6 - La perla
sanguinosa
Le stelle
cominciavano a smorzarsi sotto i primi riflessi dell'alba, quando il piccolo e
velocissimo veliero giunse all'estremità orientale del grande banco, gettando l'ancora
a tre o quattro gomene da un gruppo di scoglietti che sporgevano dall'acqua le
loro punte aguzze e nerastre.
Parecchie
barche di pescatori di perle si erano già ancorate sul margine del banco,
essendo anche quella punta compresa nella sezione fissata dal governo
anglo-indiano per lo sfruttamento dei molluschi, almeno per quell'annata. I
loro equipaggi però erano così occupati nei preparativi della pesca, che
nessuno aveva fatto attenzione all'arrivo della pinassa, la quale si poteva
scambiare per una semplice navicella montata da pescatori indiani più intenti a
prendere pesci che ostriche perlifere, tanto più che il capitano aveva fatto
tendere parecchie reti sopra i bordi.
Il
quartiermastro, durante la corsa notturna, aveva allestito la macchina per la
pressione dell'aria, i tubi, le vesti di caucciù e le grosse testiere di rame,
munite di lenti enormi, onde tutto fosse pronto.
«Ci siamo, -
disse il mandah, volgendosi verso Palicur e Will. - Se non trovate la perla
qui, sarebbe inutile andarla a cercare altrove.»
«È proprio
questo il luogo dove il ladro si è inabissato?» chiese il quartiermastro.
«Non posso
ingannarmi, - rispose il mandah. - Io montavo una delle scialuppe che
gli davano la caccia e proprio dinanzi a queste rocce egli scomparve
sott'acqua.»
«Riusciremo a
trovarla?» chiese Palicur, la cui voce tremava.
«Essendo di
solito il mare molto mosso in questo punto, il cadavere sarà stato coperto
dalle sabbie, a meno che...»
«Continuate,»
disse Will, vedendolo esitare.
«E se qualche
pescecane avesse divorato il cadavere?»
Palicur si
passò una mano sulla fronte, che si era coperta d'un sudore freddo.
«Dovremo
frugare le sabbie e forse a lungo, - disse Will. - Ditemi: siete proprio certo
che quell'uomo avesse la perla ancora nascosta nella coscia?»
«Che avesse la
famosa perla nessuno ne dubita, perché diversamente non sarebbe fuggito; che la
tenesse ancora nascosta entro la piaga, lo si dubita. Si dice che appena giunto
nella Città delle perle se la fece levare. Credo piuttosto a questa versione
che all'altra, sapete perché?»
«Parla,» disse
Palicur.
«Perché quando
io lo vidi balzare in acqua, teneva in mano una specie di borsa a maglie
d'acciaio che mi parve rigonfia. Chi mi assicura che la perla non fosse invece
là dentro?» disse il mandah.
«Se ciò fosse
vero, le probabilità di ritrovarla aumentano, - rispose Will. - Anche se il
cadavere è stato divorato da qualche squalo, troveremmo sempre fra le sabbie la
borsa. Non scoraggiarti, Palicur... Che cosa vuole quella barca?»
Uno dei
velieri che pescava sul margine del banco e che non portava a poppa il
distintivo dell'associazione dei pescatori di perle, aveva alzato le ancore e
si avanzava lentamente verso la barca di Moselpati.
Tutti si erano
vivamente voltati a guardarlo; finché il veliero si arrestò a tre o quattro
gomene, affondando nuovamente le ancore sul margine del banco.
«Hanno cercato
un posto migliore e null'altro, - disse Moselpati. - Quei pescatori non si
occuperanno di noi.»
Tuttavia, onde
non potessero scorgere ciò che avveniva sulla pinassa, ordinò a sei marinai di
coprire il ponte colla tenda, facendola tirare da prora a poppa.
Intanto Will e
Palicur, aiutati da Jody, avevano indossato gli scafandri e si erano fatti
avvitare le pesanti testiere di rame ed assicurare i tubi conduttori d'aria. Il
primo aveva già dato tutte le disposizioni necessarie ed insegnato al
macchinista il modo per far agire la pompa. Si fecero passare nella cintura due
coltellacci, non essendo improbabile che qualche pescecane li assalisse durante
la loro escursione sottomarina.
Quando furono
legati, Jody appese alla loro cintura due corti badili per rimuovere le sabbie,
quindi diede ordine di calarli, mentre il mandah ed il capitano della
pinassa mettevano in opera la pompa. I due ex-forzati ben presto scomparvero
sotto la superficie, calando lentamente, colle dovute precauzioni, verso il
fondo.
Poco dopo Will
ed il malabaro posarono i piedi su un banco di sabbie situato a ventiquattro
metri di profondità, ingombro di corte alghe e di crostacei e molluschi
disposti a piccoli mucchi.
Il malabaro
che prima, sul ponte della pinassa, si trovava quasi impossibilitato a muoversi
a causa delle pesanti suole di piombo, fu assai sorpreso d'aver prontamente
riacquistato la sua agilità.
Il quartiermastro,
dopo aver percorso il fondo per una ventina di metri, scandagliandolo col
badile, s'avvicinò al pescatore di perle, accennandogli con una mano un
rialzamento del fondo, in forma di tumulo, che era coperto di crostacei. Poteva
darsi che il ladro della famosa perla fosse affondato in quel luogo e che le
sabbie, mobilissime, l'avessero ben presto coperto prima che tornasse a galla.
D'altronde sul banco, che era livellatissimo, come una piccola spianata, non si
mostrava nessuna altra disuguaglianza.
I due
palombari, dopo essersi scambiato un cenno, si diressero verso quel piccolo
rialzo, disperdendo con pochi colpi l'ammasso di crostacei, e si misero a
lavorare alacremente, quantunque provassero una forte oppressione e una specie
di soffocamento, non essendo abituati a quel modo di respirazione tutt'altro
che regolare.
Quel lavoro
non era molto facile, poiché il fango, intorbidando le acque, impediva loro in
certi momenti perfino di vedersi; nondimeno riuscirono a poco a poco a rovesciare
il tumulo ed a fare una escavazione abbastanza profonda.
Stavano per
allargarla, quando il quartiermastro s'arrestò bruscamente, precipitandosi poi
entro la buca.
Attese qualche
minuto onde il fango tornasse a depositarsi, poi mostrò al malabaro un cranio
umano. Era quello del ladro o di qualche povero pescatore di perle annegatosi
su quel fondo? Comunque fosse, i due ex-forzati, dopo essersi scambiati qualche
segno, si rimisero a frugare febbrilmente le sabbie, animati dalla speranza di
rinvenire quella specie di borsa d'acciaio che il mandah aveva
assicurato di aver veduto.
Ad ogni palata
di sabbia che gettavano, strani crostacei mai prima di allora veduti fuggivano
sotto i loro piedi, agitando minacciosamente le loro branche. Perfino dei ragni
di mare, quegli orribili mostriciattoli irti di punte, con zampe enormi, che
sonnecchiavano sepolti come i caimani, s'alzavano dimenandosi furiosamente e
tentando di morderli colle loro durissime e poderose tenaglie.
Lavoravano da
più di mezz'ora, allargando sempre l'escavazione, quando Will si precipitò
innanzi con impeto, per poco non strappando il tubo di gomma che gli forniva
l'aria, gettando via un mucchio di ossa umane, di stinchi, di costole e di
femori; poi affondò le mani nella sabbia, traendone qualche cosa che brillava.
Certo un urlo
doveva essergli sfuggito, che la pesante testiera di rame aveva soffocato.
Nella destra
stringeva una borsa dalle maglie d'acciaio, che mostrava un rigonfiamento
notevole come se contenesse qualche oggetto. Palicur gli si gettò addosso,
strappandogliela di mano, e con un moto rapido l'aperse.
Il mandah
non si era ingannato. Fra le maglie vi era una perla di bellezza meravigliosa,
di tinta sanguigna, e grossa quanto un uovo: era la famosa perla sanguinosa!
I due ex-forzati
si precipitarono l'uno nelle braccia dell'altro, cozzando le loro testiere di
rame. Certo parlavano, forse gridavano, senza potersi udire.
Will, passato
il primo momento d'intensa emozione, stava per dare uno strappo alla fune che
lo univa alla pinassa per avvertire Jody di ritirarli a bordo, quando nel
volgersi gli parve di scorgere un'ombra umana sorgere dietro un ammasso di
alghe e subito dopo abbassarsi.
«Che sia
invece un pescecane?» pensò, mettendo mano al coltellaccio.
Diede uno
strappo alla fune di Palicur e alla propria e mise la borsa entro la larga
tasca che portava appesa alla cintura.
Palicur dai
gesti del quartiermastro aveva compreso che qualche pericolo li minacciava ed a
sua volta aveva levato il coltello.
Stavano per
essere tratti in alto, quando un nembo di fango li avvolse, mentre un'onda
improvvisa li rovesciava, troncando i tubi di caucciù che li rifornivano d'aria
e squarciando le loro vesti. Pareva che una mina o qualche grossa cartuccia di
dinamite fosse scoppiata in fondo al mare. Tentarono con uno sforzo supremo di
liberarsi delle testiere di rame, poi l'asfissia li sorprese e s'abbandonarono
ingurgitando acqua a pinte.
. . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . .
Quando Palicur
sé, si trovò sotto il casotto della pinassa, steso su un materasso, col
capitano del piccolo veliero accanto, che gli strofinava vigorosamente il petto
per fargli vomitare almeno una parte dell'acqua che gli gonfiava il ventre.
«Per Sivah! -
esclamò allegramente il marinaio, vedendolo aprire gli occhi. - Credevo di
avervi tratti a bordo troppo tardi!
«Che cosa
avete fatto saltare in fondo al mare? Per poco la mia pinassa veniva
scaraventata in aria!»
Palicur tentò
di rispondere, ma da principio non fu capace che di mandare qualche suono gutturale.
«Non
affaticatevi, - gli disse l'indiano. - Avremo tempo per chiacchierare. E voi,
signore, come va?»
La voce di
Jody si fece udire a qualche passo:
«Pare che
abbia inghiottito più acqua del malabaro, tuttavia non dispero di richiamarlo
in vita. Strofinate, mandah, e tirategli la lingua: così, benissimo,
vedete? Comincia già a respirare, come può è vero, tuttavia i polmoni non
tarderanno a funzionare.»
«Gli avete
tolto le vesti?»
«Ci voleva
poco a levargliele, - rispose Jody. - Erano tutte squarciate.»
«E la borsa?»
«È in mano
mia,» disse Moselpati.
«È proprio
quella la perla?» chiese il padrone della pinassa.
«Sì, quella.»
Udendo quelle
parole, un fremito scosse il corpo del malabaro. La sua bocca si apri e ripeté
per due volte:
«La perla! La
perla!»
«Bevete prima
questo, amico, - gli disse il capitano della pinassa, porgendogli una
fiaschetta. - È vero gin e vi rimetterà meglio in gambe.»
Il malabaro
inghiottì parte del liquore e si alzò subito a sedere, guardando il
quartiermastro Will, dietro a cui s'affannavano Moselpati e Jody.
«Torna in sé?»
chiese, con voce abbastanza chiara.
«È fuori
pericolo, - rispose il mulatto. - Deve aver bevuto più abbondantemente di te e
faremo bene a lasciarlo per ora tranquillo. Quando avrà digerito tutto quel
sale, starà meglio di te. Puoi parlare?»
«Non provo più
alcuna difficoltà, - rispose Palicur. - Noi palombari siamo abituati alle
bevute abbondanti e i nostri polmoni riprendono presto le loro funzioni. È al
sicuro la perla?»
«La tengo io,
- disse Moselpati, - non temere. Mi dirai ora che cosa è avvenuto in fondo al
mare. Abbiamo veduto sorgere un getto enorme d'acqua che scagliò la pinassa
quasi addosso al banco e per poco non spezzò le funi che vi tenevano legati.
Che cosa avete fatto esplodere in fondo al mare?»
«Noi?» esclamò
Palicur.
«La colonna
d'acqua sorse dal fondo. Non eravamo né ciechi, né ubriachi.»
«Stavamo per
tornare a galla quando fummo avvolti in una nube di fango e poi rovesciati, -
rispose il malabaro. - Mi parve che qualche cosa fosse scoppiato, una mina o
una cartuccia di dinamite.»
«Fatto
scoppiare da chi? - chiese Jody. - Noi stavamo tirandovi a galla e nessun
oggetto fu lanciato dalla pinassa; di questo rispondo io.»
«E anche noi,»
aggiunsero il capitano della pinassa e Moselpati.
«Hai veduto nessuno
laggiù?» chiese Jody.
«Io no, ma mi
ricordo che il signor Will mi additò qualche cosa che non ebbi il tempo di
distinguere, poiché, come vi dissi, il fango ci avvolse e quasi subito le
nostre vesti ed i tubi scoppiarono.»
«Che sia
avvenuta in fondo al mare una improvvisa eruzione vulcanica?» si chiese Jody,
che era diventato pensieroso.
«In tal caso
avrebbe continuato, - disse Palicur. - È calmo il mare?»
«Perfettamente.»
«Che qualcuno
abbia cercato di assassinarci per impedirci di raccogliere la perla?»
«E chi? -
chiese Moselpati. - Se noi...»
Si interruppe
bruscamente, battendosi la fronte.
«Quella barca
che pescava a tre o quattro gomene è fuggita subito, è vero?» chiese,
volgendosi verso il capitano della pinassa.
«E ormai non
si vede nemmeno più, - rispose il marinaio. - Che cosa vuoi concludere,
Moselpati?»
«Non può
essere stata che quella a gettare qualche cartuccia di dinamite o a far
scoppiare qualche mina precedentemente preparata, - disse il mandah. - Le sue
manovre sospette per accostarci mi avevano già allarmato.»
Palicur mandò
un urlo di furore.
«Il Guercio!
Sì, non può essere stato che lui!»
«Il Guercio!»
ripeté una voce.
Tutti si
voltarono. Il quartiermastro della Britannia si era a sua volta alzato a
sedere e guardava con una specie di sorpresa Palicur e le persone che lo
circondavano.
«Vivo! Ancora
vivo!» esclamò con voce un po' fioca.
«Come state,
signor Will?» chiesero premurosamente Jody e il malabaro.
«Sono pieno come
un otre, - rispose il quartiermastro, sforzandosi di sorridere. - Devo aver
parecchie pinte d'acqua in corpo. Bah! Le digeriremo con calma.»
«Signor Will,
- disse Jody, - avete veduto qualcuno voi, prima di dare il segnale di tirarvi
su?»
«Sì, - rispose
l'inglese dopo qualche istante di riflessione. - Non era un pescecane... era
un'ombra umana, ne sono sicuro. Auff! Mi sembra di scoppiare.»
«Credete che
fosse il Guercio?»
«Non l'ho
potuto... vedere... tuttavia sospetto che sia... stato lui... sì, una cartuccia...
della dinamite... e per poco non venivamo fatti a pezzi.»
Poi, dopo un
momento di sosta, aggiunse: «E la perla?»
«Sì, mostraci
la perla, Moselpati!» esclamò Palicur.
Il mandah
si tolse dalla larga fascia la borsa di anelli d'acciaio e mostrò ai due
ex-forzati il famoso gioiello, il solo che poteva riscattare la bellissima
figlia di Chital.
Era una perla
superba, dalla forma e della grossezza quasi d'una pera, a riflessi sanguigni,
una tinta mai più vista, né mai più riscontrata fra le tante pescate sul banco
di Manaar. Il carbonato di calce aveva indubbiamente assorbito a poco a poco il
sangue dell'orribile piaga fattasi aprire dal ladro e aveva perduto il suo
splendore madreperlaceo, assumendo quella tinta meravigliosa che doveva
aumentarne immensamente il valore.
«Non ho mai
veduto nulla di simile! - esclamò Will. - Palicur, questa perla vivificata dal
sangue vale dei milioni.»
«No, signor
Will, - rispose il malabaro. - Vale solo la libertà della mia fidanzata, della
fanciulla che io amo immensamente e senza la quale non potrei ormai più
vivere.»
«Allora
andiamo a offrirla ai tiruvamska del monastero di Annarodgburro. La tua
felicità si trova sotto la fitta ombra del bogaha.»
«È quello che
volevo proporvi, signor Will, se acconsentirete ad accompagnarmi.»
«E perché no?
- chiese il quartiermastro. - La mia fuga dal bagno la devo a te ed a Jody.
Senza di voi che cosa potrei aver fatto, da solo? Come potremo giungere al più
presto a Candy, senza passare per Colombo?»
«Salendo il
Kalawa.»
«Un fiume?»
«Sì, signor
Will, - rispose Palicur. - Un corso d'acqua che io conosco a menadito, e che ci
condurrà fino presso le montagne di Sengaogulla Navara, che domina l'altopiano
di Candy.»
«Amico, -
disse Jody, rivolgendosi al malabaro. - Non dimenticarti che io sono
macchinista.»
«Che cosa vuoi
dire?» chiese il malabaro.
«Che se hai
ancora qualche migliaio di rupie, potresti acquistare nella Città delle perle
una scialuppa a vapore, che io potrei condurre fino alle sorgenti di quel
fiume.»
«Ed io
m'incaricherei di procurarvela, - disse Moselpati. - Quelle bestie che mangiano
fuoco non mancano sulla costa.»
«Decidi,
Palicur.»
«Mi rimane
ancora tanto denaro da prenderne almeno tre, - rispose il malabaro, - ammesso
che non valgano più di milleduecento piastre l'una.»
«Basta una con
un canotto per le provviste, - disse Jody. - Perbacco! Non ti credevo così
ricco.»
«Signori, -
disse il capitano della pinassa, - dove devo dirigere il mio veliero? Siamo già
lontani dal banco.»
«Alla foce del
Kalawa, - rispose Palicur. - La Città delle perle è troppo pericolosa per noi,
almeno per ora.»
«E col Guercio
forse alle spalle, - aggiunse Will. - Quel furfante, non avendoci ritrovati
morti, non si sarà ancora dato per vinto. Moselpati, v'incaricherete d'inviarci
colà una buona scialuppa a vapore.»
«Con delle
armi, - disse Palicur. - Il fiume è abitato da tribù bellicose che potrebbero
darci non pochi fastidi. I Batnapura non godono buona fama.»
Poi, dopo un
momento di silenzio, riprese:
«Ecco la
felicità che risorge dopo le torture del bagno. Mia o della morte, ma prima
ucciderò quel cane di cingalese!»
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