3 - La scialuppa
misteriosa
Il mandah,
appena tornato a bordo della sua barca, fece accendere i fanali regolamentari e
ordinò di mettere la prora a levante, volendo giungere alla Città delle perle
ai primi albori.
Una fresca
brezza che soffiava da settentrione favoriva il viaggio di ritorno. Il mare era
calmo e solo di quando in quando l'eterna onda dell'Oceano Indiano passava
rumoreggiando sotto lo scafo, sollevandolo bruscamente e lasciandolo ricadere
fra una miriade di spruzzi.
La luna
cominciava allora a mostrare il faccione ancora rossastro a fior d'acqua,
tingendo all'orizzonte le acque di bagliori d'oro che diventavano rapidamente
argentei. Pareva che invitasse i naviganti a seguirla e sorridesse loro
malinconicamente.
Il mandah,
seduto sotto il casotto, con una mano sulla barra del largo timone, fumava
flemmaticamente una grossa pipa adorna di perle, gettando all'aria buffi di
fumo che i primi raggi dell'astro notturno tingevano di riflessi azzurrognoli.
Vegliava però
e attentamente. Il punto luminoso tornava verso il nord e sopra di esso si
vedevano volteggiare, di tratto in tratto, delle faville che subito si
spegnevano.
Al pari dei
tre ex-forzati non era tranquillo. Gli sembrava impossibile che la scialuppa a
vapore - giacché era ben certo che si trattasse di quella - lo avesse così
ostinatamente seguito, col solo scopo d'impedirgli di pescare le perle
fraudolentemente, nelle ore proibite dai regolamenti.
Qualche altro
motivo doveva averla costretta a non perdere di vista la sua barca, e quale? Il
pescatore si rivolgeva incessantemente quella domanda, senza esser capace di
formulare una risposta.
«Se non avessi
veduto coi miei occhi la bandiera inglese sventolare a poppa, si potrebbe
supporre che quelle persone hanno l'intenzione di abbordarmi per saccheggiare
la mia nave, - disse. - E poi, che vogliano tentare un simile colpo, qui, così
presso al banco che è guardato dai rimorchiatori del governo, non lo si può
ammettere. Eppure non cessa di seguirmi!»
Infatti il
punto luminoso era apparso a poppa della barca e seguiva nuovamente la sua
scia, avanzandosi a piccolo vapore.
Moselpati per
mostrare a quegli spioni che non aveva nessuna intenzione di frodare il
governo, manovrò in modo da tenersi molto a settentrione del banco, poi verso
le tre del mattino, quand'ebbe avvistato le ultime barche, mise la prora verso
la costa di Ceylon, puntando sulla Città delle perle.
Cominciavano
ad impallidire le stelle quando scorse il fanale che segnava l'entrata della
piccola rada.
«Sarete
contenti, curiosi, - disse lanciando uno sguardo irato al punto luminoso. -
Maledetti inglesi! sospettano sempre!»
Quasi nel
medesimo istante vide alzarsi sulla scialuppa un nembo di scintille, poi il
punto luminoso ingrandì a vista d'occhio, passò colla rapidità del lampo a
babordo della barca e scomparve entro la rada.
Moselpati
lasciò il timone ad uno dei suoi piloti e si recò a prora per comandare la
manovra, essendo la rada ingombra di barche che si preparavano ad uscire per
recarsi al banco a ricominciare la pesca. Il cannone aveva già tuonato alla
stazione d'Agrippo, dando il segnale della partenza. La barca, abilmente
manovrata, filò fra le prime squadriglie di pescatori e andò a gettare l'ancora
a quaranta passi dalla riva.
La Città delle
perle è una città effimera che dura finché vi sono i pescatori e che poi
scompare con la stessa rapidità con cui è sorta. È un caos di baracche
improvvisate, formate con tavole e stuoie e paglia, con recinti per deporvi le
ostriche e vie larghissime che sono popolate da una folla cosmopolita.
Nasce in un
lampo, perché si costruisce quarant'otto ore prima dell'apertura della pesca,
ed è veramente meravigliosa la rapidità con cui sorge. Quella magnifica
spiaggia, che per cinque mesi è deserta, spazzata solo dalle onde dell'Oceano
Indiano e bruciata dal sole, si copre d'una vera moltitudine d'abitazioni e,
come tutte le città orientali, non manca del suo bazar, dove si vendono le cose
più disparate dei due mondi.
Arabi,
indiani, persiani, turchestani, europei, vi piombano subito sopra come uno
stormo di cavallette, mettendo a dura prova la pazienza delle guardie di
polizia, che hanno un gran da fare a sorvegliare tutte quelle persone, fra le
quali si celano non pochi furfanti.
Per la maggior
parte, quei forestieri sono mercanti di perle, che si disputano accanitamente
le più belle e cercano d'ingannarsi a vicenda. Il puzzo insopportabile che
tramandano quei milioni e milioni di ostriche lasciate a corrompersi entro i
recinti, e le incomodità che offre quella città improvvisata, priva d'alberghi,
sembra non diano alcun fastidio a tutti quei compratori, calati come uno stormo
d'avidi avvoltoi dalle più lontane città del mondo.
Il mandah
fece scaricare le ostriche, raccolte il giorno innanzi, nel recinto di sua proprietà,
poi quando quell'operazione fu terminata, scese a terra, aprendosi il passo fra
una moltitudine di persone che ingombrava la riva, riunitasi a disputare la
parte del raccolto spettante al governo, e si diresse verso una baracca formata
di stuoie e di bambù intrecciati alla bell'e meglio, dinanzi alla quale
sonnecchiavano parecchi palombari e comandanti di barche.
Entrò, facendo
cenno ad uno di quei capitani di seguirlo e, dopo un breve colloquio con
costui, tornò ad uscire, dicendogli:
«Mi hai compreso?
Silenzio assoluto, cento rupie da guadagnare e che questa notte tu sia
all'isolotto dove l'uomo che deve recarsi a Colombo ti aspetta. Ti raccomando
che siano uomini scelti e bada che l'associazione dei pescatori di perle tiene
gli occhi aperti su di te.»
«E la somma
che devo consegnare ai tuoi amici?»
«La ritirerai
da El Sadak, il banchiere dell'associazione. Basta che tu gli mostri questo
anello, - rispose il mandah togliendosi da un dito una verghetta d'oro
che portava una piccola stella formata da sei perline. - Va' e sii discreto.»
Stava per
tornare verso la sua barca, quando fu accostato da un europeo di forme
massicce, con una foresta di capelli rossi e baffi d'egual colore, che
indossava un vestito di leggera flanella bianca e portava un cappello a forma
d'elmo con un lungo velo verde.
«Scusate,
capitano, - gli disse, piantandoglisi dinanzi. - Voi siete un pescatore di
perle, è vero?»
«Sì,» rispose
Moselpati, dopo averlo squadrato attentamente.
«Io desidero
avere da voi delle informazioni sulla pesca delle perle. Sono un corrispondente
di giornali, m'hanno inviato qui apposta.»
Il mandah
stava per aprire le labbra, quando l'inglese lo prevenne, dicendogli:
«Io pago e non
vi farò perdere il vostro tempo. Mi basterà una mezz'ora.»
«Gli è che sono
molto occupato in questo momento.»
L'inglese
aggrottò la fronte, poi disse con voce quasi minacciosa:
«Sono un
europeo sotto la protezione del governo e credo che un indiano non potrà
rifiutare cento rupie per poche parole. Siete diventati tanti nababbi oggi,
voi?»
«Questo è un
altro parlare, - disse Moselpati. - Nessun pescatore di perle rifiuterebbe una
simile somma, che noi non riusciamo sovente a guadagnare in ventiquattr'ore di
tuffi continui. - Poi, come parlando fra sé, mormorò: - Perdo la giornata di
pesca e ne guadagno una più sicura. Sivah mi protegge.»
L'inglese
attendeva la risposta, sferzandosi i calzoni con un frustino che teneva in
mano.
«Accetto,
purché non si tratti che di una sola mezz'ora, - disse il mandah. - I
miei uomini mi aspettano.»
«Avranno dieci
rupie per bere dell'arak,» rispose l'inglese.
«È lui il
nababbo, - pensò Moselpati. - Non tutti i giorni si trovano simili fortune! È
meglio approfittarne, giacché perdo la pesca di quest'oggi. - Poi, alzando la
voce, disse: - Sia, sir, sono a vostra disposizione per mezz'ora e anche per
un'ora, se lo desiderate.»
L'inglese girò
intorno uno sguardo come se cercasse qualche luogo ove sedersi, poi disse:
«Non vi
spiacerebbe seguirmi fino al mio albergo? Vi offrirò la colazione.»
«Andiamo,»
rispose il mandah, che fino allora non aveva avuto tempo di porre nulla
sotto i denti.
«Seguitemi.»
L'inglese si
mise a fianco dell'indiano e nella sua qualità di europeo si aprì il passo fra
la folla, usando il frustino. Risaliva verso l'estremità orientale della Città
delle perle, fumando con flemma tutta britannica una corta pipa, carica d'un
pessimo tabacco.
Attraversò
così, senza affrettare il passo, parecchie vie fiancheggiate da casupole
improvvisate e si fermò finalmente dinanzi ad un baraccone cinto da una
palizzata formata di stuoie e di bambù intrecciati, sulla cui porta si vedeva
una colossale perla fatta con un miscuglio di madreperla stritolata ed
impastata con chissà quale preparato.
Vi entrò da
uomo che è come in casa sua, e si sedette dinanzi ad una tavola che si trovava
in una specie di gabinetto, le cui pareti erano formate da stuoie tese alla
meglio.
Un indiano
subito accorse, mostrando verso l'inglese una grande deferenza, e gli chiese
che cosa desiderasse.
«Due bistecche
e delle bottiglie del miglior liquore, - rispose il corrispondente dei giornali
con un certo sussiego, - e soprattutto che nessuno m'importuni. Ditelo al
proprietario o io me ne andrò.»
Non erano
trascorsi cinque minuti che l'indiano tornava con due costolette e due bottiglie
assai polverose coi relativi bicchieri.
«Mangiate
prima di tutto, capitano, - disse l'inglese, rivolgendosi a Moselpati. - Vi
saranno altre bottiglie da vuotare, quando queste saranno asciutte.»
Il mandah
non si fece ripetere due volte l'invito e trincò allegramente. Intanto
l'inglese lo interrogava sulla pesca delle perle e prendeva degli appunti su un
libriccino, guardando di quando in quando l'orologio. Dopo le costolette fece
portare del carri, quindi del pesce e finalmente una bottiglia di rak.
Quando
credette di aver notato particolari sufficienti, stappò la bottiglia e ne versò
al mandah, dicendogli:
«Vale cinque
rupie: deve essere eccellente. Assaggiate, capitano.»
Moselpati che,
come tutti gli uomini di mare, amava le bevande spiritose, tracannò d'un fiato
il rak, ma tosto fece una smorfia orribile.
«Raggio di
Sivah! - esclamò. - Che cosa hanno mescolato a questo liquore?»
«Eh?» fece
l'inglese.
«È amaro come
se vi avessero messo dentro un veleno.»
«Sarà un gusto
cattivo che avete in bocca, - rispose con calma l'inglese, guardandolo
ironicamente.»
«Raggio di
Visnù! Non è la mia bocca, sir! La testa mi gira come se avessi bevuto una
pinta di gin.»
«Ora assaggerò
io, se il trattore mi ha ingannato, lo getto fuori dalla sua baracca a pedate.»
Quell'assaggio,
d'altronde non desiderato, non fu necessario. Il mandah tutto d'un
tratto si irrigidì, mentre i suoi occhi diventavano vitrei. Pareva fosse stato
fulminato da una scarica elettrica.
«Imbecille! -
mormorò l'inglese, ridendo. - Sei caduto in trappola come un sorcio alle sue
prime scorrerie.»
Batté il pugno
sul tavolo ed entrò un cingalese di forme massicce, privo d'un occhio.
«È fatto?»
chiese, rivolgendosi all'inglese.
«Non si muove
più, mio caro Guercio.»
«Siete sicuro,
signore, che questo sia proprio il mandah che li ha ricevuti sulla
barca?»
«L'ho seguito
sempre dopo il suo sbarco. A me, sorvegliante del bagno, un uomo non sfugge,
quando mi metto sulla sua pista. Getta via il contenuto della bottiglia e fa'
avanzare il carro. Hai pagato il padrone dell'albergo?»
«Sì e non
parlerà; d'altronde crede in buona fede che si tratti di un semplice scherzo,»
rispose il cingalese.
«Sei un furbo
matricolato, Guercio,» disse l'inglese o meglio l'irlandese, poiché era il
sorvegliante del bagno di Port-Cornwallis a cui Jody aveva fatto quel pessimo
tiro.
«Voglio
ricondurlo al bagno, quel cane di Palicur, - rispose il cingalese con voce
rauca. - Che egli torni ancora laggiù e che io sia libero, giacché tengo nella
mia fascia la promessa del comandante di farmi graziare.»
«Ed io voglio
ricondurvi Jody e quel dannato quartiermastro insieme, - disse l'irlandese. -
Basta, fa' avanzare il carro. Non con le chiacchiere li riporteremo alla grande
Andamana.»
Il Guercio
uscì rapidamente e qualche minuto dopo rientrò dicendo:
«È dinanzi
alla porta.»
«Prendi questo
imbecille per le gambe, mentre io lo sorreggo per le braccia.»
«E se qualcuno
ci vede?»
«Diremo a quei
curiosi, se ve ne saranno, che è ubriaco, - rispose l'irlandese. - Su,
aiutami.»
Sollevarono il
povero mandah che non dava più segno di vita e lo portarono fuori dalla
trattoria.
Dinanzi alla
porta stava fermo un enorme carro colla cassa dipinta in azzurro cielo, coperto
da una grossa tenda sorretta da colonnette, tirato da quattro paia di quei
piccoli bovi, colla gobba alta, che si chiamano zebù. Un ragazzo cingalese,
armato d'un lungo pungiglione, li guidava.
L'irlandese ed
il Guercio sdraiarono il mandah su un materasso collocato entro il
carro, abbassarono la tela e si sedettero sul davanti della cassa, dicendo al
ragazzo:
«Avanti!»
I bovi
partirono a piccolo trotto, facendo scricchiolare fragorosamente il pesante
rotabile, e dirigendosi verso l'estremità occidentale della Città delle perle.
Nessuno aveva
prestato attenzione al carico del mandah, quantunque anche quella via
fosse affollata di cingalesi, d'indiani, di ebrei, di persiani e di europei,
tutti intenti a contrattare perle ed ostriche.
La corsa durò
venti minuti, poi il carro si fermò dinanzi ad una capanna isolata, meglio
costruita delle altre e difesa da una cinta altissima, che non permetteva a
sguardi indiscreti di vedere ciò che facevano i suoi inquilini.
L'irlandese ed
il Guercio aprirono la stecconata, levarono dal materasso il mandah e lo
portarono nella capanna, mentre il ragazzo, che aveva ricevuto una rupia,
s'allontanava frettolosamente col suo carro ed i suoi zebù.
L'interno di
quell'abituro sembrava non avesse, almeno fino ad allora, servito ad alcun
inquilino, non essendovi che una semplice stuoia e quattro mezze noci di cocco
chiuse con dei coperchi d'argilla.
L'irlandese ed
il Guercio deposero il mandah sulla stuoia e lo osservarono attentamente
per parecchi minuti.
«Puoi farlo
tornare in sé?» chiese finalmente il sorvegliante.
«È una cosa
facilissima, signor Foster,» rispose il cingalese.
Si frugò nella
fascia ed estrasse una piccola fiala contenente un liquore rossastro, poi si
levò il coltello e ne introdusse la punta fra i denti del mandah, che
erano bene stretti.
«Non guastarmelo,»
disse l'irlandese.
«Non temete,»
rispose il Guercio.
Con uno sforzo
schiuse i denti del pescatore e gli versò in bocca cinque gocce di quel
misterioso filtro.
Sembrò che una
scossa elettrica avesse colpito Moselpati. Sbarrò gli occhi che prima teneva
socchiusi e d'un colpo solo, senza bisogno d'aiuto, s'alzò a sedere,
comprimendosi con ambo le mani il cuore.
«Brucio!»
esclamò.
«Passa subito,
- rispose il cingalese sorridendo. - Come stai, vecchio mio? Mi riconosci? Sono
trascorsi molti mesi, è vero, ma tu devi avere ancora buona memoria. Guardami
bene, Moselpati.»
Il mandah
era rimasto immobile, colla bocca spalancata e gli occhi sbarrati, fissi sul
cingalese.
«Orsù, un
piccolo sforzo di memoria, - disse il Guercio, con accento beffardo. - È
impossibile che tu non ti ricordi più di Kolloma, che hai veduto più volte
nella capanna del vecchio Chital?»
Il mandah
continuava a guardarlo senza dire verbo. Tuttavia il suo viso a poco a poco si
alterava, dimostrando un vivo senso d'angoscia che non sfuggiva al sorvegliante
ed al suo compagno.
«Vuoi un
bicchiere d'acqua per scioglierti la lingua e per rischiararti la memoria? -
gli chiese il cingalese, sempre beffardo. - Possibile che il tuo cervello si
sia fossilizzato? Mi riconosci sì o no? Fruga bene nel tuo cervello, mio
vecchio.»
«Sì, ti ho già
veduto, - rispose finalmente Moselpati. - Eri allora un pescatore di pesce, e
oggi che cosa sei? Mi hanno detto che ti avevano condotto a Port-Cornwallis.
Come ti trovi ora qui?»
«Sono cose che
non ti riguardano,» disse il cingalese.
«Ti hanno
graziato o sei fuggito?»
«Se fossi
fuggito non sarei certo venuto qui, in questa città che ora pullula di guardie
e di poliziotti. Ah! Moselpati, la vecchiaia incretinisce troppo presto certi
uomini. Dunque sai chi sono?»
«Sì, - rispose
il mandah. - Ti ho infatti veduto più di una volta nell'abitazione del
vecchio Chital. Ora mi spiegherai perché mi hai fatto condurre qui e perché
questo inglese mi ha dato da bere un narcotico.»
«Adagio,
vecchio mio, per ora lascia tranquillo questo signore, che non ha alcun
desiderio di darti delle spiegazioni, e rispondi invece alle mie domande. Chi
erano quelle tre persone che ieri notte hai preso a bordo della tua barca,
mentre ti dirigevi verso il banco?»
Moselpati
trasalì e guardò fisso per qualche istante il cingalese, poi accortosi che quel
silenzio avrebbe potuto mettere in sospetto i due bricconi, rispose subito:
«Ho preso a
bordo due buoni palombari ed un abile marinaio che mi erano necessari.»
«Da dove
venivano quelle persone?» chiese il Guercio.
«Da Martaban,
dove li avevo fatti arruolare da un mio amico che si trova in Birmania.»
«Ne sei ben
certo?»
«Che cosa vuoi
dire, Guercio?» chiese il mandah con voce irata.
«Che tu cerchi
d'ingannarmi.»
«A quale
scopo?»
«Lo saprai in
seguito. Uno di quegli uomini è un inglese, è vero?»
«Sì, un bravo
pilota.»
«E si chiama?»
«Hollydae.»
«E gli altri
due?»
«Non ho ancora
chiesto il loro nome.»
Il Guercio
scoppiò in una risata.
«Vecchio imbecille!
- gridò. - Mi credi un ragazzo? Giacché non sai chi sono, ti dirò io dunque che
l'inglese si chiama Will, il mulatto Jody ed il terzo Palicur e che sono
fuggiti dal bagno di Port-Cornwallis. È così, vecchio Moselpati?...»
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