Cosa vi frulla pel
capo?...
- Ma... è che... non so...
- Parlate, perbacco! Vi faccio paura forse?
Il vecchio si guardò d'intorno come per assicurarsi che
nessuno poteva udirlo all'infuori di me, poi mi si avvicinò con una cert'aria
misteriosa e mi disse, grattandosi il capo:
- Io so... che voi scrivete... Se un giorno avrete del tempo
da gettar via... eh, per Giove!...
- Avanti, papà Catrame.
- Ebbene... il colpo ormai è partito. Ditemi: vi spiacerebbe
scrivere le mie leggende? Non per me, veh! ma per quegli increduli che
vorrebbero gettar tra i ferri vecchi le leggende del mare.
- Con tutto il piacere; se avrò tempo, vi prometto di
scriverle.
Il vecchio mastro mi strinse vigorosamente la destra, mentre
mi diceva:
- Spero di rivedervi. Sono vecchio, assai vecchio, ma ho la
pelle salda ancora.
Ci lasciammo. Mentre però stavo per salire la scala, egli mi
richiamò.
- Mi dimenticavo una cosa, - mi disse.
Si frugò nel petto e staccò da un piccola cordicella un pezzo
di corallo in forma di corno.
- Prendete, - mi disse: - ciò vi porterà fortuna!...
E ci separammo entrambi commossi.
Che uomo! Che uomo era quel mastro Catrame!
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