7 - Il quarto di
guardia di Jody
«Vedi nulla,
Jody?»
«Sì, un punto
nero.»
«Un veliero?»
«Non ve lo
posso ancora dire.»
«Non hai gli
occhi d'un marinaio.»
«È lontano,
signor Will, e poi la notte comincia a calare.»
«C'è ancora un
raggio di sole. Bisogna che veda anch'io.»
Il
quartiermastro, che stava comodamente sdraiato sotto un superbo sagoio, gettò
da un lato il suo ventaglio di foglie di talipot con cui fino allora si
era un po' rinfrescato essendo il caldo eccessivo, aspirò una lunga boccata di
fumo dalla sua corta pipa di vera radica e s'alzò, scendendo la riva del Kalawa
che era ingombra di folti cespugli e di borassi flabelliformi dal tronco
altissimo ed esile.
Il fiume
sboccava in quel punto in mare, rumoreggiando fra una moltitudine di banchi e
di scoglietti che formavano una barra inaccessibile alle navi anche di piccolo
tonnellaggio, mescolando le sue acque dolci e fresche con quelle verdi-cupe e
salate.
Alcuni rollier,
volatili bellissimi per le vivaci tinte delle loro penne, svolazzavano sopra
una coppia di nandrie, scimmie adorne di una lunga barba bianca che va
da un orecchio all'altro, le quali erano intente ad eseguire una ginnastica
indiavolata fra i rami d'un enorme tamarindo.
Il
quartiermastro raggiunse Jody, che si teneva aggrappato ai rami d'un piccolo
cardamomo essendo la riva molto ripida, e spinse gli sguardi sul mare che
scintillava vivamente sotto gli ultimi raggi del sole, ormai quasi interamente
immerso.
«La si direbbe
una scialuppa,» mormorò, dopo aver osservato attentamente il punto nero già
scoperto dal macchinista.»
«A vela?»
«No, a
vapore.»
«Allora è la
nostra.»
«Non mi pare
che si diriga da questa parte, almeno per ora, - rispose Will. - Va verso il
settentrione, pur avvicinandosi alla costa.»
«Eppure il mandah
dovrebbe essere già qui, non vi sembra? Sono già cinque giorni che aspettiamo.»
«La sua barca
non ha una macchina nel ventre e può aver trovato venti contrari e calme.
D'altronde qui si sta benissimo e ormai la perla è in nostra mano. Accendi il
fuoco, Palicur non tarderà a portare la cena.»
«Andremo ad
accamparci nel boschetto profumato, signor Will. Così avremo le spezie
sottomano senza andarle a cercare.»
Essendo il
sole in quel momento del tutto scomparso e non potendosi più vedere il punto
nero, i due ex-forzati risalirono la riva e si diressero verso un gruppo di
piante di mediocre altezza, con moltissimi rami, coperti di foglie
bislungo-ovali e di frutta carnose, d'un bel colore azzurro-scuro a spruzzi
bianchi, che spandevano un acuto profumo aromatico.
Era un
boschetto di cinnamomi o meglio d'alberi della cannella, piante che abbondano
nell'isola di Ceylon, di cui formano anzi la principale ricchezza, essendo le
loro scorze esportate in quantità prodigiosa.
Infatti su
quella terra la cannella riesce migliore che altrove. Si coltiva a Sumatra, a
Giava, nel Malabar, perfino nel Brasile e nelle Antille, ma se ne ricava un
raccolto quasi sempre scarsissimo e di qualità assolutamente inferiore che non
può competere in nessun modo con quello delle piante cingalesi.
I due
ex-forzati, dopo aver battuto con dei nodosi bastoni le erbe vicine per timore
che nascondessero qualche cobramanilla, il più velenoso fra tutti i
serpenti conosciuti, o qualcuno di quegli enormi serpenti delle rocce
che raggiungono sovente una lunghezza di trenta piedi e che al pari dei boa
stritolano fra le loro possenti spire animali ed uomini, rizzarono una comoda
tenda, poi accesero il fuoco. Avevano appena terminato i preparativi per
l'accampamento, quando si udì la voce di Palicur gridare:
«Ecco la cena:
giungo a tempo.»
Il malabaro
era comparso sul margine del boschetto, tenendo in mano una lunga carabina e
portando sulle spalle un animale abbastanza grosso che un altro difficilmente
avrebbe potuto reggere.
«Che cosa ci
porti, Palicur?» chiese Will.
«Un bel porco
selvatico, il quale mi ha fatto correre quattro ore prima che lo potessi
raggiungere, - rispose il malabaro, gettando l'animale dinanzi a Jody, il quale
si era armato d'un coltellaccio per squartarlo. - Nessuna notizia ancora del mandah?»
«Nulla, -
rispose il quartiermastro. - Abbiamo veduto bensì una scialuppa, che ci parve a
vapore, solcare il mare; non doveva essere però quella che aspettiamo, perché a
me parve che andasse verso il nord. Hai troppa fretta tu, mio bravo Palicur.»
«È vero, -
rispose il malabaro con un sospiro. - Ho fretta di consegnare la perla ai
monaci di Annarodgburro.»
«Durerà molto
il nostro viaggio?»
«Una quindicina
di giorni per lo meno, se non accadono delle disgrazie.»
«Quali? Siamo
in tre, tutti solidi e ben armati e con una scialuppa a vapore. Sai che ho dato
ai nostri amici l'incarico di portarci anche una spingarda?»
«Avete fatto
bene, signor Will. Il paese che attraverseremo è abitato dai Vadassi.»
«Chi sono?»
«Selvaggi che
non somigliano affatto ai veri cingalesi, né ai candiani, avendo la pelle nera
come gli andamani; si trovano lungo i fiumi e sulle montagne del settentrione,
e vivono al pari delle belve feroci.»
«Sono
bellicosi?»
«Assai, signor
Will, e si fanno molto temere dai cingalesi, quantunque siano malamente armati,
non conoscendo i fucili.»
«Ci guarderemo
da loro, - disse Jody che stava arrosolando una dozzina di costolette,
infilzate nella bacchetta di ferro della sua carabina. - Se vorranno
importunarci, faremo fiutare a quei selvaggi la polvere da sparo. Signori, la
cena è pronta!»
Levò le
costolette, le depose su una foglia di banano che poteva servire benissimo da
piatto e da tovaglia, levò da una cassa due manate di biscotti e si assise in
mezzo a Palicur ed a Will.
Divorata la
cena, i tre ex-forzati alimentarono nuovamente il fuoco, essendo le foreste di
quella grande isola popolate di bufali ferocissimi, di tigri, di orsi e di
leopardi, poi accesero le loro pipe.
Scambiarono
quattro chiacchiere, poi, certi che la scialuppa a vapore nel caso che fosse
giunta alla costa non avrebbe osato inoltrarsi in quel fiume, così sbarrato da
banchi e da scoglietti, Will e Palicur si sdraiarono sotto la tenda, mentre
Jody montava il primo quarto di guardia.
Quantunque gli
animali non dovessero mancare nei dintorni, essendo le rive del fiume coperte
da foreste foltissime, un profondo silenzio regnava, rotto solo dai muggiti
delle acque sboccanti in mare fra quella moltitudine di ostacoli. Tuttavia il
macchinista non chiudeva gli occhi. Si era appoggiato al tronco d'un cinnamomo,
mettendosi il fucile sulle ginocchia e fumava, tendendo gli orecchi. Vegliava
da un paio d'ore, quando credette di udire un fruscio verso la riva.
«Che vi sia
qualche leopardo? - si chiese. - È un vicino che non mi accomoda affatto e non
amo che mi si accosti a tradimento.»
Ebbe per un
momento l'idea di svegliare Palicur, poi si vergognò di voler interrompere il
sonno a quel bravo compagno per chiedergli aiuto.
«Quando si ha
una buona carabina fra le mani e un coltellaccio, si può ben affrontare una
belva, - mormorò. - Un leopardo non è già un elefante.»
S'alzò e
udendo ancora il debole fruscio, si avviò lentamente verso il fiume, nascondendosi
dietro ai cespugli e ai tronchi dei borassi e dei cinnamomi.
Giunto presso
il ripido pendio, sostò, guardando abbasso. La luna mancava, tuttavia le stelle
proiettavano quel vago chiarore che nelle regioni tropicali ed equatoriali acquista
una trasparenza notevolissima.
«Devo essermi
ingannato, - sussurrò. - Qualche coccodrillo avrà tentato di issarsi sulla
riva.»
Stette qualche
minuto in ascolto, poi non udendo né vedendo più nulla tornò verso
l'accampamento, lieto di non aver avuto bisogno di impegnarsi in una lotta, che
poteva diventare pericolosissima. Si era appena seduto dinanzi alla tenda, che
il fuoco sempre alimentato rischiarava come se fosse pieno giorno, quando le
immense foglie d'un piccolo banano si scostarono dolcemente, mostrando una
testa umana. Era quella del Guercio.
«Non mi ero
ingannato, - sussurrò il cingalese, con un sorriso feroce. - Miei cari, siete
ancora troppo poco forti per misurarvi con me. Vedremo se vi lascerò giungere
fino ad Annarodgburro. La via è lunga e c'è tempo per pensare a mille cose. Lì
vedo Jody: sotto la tenda di saranno gli altri. Vi precederemo nel cammino.»
Ridiscese
senza far rumore la riva, seguì il corso d'acqua per cinque o seicento passi,
facendo attenzione dove posare i piedi perché poteva trovarsi davanti a qualche
voracissimo coccodrillo, poi sfondò una massa di verzura che gli sbarrava, il
passo, scivolandovi dentro coll'agilità d'un serpente.
«Chi vive?»
chiese una voce.
«Il Guercio.»
L'irlandese,
il sorvegliante del bagno, si alzò dietro ad un cespuglio, tenendo puntato un
fucile.
«Dunque?»
chiese.
«Sono lassù,
accampati sul margine della foresta. Ve lo avevo detto io, che li avremmo
ritrovati.»
«Vi sono
tutti?»
«Jody, Palicur
e l'inglese,» rispose il Guercio.
«Sei proprio
certo?»
«Ho veduto il
mulatto coi miei occhi.»
«E perché non
si muovono?»
«Aspetteranno
qualche scialuppa, non avendone noi veduto alcuna legata alla riva.»
«Che quel
maledetto mandah li aiuti ancora?»
«Non ne
dubito, - rispose il Guercio. - Ah! Se potessi riaverlo fra le mie mani, non mi
scapperebbe una seconda volta. È stato lui a rovinare tutto.»
«E anche tu, -
rispose l'irlandese con voce irata. - Dovevi far esplodere la cartuccia di
dinamite più vicino a loro.»
«M'avrebbero
scoperto.»
«Colla
testiera di rame?»
«I rimproveri
sono inutili. Pensiamo a ricuperare la perla e a farli tutti prigionieri. Non
vi basterà?»
«Oh! Non
tornerò a Port-Cornwallis senza di loro, te lo assicuro, Guercio. Voglio
prendermi una bella rivincita e riavere non solo il mio grado, bensí anche un
avanzamento ed una bella gratificazione.»
«Vi prometto
di metterli in mano vostra.»
«Quando?»
«Appena avremo
attraversato la regione abitata dai Vadassi. Più oltre troverò i miei
compatrioti e quelli non esiteranno a prestarmi man forte.»
«Hai amici
fedeli fra costoro?»
«E anche dei
parenti.»
«Dunque noi
dovremo precedere Will ed i suoi compagni?» disse l'irlandese, dopo un istante
di riflessione.
«È
necessario,» rispose il cingalese.
«Potremo
passare inosservati?»
«Rasenteremo la
riva opposta. Vi sono colà dei grandi alberi che proiettano un'ombra
foltissima.»
«Proviamo,»
disse l'irlandese.
Si
allontanarono seguendo sempre il fiume, scendendo verso la foce, e
s'arrestarono dinanzi ad una scialuppa a vapore montata da due cingalesi
seminudi, ma viceversa carichi di sonagliuzzi, di braccialetti e di corregge di
pelle adorne di grosse borchie dorate, che li avvolgevano come una rete,
intrecciandosi in tutte le direzioni.
L'irlandese
pronunciò alcune parole, mentre il Guercio si poneva al timone; poi la
scialuppa, che aveva i fuochi accesi, attraversò il fiume, cacciandosi sotto la
riva opposta coperta da immensi alberi che s'incurvavano sulle acque.
«A piccolo
vapore, - comandò l'irlandese, volgendosi verso i due cingalesi che erano di
servizio alla macchina. - Vi sono degli uomini che vegliano dall'altra parte
del fiume.»
La scialuppa
saliva il fiume lentamente, facendo girare dolcemente l'elica; d'altronde la
corrente, frangendosi contro la barra, produceva un tal fragore da coprire le
pulsazioni della macchina, mentre l'ombra proiettata dagli alberi nascondeva il
fumo che sfuggiva dalla ciminiera. L'irlandese, seduto a prora, con un fucile
fra le mani, spiava attentamente la riva opposta.
Ben presto
scorse la luce dell'accampamento.
«Peccato non
poterli sorprendere, - mormorò. - Tutto sarebbe finito e risparmierei questo
viaggio. Questo furbo di cingalese approfitta troppo della mia dabbenaggine. E
nondimeno, senza il suo aiuto, chissà se sarei riuscito a ritrovarli.»
Si era alzato
cercando di scoprire Jody, quando una voce si alzò dalla direzione
dell'accampamento:
«Chi vive?»
«Ferma la
macchina,» comandò precipitosamente l'irlandese.
La scialuppa
si arrestò istantaneamente. Per fortuna in quel luogo le piante erano altissime
e spingevano i loro poderosi rami fino quasi in mezzo al fiume, rendendo i
quattro uomini invisibili anche agli sguardi più acuti. Era quindi impossibile
che Jody avesse potuto scorgere l'imbarcazione. Doveva invece essere stato
allarmato dal brontolio della macchina.
Successe un
breve silenzio, poi la voce del mulatto si fece ancora udire: «Siete voi,
Moselpati?»
«Nessuno
risponda,» disse l'irlandese, che si era coricato dietro il bordo.
«Se potessi
fucilarlo, - mormorò il Guercio. - È stato lui a gettarmi in acqua e vorrei
saldargli il conto.»
«Quell'uomo
appartiene a me, o meglio al bagno di Port-Cornwallis, - rispose il
sorvegliante. - Tu non hai più alcun diritto su di lui.»
Per la seconda
volta il mulatto chiese:
«Sei tu,
Moselpati?»
Poi, non
udendo alcuna risposta, lo si vide scendere l'erta riva aggrappandosi ai
cespugli e arrestarsi fra le erbe acquatiche.
Rimase colà
qualche minuto, cercando di indovinare la causa di quel rumore sospetto, poi
risalì la ripa e scomparve in mezzo alle piante.
«Se n'è
andato,» sussurrò il sorvegliante, curvandosi verso il Guercio.
«Ripartiamo?»
«Aspettiamo un
po'. Lasciamogli il tempo di tornare all'accampamento.»
«Avete udito
che attendono quel cane di mandah?» chiese il Guercio, digrignando i
denti.
«Era facile
indovinarlo.»
Rimasero fermi
dieci minuti, poi la scialuppa si rimise in marcia, tenendosi sempre addosso
alla riva.
Guadagnò così
cinque o seicento metri e già l'irlandese stava per dar l'ordine di lanciarla a
tutta velocità, quando vide un'ombra umana agitarsi sulla riva opposta.
Una bestemmia
gli sfuggì.
«Ancora Jody?
- si chiese. - Che quel furbo si sia accorto che siamo noi? Comincio a sentirmi
il sangue montare alla testa.»
«Volete che lo
uccida?» domandò ancora il cingalese.
«No:
aspettiamo.»
A un tratto
udirono un urlo, seguito subito dopo da un rauco brontolio.
«Una tigre?»
chiese l'irlandese.
«Sì, signore,»
rispose il Guercio.
«Che abbia
assalito Jody?»
«Tanto meglio:
così sarò vendicato e avrò un nemico di meno.»
Tesero gli
orecchi senza udire più nulla.
«A tutto
vapore! - comandò l'irlandese. - Se la sbrighi come può, quel curioso.»
La scialuppa
prese lo slancio e risalì rapidamente il fiume, scomparendo ben presto fra le
tenebre.
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