14 - Il tiro del
quartiermastro
Sei giorni
dopo la partenza del Nizam, i preparativi per le nozze fra l'uomo bianco
e la principessa nicobariana erano ultimati. Jody si era preso la cura di
organizzare le feste che dovevano essere soprattutto militari, ma che dovevano
terminare coll'ubriachezza generale dei sudditi, onde impedire loro di guastare
la fuga già abilmente ordita.
Palicur, nella
sua qualità di ministro della marina e di grande ammiraglio, aveva fatto più di
una visita alla baia dei Saoni, per preparare la scialuppa che doveva servire
loro a compiere la traversata dell'Oceano Indiano. La flotta dei nicobariani
l'aveva trovata in completo disordine, componendosi essa di due dozzine di
piroghe scavate in enormi tronchi d'albero, già quasi tutti fracidi. Tuttavia
ne aveva trovato una in stato abbastanza buono e si era affrettato a farla
fornire di bilanceri, di alberi e di vele e anche abbondantemente provvedere di
viveri, col pretesto che doveva servire per una gita in mare degli sposi, allo
scopo di far conoscere l'uomo bianco agli abitanti dei villaggi costieri.
Il prudente
malabaro aveva agito così abilmente e furbescamente, da non sollevare il minimo
sospetto. D'altronde quei bravi isolani erano ormai più che convinti che il
loro nuovo capo ed i due nuovi ministri avessero ormai completamente
abbandonato l'idea di lasciare Karnicobar.
Il mattino
fissato per la grande cerimonia nuziale, una folla straordinaria si radunò
sulla vasta piazza del villaggio. Numerose deputazioni erano giunte dalle
borgate, anche dalle più lontane, dipendenti dal principato, recando regali
agli sposi e viveri in quantità, poiché Jody aveva annunciato che dopo la
cerimonia avrebbe avuto luogo un colossale banchetto a cui tutti
indistintamente avrebbero potuto prendere parte con l'obbligo di ubriacarsi.
Nei viali
intorno al villaggio erano già state preparate gigantesche tavole che si
piegavano soprattutto sotto il peso di enormi vasi pieni di arak, quel
dolce, ma fortissimo liquore estratto dallo sciroppo delle canne da zucchero
lasciato fermentare. Fuochi immensi erano stati accesi per arrostire un gran
numero di buoi selvatici, animali che, come dicemmo, abbondavano straordinariamente
nelle foreste dell'isola, e tartarughe giganti e granchi di mare di dimensioni
esagerate.
Dovendo la
cerimonia nuziale aver luogo al tramonto, durante la giornata fu un succedersi
continuo di parate militari, di danze, di concerti spaventosi a base di gong
e di tam-tam, affinché la popolazione non si annoiasse nella lunga
attesa.
Appena l'astro
diurno toccò coll'orlo inferiore la cima dell'alta montagna elevantesi ad
occidente dell'isola, una truppa di guerrieri fece sgombrare una parte della piazza,
che fu subito occupata da un centinaio di garzoni, i quali si stesero a terra,
bocconi, formando come un tappeto vivente, che terminava da una parte dinanzi
alla porta della casa principesca, dall'altra dinanzi ad una specie di
baldacchino, circondato da gabbie contenenti le galline della pagoda e coperto
da lembi di stoffe rosse.
Naja poco dopo
uscì, accompagnata dalle sue vecchie dame d'onore, e si inoltrò saltellando su
quei corpi umani, mentre i suonatori, radunati agli angoli della piazza, attaccavano
l'inno nazionale di Karnicobar, un pezzo così formidabile da sfondare gli
orecchi più solidi.
L'ex-vedova
aveva lasciato la sua camicia di seta bianca, tinta di lutto, per indossarne
un'altra più ricca, di seta azzurra guarnita di perle, e portava sulle spalle
un mantello formato di penne di tou-cheou-ky rosse picchiettate di
bianco.
Parecchie
fanciulle, vestite come la principessa, ma prive del mantello, s'avanzavano ai
due lati del sentiero umano danzando e cantando le lodi di Naja, la fortunata
moglie del grande capo bianco.
Poco dopo
comparve il quartiermastro, col seguito dei ministri e dei capi militari. Non
aveva lasciato le sue vesti di forzato, però avevano posto anche a lui sulle
spalle un mantello di piume, un po' più lungo di quello di Naja, e sul capo una
specie di elmo da pompiere, molto ammaccato a dire il vero, adorno d'un immenso
ciuffo di penne, emblema del potere supremo.
Il marinaio
ebbe qualche esitazione a slanciarsi su quello strato di corpi umani, poi,
temendo di mostrarsi ridicolo, seguì la principessa, badando di non calpestare
troppo duramente quei poveri diavoli colle sue grosse scarpe di legno.
Jody e
Palicur, che si trovavano sotto il baldacchino, non poterono trattenere uno
scoppio di risa, vedendolo con quell'elmo e quella foresta di penne.
«Se potesse
vedersi in uno specchio, sono certo che scoppierebbe, - disse il macchinista. -
Povero signor Will!»
«Taci o
comprometterai la nostra e la sua dignità, - disse il malabaro. - Mostriamoci
seri o scoppierà anche lui dalle risa.»
Giunti gli
sposi sotto il baldacchino, furono fatti sedere su due gabbie e una specie di
stregone o di sacerdote che fosse, orribilmente camuffato con ricci di mare,
tale da sembrare un istrice mostruoso, offrì ai due sposi un pesce tagliato a pezzi
non più grossi d'un dado che dovettero mangiare crudo, forse con poco piacere
d'ambo le parti.
La cerimonia
nuziale era finita: il quartiermastro era lo sposo legittimo di Naja.
Subito clamori
formidabili s'alzarono nella folla; mentre i musicisti raddoppiavano i colpi,
facendo saltare in pezzi non pochi gong e scoppiare non pochi tamburoni.
I due sposi,
scortati dai ministri, dai capi militari e dalle due dame, furono condotti ad una
tavola collocata nel centro della piazza, mentre la folla, che pareva in preda
ad un vero delirio, prendeva d'assalto le altre, fra una confusione
inenarrabile, gettandosi con avidità bestiale sulle montagne di provvigioni e
soprattutto sui vasi d'arak.
Certo quegli
isolani non si erano mai trovati in mezzo a tanta abbondanza ed in cuor loro
benedicevano l'uomo bianco, che permetteva loro di rimpinzarsi fino a
scoppiare.
La principessa
appariva lietissima e sorrideva dolcemente al suo sposo; questi invece,
quantunque si forzasse di apparire di buon umore, cadeva sovente in profonde
preoccupazioni. Il timore che l'audace colpo non riuscisse gli toglieva il buon
umore. Fortunatamente Jody e Palicur erano là ad incoraggiarlo, soprattutto il
primo, che pur ridendo per quattro, divorava per sei e beveva in proporzione il
dolce arak che una delle due vecchie dame d'onore, facendogli gli occhi
di triglia, gli versava senza posa.
Alle dieci di
sera l'orgia toccava il colmo. Uomini, donne e fanciulli, rovesciate le tavole,
danzavano furiosamente per la piazza e molti che cadevano non si rialzavano
più. Era ora di finirla.
Jody, che si
era assunto la direzione della festa, sguinzagliò quattro araldi perché
intimassero a tutti indistintamente di ritirarsi nelle loro capanne per non
turbare più oltre gli sposi. Ci volle non poco però a persuadere quella folla
ubriaca a staccarsi dagli ultimi vasi di arak. Dovettero intervenire le
guardie e, siccome non erano meno ubriache, ruppero non poche teste colle loro
mazze e storpiarono non pochi disgraziati.
Quando tutti
si furono finalmente ritirati, anche i ministri ed i capi militari, Naja e Will
si diressero verso la casa, scortati solamente dalle due dame e da Jody e
Palicur che rischiaravano la via con due torce e che erano stati incaricati di
vegliare dinanzi alla porta, onde impedire a chicchesia d'avvicinarsi.
Quantunque i
tre forzati fossero ormai sicuri del felice esito del colpo meditato, non erano
tuttavia pienamente tranquilli. Un sospetto, un grido poteva mandare a monte
tutto, e allora chissà se avrebbero potuto salvarsi dal furore del popolo e dai
guerrieri.
Il
quartiermastro, deciso a tutto, aveva già assegnato a ciascuno dei suoi
compagni la parte che gli spettava. Non si trattava infine che di legare ed
imbavagliare le tre donne e di filare senza indugio alla baia dei Saoni, dove
la nave ammiraglia, o meglio la piroga, era pronta a prendere il largo.
Lasciarono
prima entrare Naja e le due dame nella prima stanza terrena e, appena chiusa la
porta, con una mossa fulminea e simultanea si gettarono su di loro,
rovesciandole sulle stuoie che coprivano il pavimento.
Palicur, la
cui forza, come abbiamo detto, era straordinaria, afferrò la principessa,
turandole subito la bocca per impedirle di chiamare al soccorso; poi, senza
aver bisogno dei compagni, la imbavagliò e la legò rapidamente, nonostante ella
cercasse di opporre una violenta resistenza. Colle due dame, vecchie e deboli e
già mezzo morte per lo spavento, la cosa fu più facile.
«Signora, -
disse il quartiermastro accostandosi alla sposa, i cui occhi schizzavano
fiamme, - mi rincresce di aver agito così, ma io vi avevo detto che non avevo
alcun desiderio di rimanere qui. Scegliete un altro sposo fra i vostri sudditi,
perché io mi dichiaro sciolto da ogni impegno. D'altronde non mi rivedrete mai
più.»
Un grido
strozzato, come di belva ferita, che sfuggì attraverso il bavaglio, fu la
risposta della principessa corbellata.
«Salutatemi i
miei sudditi d'un istante e dimenticatemi, - aggiunse il quartiermastro. - Ed
ora, miei cari amici, - disse rivolgendosi a Jodv ed a Palicur, - a tutto
vapore!»
Chiusero la
porta dopo aver spento la lampada ad olio di cocco, aprirono quella che metteva
sulla piazza e si slanciarono sotto il viale vicino, che le grandi foglie dei
palmizi rendevano tenebroso.
Non vi era
alcuno. Tutti avevano obbedito all'ordine degli araldi e avevano rispettato il
desiderio espresso dal nuovo capo.
In pochi salti
i tre uomini raggiunsero l'estremità del villaggio e, dopo essersi accertati
che nessuno li seguiva, si gettarono nella foresta. Palicur, che ormai
conosceva la via, essendosi recato parecchie volte nella baia col pretesto di
visitare la squadra nicobariana, li guidava.
Divorarono
tutto d'un fiato, senza nemmeno scambiarsi una parola, la distanza che divideva
la borgata dalla baia e scesero verso la spiaggia là dove si trovava ancorata
la flottiglia delle piroghe.
Anche in
quella borgatella abitata esclusivamente dagli equipaggi delle scialuppe,
silenzio profondo. Dovevano aver festeggiato anch'essi le nozze della
principessa e russavano da veri marinai, completamente ubriachi.
«Addio, povera
Naja, - disse il quartiermastro, che si preparava a balzare nella piroga
ammiraglia. - Prepara un buon veleno pel mio successore. Glielo cedo volentieri
assieme al potere.»
«Un momento,
signor Will, - disse Palicur, arrestandolo e levando dalla prora tre scuri che
aveva nascosto sotto una stuoia. - Aiutatemi.»
«A far che?»
«Ad affondare
la flotta, onde impedire ai nicobariani di darci la caccia. È bensì vero che
tutte le altre piroghe sono malandate, tuttavia la prudenza non è mai troppa.»
«Hai ragione,
Palicur, - rispose il quartiermastro. - Spicciamoci.»
Si misero
febbrilmente al lavoro, picchiando senza misericordia sui fianchi
semi-infraciditi delle piroghe, i quali cedevano facilmente. Essendo la squadra
ancorata a quattro o cinquecento passi dalla borgatella, non vi era pericolo
che quei colpi, d'altronde sordi, potessero venire uditi dagli equipaggi.
Già le avevano
affondate quasi tutte, quando verso la foresta rimbombarono alcuni colpi
d'archibugio, poi delle urla feroci.
«A bordo! -
comandò il quartiermastro. - Siamo scoperti!»
In due salti
si gettarono nella piroga, afferrarono i remi e si spinsero frettolosamente al largo,
mentre anche dalle capanne della stazione navale cominciavano ad accorrere dei
marinai e dei pescatori.
«Spiega una
delle due vele, Jody, - gridò Will. - Il vento è favorevole; e tu, Palicur,
forza ai remi!»
Dalla
boscaglia sbucavano allora numerosi guerrieri muniti di torce i quali correvano
verso la spiaggia, ululando ferocemente:
«Morte
all'uomo bianco!»
Era troppo
tardi ormai per prenderlo. Il macchinista in un colpo di mano aveva issato la
vela di trinchetto, la quale si era subito gonfiata sotto la brezza notturna
che soffiava da levante, imprimendo alla piroga una rapida andatura.
«Dammi un
fucile, Palicur!» disse Will al malabaro che aveva lasciato i remi e che stava
spiegando la vela maestra.
«Ecco la
vostra carabina, signor Will, - rispose il pescatore di perle. - Me l'ero fatta
restituire dalla principessa.»
«Al timone tu,
Jody!»
I colpi di
fuoco spesseggiavano. I guerrieri si erano arrestati sulla riva, senza osare
imbarcarsi sulle due o tre piroghe rimaste, e di là moschettavano furiosamente
i fuggiaschi, senz'altro ottenere che molto fumo e molto baccano, perché le
loro secolari armi non avevano che una portata assai limitata. Il
quartiermastro nondimeno, temendo che si decidessero a dare loro la caccia,
sparò un colpo di carabina in mezzo all'orda. I valorosi guerrieri della
principessa, udendo la palla fischiare sulle loro teste, se la diedero a gambe,
salvandosi nella boscaglia e nelle capanne della stazione.
«Molla tutto!
- comandò il quartiermastro al malabaro che stava legando le scotte. - Vento a
mezza nave: fileremo quasi come la scialuppa a vapore.»
La piroga, che
era una bella barca, lunga otto metri, abilmente scavata nel tronco colossale
d'un albero, colla prora assai rialzata che finiva in una testa mostruosa
rappresentante forse qualche divinità marina dei nicobariani, scivolava
rapidamente sulle acque, salendo e discendendo dolcemente i larghi cavalloni
dell'Oceano Indiano. Palicur, per renderla più rapida, aveva alzato i due
bilanceri che potevano fare scia ed aveva orientato le due vele in modo da
raccogliere maggior vento che fosse possibile.
Già le coste
dell'isola stavano per scomparire fra le tenebre, quando un'imprecazione sfuggì
dalle labbra del quartiermastro, il quale si era collocato alla barra del
timone.
«Che cosa c'è?»
chiese Jody, il quale stava mettendo in ordine i vasi ed i pacchi che
ingombravano la piroga.
«Guarda
laggiù! È ben lui?»
«Chi?»
«Il Nizam.»
«Ancora quel
maledetto! - esclamò il malabaro, stringendo i pugni. - Che quella carcassa non
ci lasci un momento tranquilli?»
«Lascia cadere
le vele, Palicur; potrebbe vederle.»
Il pescatore
di perle e Jody le calarono rapidamente sulla piroga. Verso il sud brillavano
tre punti luminosi, uno rosso e uno verde quasi a fior d'acqua, ed in alto uno
bianco.
«I fanali d'un
piroscafo, - brontolò Jody. - Che i pescicani divorino tutti quegli ostinati
seccatori che muovono su di noi.»
«No, - rispose
il quartiermastro, che osservava attentamente la nave a vapore. - Rade le coste
dell'isola rimontando verso il nord»
«Ci scorgerà?».
«La piroga è
bassa di fondo e la luna non si alzerà che molto tardi. Io spero che la
passeremo liscia.»
«Che abbiano
perduto la speranza di trovarci?» chiese il malabaro.
«Lo credo; se
così non fosse avrebbero continuato la rotta verso il sud. Ah! Morte e
dannazione!»
«Che cosa
avete, signor Will?» chiesero ad una voce Jody ed il malabaro, spaventati
dall'accento del marinaio.
«Corriamo il
pericolo di venire ripresi.»
«Muove su di
noi?»
«No, ma temo che
entri nella baia dei Saoni. Se getta le ancore colà, gl'indigeni non
mancheranno di avvertire il comandante della nostra fuga per vendicarsi della
burla fatta alla principessa.»
«Signor Will,
- disse Palicur, - alziamo le vele e riprendiamo la corsa.»
«No,
potrebbero scorgerci, - rispose il quartiermastro. - Preferisco aspettare gli
eventi.»
Il Nizam,
supposto che fosse veramente il provveditore del penitenziario, s'avanzava non
troppo rapidamente, tenendosi a qualche miglio dalla costa per non urtare contro
le scogliere coralline che circondavano l'isola. Era già tanto vicino ormai che
si udiva il fragore prodotto dalle sue macchine semi-sconquassate e le battute
delle tambure. Dalla sua ciminiera usciva di quando in quando un getto di
scorie.
I tre forzati,
in preda ad una vera angoscia, spiavano attentamente le sue mosse, temendo di
vederlo ad ogni istante cambiare rotta e dirigersi verso la baia dei Saoni.
Fortunatamente
non virò di bordo e lo videro passare al largo della vasta insenatura e
scomparire a poco a poco verso il settentrione.
«Siamo salvi!
- esclamò il quartiermastro. - Si è deciso a tornare a Port-Cornwallis.
Spiegate le vele e avanti verso Ceylon.»
«E che la
fortuna ci protegga,» aggiunse Jody.
|