17 - Sulla carena
del veliero
Il
quartiermastro della Britannia non si era affatto ingannato, assicurando
i compagni che avrebbero trovato la colazione sullo scafo della nave
rovesciata.
Quelle alghe,
costantemente bagnate dagli spruzzi delle onde, pullulavano di piccoli cefalopodi,
di octopus purpurei, di oscilloe pelagiche, mentre su
quelle che il mare lambiva scivolavano fra le foglie miriadi di antennaridi,
piccoli pesci piatti, deformi, non più lunghi di quaranta millimetri, con una
bocca molto larga in proporzione del corpo e che si lasciavano prendere a
manate. Scoprirono perfino, nascosti sotto le alghe più folte, non pochi grossi
granchi nuotatori, i più spietati nemici delle oscilloe.
Quello che
soprattutto li rallegrò, fu la scoperta d'un nido di prion turtur,
situato in mezzo alle alghe, occupato da due di quei graziosi uccelli marini,
grossi come tortorelle, colle penne grige turchine sul dorso e bianche sotto.
Quei due volatili, che ordinariamente si tengono presso le coste in grosse
bande, dispersi forse da qualche colpo di vento e spinti sull'oceano, avevano
trovato anch'essi un rifugio sullo scafo della nave e vi avevano nidificato.
L'isolamento
li aveva resi, a quanto sembrava, più mansueti, poiché all'accostarsi dei
naufraghi non si mossero, accontentandosi di sbattere le ali e di strillare.
«Lasciamoli
tranquilli, - disse il quartiermastro, fermando Jody che stava per
impadronirsene. - Sono naufraghi al pari di noi: rispettiamoli.»
D'altronde la
raccolta di crostacei era così abbondante da assicurare loro parecchie cene. E
poi solo una parte di quella prateria marina era stata frugata verso la prora
ed a poppa dovevano trovarsi altri abitanti nascosti sotto la massa dei
sargassi.
Mangiarono con
appetito anche i piccoli pesci quantunque crudi, e si dissetarono con una delle
sei noci di cocco, avendo conservato il quartiermastro il suo coltello, che nel
momento del naufragio aveva nella cintura. Si guardarono però dal gettare via i
gusci che potevano servire a raccogliere dell'acqua nel caso che si fosse
scatenato qualche altro acquazzone.
«Signor Will,
- disse il malabaro, quand'ebbero finito. - Dove credete che ci troviamo?»
«Mi sarebbe
impossibile dirlo con precisione, non avendo alcuno strumento che possa darmi
la latitudine e la longitudine; io però credo che noi siamo, suppergiù, a mezza
via fra le Nicobare e Ceylon.»
«Io mi domando
come faremo a raggiungere lo stretto di Manaar, - disse Jody. - Non sarà certo
questa carcassa che ci porterà colà.»
«Non possiamo
sperare che nell'incontro d'una nave,» rispose Will.
«Che ci
raccolga presto anche, o noi morremo, se non di fame, certo di sete. Fra cinque
giorni le noci di cocco saranno finite, ammesso che ne consumiamo una sola al
giorno, che non basterà a dissetarci tutti.»
«Purtroppo,
mio povero Jody.»
«Ed io mi
domando: come dormiremo? - disse Palicur. - La carena è larga, è vero, ma le
onde ci faranno rotolare in mare.»
«Non
preoccuparti per questo, - rispose il quartiermastro. - Ho veduto delle sartie
pendere in acqua, e ci legheremo alla chiglia. Il mio coltello ha la lama
solida e foreremo la colomba per assicurarvi una fune. Si tratta solo di fare
un bel tuffo nell'acqua e andare a recidere qualche paterazzo.»
«Me ne
incarico io, signor Will,» disse il pescatore di perle.
«Bada alle tue
gambe, Palicur, - disse Jody. - Ho veduto anch'io, pochi momenti fa, la coda di
uno di quegli ostinati pescicani. Quelle canaglie si sono fisse proprio nel
cervello l'idea di far colazione coi nostri corpi.»
«Non ci
lasceranno finché qualche nave ci raccoglierà, - disse Will. - Vuoi tentare un
salto di testa, Palicur? Le onde cominciano a spianarsi e poi le cartucce sono
ormai asciutte e mi terrò pronto a far fuoco sugli squali se cercheranno di
assalirti.»
«Sono pronto,
signor Will,» rispose il malabaro, prendendo il coltello che il quartiermastro
gli porgeva.
Aggrappandosi
alle alghe si calò abbasso, scrutò qualche istante l'acqua, poi si lasciò
cadere, nel momento in cui un'onda s'infrangeva contro il fianco della nave.
Will, che si era pure calato, tenendo nella destra la pistola, si teneva pronto
a far fuoco sui pescicani, nel caso che si fossero accorti della presenza del
malabaro.
Passò un mezzo
minuto, lungo come un'ora pei due naufraghi, poi la testa del malabaro emerse
improvvisamente. Aveva avvolto intorno al collo un grosso canape, una sartia.
«Lesto,
amico,» gli gridò il quartiermastro.
Palicur stava
per aggrapparsi alle alghe, quando lo si vide immergersi bruscamente, come se
qualcuno lo avesse tratto sott'acqua. Nel medesimo istante lo si udì mandare un
grido soffocato.
Il
quartiermastro diventò pallidissimo.
«Jody! - gridò
con voce strozzata dal terrore. - I pescicani lo hanno assalito!»
«Ma no, signor
Will, eccoli laggiù che nuotano insieme. Io li vedo benissimo da quassù.»
«Eppure
qualche mostro marino ha afferrato Palicur e lo ha tirato sott'acqua. Tieni la
pistola: vado in suo aiuto.»
«Senz'armi!
Non commettete una tale pazzia!»
In quel
momento una larga macchia di sangue salì a galla, allargandosi rapidamente. Il
quartiermastro mandò un grido.
«Jody! Hanno
divorato Palicur?»
Stava per
lasciarsi cadere in acqua, senza pensare al gravissimo pericolo a cui si
esponeva, quando la testa del malabaro riapparve.
«L'ho ucciso!
- gridò. - Non temete, signor Will! Non ho che delle punture sulla pelle. Cane!
Stava nascosto sotto la nave!»
«Il
pescecane?»
«No, signor
Will. Era un diavolo di mare. A momenti risalirà a galla. Datemi una mano
affinché possa issarmi.»
Il
quartiermastro fu pronto ad afferrarlo per un braccio e ad aiutarlo. Il
malabaro, anche durante la lotta, non aveva abbandonato il canape, né aveva
perduto il coltello. Quando fu tutto fuori dall'acqua, i suoi due amici
s'accorsero che aveva sul dorso e sulle braccia delle lunghe graffiature che
davano sangue in abbondanza, quantunque non sembrassero profonde.
«Che razza di
bestia ti ha assalito? - chiese Jody. - Sono morsi questi?»
«No, punture
prodotte dalle sue spine ricurve. Era ben grosso quel furfante e largo quanto
una vela di pappafico. Eccolo che sale: lo vedete?»
Un pesce di
dimensioni enormi era montato alla superficie del mare, in un largo cerchio di
sangue. Era un vero diavolo di mare, un pesce piuttosto raro, a dire il vero,
che difficilmente si trova anche lontano dalle spiagge, amando esso tenersi
nascosto per lo più fra le sabbie dei banchi, dove aspetta che i pesci vadano a
gettarsi nella sua bocca, che è larga quanto quella d'un forno e che tiene
sempre spalancata.
Aveva il corpo
piatto come le razze, largo come una vela di un bastimento, tutto irto di spine
ricurve e grosse come gli uncini delle scialuppe, la testa adorna di corna
somiglianti a quelle dei tori e la coda lunga e tagliente come la lama d'una
lancia.
«Quel bestione
deve pesare almeno mille chilogrammi, - disse Will. - Come ti ha assalito,
Palicur?»
«Stavo per
aggrapparmi alle alghe, quando mi sentii afferrare pei piedi e trascinare
sott'acqua. Credetti dapprima che un pescecane mi avesse afferrato, poi appena
potei liberarmi, mi trovai faccia a faccia col diavolo di mare, il quale stava
uscendo dalla parte inferiore della nave.
«La faccenda
non fu troppo lunga. Non avendo quei pesci dei denti come gli squali, né dei
tentacoli, mi cacciai sotto di esso e gli vibrai tre o quattro coltellate in
direzione del cuore. Fu nel contorcersi che mi punzecchiò per bene il dorso.»
«Devi aver
provato un grande spavento nel vederti dinanzi quel brutto mostro,» disse Jody.
«Ne avevo
veduti già altri nelle peschiere di Manaar,» rispose il malabaro.
«Non lo
lasceremo già mangiare tutto dai pescicani, - disse Jody. - Vedo già quei dannati
che si dirigono verso il diavolo marino.»
«È velenosa la
sua carne, - disse Will. - Lasciamola a quei ghiottoni e prepariamoci il nostro
nido. Avremo da fare a forare la colomba per legarvi il canape.»
E non fu
infatti cosa facile, con quel solo coltello, praticare un foro in quella
robusta traversa, in cui s'imperniano tutti i corbetti delle navi e che è
sempre di rovere durissimo. Quel lavoro occupò tutta la giornata, ma finalmente
poterono farvi passare la sartia che poi doppiarono, essendo essa lunga una
dozzina di metri, e alla quale si assicurarono colle loro fasce di lana, onde
non correre il pericolo di venire scaraventati in mare durante il sonno,
giacché le onde continuavano a imprimere delle brusche scosse allo scafo.
Quella prima
notte passò tranquilla, anzi essi dormirono così profondamente sul loro soffice
letto d'alghe, che quando si svegliarono il sole era già sorto.
«Nulla, signor
Will?» chiese Jody al quartiermastro, che osservava attentamente l'orizzonte
colla speranza di scoprire qualche vela o qualche pennacchio di fumo.
«Tutto è
deserto, - rispose l'interrogato, facendo un gesto di scoraggiamento. - Pare
che siamo fuori dalla rotta tenuta dalle navi che vanno nel Bengala.»
«Dove ci
spinge il vento?»
«Verso
ponente, e camminiamo così lentamente che ci occorrerebbe almeno un mese prima
di avvistare le coste di Ceylon.»
«E saremo
ancora fortunati se il monsone non cambierà,» disse Palicur.
Durante la
notte l'oceano si era calmato e a scuotere la nave non giungeva più che
l'eterna ondata proveniente dal sud, che si succedeva a lunghi intervalli, con
una certa regolarità di tempo.
Alcuni delfini
crocefissi, così chiamati perché sul dorso bianchissimo hanno una grande croce
nera, lunghi da un metro e mezzo a due, scivolavano nella spuma delle onde,
inseguendo un banco di cefalopodi; in alto invece volteggiavano a stormi delle
sule, quegli stupidi volatili che si lasciano prendere colle mani quando si
posano sulle murate delle navi, ed alcune coppie di grosse procellarie,
massicce quasi quanto gli albatros e formidabili pescatrici, dotate di un becco
robustissimo.
I tre
naufraghi, quantunque fossero molto tristi, fecero una corsa fra le alghe per
cercarsi la colazione e vi riuscirono dopo non molte fatiche, facendo una
discreta raccolta di crostacei minuscoli. Constatarono però con apprensione che
erano diventati ormai rari.
«Non so se
questa sera potremo avere la cena, - disse il quartiermastro con un sospiro. -
La selvaggina delle nostre praterie è scomparsa.»
«Ricorreremo
al mare, signor Will,» disse Jody.
«Non ci darà
nulla, mio caro. Eppure se potessimo avere del fuoco ed una pentola, da queste
alghe potremmo trarre un alimento sufficiente per mantenerci almeno in vita.»
«In qual modo,
signor Will?»
«Al Giappone
ho veduto gli indigeni cucinare questi fuchi e trarne una specie di gelatina
che poi vendevano a quadretti sotto il nome di nuri. Non avendo noi alcun mezzo
per procurarci del fuoco e nessun recipiente, non potremo utilizzarle. Bah! Non
disperiamo. Se non oggi, domani o posdomani qualche nave la incontreremo.»
La giornata
trascorse lentamente, senza che la tanto sospirata vela apparisse
all'orizzonte. Sempre uguale, l'immensità dell'oceano circondava i tre
disgraziati naufraghi.
Quella sera
dovettero accontentarsi di un pugno di granchiolini scovati, dopo lunghe
ricerche, sotto le alghe e di una sorsata di latte di cocco che non calmò
affatto la loro sete, che diventava sempre più ardente, a causa del caldo che
regnava sull'oceano.
Prima che il
sole scomparisse furono testimoni d'un fenomeno. Il mare, che era calmissimo,
era diventato come denso intorno alla nave ed aveva assunto una tinta quasi
biancastra, poi si era messo a ribollire come se qualche fuoco ardesse sotto le
onde.
Jody ed il
malabaro che non sapevano spiegarsi quel fenomeno, avevano cominciato a
spaventarsi, temendo chissà che cosa. Il quartiermastro, che aveva subito
indovinato di che cosa si trattava, si era affrettato a rassicurarli.
«Non è l'acqua
che bolle, - disse. - Sono battaglioni di piccoli crostacei diafani che si
dibattono.»
«Dei
crostacei!» esclamò Jody.
«Sì, dei mysis.»
«Ve ne devono
essere dei milioni attorno alla nave, per far diventare il mare così denso. E
non si potrebbe raccoglierli?»
«Per
mangiarli? Sono così piccoli e così diafani, anzi così gelatinosi, che
inghiottiresti più acqua salata che altro. Non fa per noi quella cena.
Corichiamoci, amici, e che uno di noi vegli. Una nave potrebbe passarci presso,
senza che ce ne accorgiamo.»
Fu lasciato a
Jody l'incarico di vigilare durante il primo quarto e Will e Palicur si stesero
sul loro letto di alghe, dopo essersi, come la notte precedente, assicurati
alla sartia colle loro cinture.
Fu una guardia
assolutamente inutile, poiché nessun punto luminoso segnalante la presenza di
un veliero scintillò sul fosco orizzonte. All'indomani la situazione era
identica a quella del giorno innanzi, anzi più grave. Non vi erano più né
gamberetti, né crostacei sotto le alghe, e la fame cominciava a farsi sentire.
I meschini pasti fatti dopo il naufragio, non erano più stati sufficienti per
quegli uomini robusti.
Una profonda
tristezza si era impadronita dei tre disgraziati. Seduti sulla chiglia, l'un
presso all'altro, sotto gl'implacabili raggi solari che li arrostivano vivi e che
aumentavano la loro sete, non abbastanza estinta col latte delle noci di cocco,
guardavano cogli occhi smarriti l'oceano deserto, senza osare rivolgersi una
parola di conforto e di speranza.
Si sentivano
ormai vinti ed impotenti a lottare. Rimanevano bensì loro ancora due noci di
cocco, ma poi?
«Tanto
varrebbe finirla con un buon salto di testa nelle acque, - mormorò Will. - I
due squali sono là che ci attendono sempre e avrebbero finalmente la sospirata
colazione.»
Ad un tratto i
suoi sguardi si fissarono su una moltitudine di punti neri e bianchi che
solcavano l'aria verso levante e che pareva si dirigessero verso ponente.
«Dove vanno
tutti quei volatili? - si chiese - Li vedi, Palicur, tu che hai una buona
vista?»
«Sì, signor
Will,» rispose il malabaro.
«Che siano
uccelli emigranti che vanno a Ceylon? Ho incontrati altre volte degli stormi
immensi, navigando su questi mari.»
«È possibile,
signore.»
«Se si
riposassero un momento qui!» disse Jody.
«Non hanno
bisogno di sostare in nessun luogo quei formidabili volatori.»
«Verranno
molto da lontano?»
«Forse dalle
Nicobare o dalle Andamane,» rispose il quartiermastro.
«E andranno a
Ceylon?»
«Almeno a
giudicare dalla direzione che tengono.»
«E di notte
dove si riposano? Sul mare?»
«Possono
compiere la traversata in un sol giorno, mio caro.»
«Attraversano
una simile distanza senza riposarsi?...»
«Tutti gli
uccelli emigranti non percorrono mai meno di cento chilometri all'ora. Dunque
dal levar del sole al tramonto possono percorrerne milleduecento e anche millecinquecento,
e comprenderai che su uno spazio così immenso, isole se ne trovano sempre.»
«Signor Will,
- disse il malabaro, il quale non staccava gli sguardi da ella immensa falange
di volatili che s'accostava rapidissima. - Quelli non devono essere emigranti,
perché mi sembra che vi siano insieme albatros, fregate, sulle, rompitori
d'ossa ed altri ancora. No, sono certo che cacciano.»
«Che cosa?»
chiese Jody.
«Forse ci
procureranno una abbondante colazione,» continuò il pescatore di perle senza
rispondere alla domanda rivoltagli dal macchinista.
«I pesci
volanti, è vero?» disse il quartiermastro.
«Che le dorate
probabilmente costringono ad alzarsi. Là, guardate bene: li scorgete volare
rasente l'acqua?»
Il
quartiermastro si riparò gli occhi con ambo le mani e scorse infatti un numero
infinito di punti luccicanti levarsi dall'acqua, brillare in aria, poi
immergersi.
«Sì, sono
pesci volanti, - disse, - e noi ci troviamo sulla loro rotta. Alcuni cadranno
certamente qui e si offriranno graziosamente ai nostri stomachi. Tenetevi
pronti ad impadronirvene.»
Le prime
falangi degli uccelli marini, nemici spietati dei poveri pesci volanti, erano
già in vista. Vi erano molti albatros, giganti dei mari, dei quebrantohuesos,
meglio conosciuti dai marinai col nome di rompitori d'ossa per la robustezza
dei loro becchi, delle phoebatria fuliginose, le più piccole delle diamedee,
tutte nere, agilissime, dal volo leggero, delle sule, delle fregate, delle
sterne e perfino dei pretelli.
Tutti quei
volatili s'alzavano e s'abbassavano con rapidità fantastica, piombando sui
poveri pesci volanti che, perseguitati dai loro nemici marini e da quei
formidabili uccellacci, cadevano in gran numero sotto i rostri.
Quei
disgraziati abitanti dei mari intertropicali appartenevano alla specie più
grossa, essendovene di due sorta. Gli uni, e sono i più numerosi, non sono più
lunghi di venti centimetri, hanno le scagliette d'un bell'azzurro argenteo e
sono anche più agili, perché possono percorrere, vibrando le loro natatoie
larghissime, perfino cento e venti metri; gli altri, quelli che muovevano
incontro alla nave, erano lunghi un buon piede, colle scaglie bruno-rossastre e
le natatoie nere, una specie di caschetto sulla testa che dava loro un aspetto
tutt'altro che attraente, e armati sotto le mascelle di spine acute.
S'alzavano a
battaglioni, descrivendo delle lunghe parabole con un ronzio strano e agitando
disperatamente le pinne, poi s'inabissavano per riprendere subito la volata.
I loro nemici acquatici
non erano già le dorate, come aveva dapprima supposto il malabaro. Era una
banda di sword-fish, specie di pesci spada i quali hanno la natatoia
dorsale così sviluppata, che se ne servono da vela quando hanno il vento in
favore e perciò vengono anche chiamati pesci velieri.
Quei voraci
abitanti del mare perseguitavano senza posa i poveri pesci volanti,
infilzandoli colla loro terribile lancia ossea quando cadevano.
«Attenti, -
disse il quartiermastro, alzandosi prontamente. - La colazione sta per giungere
e forse più copiosa di quello che crediamo. Disperdiamoci lungo la chiglia e
badate di non capitombolare in acqua. Gli sword-fish sono talvolta
pericolosi anche per gli uomini.»
I battaglioni
dei pesci volanti, seguiti furiosamente dai pesci spada e perseguitati dai
volatili, giungevano, spiccando delle volate da sessanta ad ottanta metri.
Vibravano disperatamente le loro natatoie nere, con un ronzio strano, cercando
di mantenersi in aria più che era loro possibile.
Una prima
truppa passò di volata sopra la nave, ma una ventina di loro, avendo preso male
la misura, caddero fra le alghe che coprivano lo scafo, dove rimasero
impigliati fra le foglie come nelle maglie d'una rete. Poi altri ne passarono,
urtando perfino contro i tre naufraghi, nelle loro volate impazzate, mentre gli
uccellacci piombavano da tutte le parti con un fragore di tuono ed i pesci
spada guizzavano sotto lo scafo.
Per una decina
di minuti fu un continuo passaggio di pesci e di volatili insieme, poi i
battaglioni s'allontanarono verso ponente.
«Questa è una
vera manna, - disse mastro Will, raccogliendo rapidamente i pesci che si
dibattevano fra le alghe. - Peccato non avere del fuoco e una graticola. Bah!
Cerchiamo di accontentarci. Questa carne c'impedirà almeno di morire di fame.»
La raccolta
era stata così abbondante, che essi ne avevano di troppo, non potendo
conservare i pesci per mancanza di sale. Più di dieci dozzine erano rimaste
prese fra le alghe.
«Che cosa
faremo di tutti questi?» chiese Jody.
«Ne mangeremo
finché potremo o meglio finché dureranno, - rispose Will. - Questo sole
implacabile ce li guasterà, per nostra disgrazia, troppo presto.»
Quantunque la
fame tenagliasse ferocemente i loro stomachi, esitarono tuttavia non poco prima
di decidersi a piantare i loro denti in quella carne cruda, ancora palpitante;
poi finalmente l'appetito vinse la ripugnanza e fecero una vera scorpacciata.
«Io spero che
ci abitueremo, - disse Jody, che faceva ancora delle smorfie. - Se dei
naufraghi si sono decisi a divorare, e non certo cucinati, i loro simili, noi
potremo fare altrettanto con dei pesci.»
Quel pasto
copioso, dopo tanta fame mai completamente saziata, li fece cadere ben presto
in una specie di torpore che divenne un sonno riparatore.
Quando si
risvegliarono stava per tramontare il sole ed i due prion turtur, i
graziosi uccelli marini che avevano nidificato fra le alghe della nave,
pigolavano allegramente presso di loro, beccando gli avanzi dei pesci volanti
che avevano servito da colazione.
Il
quartiermastro aveva appena dato uno sguardo all'intorno, quando i suoi
compagni lo videro alzarsi di colpo e mandare un urlo:
«Una vela! Una
vela!»
Il malabaro ed
il mulatto, in preda ad una viva agitazione, si alzarono pure precipitosamente,
chiedendo ansiosamente:
«Dove? Dove,
signor Will?»
«Laggiù, a
levante! Guardate!»
Là, dove
l'oceano si confondeva coll'orizzonte e dove apparivano le prime stelle, un
punto biancastro spiccava nettamente sulla tinta azzurro-cupo delle acque.
«Sì, una vela!
Una vela!» urlarono a loro volta il malabaro e Jody, che parevano impazziti.
«Non creiamoci
delle illusioni, amici, - disse Will che aveva riacquistato prontamente il suo
sangue freddo. - Non sappiamo ancora se si dirige verso di noi o se risale il
golfo del Bengala.»
«Signor Will,
- disse Palicur, - da dove soffia il vento?»
«Sempre da
levante.»
«Dunque
dovrebbe spingere quella nave verso ponente.»
«Coi venti a
mezzanave si cammina egualmente benissimo e quel veliero potrebbe filare verso
il sud come verso il nord.»
«Che nave vi
sembra? Guardate bene, signor Will.»
Il
quartiermastro fissò attentamente quel punto bianco che pareva ingrandisse a
poco a poco, poi, dopo parecchi minuti, disse:
«Io
scommetterei che quello è un legno indiano, una grab od un pariah,
a meno che sia invece una pinassa. Un veliero europeo non credo.»
«E vi pare che
s'accosti?» chiese Jody..
«Ho questa
speranza, perché lo vedo ora più distintamente di prima. Non sarà però qui
prima d'un paio d'ore, essendo il vento piuttosto debole. Sbarazziamoci di
queste vesti che ci tradirebbero e teniamoci pronti a gettarle in mare. Noi
dobbiamo fingerci naufraghi e non già forzati.»
«Naufraghi del
veliero? - chiese Jody. - Mettiamoci d'accordo prima, signor Will. Suggeriteci
un nome qualunque.»
«D'una nave
anglo-indiana, la Scotia per esempio, partita da Singapore per Colombo,
naufragata in pieno mare presso le Nicobare.»
«Con noi soli
superstiti,» aggiunse Palicur.
«Sì,» rispose
il quartiermastro.
«Signor Will,
s'avanza?» chiese Jody.
Il marinaio
volse nuovamente gli sguardi verso levante, ma ormai la luce si era così
affievolita verso quella direzione, che egli non poté distinguere più nulla.
Solo verso ponente un colore rossastro ancora intenso indicava il punto ove il
sole era tramontato.
«Non vedo che
delle stelle salire in cielo, - disse, con voce angosciata. - Aspettiamo: forse
scorgeremo i fanali di quella nave.»
Si sedettero
sulla chiglia, fissando ansiosamente gli sguardi verso ponente. Ogni traccia di
luce era ormai scomparsa e anche verso ponente le tenebre calavano rapidissime.
Il mare diventava color dell'inchiostro.
Passarono
alcuni minuti d'attesa angosciosa, poi un grido sfuggi dalle labbra del
quartiermastro:
«I fanali di
posizione! Là! Laggiù! La nave corre bordate!»
«Sì,» disse
Palicur, che, come abbiamo detto, aveva la vista migliore di tutti.
«Che siano
invece due stelle?» chiese Jody.
Il
quartiermastro stava per rispondere, quando lo scafo della nave subì
improvvisamente uno spostamento verso babordo, che li fece cadere l'uno sull'altro.
Nel medesimo istante si udirono dei gorgoglii strani, come se dell'acqua si
precipitasse attraverso uno spazio vuoto.
«Signor Will!
-gridò Jody, atterrito. - Che cosa succede?»
Vi furono
parecchi istanti di silenzio, poi in mezzo alle tenebre si udì la voce del
quartiermastro urlare:
«La nave
affonda!»
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