8 - Una lotta
spaventosa
Jody, come
abbiamo detto, non avendo veduto nulla di sospetto e certo di essersi
ingannato, aveva fatto ritorno all'accampamento, riprendendo il suo posto e
aspettando pazientemente il suo turno per cacciarsi sotto la tenda.
Non erano però
trascorsi dieci minuti, che era stato costretto ad alzarsi nuovamente. Verso il
fiume gli era sembrato di udire un certo brontolio, tale da metterlo nuovamente
in sospetto. Risoluto questa volta a scoprire la causa di quel rumore, si era
nuovamente diretto verso la sponda, colla ferma convinzione di essere spiato da
qualche animale feroce.
Vi era appena
giunto, quando gli sembrò di scorgere dall'altra parte del corso d'acqua
qualche cosa di nero scivolare sotto l'ombra delle piante.
Come tutti i
negri ed i mulatti, aveva una vista abbastanza acuta. Fu allora che lanciò il
primo grido, obbligando l'irlandese a far fermare di colpo la scialuppa.
Non ricevendo
alcuna risposta, il bravo mulatto, convinto che qualche battello cercasse di
passare inosservato dinanzi all'accampamento e temendo che fosse montato da
quei formidabili selvaggi a cui aveva accennato il malabaro, dopo aver chiamato
ripetutamente Moselpati, potendo anche darsi che fosse giunto, aveva risalito
la riva, non già coll'idea di rinunciare alla sua sorveglianza.
Voleva
assolutamente accertarsi se si era ingannato o se realmente si trattava di
un'imbarcazione.
Finse così di
avviarsi verso l'accampamento; invece, appena raggiunti i primi alberi, si
slanciò nella foresta, risalendo il corso del fiume per circa mezzo chilometro.
Si era
impegnato in mezzo ad un caos di cespugli, quando udì dietro di sé un rumore di
foglie e di rami scossi, che gli fece battere fortemente il cuore.
«Qualcuno mi ha
seguito, - mormorò, imbracciando la carabina. - Che sia uno degli uomini che
montavano quella misteriosa scialuppa? Temo di aver commesso una grande
sciocchezza a non svegliare Palicur ed il signor Will. Se li sorprendessero nel
sonno?»
Un'angoscia
inesprimibile si impadronì del mulatto. Era necessario tornare al più presto e
far alzare i suoi compagni: però pel momento la cosa non era facile, perché
aveva la ritirata tagliata.
Tuttavia non
era persona da rimanere a lungo perplessa, e prese subito la sua risoluzione.
«Torniamo,
girando il bosco, - disse. - Se mi assalgono, mi difenderò.»
Volse le
spalle al fiume senza più occuparsi della scialuppa e s'internò nella foresta,
guardando dietro di sé.
Percorse una
cinquantina di passi, poi tornò a udire a breve distanza un fruscio di foglie
secche, come se qualcuno le calpestasse, ed un rumore di canne spezzate.
Si fermò
subito, gridando:
«Chi va là?»
Nessuno
rispose, poi mentre era in procinto di rimettersi in cammino, udì per la terza
volta stormire le fronde e poco dopo un animale di dimensioni enormi gli cadde
di balzo dinanzi, a soli quindici passi.
Jody si sentì
rimescolare il sangue. Soffocò però subito lo spavento, preferendo dover
affrontare un animale piuttosto che un drappello di quei terribili Vadassi. Si
appoggiò contro il tronco d'un albero, tenendo il fucile spianato, e guardò
attentamente l'avversario che lo fissava, con due occhi fosforescenti, dai
bagliori verdastri.
Non ci volle
molto al disgraziato per capire con quale animale aveva a che fare. Aveva
dinanzi a sé una tigre mostruosa. La belva teneva la coda bassa, aveva le fauci
spalancate e dondolava la testa con movimento ritmico e terribile.
Rimase un
istante in quella posa, senza staccare dal mulatto i suoi occhi che pareva
diventassero sempre più fosforescenti, poi tese bruscamente la coda e si
slanciò con un salto immenso.
Jody
l'aspettava a piè fermo, risoluto a vendere cara la vita. Cercò di allontanare
il pensiero del pericolo e di tirare con calma e fece fuoco due volte, essendo
la sua carabina a doppia canna.
La belva mandò
un urlo spaventoso che si ripercosse sotto la volta di verzura, e fuggì a
grandi salti verso il bosco.
«Credo che ne
abbia abbastanza,» mormorò il mulatto, asciugandosi la fronte madida di sudore.
Ricaricò
rapidamente la carabina e, sicuro di non venire più disturbato, ritornò verso
il fiume, seguendone la riva.
Will e Palicur
dovevano aver udito quei due spari e certamente si erano alzati. Voleva quindi
rassicurarli.
Aveva invece
fatto i conti senza tener conto della fame e dell'ostinazione della belva. E
infatti doveva trovarsi ancora a quattrocento metri dall'accampamento quando,
con sua grande sorpresa, se la vide ricomparire dinanzi.
«Che l'abbia
ferita solo leggermente?» si domandò, indietreggiando.
Cercava un rifugio
senza riuscire a trovarlo. A sinistra aveva il fiume, incassato fra due alte
rive; di dietro e a destra ammassi di cespugli bassi che non potevano offrirgli
alcun riparo nel caso d'un nuovo attacco.
La tigre gli
si era posta di fronte e s'avanzava brontolando sordamente. Il suo corpo si
allungava e si accorciava come quello d'un serpente; colla coda si sferzava
violentemente i fianchi e colle unghie graffiava il terreno come se volesse
scavare una fossa.
Jody mandò due grida:
«Signor Will! Palicur!»
Un urlo
orrendo mandato dalla belva le coprì. Annunciava l'assalto.
«A te,
allora!» esclamò Jody.
E fece partire
quasi simultaneamente i due colpi della sua carabina. Non poté vedere l'effetto
di quella seconda scarica, poiché si sentì subito urtare poderosamente dal
corpo mostruoso della tigre.
L'imminenza
del pericolo, invece di paralizzarlo, gli diede una forza più che sovrumana.
Rivoltandosi
rapidamente su se stesso, riuscì a liberarsi dalla stretta del formidabile
animale e, trovandosi sull'orlo dell'alta riva, si lasciò scivolare nel fiume
colla speranza di avere il tempo di guadagnare l'altra riva.
Per sua
sventura le acque in quel luogo erano assai basse per lungo tratto e l'animale,
che doveva essere sfuggito a quelle nuove scariche, lo seguì cercando di
raggiungerlo.
Il povero
mulatto, semi-nascosto fra le piante acquatiche che erano numerose in quel
luogo, si avanzava pian piano, vigilando sempre i movimenti dell'animale, e già
stava per raggiungere le acque profonde, quando la tigre lo raggiunse e con un
colpo di zampa lo immobilizzò.
La scossa fu
così violenta che la carabina gli sfuggì dalle mani. D'altronde quell'arma non
gli era più d'alcuna utilità, essendo la polvere ormai bagnata.
L'aspetto
della belva era terribile. Resa furibonda dalle ferite riportate dalle due
prime scariche, che le avevano prodotto due squarci, uno sulla fronte e l'altro
presso la spalla sinistra, mugolava ferocemente e i suoi denti scricchiolavano.
Jody impugnò
risolutamente il coltello da caccia, un'arma di fabbrica cingalese, larga
parecchi pollici e coll'estremità quadra anziché acuta, e si mise a menare
colpi disperati, tentando di decapitarla.
Fu nuovamente
afferrato e le unghie della fiera gli laceravano la casacca ed insieme la
carne, mentre le fauci spalancate gli alitavano in viso un soffio ardente e
corrotto.
La
spaventevole lotta in mezzo alle acque durò pochi secondi. Il coltellaccio di
Jody ogni volta che cadeva produceva ferite orribili dalle quali il sangue
sgorgava a torrenti.
L'acqua
intorno ai due combattenti era tutta rossa.
Ad un tratto
la belva allargò la stretta, mandò un ultimo au-ugh e stramazzò sul
fondo del fiume, rimanendo semi-coperta dalle acque. Quasi nel medesimo istante
il valoroso mulatto udì una voce gridare:
«Jody!...
Jody!»
«Palicur!»
ebbe appena la forza di rispondere il disgraziato, che si sentiva mancare
rapidamente le forze.
Due ombre
umane si lasciarono scivolare giù dalla riva e lo ricevettero fra le loro
braccia.
«Ventre di
pescecane! - esclamò il quartiermastro della Britannia, sentendosi
bagnare le mani da un getto tiepido. - È sangue questo! Ehi, Jody, che cosa è
successo?»
Il mulatto
borbottò qualche parola incomprensibile, poi s'abbandonò svenuto fra le braccia
robuste di Palicur.
«È ferito,
signor Will!» gridò il malabaro, spaventato.
«Me ne sono
accorto, - rispose il quartiermastro, lanciando intorno un rapido sguardo. -
Ah! Comprendo! Il disgraziato è stato assalito da una tigre! Guardala là,
Palicur! Era stato lui a far fuoco sulla terribile belva. Presto, portiamolo
all'accampamento. Può essere stato ferito gravemente.»
Il malabaro,
che come abbiamo detto aveva una forza più che straordinaria, prese il mulatto
e risalì la riva seguito dal quartiermastro, che aveva raccolto la carabina ed
il coltello da caccia, quantunque si trovassero sott'acqua.
In un lampo
attraversarono la distanza che li separava dall'accampamento e giunti presso il
falò, che non si era ancora spento, denudarono il mulatto.
Lo svenimento
era stato prodotto più dall'emozione della lotta che dalle ferite, poiché
quantunque la giacca di grossa tela, assai resistente, fosse stata stracciata
in più luoghi, l'uomo non aveva riportato che delle graffiature, piuttosto
profonde, alle braccia ed alle spalle.
«Nulla di
grave, - disse il quartiermastro. - Portami dell'acqua e straccia una manica
della tua camicia. Domani quest'uomo potrà seguirci, se la scialuppa giungerà.»
Palicur
discese nel fiume e riempì una fiasca. Il quartiermastro lavò accuratamente le
ferite e le fasciò per bene, poi fece inghiottire al mulatto una sorsata di
gin.
Un fragoroso
sternuto, accompagnato da un colpo di tosse, avverti i due ex-forzati che il
loro compagno stava per tornare in sé.
«È solido
questo mezzo negro e mezzo bianco,» disse Will ridendo.
«E coraggioso,
- aggiunse Palicur. - Deve aver sostenuto una lotta corpo a corpo con quella
tigre.»
Jody riaperse
gli occhi. «È morta?» chiese, cercando di alzarsi.
«Credo che a
quest'ora abbia già fatto la sua entrata nei paradiso dei felini, ammesso che
ve ne sia uno, - disse Will. - Perbacco! Come l'hai conciata, mio bravo Jody!»
«L'ho uccisa?»
«Sta
bagnandosi nel fiume.»
«Che paura,
signor Will. Mi aveva afferrato così strettamente che non ero più capace di levarmela
d'attorno.»
«E perché sei
andato così lontano? - chiese Palicur. - Potevi prima destarci.»
«Ho lasciato
il campo perché mi pareva d'aver scorto una scialuppa radere la riva opposta, e
volevo assicurarmene.»
«Una
scialuppa! - esclamò Will. - Sei ben certo di non esserti ingannato?»
«Non posso
affermarvi di averla proprio veduta. Può darsi che fosse invece qualche grosso
coccodrillo.»
«O qualche
canotto montato da pescatori Vadassi, - disse Palicur. - Non dobbiamo troppo
inquietarci. Quando quei selvaggi sono in pochi, non osano assalire.»
«Ricoricatevi,
signor Will, e tu cerca di riposare, Jody. Io monto il mio quarto di guardia.»
«Potrai
dormire?» chiese il quartiermastro al mulatto.
«Le ferite non
mi danno fastidio, signore. Noialtri abbiamo la pelle dura e siamo meno
sensibili degli uomini bianchi.»
Lo portarono
sotto la tenda, su un ammasso di foglie fresche e profumate, poi il malabaro si
sedette accanto al fuoco, cominciando il suo quarto.
Nessun altro
avvenimento turbò il riposo degli accampati.
Poco dopo il
sorgere del sole, Will, a cui spettava l'ultimo quarto, udì verso la foce del
fiume un fischio acuto che annunciava l'arrivo di una scialuppa a vapore.
Cinque minuti
dopo una bella imbarcazione, montata dal mandah e da sei vigorosi
indiani, che rimorchiava una piccola pinassa, si arrestò presso la riva
occupata dai tre ex-forzati.
«Buon giorno,
amici, - gridò Moselpati, risalendo la sponda. - Date la colpa ai venti
contrari se abbiamo tardato a giungere.»
«Hai caricato
tutto?» chiese Palicur, che si era affrettato a uscire dalla tenda.
«Avete viveri,
armi, tende, coperte, tutto ciò insomma che occorre per un lungo viaggio in
regioni deserte.»
«Anche la
spingarda?» chiese Will.
«Con
cinquecento cariche,» rispose il pescatore di perle.
«E del Guercio,
hai avuto più notizie?»
«Nessuna,
Palicur. L'ho fatto cercare invano nella Città delle perle. Speriamo che sia
andato a farsi impiccare lontano da Ceylon. Quando contate di partire?»
«Fra qualche
ora, - rispose Palicur. - La tua barca t'aspetta al largo?»
«Sì ed ho
fretta di tornarmene al banco di Manaar. Ho perduto già troppi giorni e fra due
settimane la pesca si chiuderà definitivamente.»
«Facciamo
almeno colazione insieme prima, - disse Will. - sarà il pasto d'addio.»
I quattro
indiani, dopo aver legato la scialuppa a vapore e la piccola pinassa, finirono
di fare a pezzi il porco selvatico ucciso il giorno innanzi dal malabaro, e
allestirono in breve tempo un'abbondante colazione, aggiungendo alle costolette
dei pesci freschi che avevano preso alla foce del fiume e alcune bottiglie
tolte dalle provviste che avevano portato.
Jody, che non
pareva soffrisse molto per le sue ferite, partecipò al pasto facendosi onore.
A mezzodì i
tre ex-forzati presero posto nella scialuppa a vapore che era ben fornita di
carbone e la cui macchina era sotto pressione, mentre il mandah e i
quattro indiani s'imbarcavano sulla piccola pinassa.
Si scambiarono
gli ultimi addii, poi la scialuppa si staccò dalla riva risalendo velocemente
il fiume, mentre i pescatori di perle tornavano alla loro barca.
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