15 - L'Oceano Indiano
Soffiando
nell'Oceano Indiano dall'aprile all'ottobre, venti costanti da libeccio, mentre
negli altri mesi soffiano invece, senza variare, da greco, i tre forzati erano
più che sicuri di giungere facilmente all'isola, di Ceylon e senza troppe
difficoltà. Il solo pericolo che potevano correre era di venire sorpresi da
qualche tempesta, di quelle tremende che si scatenano durante il cambiamento
dei monsoni. Contavano, però sulla leggerezza e sulla solidità della loro
piroga, la quale dava prove eccellenti di qualità nautiche, essendo i
nicobariani ottimi costruttori, forse i migliori fra tutti gl'isolani
dell'Oceano Indiano.
E infatti
l'imbarcazione si comportava benissimo, filando i suoi sette e anche otto nodi
all'ora come un brik od un brigantino. Era bensì vero che l'oceano si prestava
a quella rapida corsa, non essendo percorso che da radi cavalloni che si
succedevano ogni quarto d'ora e che salivano dal sud.
Quando il sole
comparve all'orizzonte, Karnicobar non era più visibile e anche il Nizam
era scomparso. Tutt'intorno alla scialuppa non vi era che acqua e acqua:
l'immensità dell'oceano, senza un isolotto e senza una vela. Solamente alcuni
uccelli marini, delle fregate dal volo maestoso ed elegante, colle ali da
falco, solcavano il cielo in compagnia di alcuni rondoni di mare, dalle penne
nerissime.
«Siamo già ben
lontani, - disse il quartiermastro, dopo aver scrutato attentamente tutto
l'orizzonte. - I nicobariani non ci prendono più.»
«Mi hanno
fatto però tremare tutta la notte, signor Will, - disse il macchinista. - Che
si siano rassegnati?»
«Almeno pare.»
«Allora
possiamo approfittarne per far colazione.»
«La paura ti
aguzza sempre l'appetito, a quando sembra,» disse. il malabaro, ridendo.
«È questa
brezzolina vivificante.»
«Bada di
economizzare le provviste, Jody, - disse Will. - Non troveremo nessuna terra
sulla nostra rotta, finché non giungeremo a Ceylon.»
«Impiegheremo
molto?»
«Due o forse
tre settimane, mio caro Jody, e che la vada bene. Potrebbe scoppiare qualche
uragano e cacciarci verso il sud e anche laggiù non vi sono isole dove poter
rinnovare le nostre provviste.»
«Che cos'hai
imbarcato, Palicur? - chiese Jody. - Vedo qui molti vasi che non saranno tutti
pieni d'acqua dolce o di arak.»
«Una metà contengono
della pasta di frutta del pane, - rispose il malabaro. - Mi hanno assicurato
che è buona anche così conservata.»
«E dovremo
mangiarla cruda?»
«Non usano
fornelli a bordo delle loro barche i nicobariani, né avevo il tempo di
fabbricarne uno. E poi dove trovare la legna?»
«E questi
pacchi che cosa contengono?»
«Del pesce
secco e delle frutta secche, e là sotto la prora abbiamo una grossa provvista
di cocco. È tutto quello che ho potuto imbarcare. Ah! Vi è anche un vaso pieno
d'olio.»
«Per purgarci?»
«Potrebbe
diventare utilissimo e salvarci in mezzo alla bufera.»
«Ammiro la tua
previdenza, Palicur, - disse il quartiermastro. - Quel vaso può renderci dei
servigi preziosissimi.»
«Ma io non
riesco a capir quali,» disse Jody.
«Aspetta che
scoppi una tempesta e benedirai quel vaso, - rispose il pescatore di perle. -
Prepara la colazione, Jody.»
«Sarà più
magra del rancio del penitenziario.»
«Diventi
esigente, Jody?»
«Mi ero
abituato troppo bene alla tavola della principessa.» Aprì un vaso pieno di
pasta, collocata a strati ben pestati, e slegò una stuoia contenente delle
frutta secche, unendovi un paio di noci di cocco.
Non vi era di
che stare molto allegri, nondimeno i tre forzati, già abituati da molto tempo
alle magre razioni del penitenziario, fecero buon viso a quelle provviste. Una
noce di cocco, che procurò loro del latte squisito, chiuse la colazione.
«Ehi, Jody, -
disse Will, riprendendo la barra che aveva slegato. - Tu hai da narrarci
qualche cosa che può interessare vivamente Palicur e che gli avvenimenti ti
hanno sempre impedito di condurre a termine. Non me la sono scordata io quella
storia.»
«Che cosa
volete dire, signor Will?»
«Tu ci avevi
promesso di raccontarci qualche cosa sul Guercio.»
«È vero, -
disse il macchinista. - Ero stato interrotto dalla comparsa del Nizam.»
«Narra dunque
quanto sai su quel furfante, - disse Palicur. - Chissà se riusciremo a scoprire
come ha conosciuto la mia fidanzata.»
«Non so gran
che, - rispose Jody. - Il sorvegliante irlandese, che io ho ubriacato così
bene, mi ha detto qualche cosa una sera, mentre andavamo insieme a pescare i
granchi di mare.»
«Sulla
condanna di quel briccone?» chiese Will.
«Sì, pare che
fosse stato condannato a vent'anni di galera per aver ucciso un sacerdote
cingalese e ferito un poliziotto inglese che aveva cercato di trattenerlo.»
«Un
sacerdote!».esclamarono il quartiermastro e Palicur.
«Sì, un
buddista.»
«E dove lo ha
ucciso?» chiese Palicur.
«Questo non me
lo disse l'irlandese.»
«Fruga bene
nella tua memoria, Jody, - disse il quartiermastro. - Se tu lo sapessi,
potrebbe metterci su una buona via. Ad Annarodgburro forse? Pensa, pensa.»
«È inutile, -
rispose il macchinista dopo aver meditato qualche istante. - Non deve avermelo
detto.»
«Che cosa ne pensate,
signor Will?» chiese il malabaro con apprensione.
«Io sono certo
che il Guercio ha conosciuto la tua fidanzata in quel monastero, - rispose il
quartiermastro. - La storia di quell'uomo mi pare che rassomigli alla tua.»
«Che abbia
cercato anche lui di strappare Juga dalle mani dei tiruvamska?»
«Scommetterei
una rupia contro mille sterline, Jody, l'irlandese non ti disse quale mestiere
esercitava quel cingalese?»
«Il
pescatore,» rispose il macchinista.
«Di pesce o di
perle?» chiese il malabaro.
«Questo poi
non me lo spiegò.»
«Ora sono io
che domando a te: Palicur, che cosa ne pensi?» disse il quartiermastro della Britannia.
«Che sia stato
un pescatore di perle,» rispose il malabaro.
«Come potremo
noi saperlo?»
«Tutti i
pescatori di Manaar si conoscono e se il Guercio ha lavorato sui banchi, non
avremo difficoltà a esserne informati. È necessario, signor Will, delucidare
quel mistero.»
«Abbi
pazienza, Palicur, e ne sapremo qualche cosa su quell'uomo.»
«Senza la perla
sanguinosa i nostri sforzi per rendere Juga libera s'infrangerebbero. I
monaci del monastero di Annarodgburro sono troppo potenti perché possiamo
metterci in lotta con loro, e poi godono la protezione dei rajah di Candy.»
«Ma credi tu
che vi sia, innanzi tutto, la possibilità di trovare quella famosa perla?»
«Vi ho detto
che io conosco un pescatore che sa dove il ladro andò a picco.»
«Se l'avessero
in questo frattempo trovata o l'uomo fosse morto?»
«Allora,
signor Will, andrò ad uccidere tutti i sacerdoti del monastero, - disse il
malabaro con voce cupa, - o tenterò ancora uno sforzo disperato, supremo, per
riavere la mia fidanzata.»
«Chissà, -
disse il marinaio come parlando fra sé, ciò che gli accadeva di sovente, - con
un buon scafandro si potrebbe esplorare il mare in quel luogo, e con quegli
apparecchi si rimane sott'acqua ben più di uno o due minuti. Orsù, non
disperiamo.»
Mentre
chiacchieravano, la piroga continuava la sua corsa verso occidente, deviando
costantemente verso il sud, non trovandosi l'isola di Ceylon alla medesima
altezza delle Nicobare.
L'oceano
continuava a mantenersi tranquillo, essendo solamente percorso da quelle lunghe
e pesanti ondate, che se stancavano assai i naviganti coi soprassalti che
imprimevano alla piroga, non erano tuttavia d'ostacolo alla sua velocità.
Numerosi
pesci, ad ogni ondata, comparivano a galla avvoltolandosi nella spuma. Per di
più erano delle dorate, pesci assai grossi che si prendono ordinariamente colla
fiocina, nemici giurati dei poveri pesci volanti ai quali danno una caccia
spietata; sono coperti di superbe scaglie azzurre e giallo dorate del più
grande effetto e ricche di riflessi, ma perdono ogni colore quando stanno per
morire nelle mani dei pescatori, diventando allora grigiastri.
Numerosi
albatros, quei giganti del mare, che ad ali spiegate misurano talvolta perfino
quattro metri, mentre non pesano più di dieci chilogrammi essendo tutti penne,
perseguitavano ferocemente le dorate portandone di quando in quando qualcuna in
aria, senza spaventarsi della presenza della piroga, non avendo quei
giganteschi volatili alcuna paura degli uomini anche se armati di fucili.
Nei larghi
avvallamenti delle onde invece apparivano non pochi diodon, strani pesci
delle zone torride, che amano navigare col ventre all'insù, e che hanno
l'abitudine d'ingoiare una certa quantità d'aria per meglio galleggiare,
diventando quasi perfettamente rotondi. Colle loro spine lunghe, di colore
biancastro, a macchie nere, sembravano degli enormi ricci abbandonati in balìa
dei cavalloni.
Jody e Palicur
stavano appunto osservando quei pesci, pensando al modo di pescarne qualcuno,
quantunque la mancanza di legna e di ciottoli per improvvisare un fornello li
mettesse nell'impossibilità di cucinarli, quando il primo si gettò indietro
così violentemente da urtare il quartiermastro che stava alla barra del timone,
gli occhi fissi sul sole per orientarsi.
«Ebbene, che
cos'hai, Jody? - chiese il marinaio. - Hai paura che i diodon ti pungano?»
«Un momento di
ritardo e perdevo una mano, signor Will, - rispose il mulatto. -
Quell'assassino si teneva nascosto sotto la poppa, in attesa di mutilarmi un
braccio.»
«Chi?»
«Sono due quei
briganti.»
«Di chi
parli?»
«Che superbi
squali! Dovevano essere ben affamati per accostarsi tanto, - disse in quel momento
il pescatore di perle. - Non ne ho mai veduto di così colossali, nemmeno sui
banchi di Manaar.»
Il
quartiermastro si voltò vivamente. Due giganteschi pescicani, del genere dei carcharodon
rondeletii, lunghi non meno di sette metri, seguivano la piroga ad una
distanza di quindici passi, fissando sui tre forzati i loro brutti occhi
piccoli, quasi rotondi, coll'iride verde-scura e la pupilla azzurrognola.
Erano due
brutti mostri, pesanti per lo meno mezza tonnellata, col collo un po'
allungato, il dorso bruno cenere coperto da spessi e piccoli tubercoli, la
testa appiattita, il muso arrotondato, con un'enorme bocca semicircolare armata
di denti triangolari, frastagliati, bianchissimi, che muovevano a loro
piacimento. Si tuffavano di quando in quando, poi risalivano impetuosamente a
galla mostrando le larghe pinne pettorali, di forma triangolare, che si
allungavano da ogni lato, e la poderosa pinna caudale divisa in due lobi
ineguali.
«Che brutta
compagnia, - disse il quartiermastro, aggrottando la fronte. - Sono pessimi
vicini da avere a poppa. Con uno slancio possono piombarci dentro. Palicur,
dammi la carabina.»
I due squali,
quasi avessero indovinato le intenzioni poco amichevoli dell'uomo di mare, in
quello stesso momento si tuffarono per ricomparire cinquecento metri più
indietro, lasciando solo emergere le pinne dorsali.
«Sono più
furbi del diavolo, - disse Jody, - e non si lasceranno fucilare, signor Will.»
«Se avessi due
palle incatenate ti farei vedere come salterebbero alti, - rispose il quartiermastro.
- Non mi piace avere a poppa quei due messeri. Costituiscono un continuo
pericolo e, appena mi si presenterà l'occasione, mi sbarazzerò di loro.»
«Si
stancheranno di seguirci e finiranno per andarsene.»
«T'inganni,
mio caro Jody. Quando quegli eterni affamati incontrano in pieno oceano o una
scialuppa o una zattera montata da degli uomini, non la lasciano più. La
seguono con un'ostinazione incredibile, per settimane e settimane, anche per
dei mesi.»
«Eppure non
deve mancare loro il pesce. Anche poco fa abbiamo veduto delle dorate e dei diodon.»
«Preferiscono
la carne dell'uomo, - disse Palicur. - Anche sui banchi di Manaar il pesce
abbonda, eppure quei brutti bestioni lo lasciano in pace, per insidiare i
poveri pescatori di perle.»
«È vero, -
disse il quartiermastro. - Per i pescicani, siano essi martelli, charcharias
o carcharodon, non vi è preda migliore dell'uomo, sia bianco, rosso,
olivastro, giallo o nero.»
«Ne hai mai
incontrato, Palicur, mentre cercavi le conchiglie perlifere?» chiese Jody.
«Ne ho uccisi
almeno una dozzina, - rispose il malabaro. - Anzi un giorno mi sono trovato
preso fra due squali così enormi, che ebbi un bel da fare per liberarmene.
«Mi trovavo su
un fondo di quattordici metri ed avevo già riempito la rete di ostriche perlifere,
quando vidi proiettarsi sulle sabbie del banco un'ombra enorme. Ebbi appena il
tempo di alzare la testa per vedere se fosse una barca che passava sopra di me
o qualcosa d'altro, quando mi sentii precipitare addosso una massa colossale
che mi piegò sul banco. Era un magnifico pesce martello che m'aveva sorpreso e
si preparava a tagliarmi in due.»
«Brr! - fece
Jody. - E come te la sei cavata?»
«Credetti per
un momento che la mia ultima ora fosse giunta, tanto più che non avevo avuto il
tempo di sbarazzarmi della pietra che mi aveva aiutato a raggiungere quella
profondità considerevole, anzi straordinaria per un palombaro privo dello
scafandro, e la mia provvista d'aria era quasi esaurita. Come potei sottrarmi a
quel colpo di mascella, non ve lo saprei dire precisamente. Probabilmente
quell'urto improvviso mi fece curvare sul banco, e mi salvò la pelle. Il pesce
martello, troppo avido e troppo impaziente di divorarmi, aveva preso male lo
slancio, e nel voltarsi la sua coda aveva mosso il fondo, intorbidando l'acqua
così fortemente da non potermi, per un momento, più scorgere.»
«E tu ne
approfittasti,» disse il quartiermastro che s'interessava assai.
«Immediatamente,
signor Will, - rispose il malabaro. - Avevo il mio coltellaccio passato
attraverso la cintura, un'arma solidissima, lunga un piede e mezzo e assai
tagliente. M'aggrappai disperatamente ad una delle pinne pettorali del mostro e
gli squarciai netto il ventre, per una lunghezza d'un buon metro. Credevo di
essermi per sempre sottratto a quel pericolo, quando mi vidi giungere alle
spalle il compagno o la compagna di quello che avevo sventrato.»
«Io sarei
morto di spavento,» disse Jody.
«Il primo,
quantunque perdesse gl'intestini e catinelle di sangue dall'enorme ferita, non
era ancora morto, anzi si dibatteva furiosamente avventando formidabili colpi
di coda; l'altro non pareva disposto a lasciarmelo finire né ad andarsene senza
avere almeno una delle mie gambe.
«Era finita,
perché mi trovavo nell'impossibilità di far fronte ad entrambi, e poi l'acqua
era diventata così rossa da impedirmi di vedere i due mostri. Fortunatamente i
miei compagni, già inquieti pel mio ritardo, videro montare alla superficie dei
fili di sangue, e immaginandosi ciò che si svolgeva in fondo al mare, vennero
in mio aiuto in tre.
«Sotto le
acque s'impegnò una vera battaglia, che finì colla morte dei due voraci pesci.
Quando mi riportarono alla superficie ero svenuto e perdevo sangue dagli
orecchi.»
«Divorano
molti pescatori, i pescicani?» chiese Will.
«Tre o
quattrocento ogni anno mancano all'appello finale,» ripose Palicur.
«Brutto
mestiere,» disse Jody.
«Ma che
talvolta rende assai; in certe stagioni si torna alla costa con dei bei
gruzzoli di perle che si scambiano con migliaia di rupie.»
«Ah! signor
Will!»
«Che c'è?» chiese
il quartiermastro, girando intorno uno sguardo inquieto.
«Il tempo
minaccia di guastarsi. Guardate laggiù, verso ponente. È una nube, quella, che
porterà vento e pioggia.»
«E che farà
bollire la gran pentola, - disse Will, corrugando la fronte. - Sì, avremo un
salto di vento e probabilmente tempesta.»
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