10
- La principessa di Karnicobar
All'intimazione
minacciosa del quartiermastro, ogni rumore cessò bruscamente e le fronde, che
poco prima si agitavano come se qualcuno cercasse di aprirsi un passaggio,
riacquistarono la loro immobilità.
Will, per
niente rassicurato da quell'improvviso silenzio, fece alcuni passi innanzi,
mentre il macchinista armava la pistola ed il malabaro si muniva d'un tizzone
fiammeggiante.
«Chi vive? -
ripeté il marinaio, arrestandosi a quindici passi dal margine della foresta. -
Rispondete, dunque, o faccio fuoco!»
«Che sia stata
qualche scimmia? - chiese Jody. - Se fosse stato un isolano, a quest'ora si
sarebbe mostrato, conoscendo la potenza delle armi da fuoco.»
«Le scimmie
non abbandonano gli alberi, specialmente di notte, - rispose il quartiermastro.
- Ho udito bisbigliare là, in mezzo a quel cespuglio.»
«Giacché non
osano mostrarsi, andiamo a scovarli noi, - disse il pescatore di perle,
soffiando sul tizzone. - Siamo armati e non siamo uomini da lasciarci scannare
come cinghiali.»
S'avanzarono
verso il cespuglio ed il malabaro allargò le fronde, proiettandovi dentro la
luce del tizzone.
«Che cosa fate
qui e perché vi nascondete?» chiese subito.
Due uomini
stavano rannicchiati sotto le foglie, l'uno accanto all'altro, e parevano più
spaventati che disposti a giocare qualche brutto tiro ai tre forzati, tanto più
che non avevano nessuna arma in mano.
«Venite fuori,
non avete nulla da temere, - disse il pescatore, in lingua indiana. - Anzi, se
avete fame, possiamo offrirvi una copiosa cena.»
I due isolani
si scambiarono uno sguardo, poi si alzarono fissando tosto i loro occhi sul
quartiermastro che teneva sempre la carabina spianata.
«Non
uccideteci,» disse finalmente uno dei due, con voce tremante.
Poiché anche
Will e Jody conoscevano la lingua indiana, che viene parlata, salvo qualche
variante, su tutte le isole che si estendono a levante ed a ponente della grande
penisola indostana, il primo rispose subito: «Non vogliamo farvi alcun male;
non vi siamo nemici.»
«Purché vi
fermiate con noi,» aggiunse il macchinista.
«Seguiteci, -
riprese Will. - C'è posto anche per voi accanto al fuoco e c'è anche
dell'arrosto per saziarvi.»
I due isolani
non si fecero pregare e quantunque tremassero di spavento, si lasciarono
condurre senza protestare verso la colossale tartaruga.
Erano due
omiciattoli, non più alti d'un metro e mezzo, assai magri, tanto anzi che
mostravano le costole, colla pelle quasi nera, le labbra piuttosto grosse, il
naso schiacciato, il mento invece prominente e gli occhi un po' obliqui come
quelli dei mongoli. Non avevano alcun ornamento intorno al collo e alle
braccia, ed il loro vestito consisteva in un sottanino formato di fibre
vegetali.
«Mangiate e
poi parlerete,» disse Will, vedendoli guardare con occhi ardenti l'enorme
rettile.
Stava per dare
loro una conchiglia piena di carne, quando in mezzo alla boscaglia s'alzò un
clamore immenso, tosto seguito da grida e da urla che risuonavano stridenti,
alternate ad un canto che pareva funebre, salmodiato su un ritmo monotono ed a
colpi di gong e di tam-tam.
I due isolani
si alzarono di colpo, guardando verso la foresta. Parevano in preda ad un
vivissimo spavento e tremavano come se avessero la febbre.
«Che cosa
accade laggiù?» chiese il quartiermastro, che si era pure levato, tosto imitato
dal macchinista e dal malabaro.
«È morto il
capo del villaggio,» disse uno dei due isolani, che cercava di nascondersi dietro
l'inglese come se fosse minacciato da qualche pericolo.
«E gli fanno i
funerali?»
«Sì, uomo
bianco.»
«Ma perché
tremi?»
L'isolano
rimase un istante perplesso, poi disse:
«Noi siamo
schiavi del capo.»
«E che vuol
dire ciò?» chiese il quartiermastro.
«Come tali
dovevamo essere sepolti vivi col capo per scortarlo e servirlo nell'altra
vita.»
«E siete
fuggiti?»
«Sì, signor
uomo bianco.»
«Chi era quel
capo?»
«Un uomo
potente, padrone di quattro villaggi.»
«E i suoi
eredi volevano seppellirvi con lui?»
«Tale è l'uso,
signore.»
«Avete
lasciato dei compagni?»
«Quattro, fra
cui due donne, ma a quest'ora saranno stati uccisi.»
«Sono dei
bricconi! - gridò Will indignato. - Vi hanno veduto fuggire?»
«No, signore,
ma non tarderanno a cercarci,» disse l'isolano che non cessava di tremare.
«Vengano a
prendervi qui nel nostro campo se l'osano, - disse Palicur. - Jody, spegni il
fuoco e porta la legna nella scialuppa.»
«E teniamoci
pronti a partire, - aggiunse Will. - Non permetterò mai che uccidano questi poveri
diavoli. Scannino dei maiali se vogliono fornire una scorta al morto.»
«Che gli
saranno più utili, potendo fornirgli dei prosciutti,» disse Jody, ridendo.
Spensero il
fuoco per non attirare l'attenzione degli uomini lanciati ormai sulle tracce
dei fuggiaschi, caricando la scialuppa con grossi rami raccolti sul margine del
bosco, poi dopo aver dato da mangiare ai due schiavi, si ritrassero verso una
folta macchia per non venire facilmente scoperti.
Senza
un'estrema necessità, non intendevano pel momento lasciare quell'isola prima di
essersi bene assicurati della rotta del Nizam, poiché si tenevano sicuri
che quella nave non avesse interrotta la caccia, e poi volevano imbarcare
viveri sufficienti per poter compiere la traversata dell'oceano senza correre
il pericolo di morire di fame e di sete. Era bensì vero che più al sud le isole
non mancavano, ma in tal caso avrebbero dovuto perdere parecchi giorni ed anche
esporsi al pericolo di venire raggiunti e catturati dal Nizam prima di
raggiungerle.
«Se verremo
scoperti, - aveva detto il quartiermastro, - ci imbarcheremo senza troppo
allontanarci e andremo a cercare qualche rifugio verso le coste meridionali.»
I canti e le
urla non erano cessati. Si udivano sempre anche i colpi di gong e di tam-tam,
i quali si propagavano con un fragore infernale sotto la foresta.
«Quando lo
seppelliranno, il morto?» chiese Palicur ad uno dei due isolani, il quale
ascoltava con angoscia quelle grida.
«Domani, allo
spuntare del sole.»
«Urleranno
tutta la notte?»
«Sì, signore.
Hanno molto arak da bere, messo a disposizione degli abitanti dalla
vedova del capo.»
«Sarà allora
un po' difficile schiacciare un sonnellino,» disse Jody.
«Cacciati un
po' di canapa negli orecchi, - disse il quartiermastro. - Devi averne nella tua
cassa.»
«Preferisco
aspettare che quei cantanti siano completamente ubriachi o che non abbiano più
fiato. Immagino che questi isolani non avranno delle gole foderate di rame o di
ottone.»
«Per parte mia
dormirò egualmente. Sono abituato ai grandi rumori del mare e ai sibili del
vento e non aprirò gli occhi prima del mio quarto. Chi vuol fare il primo?»
«Lo farò io,
signor Will,» rispose il macchinista.
«Apri bene gli
occhi e spingi qualche sguardo anche sul mare; il Nizam non deve tardare
a comparire, malgrado le sue macchine asmatiche. Buttati giù, Palicur, e lascia
riposare il tuo dorso che deve averne gran bisogno, dopo le carezze del gatto a
nove code.»
Mentre il
macchinista si armava della carabina, il quartiermastro e il malabaro si stesero
su un denso strato di foglie fresche e chiusero gli occhi, senza preoccuparsi
delle urla diaboliche degli isolani. I due schiavi, che erano ancora in preda
ad una profonda angoscia, quantunque le parole dell'uomo bianco li avessero un
po' rassicurati, si erano invece accoccolati dietro al mulatto, spiando sempre
ansiosamente il margine della foresta.
Pareva che i
sudditi del capo non si fossero ancora accorti della fuga dei due disgraziati,
poiché le grida echeggiavano sempre lontane. Occupati ad ubriacarsi, non
dovevano essersi ancora mossi, così almeno la pensava Jody, non vedendo
comparire nessuno, né dalla parte della boscaglia, né da quella del mare.
Infatti il suo quarto trascorse senza incidenti e quando, verso la mezzanotte,
svegliò l'indiano, ancora nessuno si era fatto vedere nei dintorni
dell'accampamento e le grida, un po' meno acute di prima, si udivano sempre
lontane.
«Io credo che
questi due ometti si siano spaventati a torto, - disse al pescatore di perle. -
Nessuno pensa più a loro; tuttavia veglia attentamente, Palicur.»
«Dalla parte
del mare hai veduto nulla?» chiese il malabaro.
«Nessun punto
luminoso è comparso. O il Nizam ha le macchine completamente
sconquassate ed è ancora lontano, o ha rinunciato all'inseguimento. Buona
notte.»
Il malabaro
fece una breve perlustrazione, spingendosi fino al margine del bosco e poi
verso la scialuppa e, rassicurato, tornò all'accampamento dove i due schiavi,
nonostante le loro angoscie, avevano finito per addormentarsi.
Le grida
degl'isolani a poco a poco si affievolivano. Solo si udivano, di quando in
quando, i suoni acuti del gong e dei tam-tam. L'arak
doveva aver trionfato sui cantori, togliendo loro la lingua e le gambe insieme.
Nondimeno l'indiano, sospettoso e diffidente come tutti i suoi compatrioti,
vegliava attentamente, e forse con maggior attenzione del macchinista, facendo
sovente delle passeggiate verso la foresta e fermandosi parecchi minuti ad
ascoltare.
Appunto in una
di quelle perlustrazioni notò un fatto che lo preoccupò. Stava per tornare
verso il campo, quando udì in mezzo ai folti cespugli un chiocciare improvviso
e subito dopo scorse parecchi grossi volatili, dei sarab, alzarsi
precipitosamente e volar via.
Chiunque altro
non vi avrebbe fatto gran caso, ma il malabaro invece se ne allarmò. Quei
volatili, che non sono notturni, dovevano essere stati spaventati da qualcuno,
per lasciare nel cuore della notte i loro nidi.
«Può essere
stato un animale a levarli o meglio qualche serpente, - mormorò, - e potrebbe
anche essere stato un uomo.»
Ripiegò
prudentemente verso l'accampamento che, come dicemmo, era mascherato da un
folto gruppo di banani selvatici, e si pose in ascolto. Non erano trascorsi che
pochi minuti, quando nella medesima direzione si udirono echeggiare le note di
un cuculo, uccello tipico di quelle isole.
«Canta di
notte, - mormorò il malabaro. - Ciò non è naturale. Anche quello è stato
spaventato.»
Si curvò su
Will e lo svegliò, scuotendolo vigorosamente.
«Prepariamoci ad
andarcene, signore, - disse. - Torneremo qui più tardi a completare le nostre
provviste, se ci saremo ingannati.»
«Chi ci
minaccia dunque?» chiese il quartiermastro.
«Sono certo
che gl'isolani hanno scoperto il nostro accampamento e la prudenza ci consiglia
di imbarcarci. Il Nizam può comparire da un momento all'altro e
gl'isolani potrebbero avvertire il suo comandante della presenza d'un uomo
bianco su queste coste.»
«Sveglia
tutti.»
Il malabaro
aveva già fatto alzare il macchinista e i due schiavi, quando ad un tratto una
banda d'uomini armati di asce, di vecchi fucili e di mazze, sbucò dalla foresta
e si diresse correndo verso la macchia occupata dai forzati, urlando
spaventosamente. Era troppo tardi per fuggire verso la scialuppa, che si
trovava semi-arenata a un centinaio di metri.
«Mettetevi
dietro di me!» gridò il quartiermastro agli schiavi che mandavano urla
strazianti, come se già avessero i coltelli sul collo. Strappò a Palicur la
carabina e la puntò risolutamente verso gli isolani,.gridando in lingua
indiana: «Fermi o faccio fuoco!»
La banda si
arrestò. Si componeva d'una cinquantina di selvaggi, quasi tutti di statura più
elevata dei due schiavi e di corporatura assai più robusta, con ornamenti di
conchigliette bianche intorno al collo e alle braccia e pettini di bambù
altissimi infissi nei capelli cresputi, la pelle tinta di ocra rossa.
Dalla foresta
uscirono allora altri sette od otto indiani, che portavano dei rami resinosi
fiammeggianti a guisa di torce e scortavano una donna di bassa statura, giovane
ancora e dai lineamenti bellissimi; infatti le nigobiane godono fama di essere
le più graziose isolane dell'Oceano Indiano.
Dalla sua
camicia di stoffa finissima, trapuntata in oro, dai larghi braccialetti
d'argento e dal diadema formato di rupie e di perle che le ornava il capo, il
quartiermastro capì subito che quella donna doveva appartenere a qualche alta
casta.
«Chi siete? -
le chiese quando ella gli fu vicina, - e che cosa volete? Io sono un europeo e
perciò sono inviolabile.»
La donna lo guardò
con una certa curiosità, mentre i suoi guerrieri allargavano rispettosamente le
file, poi rispose:
«Io vengo a
reclamare i due schiavi che sono fuggiti dal mio villaggio: essi devono seguire
mio marito, il gran capo Kanai-Tur, che verrà sepolto all'alba.»
«Quei due
uomini sono sotto la mia protezione e non li cederò a chicchessia, - disse il
quartiermastro con voce ferma. - Quando un europeo tocca colle sue mani una
persona d'altro colore, quella diventa inviolabile.»
La donna
aggrottò le sopracciglia, stupita forse di non vedersi immediatamente obbedita,
poi riprese:
«Questa non è
la tua patria e nessuno ti ha chiamato qui, dunque sei uno straniero e come
tale devi obbedire alle leggi del paese. Quei due schiavi m'appartengono e li
avrò.»
Fece ai suoi
guerrieri un rapido cenno. Tosto l'orda, con una mossa fulminea, inaspettata,
si rovesciò come un sol uomo sui tre forzati, mandando urla selvagge.
Will, credendo
di spaventarli, scaricò la carabina al di sopra delle loro teste, ma quel colpo
di fuoco non fece altro che renderli più furibondi. Quattro guerrieri si
gettarono sul quartiermastro tenendolo fermo, mentre gli altri circondavano il
macchinista e il pescatore di perle. I due schiavi, invece di approfittare del
tumulto per salvarsi nei boschi, si erano tenuti dietro all'inglese sperando
forse ancora nella sua protezione, quando furono afferrati da venti mani.
«Guai a chi li
tocca!» urlò Will, cercando invano di liberarsi da coloro che lo trattenevano.
La sua voce si
perdette fra le urla e i clamori furibondi degl'isolani. I due schiavi vennero
trascinati a qualche passo di distanza, poi furono fatti stramazzare l'uno
sull'altro con due formidabili colpi di mazza che fracassarono le loro teste.
Il malabaro,
temendo che egual sorte toccasse anche all'inglese, con una scossa
irresistibile si sbarazzò di coloro che lo stringevano da presso.
«A me, Jody! -
gridò. - Spazziamo queste canaglie e liberiamo il signor Will.»
Se ciò era
possibile a quel gigante che, come abbiamo detto, possedeva una forza più che
erculea, non lo era affatto pel mulatto, che non era molto robusto e che già si
era visto strappar di mano la pistola, prima di aver potuto servirsene.
Quantunque non
seguito nella riscossa, il pescatore di perle non esitò un momento ad impegnare
la lotta. Con due pugni terribili fulminò due guerrieri che tentavano di
chiudergli il passo, poi si avventò contro il grosso, cercando di sfondare i
ranghi. Stava per riuscirvi, quando si sentì cadere addosso una rete che lo
imprigionò da capo a piedi paralizzandolo completamente.
«Siamo fritti,
- disse il quartiermastro, vedendo i selvaggi precipitarsi addosso all'ercole e
stringerlo con delle funi. - Come finirà ora questa avventura? Che ci facciano
subire la stessa sorte toccata ai due schiavi per onorare vieppiù la memoria
del defunto capo?»
Comprendendo
che ormai ogni resistenza sarebbe stata inutile, tanto più che anche il povero
Jody era stato imprigionato fra le maglie di un'altra rete, si lasciò legare i
polsi dietro il dorso, senza nemmeno protestare.
Gl'isolani,
dopo aver caricato i cadaveri degli schiavi su delle barelle frettolosamente
costruite con rami, si cacciarono nuovamente sotto il bosco, conducendo con sé
i tre disgraziati forzati. La vedova del capo precedeva la truppa, scortata
dagli uomini che portavano le torce.
Un quarto
d'ora dopo, l'orda giungeva in una vasta radura, in mezzo alla quale
s'innalzavano due o trecento capanne di bella apparenza, colle pareti formate
di bambù e i tetti coperti di foglie di cocco, e munite tutte di piccole verande.
La popolazione vegliava ancora, sdraiata attorno a dei giganteschi falò su cui
arrostivano dei quarti di bue, cantando e bevendo arak a garganella.
I tre forzati
furono fatti passare quasi di corsa fra la folla, poi introdotti in una di
quelle dimore. La vedova, che li aveva preceduti, li aspettava sulla porta.
«Che cosa vuoi
fare di noi? - le chiese Will, appena la vide. - Bada, io sono un europeo e i
due uomini che mi accompagnano sono miei amici, e non dimenticare che fra poco
giungerà nella baia dei Saoni la mia nave, la quale ha dei cannoni.»
«Prima
assisterete ai funerali di mio marito, - rispose l'isolana, - poi i sotto-capi
dei quattro villaggi che dipendono da me, decideranno della vostra sorte.»
Dopo averli
fatti liberare dalle corde e dalle reti fece loro cenno di entrare e chiuse la
porta alle loro spalle, facendola inoltre barricare con alcuni tronchi
d'albero, per impedire loro la fuga.
|