19 - Il Guercio
torna in scena
Erano appena
trascorsi cinque minuti da quel grido, che i tre naufraghi, scampati
miracolosamente a tanti pericoli, si trovavano a bordo d'un veliero
martabanese, dalle forme eleganti caratteristiche di tutte le navi birmane, la
punta assai aguzza e rialzata.
Era un piccolo
legno di forse duecento tonnellate, a due alberi, con ampie vele latine
somiglianti a quelle degli sciabecchi greci, e montato da una dozzina di
marinai dalla tinta oscura e dagli occhi un po' obliqui, col bulbo giallastro.
Il comandante,
un vecchio martabanese di aspetto simpatico nonostante la sua tinta piuttosto
fuligginosa, che indossava delle ampie vesti di tela grossolana a fiorami dalle
tinte smaglianti, e che aveva un cappello conico non certo adatto per sfidare i
venti dell'oceano, appena ebbe dinanzi i tre naufraghi e s'avvide che fra di
loro vi era un uomo bianco, senza nemmeno parlare li condusse nel casotto di
poppa, introducendoli in una stanzetta ingombra di balle di mercanzia e nel cui
centro vi era una tavola illuminata da una specie di lanterna cinese che
spandeva una luce scialba, e offrì loro premurosamente tre grandi tazze colme
di eccellente arak, dicendo nel suo inglese fantastico:
«Bevete
subito: ciò vi farà bene dopo un lungo bagno.»
Poi batté su
un piccolo gong, gridando: «La cena a questi signori.» I tre forzati,
quantunque molto sorpresi da quell'accoglienza ospitale, non essendo quell'uomo
un europeo, dopo averlo ringraziato con qualche parola, trangugiarono d'un
fiato quel delizioso liquore. Ne avevano proprio bisogno dopo quel bagno
prolungato e dopo tante sofferenze.
Avevano appena
vuotato le tazze, quando entrò il cuoco di bordo portando dei biscotti, una
terrina di riso bollito condito con guabi, un intruglio di pesci, di
erbe e di olio molto pimentato, cibo ordinario dei marinai martabanesi e
birmani, dei legumi cotti, piatto di gran lusso, parecchie tazze di tè e delle
pipe.
Quantunque
quel brav'uomo avesse fatto segno a Will che mangiasse invece di dare delle
spiegazioni, il quartiermastro pur lavorando di denti gli narrò che erano tre
marinai d'una nave inglese, capovoltasi due settimane prima in quei paraggi
durante una formidabile tempesta, mentre erano diretti all'isola di Ceylon; e
che essi erano i soli superstiti, essendo tutti gli altri scomparsi negli
abissi dell'oceano. Quella storia, come si può facilmente comprendere, fu
bevuta pianamente dal martabanese, il quale si mostrò vivamente commosso delle
dolorose sofferenze subite da quei tre disgraziati sullo scafo della nave
naufragata.
«Sicché, -
disse egli, quando il quartiermastro ebbe finito, - voi eravate diretti a
Colombo?»
«Sì,» rispose
Will.
«È la mia
rotta.»
«Me l'ero
immaginato, - disse il quartiermastro - vedendo la vostra nave veleggiare verso
ponente.»
«Ho un carico
d'indaco per quella città, - proseguì il martabanese;- sarò quindi ben lieto di
condurvi là.»
«Se non vi spiace
ci sbarcherete a Manaar, - disse Will. - Abbiamo colà degli amici che ci
aiuteranno, avendo noi perduto ogni cosa nel naufragio.»
«Dovendo
passare per lo stretto di Manaar, non ho alcuna difficoltà a lasciarvi là! Ora
andate a riposarvi e non datevi pensiero di nulla. Siete miei ospiti.»
Li condusse in
una stanzetta attigua, dove vi erano delle brande, e li lasciò, augurando
cortesemente la buona notte.
Era appena
salito in coperta, quando si trovò dinanzi a due uomini che pareva lo
aspettassero. Uno era un bianco, di forme robuste, con una massa di capelli
rossi e che indossava la divisa dei sorveglianti dei penitenziari inglesi;
l'altro pareva un indiano o per lo meno un cingalese, aveva forme più massicce,
delle braccia enormi ed un torso da bufalo, ed era privo d'un occhio.
Entrambi
parevano frenetici, perché investirono subito il martabanese con un serqua
d'insolenze: «Stupido.»
«Imbecille!»
«Dovevi
lasciarli annegare!»
«Almeno la
nostra missione sarebbe finita e nessuno sarebbe tornato a galla.»
«E ti avremmo
pagato la loro morte.»
Il martabanese
guardava con stupore or l'uno or l'altro, come se non comprendesse affatto il
motivo di quel violento scoppio d'ira.
«Spiegatevi,»
disse finalmente, avviandosi verso prora onde i naufraghi non potessero udire
nulla.
«Quei tre
uomini che tu hai stupidamente salvato sono quelli che andavamo a cercare alle
peschiere di Ceylon, - disse l'uomo di colore che mancava dell'occhio. - Il
comandante del penitenziario di Port-Cornwallis t'ha ben detto che noi c'imbarcavamo
sul tuo legno per andare a scovare quei bricconi fuggiti alcune settimane or
sono.»
«Sì, me lo ha
detto, ma io non entro nei vostri affari. Io vi ho imbarcato come passeggeri,
perché avete pagato, e mi sono impegnato di condurvi a Ceylon e null'altro,»
rispose il martabanese.
«Ti dico che
quei naufraghi sono forzati, che noi dovevamo riprendere.»
Il martabanese
alzò le spalle.
«Vi ripeto che
sono affari vostri. Io non sono suddito anglo-indiano, né devo perciò obbedire
a chicchessia. Ho trovato quei tre uomini in mare, morenti di fame e li ho
raccolti come avrebbe fatto qualunque marinaio. Che siano forzati o no, ciò non
mi riguarda.»
«E che cosa
intendi fare di costoro?» chiese l'uomo bianco dai capelli rossi.
«Li deporrò a
Manaar perché mi hanno pregato di sbarcarli alle peschiere.»
«Io ti farò
dare un premio se tu li farai legare e li consegnerai al governatore di
Colombo.»
Il martabanese
aggrottò la fronte. «La gente della mia razza non tradisce l'ospitalità,» disse
con voce secca.
«Lascia che li
leghiamo noi mentre dormono,» disse il compagno del sorvegliante.
«Non ve lo
permetterò mai. Siete sulla mia nave e qui comando io solo.»
«Hai ragione,
- disse il sorvegliante, che aveva compreso d'aver a che fare con un uomo non
facile a cedere. - Penseremo noi a riprenderli appena porranno piede sul
territorio inglese; tu però devi prometterci di non avvertirli della nostra
presenza a bordo della tua nave, se non vuoi avere dei gravi dispiaceri. Il
governo inglese non scherza e potrebbe confiscare il tuo carico appena giunto a
Colombo.»
«Io non dirò
loro nulla,» rispose il martabanese.
«Noi fino al
momento dello sbarco rimarremo nascosti nella camera di prora, - proseguì il
sorvegliante, - né usciremo finché la tua nave giungerà ai banchi di Manaar.»
«Sta bene.»
«Dove
sbarcherai i naufraghi?»
«A Manaar.»
«Sapremo
ritrovarli,» disse il sorvegliante.
Il martabanese
contrasse le labbra ad un risolino sardonico e volse loro le spalle dirigendosi
verso poppa.
«È il diavolo che
ce li ha mandati, - disse il sorvegliante, quando furono soli. - Tu non credevi
certo a tanta fortuna, è vero, Guercio?»
«Non mi sono
ancora rimesso dalla sorpresa, - rispose il cingalese, poiché era proprio il
rivale di Palicur. - Cani, avrò la mia vendetta! Avevo detto al comandante del
penitenziario che li avrei ritrovati, ma non credevo di rivedermeli dinanzi
così presto.»
«E anch'io mi
vendicherò di quel maledetto mulatto che col suo ginepro mi ha fatto perdere i
galloni! - disse l'irlandese, digrignando i denti. - Volpone dannato! Mentre
scappava io mi ubriacavo stupidamente colla bottiglia che mi aveva regalato.»
«Voi riavrete
i vostri galloni ed io la mia libertà. Il comandante me l'ha promessa se
riuscirò ad acciuffare quei tre bricconi, e vedrete che non sfuggiranno al
Guercio. Quando li avremo rimandati al penitenziario, allora mi occuperò di
Juga. Due anni di galera non hanno soffocato la passione che mi arde nel cuore.
Mia o della morte.»
«Dimmi un po',
Guercio, come hai saputo tu che erano diretti alle peschiere?»
«Ho sorpreso
un giorno i loro discorsi.»
«Quel giorno
che il malabaro ti ha appioppato quel pugno?»
«Sì, - disse
il cingalese la cui fisonomia aveva assunto, a quel ricordo, un aspetto feroce.
- Poi potei ascoltarli ancora, quando erano nella cella che si trovava accanto
alla mia. Quegli stupidi non pensavano che si può udire tutto attraverso una
parete di legno.»
«E che cosa
vanno a fare alle peschiere?»
«A cercare la perla
sanguinosa, senza la quale sarà impossibile a Palicur poter liberare Juga.
Egli deve sapere dove si è annegato il ladro che la rubò alla pagoda.»
«E tu non lo
sai?»
«Lo ignoro,
non essendo mai stato pescatore di perle, né avendo mai avuto aderenze con
quegli uomini.»
«Ma se noi li
arresteremo subito, come farai a sapere dove si trova? Palicur non te lo dirà.»
«Non potremo
farlo prendere finché non porrà piede sul territorio cingalese, - disse il
Guercio, - e non sbarcherà di certo finché non avrà trovato la perla. Quando
sarà in nostra mano, gliela prenderò. Voi sapete che il comandante di
Port-Cornwallis mi ha dato pieni poteri, sotto il vostro controllo è vero, e mi
ha concesso di agire come meglio mi talenta pur di acciuffarli tutti e tre.»
«Che sbarchino
su qualunque punto della costa e li farò subito legare, - disse il
sorvegliante. - Tengo in tasca una lettera del comandante per la polizia di
Colombo e di Areppuwa e li farò fermare prima che si rifugino sul territorio
del rajah di Candy. Io vorrei ora sapere per quale caso inaudito li abbiamo
trovati qui, senza il battello a vapore dove si erano rifugiati per sfuggire
alle ricerche dei Nizam.»
«Suppongo che
siano rimasti nascosti in qualche isola delle Nicobare,» rispose il cingalese.
«E della loro
scialuppa, che cosa sarà successo?»
«Sarà stata affondata
da qualche ciclone, signor Foster. Le burrasche sono frequenti in questi mari.»
«Hanno avuto
una bella fortuna, Guercio.»
«Che non
durerà molto, ve l'assicuro.»
«Lo credo
anch'io. Andiamo a vuotare una bottiglia; ne ho ancora alcune nella mia cassa.»
Il forzato ed
il sorvegliante si presero a braccetto come due vecchi amici e scesero nella
camera di prora, dove russavano i marinai della guardia franca, quasi tutti
martabanesi.
Il
quartiermastro ed i suoi compagni, ignari del grave pericolo che li minacciava,
dormirono beatamente dodici ore senza interruzione. Era veramente la prima
notte, dopo la loro fuga dal penitenziario, che riposavano su una branda.
Quando salirono in coperta, il sole era già alto ed una fresca brezza spingeva
a corsa rapidissima il leggero veliero in direzione di Ceylon. Il capitano, che
pareva nutrisse una vera simpatia per quei poveri diavoli, fece subito servire
loro un'abbondante colazione, ma non parlò affatto della presenza a bordo del
sorvegliante e del suo compagno.
Durante tutto
il giorno il piccolo legno, che era un bravo camminatore, continuò la sua
marcia verso ponente con due quarti al sud, e prima che il sole tramontasse
l'equipaggio avvistava finalmente la punta di Palmyra, la più settentrionale
della grande isola di Ceylon.
All'indomani
il veliero imboccava il vasto canale di Manaar che separa l'estremità
meridionale della penisola Indostana e l'isola di Ceylon, bagnando le coste
orientali della prima e quelle occidentali della seconda.
Alle dieci di sera
il faro dell'isola di Manaar era in vista e qualche ora dopo il veliero gettava
l'ancora nella baia di Condatchy.
«Rimanete per
questa notte ancora, - disse il martabanese a Will, che si mostrava impaziente
di sbarcare. - Credo che sarà meglio per voi. Ditemi innanzi tutto se avete
degli amici fidati fra i pescatori di perle.»
«Perché mi
fate questa domanda?» chiese il quartiermastro, un po' stupito dal tono
misterioso e dall'aria imbarazzata del martabanese.
«Ve lo dirò
domani; per ora non posso spiegarmi di più.»
«Chi credete
che siamo?» chiese Will a cui era nato un sospetto.
«Per me, dei
naufraghi che io devo proteggere finché siete miei ospiti. Rispondete alla
domanda che vi ho fatto. Avete degli amici fra i pescatori?»
«Sì, - disse
Palicur, che assisteva al colloquio. - Quasi tutti mi conoscono qui.»
«Allora è
meglio che vi faccia scendere in qualche barca di pescatori, anziché a terra.
La Città delle perle potrebbe offrirvi dei pericoli in questi momenti, - disse
il martabanese. - Non si è più sicuri là.»
«Che cosa è
successo in quella cittaduzza?» chiese Palicur con ansietà.
«Vi prego di
non interrogarmi per ora. Siete miei ospiti, quindi nulla avete da temere da
me. Andate a dormire e quando domani le barche dei pescatori passeranno per
recarsi ai banchi, vi darò delle spiegazioni che potranno esservi molto
preziose.»
Comprendendo
che sarebbe stato inutile insistere, Palicur, Will e Jody, quantunque molto
preoccupati per quelle parole, tornarono nella loro cabina, ma non riuscirono a
chiudere gli occhi, quantunque sembrasse loro assolutamente inammissibile che
quel martabanese avesse potuto indovinare in loro dei fuggiaschi dal bagno di
Port-Cornwallis.
Quando il
colpo di cannone, sparato dalla vicina stazione d'Agrippo, annunciante che le
barche da pesca stavano per lasciare la Città delle perle onde recarsi sui
banchi di Manaar, rimbombò sul mare, erano ancora svegli. Salirono lestamente
in coperta e non notarono alcun che di straordinario. Il capitano del veliero
stava seduto sul coronamento di poppa, masticando un pizzico d'areca, e quattro
marinai si preparavano a mettere in acqua una delle due scialuppe.
«Le barche da
pesca escono dalla baia, - disse il martabanese muovendo verso i naufraghi,
mentre un ragazzo accorreva con delle tazze colme di tè fumante. - Se volete
sbarcare, tenetevi pronti.»
Infatti,
quantunque cominciasse appena allora ad albeggiare, un numero infinito di
grosse barche a vela, montate da venti o trenta pescatori, lasciavano gli
ancoraggi, dirigendosi lentamente verso l'alto mare. Trovandosi il veliero
martabanese fermo quasi all'entrata della rada, dovevano per necessità passarvi
dinanzi.
«Noi vi
ringraziamo, capitano, dell'ospitalità accordataci e d'averci salvato la vita,
-,disse Will, - però dovete compiere la vostra buona opera spiegandoci le
oscure parole che avete pronunciato ieri sera.»
«Ora che se ne
sono andati, nessuno più m'impedisce di avvertirvi del pericolo che vi
minaccia,» disse il martabanese.
Sputò, in
mezzo ad un getto di saliva rossa, il pezzo di noce d'areca che stava
masticando, poi riprese:
«Otto giorni
or sono, costrettovi da una furiosa tempesta, ho dovuto cercare un rifugio a
Port-Cornwallis.»
«A
Port-Cornwallis!» esclamarono ad una voce Will, Palicur ed il mulatto.
«Il comandante
del bagno, avendo appreso dai miei uomini che io ero diretto a Ceylon, mi fece
chiedere se volevo imbarcare un sorvegliante ed un forzato, incaricati di
rintracciare tre fuggiaschi che supponeva si fossero diretti alle peschiere di
Manaar.»
«Ah! maledetto
Guercio! - ruggì Palicur. - È lui che ci ha tradito!»
«Guercio! -
disse il martabanese. - Si chiamava appunto così, il compagno del
sorvegliante.»
«Era un
cingalese?» chiese il quartiermastro, che ostentava una grande calma.
«Sì, molto
grosso, con un occhio solo.»
«E l'altro?»
«Era un
omaccio col naso rosso, i capelli ed i baffi rossastri; un gran bevitore,
perché finché fu sul mio legno non fece altro che vuotare bottiglie di liquore.
Ne aveva portato con sé due casse piene.»
Nonostante la
gravità di quelle informazioni, Jody non poté trattenere un gran scoppio di
risa.
«Il mio
irlandese! - esclamò, tenendosi il ventre. - Quello sarà furibondo con me! Il
comandante ha avuto buon naso a scegliere lui!»
«Continuate, -
disse Will al martabanese. - Dove sono sbarcati quegli uomini?»
«Hanno
lasciato il mio legno ieri sera.»
«Come!»
esclamarono ad una voce il quartiermastro e Palicur, credendo di aver udito
male.
«Sì, ieri
sera.»
«Erano a bordo
quando ci raccoglieste?» chiese Will.
«E devono
avervi riconosciuto perché volevano che io vi facessi legare.»
«Ah!
miserabili! - esclamò il malabaro. - Se l'avessi saputo li avrei gettati in
mare. Avete fatto male a non avvertirci.»
«Mi avevan
minacciato di farmi confiscare la nave dalle autorità inglesi di Colombo se vi
avessi detto qualche cosa, e voi sapete che gli anglo-indiani non scherzano,»
disse il capitano.
«Avete
ragione, - disse Will. - Vi ringrazio di non aver ceduto alla richiesta di
quegli uomini.»
«Vi voglio
dare un consiglio.»
«Parlate.»
«Non fatevi
vedere nella Città delle perle. Essi vi aspettano là per farvi arrestare.»
«Ho numerosi
amici fra i pescatori, - disse Palicur. - Sapranno proteggerci, non temete. Ah!
Ecco la barca del mio amico Jopo! La riconosco ancora. Signor Will, ecco l'uomo
che ci salverà contro le insidie della polizia anglo-indiana. È il capo, da
tutti riconosciuto, della corporazione dei pescatori di perle, e così noi più
nulla avremo da temere.»
Una grossa e
bella barca, montata da una quarantina di persone fra palombari e mandahs,
ossia pescatori incaricati di sollevare i primi dai fondi marini, e guidata da
un bell'indiano di alta statura, molto magro, con una lunga barba assai
brizzolata e occhi vivissimi, la testa coperta d'un turbante monumentale a
vivaci colori, s'avanzava in quel momento verso il legno martabanese, colle
ampie vele spiegate.
«È su quello
che volete imbarcarvi?»
«Sì,» rispose
Palicur.
Una delle mie
scialuppe è pronta a condurvi. Vi auguro buona fortuna, e guardatevi dalla
polizia anglo-indiana.»
I tre
ex-forzati, dopo averlo caldamente ringraziato, scesero frettolosamente nella
scialuppa, e pochi minuti dopo si trovavano al sicuro a bordo della grossa
barca del capo dei pescatori di perle.
|