10 - L'attacco dei
Vadassi
L'indomani i
tre ex-forzati, dopo una notte tranquillissima, riprendevano il viaggio,
risalendo la fiumana con notevole velocità, desiderosi di lasciarsi indietro
l'individuo che avevano veduto comparire in mezzo alle piante.
L'acqua era
sempre profonda, quantunque fosse di quando in quando interrotta da banchi di
sabbia che obbligavano Will ad una continua sorveglianza ed il malabaro ad un
incessante sondaggio.
Le due rive
non accennavano a variare. Gli alberi si succedevano agli alberi, per lo più di
dimensioni colossali, con foglie smisurate che impedivano ai raggi del sole di
giungere fino a terra, popolati sempre da pappagalluzzi noiosi e da piccole
bande di quadrumani che davano non poca noia ai naviganti, bersagliandoli con
frutta e con pezzi di rami.
A mezzodì la
scialuppa, superata una gran curva, si trovò improvvisamente dinanzi ad un
raggruppamento di capanne, situato sulla riva destra.
«Alt!» gridò
precipitosamente il malabaro, che non s'aspettava di incontrare in quel luogo
delle abitazioni.
Era troppo
tardi per retrocedere. Alcuni uomini, che sembravano più negri che cingalesi,
intenti a pescare sulla riva, salutarono la comparsa della scialuppa con dei
clamori assordanti.
«È inutile
scappare, - disse Will. - D'altronde siamo bene armati e se vorranno
importunarci li calmeremo a colpi di spingarda. Sono Vadassi?»
«Sì, signor
Will,» rispose il pescatore di perle.
«Non sarà già
il villaggio di quel terribile capo di cui mi hai narrato la storia
sanguinosa.»
«No, quello é
più lontano.»
«Approdiamo;
con qualche regalo spero di ammansire quei selvaggi e forse di ottenere da loro
qualche guida.»
La scialuppa
si spinse risolutamente innanzi, arrestandosi dinanzi ad un pontile formato di
tronchi d'albero infissi nel fango del fiume. Due o tre dozzine di selvaggi si
erano radunati sulla riva, osservando con viva curiosità i tre ex-forzati e
soprattutto il quartiermastro, la cui pelle bianca doveva produrre un certo
effetto.
Erano tutti di
statura piuttosto bassa, con capelli lanuti, il naso corto con pinne allargate,
la bocca grande, le labbra grosse ma non sporgenti come quelle dei negri, gli
occhi piccoli e orizzontali ed il corpo esile colle spalle un po' incurvate.
Sembrava
appartenessero a quella razza chiamata eta che s'incontra in quasi tutte
le isole asiatiche e malesi, a Mindanao, alle Filippine, a Mindoro, a Palawan,
occupando di preferenza l'interno di quelle terre, e che ancora s'ignora da
quale parte sia venuta e come si sia dispersa.
I giovani
erano abbastanza piacevoli a vedersi; gli anziani invece erano brutti, molto
magri, coi ventri gonfi e i volti rugosi che annunciavano una vecchiaia assai
precoce.
Quasi tutti
quei selvaggi, a qualunque isola appartengano, vivono come gli animali delle
foreste, errando a capriccio senza ricoveri stabili, nutrendosi di miele, di
radici e d'insetti, anche dei più ributtanti, e non indossando alcuna veste.
Quelli che si erano
raccolti sul pontile non erano diversi dagli altri e, all'infuori di alcuni
tatuaggi, non avevano né ornamenti né sottanini. Anche le loro armi erano
affatto primitive, non avendo essi che pochi archi con frecce di legno
dentellato e dei bastoni colle punte indurite al fuoco.
Il malabaro,
che conosceva un po' la lingua di quei selvaggi, offrì a quei miserabili alcuni
biscotti che essi divorarono avidamente, poi chiese di parlare al capo.
«Sta per
giungere con lo stregone della tribù, - rispose il più vecchio di quegli
uomini. - Eccolo che viene.»
Un piccolo
drappello di negritos era uscito da una capanna malamente costruita, più
ammasso di foglie e di rami che dimora, e s'avanzava verso il fiume.
Precedevano
due negri muniti d'un gura, bizzarro strumento musicale composto d'un
arco fornito d'una corda, d'un tubo e d'una penna, e che a soffiarvi dentro
manda dei suoni melodiosi come quelli d'un violino. Veniva in seguito un terzo
suonatore che percuoteva furiosamente un pezzo d'albero scavato, alto tre piedi
e coperto da un lato da una pelle che produceva molto fracasso.
Seguiva lo
stregone della tribù, un omiciattolo alto appena quattro piedi, personaggio
importantissimo perché dotato del potere di far passare l'anima d'un morto nel
corpo d'un vivo, di far cadere a volontà la pioggia, salvando così i raccolti
dalla siccità, di scongiurare qualsiasi maleficio e di combattere gli spiriti
maligni abitatori delle selve. Il suo corpo era tutto imbrattato di pitture
bizzarre che volevano raffigurare dei mostri, aveva i capelli intrecciati con
penne, code e ossa di animali e portava monili e collane formate di
conchigliette bianche.
Ultimo veniva
il capo, un uomo più alto dei suoi sudditi, di tinta più oscura, cogli occhi
foschi, che si pavoneggiava in un vecchio mantello rosso crivellato come una
schiumarola, e aveva legato al collo una coda di tigre, insegna del potere e
fors'anche della sua ferocia.
Palicur scese
sul pontile portando una bottiglia di brandy, seguito da Will che per
precauzione si era armato di due carabine a doppia canna, mentre Jody rimaneva
a guardia della scialuppa dietro la spingarda che era stata caricata con grossi
pallini, onde mitragliare i selvaggi nel caso che dimostrassero delle
intenzioni ostili. Il capo, che si avanzava con una certa titubanza, tenendosi
nascosto dietro lo stregone, vedendo Palicur si arrestò e si levò l'arco che
portava appeso alla spalla.
«Siamo amici,
- disse il malabaro, - e non abbiamo alcun desiderio di fare del male né a te,
né ai tuoi uomini. Prendi e bevi.»
Il selvaggio,
che doveva conoscere le bottiglie, con un colpo di bastone decapitò quella che
gli veniva offerta, ne sparse a terra qualche goccia forse per rendere omaggio
a chissà quale divinità, poi si mise a baciarla con tale trasporto da far
andare in bestia lo stregone, il quale temeva evidentemente di rimanere a bocca
asciutta.
«Questo
liquore è meglio dell'altro, - disse finalmente, dopo averla vuotata più che
mezza. - Voi siete più generosi.»
«Dell'altro! -
esclamò il malabaro. - Ti hanno offerto qualche altra bottiglia?»
«Sì, ieri
mattina.»
«Chi?»
«Degli uomini
che montavano una barca da fuoco, simile alla tua,» rispose il selvaggio.
«Erano uomini
bianchi?»
«Uno solo.»
«E gli altri?»
«Mi parvero
Candiani.»
Palicur guardò
il quartiermastro, traducendogli le risposte del vadasso.
«Che sia
qualche inglese incaricato di esplorare il fiume? - disse Will. - Cerca di
avere spiegazioni più chiare, Palicur.»
Il malabaro si
provò ad interrogare il selvaggio, ma questi, troppo occupato a sorseggiare il
brandy, diede delle risposte così vaghe da non delucidare di molto il mistero.
Tentò con lo stregone, senza miglior risultato.
«Era montata
da quattro uomini fra i quali uno aveva la pelle bianca,» gli rispose lo
stregone.
E fu tutto
quello che poté sapere. Tuttavia il capo non si rifiutò di fornirli d'una guida
onde potessero ottenere il libero passaggio sul fiume, mediante il compenso
d'una scure, arma preziosissima giacché quei selvaggi non conoscevano la
lavorazione dei metalli.
Scambiate
alcune cianfrusaglie con frutta e polli, qualche ora dopo i tre ex-forzati
abbandonavano il villaggio onde riprendere il viaggio. La guida fornita dal
capo era un guerriero coperto di numerose cicatrici, brutto come una scimmia,
dallo sguardo obliquo niente affatto rassicurante, che portava al collo, suo
unico indumento, una coda di pantera nera, insegna di valoroso.
«Ecco un
compagno che non m'ispira nessuna fiducia, - disse Jody. - Non poteva darci una
scimmia peggiore.»
«Al primo
villaggio ci sbarazzeremo di lui, se ci darà motivo di sospetto, - rispose il
malabaro. - Chissà invece che non ci possa essere utile per farci passare
dinanzi alle borgate senza avere fastidii.»
La scialuppa a
vapore, che aveva fatto una larga provvista di legna, aveva ripreso la sua
corsa, risalendo il fiume con notevole velocità. Il Vadasso, che pareva
conoscesse perfettamente quel corso d'acqua, indicava di quando in quando la
rotta avvertendoli con un grido gutturale della presenza dei banchi subacquei.
Anche quella giornata
trascorse senza incidenti notevoli e senza che i naviganti incontrassero alcun
essere vivente. I boschi si succedevano ai boschi, senza alcuna interruzione,
popolati quasi esclusivamente da scimmie.
Stava per
calare la sera e Will aveva dato ordine a Jody di dirigersi verso la riva per
accamparsi sul margine della foresta, essendo la scialuppa troppo ingombra per
dormirvi dentro, quando il selvaggio mandò un grido singolare, additando nel
medesimo tempo un ammasso di piccoli banani le cui foglie si agitavano come se
qualcuno cercasse di aprirsi il passo.
«Che cos'ha?»
chiese Will, guardando Palicur.
Il malabaro
interrogò il vadasso, il quale si limitò a dire:
«Sonar.»
«Che cosa vuol
dire?» chiese il quartiermastro.
«Dice che vi è
un orso là in mezzo,» rispose Palicur.
«Non avevo mai
saputo che in quest'isola ve ne fossero.»
«Anzi
abbondano, signore, e appartengono alla stessa razza di quelli che s'incontrano
sulle montagne dell'India.»
«Sono assai
pericolosi?»
«Non troppo.»
«Allora non
lasciamolo scappare. I zamponi di quegli animali non sono da disprezzarsi. Presto, a terra, Jody!»
La scialuppa
si arenò colla prora sulla sponda, che in quel luogo scendeva dolcemente, e il
quartiermastro e il malabaro, prese le carabine, balzarono lestamente fra i cespugli
che coprivano la riva.
L'orso doveva
essersi accorto della presenza di quegli uomini, perché le foglie dei banani
non si agitavano più. Certo doveva essersi allontanato cautamente per
rifugiarsi nel folto della foresta.
«Affrettiamoci,
signor Will, o ci sfuggirà, - disse il malabaro. - I sonar sono molto
agili.»
Non era però
cosa facile inoltrarsi rapidamente. Degli alberi enormi, che spingevano le loro
radici fino nel fiume, formavano una specie di barriera quasi impenetrabile,
essendo per di più collegati gli uni agli altri da ammassi di piante parassite
che ricadevano in festoni colossali.
Si erano
tuttavia avanzati d'un centinaio di passi, quando udirono un leggero sibilo e
scorsero un'ombra scivolare rapidamente in mezzo ad un colossale gruppo di bambù
che lanciavano le loro cime a diciotto o venti metri d'altezza.
«Hai veduto,
Palicur?» chiese Will, il quale si era prontamente arrestato.
«Sì, un uomo è
fuggito dinanzi a noi.»
«Ci ha
lanciato una freccia?»
«Sì, signor
Will.»
Quasi nel
medesimo istante udirono un secondo sibilo e videro un'altra ombra fuggire
entro la macchia.
«Diavolo!-
esclamò Will.- Non sono orsi questi.»
«Che ci
abbiano teso un agguato?» si chiese Palicur, gettandosi dietro il tronco d'un
albero.
«O che siano
invece cacciatori che spiavano, al pari di noi, l'orso?»
«Non era un
motivo per lanciarci addosso delle frecce, signor Will. Non siamo già dei sonar
noi.»
«Che cosa
facciamo?»
«Vorrei vedere
in viso quei bricconi e raggiungere nel medesimo tempo l'animale.»
«Avanti dunque,»
disse il quartiermastro.
Ripresero la
marcia, aprendosi un varco con molte difficoltà, poiché la foresta diventava
sempre più folta man mano che si allontanavano dalla riva del fiume.
Le terre di
Ceylon, ancora vergini nella loro maggior parte, sono d'una fertilità
assolutamente prodigiosa. Le piante spuntano dovunque e si moltiplicano con una
rapidità incredibile. Un campo non più coltivato, dopo sei mesi è una piccola
foresta dove invano si cercherebbero le tracce dei solchi scavati dalla mano dell'uomo.
Bambù, areca, palmizi, fichi, banani, cinnamomi, mimose e felci sorgono come
per incanto, intrecciando rami e radici e formando dopo qualche anno un bosco
quasi impenetrabile, che servirà di rifugio alle tigri, alle pantere, ai
serpenti e qualche volta ai giganteschi elefanti ed ai brutali rinoceronti.
Il
quartiermastro e Palicur, dopo essersi avanzati per altri tre o quattrocento
metri, si arrestarono dinanzi ad una vera muraglia di tronchi d'albero di
dimensioni colossali, cresciuti così strettamente l'uno accanto all'altro, da
impedire loro il passaggio.
«È impossibile
andare più avanti, - disse Will con malumore. - Dovremmo scivolare come i
serpenti e col pericolo di venire sorpresi e di ricevere qualche freccia nei
fianchi.»
«Dove si
saranno nascosti quei bricconi?» chiese il malabaro, che scrutava le piante
vicine senza poter scorgere nulla.
«A quest'ora
saranno lontani. Devono esser agili come le scimmie.»
«E l'orso?»
«Oh! In quanto
a quello, non saremo noi ad assaggiare i suoi zamponi.»
«Mi rincresce,
- disse Palicur. - La carne di quegli animali è così deliziosa!»
«Torniamo: non
è prudenza fermarsi troppo a lungo qui. Andremo ad accamparci sulla riva
opposta.»
«Silenzio,
signor Will.»
«C'è qualche
altra novità?»
«Mi è sembrato
d'aver udito un ramo spezzarsi.»
«Dinanzi a
noi?»
«No, dietro.»
«Che sia il sonar?»
«Andiamo a
vedere, signore, e apriamo gli occhi. So che certe tribù di Vadassi fanno uso
di frecce avvelenate e non vorrei riceverne una.».
Si erano
appena voltati, quando in aria si udì un sibilo leggero. Il quartiermastro
curvò istintivamente la testa e vide passare sopra di sé una freccia, la quale
andò a piantarsi profondamente nel tronco tenero d'un piccolo cinnamomo.
Si volse
rapidamente e, scorgendo le punte di alcuni bambù muoversi, fece fuoco in
quella direzione, tirando però rasente al suolo. Un grido rauco seguì lo sparo,
seguito da un gemito. I bambù ondeggiarono vivamente per qualche istante, poi
ripresero la loro immobilità.
«Avete colpito
qualcuno,» disse il malabaro, il quale aveva alzato il fucile, pronto a far
fuoco.
«Quel grido
può essere stato mandato per ingannarci,» rispose: Wíll.
S'avvicinò
all'albero e staccò la freccia, guardandola attentamente. Era una canna lunga
due piedi, la quale terminava in un piccolo osso di forma cilindrica, munito
lateralmente d'un uncino di ferro assai acuto. Appena toccato, l'osso si era
staccato.
«Freccia dei
Vadassi e per di più avvelenata, - disse il malabaro. - Guardate, signor Will:
l'osso è coperto da una specie di mastice, formato da veleno estratto dai
serpenti e mescolato al latte di qualche pianta. Un proiettile pericolosissimo,
perché, una volta entrato nelle carni, non lo si può subito strappare a causa
dell'uncino. Bricconi. Volevano proprio ammazzarci!»
«Mio caro
Palicur, andiamo, prima che qualche freccia ci colpisca. Forse quei negri non
erano soli.»
«Cominciarono
tosto una prudente ritirata, fermandosi di quando in quando dietro i tronchi
degli alberi per vedere se fossero seguiti e tenendosi lontani dalle macchie
troppo folte, entro le quali potevano celarsi gli assalitori.
Un quarto
d'ora dopo giungevano senz'altri incidenti sulla riva, nel momento in cui il
mulatto stava per lasciare la scialuppa onde mettersi alla loro ricerca,
temendo che fosse toccata loro qualche disgrazia. Vedendoli comparire, li
raggiunse subito chiedendo loro contro chi avessero fatto fuoco.
Apprendendo
l'inqualificabile aggressione, il suo volto si oscurò.
«C'è qui sotto
qualche cosa che m'inquieta, - disse. - Avete incontrato il negrito che vi ho mandato
incontro?»
«Non l'abbiamo
veduto,» risposero ad una voce il quartiermastro e il malabaro.
«È partito
appena ha udito lo sparo.»
«Avrebbe
dovuto trovarci, perché non eravamo lontani più di trecento o quattrocento
metri,» disse Will.
«È strano! Che
quell'uomo ci abbia abbandonati? Le cose s'imbrogliano,» disse Palicur. Accostò
due dita alle labbra e mandò alcuni fischi acuti, ma non ebbe risposta.
«Signor Will,
- disse, - temo un tradimento. Andiamo via subito.»
«Quel negro
può essersi smarrito,» osservò Jody.
«Un uomo come
lui, pratico del paese! Oh no, - disse il malabaro. - Se non è tornato,
significa che quella canaglia si è unita ai due Vadassi che hanno cercato di
cacciarci un po' di veleno in corpo.»
«Che il capo
del villaggio c'entri in questo agguato?» chiese Will.
«Non mi
stupirei, signore, - rispose Palicur. - Allontaniamoci subito e cerchiamo un
rifugio, possibilmente su qualche isolotto.»
«Non sarà
difficile trovarne,» disse Jody, facendo retrocedere la scialuppa.
«E tenete i
fucili a portata di mano, - comandò il quartiermastro. - Vi possono essere dei
selvaggi anche sulla riva opposta.» L'imbarcazione riprese il largo, rimontando
la fiumana e tenendosi ad eguale distanza dalle due sponde le quali, per
fortuna, erano abbastanza lontane l'una dall'altra per impedire che una freccia
giungesse fino ai viaggiatori.
Will e Palicur
si erano collocati a prora, tenendo le carabine sulle ginocchia e sondando di
tratto in tratto la profondità dell'acqua. Nessun pericolo però pareva li
minacciasse, almeno pel momento, perché fra le canne acquatiche si vedevano
passeggiare tranquillamente alcuni grossi uccelli e altri stavano appollaiati
sui rami degli alberi. Se vi fossero stati dei selvaggi nascosti fra i cespugli
che coprivano le rive, non sarebbero certamente rimasti così calmi.
L'imbarcazione
aveva già superato una gran curva, quando fra gli alberi si udirono
improvvisamente echeggiare dei colpi metallici che parevano prodotti da un
martello battente su una lastra.
«Da che
proviene questo rumore?» chiese Will.
«È un uccello,
una specie di piviero,» rispose il malabaro.
«Ah! Non lo
crederò mai!»
«Allora questi
sarebbero dei suonatori d'arpa, signor Will. Udite?»
Delle note
dolci, che parevano veramente cavate da uno strumento a corda, si udivano sulla
riva sinistra. Il quartiermastro guardò Palicur con sorpresa.
«Sono troghi
scarlatti che cantano, - rispose il malabaro ridendo; - rispondono ai pivieri.»
«O meglio agli
uomini,» disse in quel momento Jody.
«Come
macchinista, tu credi che...»
«Dico che qui
né i troghi scarlatti né i pivieri c'entrano affatto. Questo tintinnio
metallico mi sembra prodotto da lame di zagaglia urtate le une contro le
altre.»
«E questi
arpeggi?»
«Da un
rabochino.»
«Puoi
ingannarti, Jody,» disse Palicur.
«No, - rispose
il mulatto. - Ascolta bene, malabaro, ti dico che dei negri corrispondono fra
le due rive.»
«Che sperino
d'impadronirsi della nostra scialuppa?» si chiese il quartiermastro.
«Sono capaci di
tentarlo, - disse Palicur, che ormai condivideva l'opinione del macchinista. -
Cerchiamo presto un isolotto, signor Will. Non ci conviene accamparci sulle
rive.»
«Accelera un
po' la marcia, Jody,» comandò l'inglese.
I segnali
erano terminati. Nessuno piviero, né alcun trogo era comparso sulle rive, segno
evidente che il mulatto non si era ingannato. Solamente delle grosse
pelargopsia, uccelli chiamati dai negri luri, colle penne nere e il
becco rosso come il corallo, volavano pesantemente presso i canneti.
La notte era
calata e la luna stava sorgendo dietro le alte cime degli alberi. Enormi
pipistrelli cominciavano a sbucare fra le piante, descrivendo sulle acque del
fiume degli zig-zag molto accentuati.
La scialuppa
avanzava rapidissima, lasciandosi dietro una scia gorgogliante, ma nessun
isolotto appariva né presso la riva destra, né presso la sinistra.
Già i tre
ex-forzati stavano per ancorarsi in mezzo al fiume, quando scorsero, qualche
chilometro più innanzi, una punta di terra che era collegata alla sponda da una
serie di banchi coperti da piante acquatiche, appena emergenti.
«Ci
accamperemo colà, - disse Will, accennando a quella specie di penisoletta. Se i
selvaggi vorranno assalirci, saranno costretti a passare sui banchi e allora li
fucileremo facilmente.»
La scialuppa
in pochi minuti superò la distanza e si arrestò dolcemente su quella punta, la
quale era coperta da banani selvaggi e da mazzi di bambù altissimi. I tre
ex-forzati affondarono l'ancorotto e legarono la prora con una doppia fune, poi
presero possesso di quel lembo di terra facendo fuggire alcune coppie di alcede
dalle penne turchine, i soli abitatori di quel luogo.
Jody e Palicur
allestirono rapidamente la cena, fecero un'ampia raccolta di legna per
mantenere il fuoco tutta la notte, poi si sdraiarono presso Will che aveva
acceso la pipa.
«Addormentiamoci
il più tardi possibile,» disse il malabaro.
«Temi che quei
bricconi ci raggiungano?» chiese il quartiermastro.
«Non sono
tranquillo, signor Will. Conosco la testardaggine e la crudeltà dei Vadassi.
Sarei lieto di poter dare loro una dura lezione, per far comprendere a quelle
canaglie che noi siamo persone capaci di difendere la nostra pelle e le nostre
proprietà.»
«Preferisco
non aver a che fare con quei demoni.»
«Spero che ci
lasceranno tranquilli.»
Attesero fino
a mezzanotte, poi non vedendo comparire nessuno verso la riva a cui la punta
era collegata dai banchi, Jody, che non era ancora completamente guarito dalle
sue ferite, si ritirò sotto la tenda, promettendo di montare il quarto delle
quattro del mattino.
Il malabaro e
il quartiermastro si collocarono invece uno dalla parte del fiume, l'altro
dalla parte dei banchi, onde poter dominare collo sguardo il maggior spazio
possibile. La luna stava per scomparire in mezzo ad una fitta nube, quando Will
vide apparire il pescatore di perle.
«Hai qualche
novità?» gli chiese.
«Sì, signor
Will. Giurerei di aver veduto un punto luminoso brillare sulla riva opposta e
poi spegnersi subito.»
«Dunque siamo
spiati?»
«Lo sospetto,
signore.»
«Che cosa
aspettano per assalirci?»
«Ecco quello
che ignoro.»
«Se non
approfittano dell'oscurità, non so quando potrebbero agire.»
«Udite?»
Un urlo
lugubre, simile a quello d'un lupo, si era fatto udire in quel momento verso la
riva opposta.
«Un bighama?»
chiese il quartiermastro.
«Uhm!» fece il
malabaro, scuotendo la testa.
«Non credi che
sia un lupo cingalese?»
«No, signor
Will, - rispose il malabaro. - Quell'urlo era troppo breve.»
«Dunque lo
credi un segnale?» chiese il marinaio.
«Ne ho la convinzione.
Eh! Ve lo dicevo io?»
Un riso
stridulo, beffardo, ruppe il silenzio della notte, vibrando per qualche tempo
fra le tenebre.
«Sì, - disse
il quartiermastro, - tu hai ragione, Palicur. I negritos corrispondono
fra loro. Organizzano qualche tradimento contro di noi.»
«Ripartiamo,
signor Will?»
«Preferisco
rimanere qui e vedere in viso i nostri assalitori, - rispose il marinaio. -
Meglio sbarazzarci ora di loro che averli sempre addosso. Leviamo le casse dei
viveri e formiamo una barricata. Dobbiamo guardarci dalle loro frecce, se è
vero che i Vadassi fanno uso del veleno.»
«È
micidialissimo, signor Will.»
«All'opera,
Palicur.»
Nella
scialuppa vi erano otto casse contenenti viveri, vesti di ricambio, attrezzi
diversi e oggetti vari, oltre a tre materassi e ad alcuni barili. I due
ex-forzati sbarcarono ogni cosa ed innalzarono intorno alla tenda una specie di
trincea, sufficiente a metterli al coperto dai dardi, che rinforzarono poi con
bambù e ammassi di foglie. Possedendo quei selvaggi degli archi piuttosto
deboli, quegli ostacoli potevano bastare.
«S'avanzino
pure ora, - disse Will, che pareva soddisfatto di quel lavoro. - Colle nostre
carabine e coi fucili da caccia non abbiamo più nulla da temere. Tu sei certo
che non possiedono armi da fuoco?»
«Almeno fino a
due anni or sono ne ignoravano l'uso, - rispose il malabaro. - Non credo che i
Candiani e gl'Inglesi abbiano insegnato loro il modo di servirsene, né che ne
abbiano venduti.»
«Facciamo il
giro della punta, amico mio. Tu procedi da destra a sinistra; io m'avanzerò in
senso contrario.»
Il pescatore
di perle e il marinaio, dopo aver armato le carabine, eseguirono
l'esplorazione, incontrandosi a metà via.
«Nulla?»
chiese Will.
«Ho udito un
tonfo, signore.»
«Dove?»
«Verso la riva
opposta.»
«Allora un
uomo deve essersi gettato in acqua.»
«Purché non
sia stato un coccodrillo.»
Il
quartiermastro si spinse verso la riva e guardò il fiume, ma l'ombra proiettata
dalle piante era così fitta che non poté discernere nulla.
«Avete scorto
qualche cosa?»
«No,» rispose
il marinaio.
«Eppure è
impossibile che io mi sia ingannato.»
Come per
confermarlo, in quello stesso momento s'udì per la seconda volta l'urlo triste
e monotono d'un bighama. Quasi subito sulla riva opposta si videro
vagamente delle ombre scendere attraverso i cespugli, scomparendo fra i canneti
che ingombravano parte del fiume.
«Sveglia
subito Jody, - disse il quartiermastro. - Quei furfanti. cercano di
sorprenderci.»
«E
ripieghiamoci subito verso la tenda, signore, - disse il pescatore di perle. -
Essi giungeranno nuotando fra due acque, essendo agili come pesci.»
In quattro
salti raggiunsero la barricata, spensero il fuoco e scossero il macchinista.
«Su, ragazzo
mio, - disse Will. - Questo non è il momento di sognare.»
«Vengono, signore?»
chiese il macchinista, sbadigliando.
«Sì, fregati
gli occhi e non sprecare cartucce.»
«Si stava
meglio sulla chiglia del vascello. Là almeno non vi aerano negri pronti a
saettarci con delle frecce avvelenate.»
«Silenzio,
arma la carabina e guarda verso i banchi tu. Possiamo venire assaliti d'ambo le
parti.»
Si gettò
dietro una cassa, a fianco del malabaro, mentre il mulatto si appostava dietro
la tenda per sorvegliare la penisoletta.
I negritos
avevano cessato di fare segnali, però sulla riva opposta si udivano le canne
agitarsi e si scorgevano delle ombre umane avanzarsi verso il fiume e poi
retrocedere, scomparendo in mezzo ai cespugli.
«Cercano di
vedere se siamo desti o se dormiamo, - disse il quartiermastro. - Saranno in
molti?»
«È quello che temo,
signore, - rispose il pescatore di perle. - Se fossero in pochi non oserebbero
assalirci.»
«Sta bene:
prepariamoci a fucilarli.»
|