4 - Un supplizio
orribile
Il mandah,
udendo quelle parole, non poté trattenere un gesto di spavento e anche di
collera.
Se quel
furfante conosceva così bene i tre ex-forzati, vi era il pericolo che le
autorità inglesi andassero a scovarli per rimandarli poi al bagno. Nondimeno,
quantunque comprendesse bene che ormai ogni tentativo per ingannare quel furbo
matricolato era assolutamente inutile, tentò di resistere.
«Tu sei pazzo,
- disse al Guercio. - Quegli uomini non sono mai fuggiti da un bagno, sono persone
oneste che pescavano perle nella baia di Martaban, e che non hanno mai portato
questi nomi. Tu ti sei sbagliato, e di molto. Va' a cercare altrove quegli
individui di cui hai parlato e non già sulla mia barca.»
«Non occorre,
e se quelli non fossero veramente i tre ex-forzati, basterebbe una parola sola
per provarti che io non mi sono ingannato.»
«Pronunciala
dunque.»
«Perché ti sei
affrettato a nasconderli? Tu, finita la pesca, non sei tornato come le altre
barche alla Città delle perle.»
«Chi ti ha detto
questo?» gridò il mandah.
«Ti abbiamo
seguito e spiato.»
«La scialuppa
a vapore!» si lasciò sfuggire incautamente Moselpati.
«Era montata
da noi, mio caro, - rispose il Guercio. - Io sapevo che quegli evasi erano a
bordo del veliero martabanese e appena sbarcato qui, ho noleggiato la scialuppa
e sono giunto ancora in tempo per vederli trasbordare sulla tua barca.
«Getta pure le
tue carte, vecchio mio. La partita l'ho guadagnata io e per ora non ti
accorderò nessuna rivincita.»
Moselpati era
rimasto come fulminato da quelle inattese rivelazioni. Per parecchi istanti fu
incapace di trovare una frase, poi, guardando bene in viso il miserabile, gli
disse con accento di sfida:
«E se così
fosse? Che cosa esigi da me? Bada che qui non siamo né in mezzo a una jungla,
né in un deserto e che nella Città delle perle non mancano dei poliziotti.»
«La polizia ha
altro da fare in questo momento che occuparsi di noi, vecchio mandah, -
disse l'irlandese. - Non verrà a disturbare le nostre piccole operazioni.»
«Infine che cosa
volete da me? - urlò il pescatore, che cominciava a perdere la pazienza. -
Siete della gente onesta o dei furfanti?»
«Un po'
dell'uno e un po' dell'altro, - rispose il cingalese, ridendo sguaiatamente. -
Non scaldarti tanto, vecchio, e continua a rispondere. Che cosa sono venuti a
fare qui quegli uomini?»
«Andate a
domandarlo a loro.»
«Tu devi
saperlo.»
«Io non
conosco i loro segreti.»
«Bada,
Moselpati! - disse il cingalese con voce minacciosa. - Tu non uscirai se prima non
ci dirai il motivo che li ha spinti a venire qui, invece di fuggirsene lontano.
Palicur vorrà certo liberare la figliola di Chital.»
«Allora se sai
tutto, è inutile che secchi me,» disse il mandah.
«Voglio sapere
in quale modo cercherà di liberarla, e siccome tu sei suo amico, voglio che tu
me lo dica. Quella fanciulla che io ho amato forse più intensamente di quel
maledetto indiano, non deve finire fra le sue braccia. O mia o della morte,
m'intendi, vecchio?»
«Vattela a
prendere, se ti preme tanto, - disse il mandah. - Per me le mie donne
sono le ostriche perlifere e più oltre non vado. Sono un pescatore di perle io,
m'intendi, Guercio?»
«Il quale sa
dei segreti che non vuole svelare, - rispose il cingalese, e rivolgendosi
all'irlandese disse: - Bah! Quelle piccole e brave bestioline lo faranno
gridare meglio d'un pavone. Ne rispondo io.»
«Tu sei una
canaglia, Guercio!»
«Che io sia un
uomo onesto o no, poco m'importa. Per ora mi preme che tu mi dica come Palicur
intende liberare la figlia del vecchio Chital.»
«Va' a
domandarlo a lui, birbante.»
Un lampo
terribile balenò negli occhi dei cingalese.
«Ah! -
esclamò, con una voce rauca. - Tu non vuoi dirmelo? Ebbene, vedremo se la tua
volontà sarà più forte del sonno. Ve n'è abbastanza di bestioline in quelle noci
di cocco!»
«Che cosa vuoi
fare, canaglia?» gridò il mandah
«Aspetta un
po'.»
Si piegò verso
l'irlandese e gli sussurrò alcune parole all'orecchio. Il sorvegliante fece un
gesto di approvazione, si mise in capo il cappello che aveva deposto in un
angolo, accese una pipa e se ne andò, chiudendo fragorosamente la porta dietro
di sé.
«Moselpati, -
disse il cingalese con un feroce sorriso. - Quanto la durerai? Il narcotico
deve averti lasciato indosso un sonno irresistibile. Non tarderai a chiudere
gli occhi, è vero?»
«Sì, mi sento
spossato ed ho una voglia irresistibile di dormire,» rispose il mandah.
«Coricati
adunque, e bada che vi sarà qualcuno che t'impedirà di chiudere gli occhi, a
meno che tu non preferisca narrarmi che cosa intende fare quel cane di Palicur
per liberare la figlia di Chital.»
«Taci o finirò
per strozzarti, miserabile!»
«Io! Eh, via!
Tu vuoi scherzare, mio povero Moselpati! - disse il cingalese. - Siamo in due
soli e farò di te quello che meglio mi piacerà. Se mai, chiama la polizia.»
«Domani ti
farò arrestare, miserabile.»
«Domani!
Troppo presto, mio caro!»
Il cingalese
accese una lampada che si trovava in un canto, perché cominciavano a scendere
le tenebre, e si accoccolò, come una bestia feroce in agguato, all'estremità
della stuoia su cui giaceva il mandah, fissando su di lui uno sguardo
carico d'odio intenso.
Il pescatore
di perle, a cui l'effetto del potente narcotico somministratogli rendeva le
palpebre pesantissime, si adagiò sulla stuoia. Provava un desiderio
irresistibile di dormire, nondimeno cercava di reagire energicamente a quel
torpore, non essendosi scordato la minaccia del cingalese.
Questi pareva
che non si occupasse, almeno pel momento, del prigioniero. Seduto sui talloni,
fumava placidamente, saettando la sua vittima con uno sguardo fiammeggiante.
Non parlava, ma sorrideva malignamente, accarezzando di quando in quando, con
una voluttà feroce, due mezze noci di cocco che si era messo accanto.
Molsepati,
turbato da quello sguardo che pareva volesse magnetizzarlo, faceva degli sforzi
prodigiosi per tenere gli occhi spalancati, chiedendosi con angoscia quanto
avrebbe potuto resistere.
L'effetto del
narcotico non era completamente svanito, nonostante il liquore somministratogli
dal cingalese, e il disgraziato pescatore si sentiva a poco a poco riprendere
dal sonno. Sbadigliava in modo da slogarsi le mascelle, e le palpebre gli
diventavano di minuto in minuto più pesanti, mentre il cervello gli si
intorpidiva.
Il Guercio non
gli staccava di dosso gli occhi e ghignava malignamente, vedendo gli sforzi
inutili che faceva il pescatore di perle.
«Lasciami
dormire, - disse ad un certo momento il mandah. - Non ne posso più.»
«Sì, se prima
mi dirai con quale mezzo Palicur intende ottenere la liberazione della figlia
di Chital,» rispose il cingalese.
«Ti ripeto che
io non so nulla, te lo giuro.»
«È inutile che
tu giuri: non so che cosa farmene delle chiacchiere. O confessi o, per tutti i
cobra di Ceylon, non ti lascerò chiudere occhio.»
«Bada che un
giorno potrò essere libero e allora...»
Il cingalese
si mise a ridere.
«Per ora sei
qui, in mia mano, e non mi scapperai facilmente. Confessi sì o no?»
«Lasciami
prima dormire.»
«No.»
«Te ne prego.»
«No, - rispose
il cingalese ferocemente, - no!»
«Dormirò
egualmente.»
«Provati.»
Il mandah
si lasciò cadere di peso, colle palpebre abbassate. Non poteva più resistere
alla sonnolenza profonda che lo invadeva.
«Ah! Tu vuoi
dormire egualmente? - disse il cingalese, stringendo i denti. - Aspetta un po'.»
Prese da terra
una mollettina d'acciaio, aprì una delle noci di cocco togliendo il coperchio
d'argilla e vi gettò dentro uno sguardo. Il recipiente era pieno di grossi
ragni neri vellutati e di scorpioni d'ogni dimensione e di ogni colore, che
battagliavano ferocemente fra di loro.
Il cingalese
prese la mollettina, rovistò entro il recipiente e levò un grosso scorpione di
colore brunastro. Con un gesto rapido tolse al mandah una scarpa
mettendogli a nudo il piede destro ed accostò l'insetto al dito pollice,
dicendo:
«Mordi pure.»
Lo scorpione,
furioso di sentirsi comprimere il corpo, piantò le branche nel dito stringendo
ferocemente e iniettando nella cute una goccia di veleno.
Moselpati si
raddrizzò di colpo a sedere, mandando un urlo di dolore.
«Ah! Cane!»
«Ti avevo
avvertito di non dormire, - disse freddamente il cingalese, riponendo nel
guscio di cocco lo scorpione. - Se torni a chiudere gli occhi ti farò invece
mordere da una scolopendra. Guarda, ne ho una buona riserva in questo
recipiente.»
«Che Sivah ti
fulmini, canaglia!»
«Più tardi,
per ora non ha tempo di occuparsi di me.»
«Ti farò
arrestare!»
«La polizia
sta sorvegliando i ladri di perle ed io non sono un ladro.»
«Sei un
assassino!» urlò il mandah che si contorceva pel dolore e che faceva
sforzi sovrumani per liberarsi dai legami.
«Parole,
null'altro che parole. Vuoi confessare?»
«Ti ho detto
che non so nulla!»
«Un bel ragno
nero, - disse il cingalese. - Morderà bene questo, meglio dello scorpione.»
«No! No!» urlò
il mandah.
«Parlerai?»
Moselpati
rimase muto. Ansava, aveva la fronte coperta di sudore, la bava alle labbra e
il suo viso esprimeva un terrore orribile.
«Parlerai?»
ripeté il cingalese, agitando minacciosamente il ragno.
«Sì, -
articolò finalmente il mandah che ormai si vedeva perduto. - Parlerò.»
«Dunque dimmi
come Palicur intende liberare la figlia di Chital.»
«Con la perla
sanguinosa, - rispose Moselpati. - Miserabile, tu mi obblighi a tradire un
amico disgraziato.»
«Non andrò a
raccontarglielo, te lo prometto. La perla sanguinosa! Me l'ero immaginato! Tu
allora sai dove si trova. Dimmelo o ricomincio.
«All'estremità
del banco... fra l'ultimo margine e le tre rocce... là... l'uomo che l'ha
rubata si è annegato.»
«Si troverà
ancora il suo cadavere?»
«Questo non lo
so.»
«L'aveva nella
coscia quella perla, è vero?»
«Sì.»
«Ne sei
certo?»
«Così mi hanno
detto, basta: ti ho detto troppo.»
«No, devi
finire.»
«Che cosa vuoi
sapere ancora?»
«Come Palicur
andrà a cercarla. Si dice che l'acqua sia troppo profonda in quel luogo perché
un palombaro vi possa discendere.»
«Non lo so.»
«Uh! Tu sei un
volpone e lo sai meglio di me, ma non vuoi dirmelo. Come potrà Palicur
scendere? Tu non devi ignorarlo, e se non canterai, vecchio mio, ti pianterò
dieci scolopendre nel piede. O parlare o lasciare qui la tua pellaccia. Orsù,
decidi: ho già perduto troppo tempo.»
«Se ti dico
che non lo so!»
«Anche prima
giuravi d'ignorare tutto, mentre invece dopo il morso dello scorpione hai
parlato. Su, vecchio mandah, vuota il sacco o ricomincio.»
Il cingalese,
risoluto a ottenere quello che voleva, accostò al piede destro il ragno
vellutato, in modo che le sue zampe gli toccassero la pianta. A quel contatto
il pescatore di perle ebbe un brivido orribile e dalle labbra gli sfuggì un
vero urlo.
«No! No!»
«Parla dunque,»
riprese l'implacabile cingalese.
«Useranno lo
scafandro.»
«Ah! Non avevo
pensato a quell'apparecchio inventato da quei demoni d'uomini bianchi. Io non
so veramente che cosa sia, me lo dirà l'irlandese.
«Avanti, mio bravo
Moselpati, e dopo? Bada che il ragno ha una voglia furiosa di mordere. Dimmi
almeno se Palicur ha qualche probabilità di ritrovare la famosa perla. Quel
cadavere potrebbe essere stato divorato dagli squali.»
«Può darsi.»
«E dimmi dove
andranno a prendere quello scafandro. Qui non ve ne devono essere.»
«A Colombo.»
«Palicur, Jody
o l'inglese?»
Il mandah,
che sudava freddo, esitò a compiere quell'ultimo tradimento.
«Mordi,» disse
il cingalese accostando risolutamente il ragno.
Moselpati
mandò un secondo urlo terribile. Le zampe del ragno, armate di punte taglienti
al pari delle migali, gli erano entrate nella pianta.
«Basta, cane!»
«Sì, se
finirai la tua confessione.»
«Will!»
«Ah!
L'inglese! Benissimo, cercheremo di farlo catturare prima che lasci Colombo. Si
sta bene al bagno! Ah! Ah! E credevano di aver lasciato me a mangiare la zuppa
d'olio di cocco e a digerirla a colpi di bastone! Ora puoi dormire, mio povero
vecchio. Ne so abbastanza.»
Il pescatore
di perle non rispose. Si era lasciato cadere come un uomo morto, chiudendo
subito gli occhi.
Il cingalese
gettò su di lui uno sguardo ironico.
«Stupido, -
disse. - Ti sei lasciato prendere come un fanciullo; decisamente quando
s'invecchia si diventa imbecilli. L'irlandese può essere ben contento di me. Io
avrò la perla e la figlia di Chital, lui i tre fuggiaschi. Gli affari nostri
non potrebbero camminare meglio, per la coda di Visnù.»
Richiuse con
precauzione le noci di cocco, onde gl'insetti non potessero fuggire, sciolse un
rotolo di stuoie e si coricò presso il mandah, dicendo:
«Mi lascerà
dormire tranquillo. L'irlandese non tornerà prima di domani mattina. Quei
bianchi sono troppo delicati per accontentarsi d'una semplice stuoia.»
Vuotò un vaso
che teneva nascosto in un angolo della capanna, contenente certamente qualche
liquore, spense la pipa e si sdraiò accanto al mandah che russava
sonoramente.
Nessuno turbò
il loro sonno e quando poco dopo l'alba l'irlandese, che aveva la chiave del
cancello, entrò, non si erano ancora svegliati.
«Su, Guercio,
- disse il nuovo venuto, urtando col piede. - Dormi troppo, mio caro.»
Il cingalese
si stirò, sbadigliando fino a slogarsi quasi le mascelle, e fu lesto a balzare
in piedi.
«Dunque?»
chiese l'irlandese.
«Ha confessato
tutto. A voi i tre forzati, a me la perla, è vero?»
«Ti ho
promesso d'aiutarti.»
«Sulla roccia
non ve ne sono che due soli in questo momento.»
Il
sorvegliante aggrottò la fronte.
«Chi manca
dunque?»
«Will, il
quartiermastro.»
«Dov'è
scappato costui? Narrami tutto: non amo perdere tempo.»
Il Guercio lo
informò di tutto quello che era riuscito a sapere dal mandah.
«Ah! Va' a
prendere degli scafandri? Lo farò arrestare prima che lasci Colombo.»
«No, signore.
Dopo, quando avranno ritrovato la perla.»
«Ma tu sai
ormai dove si trova!»
«Non mi fido
delle informazioni del mandah. Voglio veder loro scendere.»
«Ti sarà
allora necessario uno scafandro.»
«È quello che
volevo dirvi.»
«Me ne
occuperò io: conosco quei congegni, essendo stato anch'io un tempo marinaio. So
anzi che ve ne sono di perfezionati, che non richiedono più l'antico pontone
colle relative macchine per la conduttura d'aria. È giusto: prima la perla, poi
prenderemo loro. E di quest'uomo che cosa farai?»
«Lo terrò
prigioniero finché avremo trovato o rubato la perla e i suoi amici saranno
stati arrestati. La capanna è solida e, legato con delle buone corde, non potrà
fuggirci. D'altronde io lo sorveglierò strettamente. Quando contate di partire
per Colombo?»
«Subito: non
mi sarà difficile noleggiare una barca. Qui non potrei trovarti lo scafandro
che ti occorre.»
«Ed io che
cosa dovrò fare?»
«Credi tu che
quell'isoletta su cui si sono rifugiati Palicur e Jody sia accessibile?»
«No, le sue
pareti sono tagliate a picco. Lo conosco bene quel covo,» rispose il cingalese.
«E come hanno
fatto quei dannati a salire lassù?»
«È quello che
mi sono domandato parecchie volte, signore. Noi non abbiamo veduto appoggiare
delle scale, e poi a bordo delle barche dei pescatori di perle non ve ne sono
mai.»
«Eppure non
possono essere volati lassù come rondini marine o gabbiani.»
«Vi deve
essere qualche passaggio, signore.»
«Se tu potessi
scoprirlo!» mormorò il sorvegliante.
«È quello che
cercherò di fare questa sera. Sì, non può esservi che un passaggio, noto solo
al mandah. Me lo dirà, dovessi fargli mordere tutto il corpo dai miei
ragni e dalle mie scolopendre.»
«Bada di non
ucciderlo. Non voglio avere dei fastidi colla polizia, alla quale dovrò un
giorno rendere conto della mia missione.»
«Addio,
Guercio, e veglia sul prigioniero. Se ci sfugge, tu perderai la perla ed io
forse i tre forzati.»
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