16 - L'uragano
La sera calò,
senza però che quel temuto salto di vento scombussolasse l'oceano, il quale
invece si mantenne calmissimo, interrotto solo dalle larghe e pesanti ondate
provenienti dalle immensità del sud. La nuvola scorta dal pescatore di perle
non si era dileguata, anzi un po' prima del tramonto era stata veduta alzarsi e
dilatarsi, come se avesse il desiderio, non certo piacevole pei tre naviganti,
d'invadere tutta la volta celeste.
La piroga
fluttuava dolcemente sulle onde, avanzando lentamente, poiché era subentrata
una calma quasi improvvisa, sbattendo ad intervalli le due vele e lasciandosi
dietro una scia che di quando in quando diventava fosforescente.
Dai tenebrosi
abissi dell'oceano, dei punti luminosi salivano a galla come stelle filanti
disperdendosi per la superficie, e montavano pure con larghe ondulazioni,
simili a lampade elettriche, le rizostome, quelle splendide meduse in forma di
disco, cosparso di granulazioni brune e le grosse attinie cilindriche, coi
dischi circondati da innumerevoli tentacoli che le facevano rassomigliare a
grandi fiori di color azzurro lucente, con leggeri bagliori rossi verso le
estremità.
In lontananza,
a quattro o cinquecento metri dalla poppa della piroga, due grosse macchie
livide, fosforescenti, scivolavano silenziosamente sulla scia lasciata dal
timone, senza mai distanziarsi. Erano le enormi bocche dei due pescicani,
illuminate da quella specie di gelatina cristallina che trasuda dai denti di
quei mostri e che nelle tenebre brilla come fosforo liquefatto.
Will, assiso
accanto alla barra, spiava ansiosamente l'orizzonte, dove vedeva le stelle
scomparire a poco a poco sotto delle masse nere. Jody ed il malabaro, seduti
sui banchi di mezzo, guardavano le splendide attinie che salivano sempre e che
si lasciavano trastullare nelle ondulazioni prodotte dalla scialuppa.
«Palicur, -
disse ad un tratto il quartiermastro. - Prendi terzaruoli sulle due vele. Fra
poco non avremo bisogno di tanta tela.»
«Eppure il
vento è sempre debolissimo, signor Will,» rispose il pescatore di perle.
«Sta
raccogliendo le sue forze. Fra poco si farà sentire.»
«Sale sempre
la nube?»
«E più
rapidamente di prima.»
«Non la
passeremo tranquilla questa notte?»
«Temo di no,»
rispose il marinaio facendo un gesto di dubbio. Poi mandando un sospiro
aggiunse:
«Questa notte
mi rammenta quella in cui commisi il delitto. Anche allora il cielo era così
tenebroso, le attinie e le meduse salivano a galla assieme alle nottiluche, ed
a poppa brillavano le bocche dei due pescicani, quelli che divorarono l'uomo da
me ucciso all'estremità del pennone di parrocchetto. Dio mi perdonerà quel
delitto.»
«Era un
ufficiale quello, mi hanno detto, è vero, signor Will?» chiese Jody..
«Sì,» rispose
il quartiermastro con voce sorda.
Poi dopo una
breve pausa ed un nuovo sospiro aggiunse:
«Era il
tiranno della Britannia, un uomo brutale che pareva provasse una gioia
feroce a tormentare i più deboli dell'equipaggio, che faceva batter a sangue
marinai e mozzi per un nonnulla e che mi aveva preso di mira per farmi perdere
il grado, guadagnato faticosamente in dodici anni di navigazione su tutti i
mari del globo. Porto ancora sul mio dorso le cicatrici lasciatemi dal gatto a
nove code, che mi fece infliggere per delle sciocchezze.»
«E l'avete
ucciso sul pennone?» chiese Palicur.
«Sì, - rispose
il quartiermastro. - Era una notte come questa, colla tempesta che brontolava all'orizzonte,
e m'avevano mandato sul pennone di parrocchetto ad ammainare uno scopamare.
«Stavo
levandolo, quando mi vidi comparire accanto l'ufficiale. Che cosa era venuto a
fare lassù lui, il cui posto era sul ponte di comando in quel momento? Non ve lo
saprei dire. Certo veniva per spiarmi, sperando di infliggermi qualche altra
punizione.
«S'impegnò fra
me e lui una lite all'estremità del pennone, ed avendogli io intimato di
lasciarmi finire il mio lavoro e fatto osservare che potevo cadere e fracassarmi
il cranio sul ponte, tentò di spingermi in mare.
«Perdetti la
ragione. Avevo il coltello di manovra nella destra avendo dovuto tagliare un
nodo, e glielo cacciai in gola fino al manico. Cadde, battendo il capo sulla
murata che bagnò di sangue, ed il coltello che gli avevo lasciato nella ferita
sbalzò sulla tolda. Il corpo precipitò in mare e fu divorato dai due pescicani
che da parecchi giorni seguivano la Britannia, ma il coltello mi aveva
ormai accusato.
«Fu
riconosciuto per mio e, poiché era lordo di sangue, fu facile al consiglio di
guerra di ricostruire il delitto, e non valsero le difese strenue dei miei
camerati, le accuse contro l'inumanità e la ferocia di quell'ufficiale, né i
miei precedenti: fui condannato a quindici anni di relegazione a Port-Cornwallis,
dove sarei ancora se...»
Un colpo di
tuono che rimbombò cupamente sul mare, propagandosi con un lungo rullio da un
orizzonte all'altro, lo interruppe.
Alzò vivamente
la testa guardando le nubi che avevano ormai coperto quasi tutte le stelle, poi
fissò le bocche fosforescenti dei pescicani che scorrevano sulle acque
tenebrose, guadagnando via sulla piroga. «L'uragano,- disse. - Che Dio ci
guardi.»
Un profondo
silenzio era seguito dopo quel primo tuono.
Non si udiva
alcun rumore né in alto né in basso. Perfino l'ondata larga e pesante
dell'oceano, eterna ondata che anche a calma assoluta percorre sempre quelle
sconfinate pianure liquide, pareva si fosse disciolta o avesse cambiato
direzione.
La piroga era
rimasta quasi immobile, dondolandosi lievemente fra le attinie e le meduse che
si lasciavano portare dal flusso, mettendo in fuga stormi di isitus, bei
pesci lunghi appena trenta centimetri, che lanciano di notte degli sprazzi di
luce verdastra.
I tre forzati
tacevano e guardavano ansiosamente ora il cielo ed ora l'oceano. Un vago
terrore si era impadronito dei loro animi. Quella tempesta che stava per
cogliergli là in mezzo alla sconfinata distesa liquida, su una fragile piroga,
così lontani dalla terra e dalle isole, turbava le loro gagliarde fibre.
Quel silenzio
del mare e del cielo durò dieci o dodici minuti, poi una serie di suoni strani
si ripercosse rumorosamente entro la gigantesca nuvola con un crescendo
formidabile, assordante, seguita da un sibilare di fischi brevi, stridenti.
Erano le prime raffiche che si rovesciavano sull'oceano.
La scialuppa,
coi bilanceri abbassati per avere più appoggio, si era messa in corsa,
mantenendo sempre la sua rotta verso ponente con qualche quarto al sud. Will
era alla barra; Jody alla scotta delle vele di trinchetto e Palicur a quella
dell'alberetto maestro.
Il mare, sotto
le prime sferzate del vento, si rompeva e cominciava a brontolare sordamente.
Delle onde brevi si formavano rapidamente in tutte le direzioni, accavalcandosi
con muggiti paurosi.
«Tenetevi ben
stretti ai banchi, - disse il quartiermastro. - Non dimenticate che se un'onda
vi porta fuori dal bordo, cadrete nelle bocche dei pescicani.»
«Non si vedono
più, signor Will,» disse Jody.
«Ci seguono
sott'acqua per essere più pronti ad afferrare la preda. Scommetterei che li
abbiamo presso la poppa.»
Un lampo
abbagliante illuminò in quel momento l'oceano, mostrando ai naviganti le
montagne d'acqua che si formavano ai limiti dell'orizzonte.
«Palicur, -
disse Will, - abbassa una vela e gettala sopra i banchi. È necessario coprire
il nostro carico e al tempo stesso impedire all'acqua di entrare. Porta poi
qui, a poppa, il vaso dell'olio. La nostra salvezza sta in quello.»
Quegli ordini
furono subito eseguiti fra un lampeggiare incessante ed uno scrosciare orrendo
di tuoni.
L'oceano
intanto, spazzato e tormentato senza posa dalle raffiche che aumentavano di
violenza, montava sempre. Dei cavalloni enormi si rovesciavano sulla piroga, la
sollevavano passandovi sotto, poi la scaraventavano entro profondi abissi mobili,
dai quali non usciva che con molta fatica. La sua leggerezza però ed i
bilanceri calati su ambi i bordi la facevano galleggiare come un pezzo di
sughero, mantenendola sempre sulle creste delle onde. Ben presto una pioggia
diluviale si rovesciò sull'oceano, aumentando l'orrore della notte.
I tre forzati,
radunati a poppa, fra il primo banco e la barra, da cui potevano manovrare le
scotte della vela maestra, guardavano con spavento quel mare in tempesta,
chiedendosi ansiosamente se la piroga avrebbe finito per cedere ai formidabili
assalti delle onde.
Mille fragori
paurosi intanto percorrevano l'oceano e la volta celeste: muggiti di cavalloni,
urla e fischi del vento, scrosci di folgore. Il baccano talvolta diventava così
intenso che i naviganti non potevano più udirsi.
La piroga,
travolta dalle raffiche e dalle onde, fuggiva sempre rapidissima, colla sua
vela ridotta ai minimi termini. Pareva una palla di gomma nelle mani d'un
gigante. Balzava elevandosi tanto da forare colla punta dei suoi alberetti le
masse di vapore che i venti cacciavano, rimescolandole, verso l'oceano, poi
strapiomba bruscamente facendo provare ai tre amici la penosa sensazione delle
cadute da grandi altezze.
Will, colle
mani raggrinzate attorno alla barra, si studiava d'evitare le ondate troppo
grosse che potevano affondarla di colpo. Abilissimo marinaio, metteva in opera
tutta la sua esperienza per non lasciarsi sopraffare dalla furia dell'oceano e
non farsi sorprendere sui fianchi. Conservava una calma ammirabile e comandava
con voce tranquilla ai suoi due compagni che tenevano le scolte.
A un tratto un
grido gli sfuggì. «Maledizione!»
«Che cosa è
accaduto, signor Will?» chiesero Palicur e Jody, volgendosi rapidamente.
«Giù la vela o
siamo perduti! Il timone è andato e non posso più governare.»
«Abbiamo dei
remi, signor Will,» disse il malabaro.
«Che in questo
momento, con questi colpi di mare, valgono quanto un cannello di pipa. Giù, giù
subito la vela e gettiamo olio.»
D'un colpo la vela
fu abbassata, ma con quelle raffiche furiose che la investivano e la gonfiavano
cercando di portarla via non fu cosa facile, ripiegarla intorno al pennoncino.
Lo spettacolo
che offriva in quel momento l'oceano era spaventevole. Ad ogni istante delle montagne
liquide si rovesciavano sulla piroga, sballonzolandola furiosamente, in un
bagliore intenso che dava alle acque delle tinte livide, cadaveriche.
«L'olio,
Palicur, - gridò il quartiermastro, cercando di dominare i fragori della
tempesta. - A tribordo... a babordo... presto.»
Il malabaro
afferrò il vaso che conteneva non meno di un gallone d'olio e ne versò mezzo
litro da una parte e dall'altra della piroga. Allora si vide subito una cosa
assolutamente straordinaria. Quasi per incanto, le onde si spianarono attorno
all'imbarcazione, come se la sostanza oleosa, che si diffondeva rapidamente
sulle acque, togliesse loro la forza. Pareva che attorno ai naviganti si fosse
formato un bacino quasi tranquillo. Ruggivano e urlavano i cavalloni sui
margini dello strato oleoso, ma il loro impeto si rompeva quasi di colpo.
Le raffiche,
non potendo aver presa su quella superficie scivolante, non uscivano più a
sospingere le acque.
«È
prodigioso!» esclamava Jody, che stentava a credere ai propri occhi.
«Ringrazia Palicur
che ha avuto una così magnifica idea, - disse il quartiermastro. - Quest'olio
di cocco ci salva la vita.»
«Potrà durare
fino alla fine dell'uragano?»
«È questo che
mi spaventa,» rispose il quartiermastro.
«Sono lunghe
le tempeste che scoppiano nell'Oceano Indiano?»
«Solo Dio può
dire quando finirà questa. Per ora accontentiamoci di tener lontane le ondate.»
I cavalloni
infatti non giungevano più furibondi, tuttavia Will non aveva pensato che la
piroga, quantunque assai bassa e disarmata della sua velatura, offriva sempre
troppa presa al vento, il quale la spingeva sempre verso ponente.
Allontanandosi, obbligava Palicur a versare sempre nuovo olio, e per quanto
egli lo economizzasse, la provvista, già molto esigua, se ne andava.
Quattr'ore
erano trascorse, durante le quali l'uragano non aveva accennato a diminuire,
quando il malabaro annunciò che il vaso era quasi vuoto.
Quasi nello
stesso momento si udì il mulatto, passato a prora, urlare a squarciagola:
«Uno scoglio!
Uno scoglio! Signor Will, fate deviare la piroga.»
«Vuota tutto
il vaso!» gridò il quartiermastro a Palicur.
Gli ultimi
bicchieri d'olio caddero sulle acque tormentate dal vento. Successe intorno
alla piroga una breve calma. Il marinaio aveva afferrato un remo e,
servendosene a guisa di timone, cercava di gettare la scialuppa fuori dalla
rotta, mentre nel medesimo tempo si sforzava di scoprire l'ostacolo segnalato
dal macchinista.
«Hai sognato,
Jody? - chiese dopo qualche istante. - Io non vedo nulla dinanzi a noi.»
«Vi dico che
ho scorto or ora, alla luce d'un lampo, una massa enorme emergere fra le onde.»
«Guarda tu,
Palicur.»
«Non vi sono
che cavalloni sulla rotta della piroga, signor Will,» rispose il malabaro.
«Aspetta che
passino,» gridò il macchinista.
Due o tre
montagne d'acqua vennero a morire sui margini dello strato oleoso e, passate
quelle, il quartiermastro credette di scorgere, alla rapida luce d'un lampo,
come una massa enorme oscillare in un nembo di spuma.
«Che sia il
carcame d'una balena o d'un capodoglio? - si chiese Will. - È impossibile che
sia uno scoglio. Sulle carte marine non ne ho veduto alcuno segnalato in questo
tratto di mare, e se ve ne fosse stato uno, non sarebbe sfuggito alle
esplorazioni delle navi inglesi. Ad ogni modo cerchiamo di evitarlo.»
Trovandosi la
piroga in uno spazio di mare relativamente calmo, non gli riuscì difficile, con
l'aiuto d'un remo, farla deviare verso il sud. Per mala fortuna lo strato
d'olio, incessantemente assalito dalle ondate, che parevano impazienti di
riprendere la loro corsa furibonda, a poco a poco si disgregava.
Ben presto la
scialuppa giunse sul margine dello strato e allora fu subito presa da un'ondata
e scaraventata innanzi con una violenza inaudita. Si impennò per qualche
istante sulla cresta d'un cavallone, sprofondò in un abisso che pareva non
avesse più fondo, risalì ancora; poi avvenne un urto spaventevole che
scaraventò in aria i tre naviganti, mentre la prora volava in schegge.
Si udirono tre
urla, subito soffocate da un formidabile colpo di tuono e dai muggiti dei marosi.
Il quartiermastro, che non aveva abbandonato il remo, sparve entro un baratro,
poi si sentì scagliare contro una massa resistente cosparsa di alghe, alle
quali si aggrappò colla forza della disperazione.
«Jody!
Palicur!» urlò.
Fra gli
scrosci delle onde, gli parve di udire la voce tuonante del pescatore di perle,
ma, essendo in quel momento cessati i lampi, non poté discernere nulla nei
vortici di schiuma che lo circondavano. Sentendo che le alghe cedevano ed
immaginandosi d'essere stato scaraventato sullo scoglio intravvisto dal
macchinista, salì più in alto per sottrarsi meglio all'assalto delle onde.
Dove veramente
si trovasse non lo sapeva. Poteva essere una roccia perduta nell'immensità
dell'Oceano Indiano e forse qualche cosa d'altro, perché gli pareva che quella
massa subisse dei violenti soprassalti.
Non essendo
quello il momento opportuno per fare delle indagini e vedendo pendere sopra di
sé delle altre alghe lunghissime e, a quanto sembrava, molto resistenti, il
marinaio continuò ad inerpicarsi, finché si trovò a cavalcioni d'una specie di
vetta che si stendeva orizzontalmente, con una costa dello spessore d'un piede.
Al di là, la roccia o meglio la massa, ridiscendeva descrivendo una curva assai
arrotondata.
«Questa è la
chiglia d'una nave! - esclamò il quartiermastro. - Sì, la carena di qualche
veliero rovesciato che le onde portano attraverso l'oceano. E Jody? E Palicur?
Morti forse?»
In preda a
mille angosce stava per ridiscendere, quando a breve distanza udì una voce
gridare:
«Coraggio...
orsù... aggrappati... animo, amico... non bisogna lasciarsi andare così,
abbiamo i pescicani alle spalle... Auff... ci siamo... aggrappati...»
Al baleno
rapido d'un lampo, il quartiermastro vide due forme umane sollevate da un'onda
venire scaraventate su quella massa galleggiante. Il cavallone subito si
ritrasse, però quei due erano rimasti aggrappati come due ostriche ai fianchi
d'uno scoglio.
«Jody!
Palicur!» gridò il marinaio.
«Ah! Siete
lì... signor Will, - rispose il malabaro. - Ciò si chiama aver fortuna...
aiutatemi signore... Jody è mezzo asfissiato.»
«Tieni duro un
momento: vengo.»
Il
quartiermastro, tenendosi sempre aggrappato alle alghe che coprivano
interamente la carena, discese fino al luogo ove si trovava il malabaro.
Jody,
completamente inerte, si lasciava reggere dal robusto pescatore di perle. Il
povero diavolo, che non doveva essere mai stato un forte nuotatore, aveva
bevuto così abbondantemente da perdere i sensi.
«Bah! Non sarà
nulla, - disse il quartiermastro. - Basterà strofinarlo vigorosamente e fargli
muovere le braccia avanti e indietro. Aiutami, Palicur.»
«Lasciate fare
a me, signor Will, - rispose il malabaro. - Noi pescatori di perle torniamo a
galla quasi sempre più o meno asfissiati, e sappiamo quindi come fare per
rimettere i polmoni in funzione. Per Sivah! Non ci poteva toccare di peggio.»
Mentre
l'indiano s'occupava del macchinista, il quartiermastro si era issato fino
sulla cima della massa, tenendosi stretto a quella grossa sporgenza che altro
non doveva essere che la chiglia d'una nave.
«Sì, - disse,
- abbiamo urtato contro una nave capovolta. Che cosa sarà avvenuto del suo
equipaggio? Si saranno tutti annegati?»
Lo scafo, che
doveva contenere pochissimo carico o forse invece del legname da costruzione,
si teneva ben alto fuori dall'acqua e balzava così agilmente, che solo gli
spruzzi delle onde giungevano fino ai naufraghi. I soprassalti che subiva però
erano tali che senza la massa d'alghe lunghe e resistentissime che lo copriva,
sarebbe stato ben difficile ai tre uomini mantenersi lassù.
Quando Will
tornò presso il malabaro, il macchinista, che aveva rigettato non poca acqua
sotto la violenta pressione dell'improvvisato infermiere, aveva già aperto gli
occhi e respirava liberamente.
«Ah! signor
Will, - esclamò il mulatto, vedendolo. - Per poco non andavo a dormire in fondo
all'oceano.»
«E più
probabilmente a servire da cena ai pescicani, - disse Palicur. - Nel momento in
cui ti ho afferrato, ho veduto le loro bocche scintillare a venti passi da me.»
«Ti devo
dunque la vita, mio bravo Palicur.»
«Ed io a te la
libertà; dunque siamo pari.»
«E dove siamo,
signor Will? Sul dorso d'una balena o d'un capodoglio?»
«Sulla carena
d'un veliero, mio caro Jody,» rispose il quartiermastro.
«Allora
corriamo il pericolo di affondare da un momento all'altro,» disse il mulatto,
con accento di terrore.
«Se questo
scafo si è mantenuto a galla finora, non vedo perché dovrebbe immergersi
proprio ora. Chissà da quante settimane galleggia, a giudicarlo dalle alghe che
lo coprono.»
«È un veliero?»
chiese Palicur.
«Scommetterei
che è un brigantino,» rispose il marinaio.
«E credete che
resisterà?»
«Io suppongo
che sia carico di legname. Finché dunque i fianchi non cederanno e non
lasceranno sfuggire le tavole o i tronchi che si trovano nella stiva, non
correremo alcun pericolo, fuorché quello di morire di sete.»
«E di fame
soprattutto, signor Will,» disse Jody.
«Non avevo
pensato a ciò, - disse Palicur. - Tutte le nostre provviste se ne sono andate
insieme alla piroga»
«Forse
troveremo qualche cosa da porre sotto i denti, - disse Will. - I crostacei non
mancheranno fra queste alghe. Aspettiamo che la tempesta cessi, poi vedremo che
cosa ci converrà fare. Mi pare che le nubi comincino a spezzarsi e che anche il
vento scemi di violenza.»
«Gli uragani
scoppiano violentissimi in queste regioni e hanno sempre corta durata,» disse
Palicur.
«Mancherà
molto all'alba, signor Will?» chiese Jody.
«Fra tre ore o
quattro al massimo, cominceremo a vederci. Tenetevi ben saldi alla chiglia ed
aspettiamo.»
L'uragano
infatti cominciava a calmarsi. Alle raffiche poco prima furiose era successa
una fresca brezza di levante, e le masse nuvolose si sfasciavano rapidamente
lasciando filtrare, fra gli squarci, qualche fascio di luce lunare. Anche i
lampi non illuminavano più la notte e solo il tuono brontolava ancora in
lontananza a lunghi intervalli.
Le onde invece
si mantenevano sempre violentissime, scuotendo poderosamente lo scafo del
veliero, il quale si alzava e si abbassava pesantemente con mille scricchiolii.
Tuttavia non vi era alcun pericolo che i suoi fianchi cedessero agli urti
incessanti dei cavalloni.
Alle quattro
cominciò a diffondersi una pallida luce verso oriente che divenne rapidamente
rosea. Il sole stava per comparire. Un grido di Will strappò il malabaro ed il
macchinista alla loro immobilità.
«I rottami
della piroga!»
«Dove,
signore?» chiese il pescatore di perle.
«Fluttuano
contro il fianco della nave. Palicur, scendiamo! Vi possono essere forse delle
noci di cocco da raccogliere.»
«Resisteranno
al nostro peso queste alghe?»
«Vediamo un
po'.»
Gli bastò un
solo sguardo per convincersi della loro robustezza. Tutto lo scafo era coperto
da quella specie di erbe marine chiamate dai naturalisti sargassi bacciferum,
identiche a quelle che si trovano, raccolte in masse enormi, nel mezzo
dell'Oceano Atlantico. Si componevano, come quelle, di robuste fronde di color
bruno, ramificate e coperte da vescichette attaccate a corti peduncoli e
fornite di foglie lanceolate bruno-dorate.
«Non
cederanno, - disse il quartiermastro. - Si sono abbarbicate tenacemente allo
scafo, anzi spero di trovare in mezzo a queste alghe la nostra colazione.»
Aggrappandosi
con precauzione a quelle fronde, scesero fino al livello dell'acqua. Dei
rottami che le onde, per un caso prodigioso, non avevano disperso, urtavano
contro il fianco della nave.
Vi erano dei
remi, dei pezzi di scafo e anche una cassa, quella del macchinista. Quello che
però rese i due naufraghi più lieti, fu la scoperta di una mezza dozzina di
noci di cocco, che ballavano in mezzo ai rottami, urtandosi allegramente.
Furono le
prime che ritirarono, affidandole al macchinista, poi anche la cassa, con molta
fatica, fu issata e addossata contro la chiglia. Anche un paio di remi andarono
a tenerle compagnia.
«Badate
soprattutto che le noci non rotolino abbasso, - disse Will. - Queste
c'impediranno, almeno per alcuni giorni, di morire di sete. Jody, che cos'hai
messo nella tua cassa?»
«La mia divisa
di forzato e... Stupido! Mi scordavo il più importante!»
«Che cos'è?»
«La pistola,
signor Will, che io volevo serbare, come ricordo del bagno!»
«Con
munizioni?»
«Una
quarantina di cartucce che non saranno certamente asciutte.»
«S'incaricherà
il sole di asciugarle, amici miei; siamo perfino troppo fortunati.»
«Non trovo in che
cosa possa esserci utile quella pistola, signor Will, - disse il malabaro. -
Avrei preferito una buona lenza con un paio d'ami.»
«Me lo saprai
dire più tardi: ora cerchiamo la nostra colazione.»
«E dove?»
«Fra le alghe.
Sono certo di scovarla. Non sarà molto abbondante, tuttavia pel momento ci
basterà. Frughiamo nella nostra prateria e badate di non fare un capitombolo:
ho scorto or ora emergere in mezzo ad un'onda la coda d'uno di quei maledetti
squali.»
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