11 - Il capo grigio
Con loro somma
sorpresa la notte passò senza che i negritos facessero alcun tentativo
per sloggiarli da quel posto. Prima però che le tenebre svanissero
completamente, scorsero a più riprese numerosi gruppi di selvaggi scendere
verso il fiume e nascondersi fra i canneti, e poco dopo riguadagnare la foresta
senza aver lanciato nemmeno una freccia.
Quelle manovre
misteriose cominciavano ad inquietare assai i naviganti. Che cosa aspettavano
dunque quei nemici? L'alba forse? Colla luce non avevano certo molto da
guadagnare dovendo combattere colle loro armi primitive di portata assai breve
contro delle buone carabine che mandavano i proiettili a quasi mille metri.
Già gli astri
cominciavano a scomparire e verso oriente le tenebre si diradavano per lasciare
il posto ad una bella luce rosea, che si diffondeva rapidamente pel cielo. Fra
poco il sole doveva fare la sua comparsa.
Will ed il
malabaro aguzzavano gli sguardi verso la riva senza riuscire a scoprire i negritos,
quantunque vedessero sempre agitarsi le cime dei canneti.
Quando la luce
si proiettò anche sul fiume, un grido di stupore e insieme di collera sfuggì
dalle labbra del quartiermastro.
«No, non mi
inganno! - esclamò. - È proprio lui, il capo del villaggio!»
«Col suo
stregone, - aggiunse il malabaro. - Ah! Canaglia! È lui che ha organizzato il
tradimento.»
«Che i
pescicani mangino quel gaglioffo!»
«O meglio una
tigre, signor Will, non essendovi squali qui.»
Il capo
scendeva verso il fiume accompagnato dallo stregone, tenendo in mano un ramo di
cinnamomo, la loro bandiera bianca. Il malabaro, dopo essersi assicurato che
fra le canne vicine non vi erano dei selvaggi imboscati, si alzò tenendo un
dito sul grilletto della carabina.
«Che cosa
vuoi?» gli chiese.
«Impedirvi il
passaggio,» rispose il negro, che pareva aspettasse l'imbeccata dallo stregone.
«Per quale
motivo?»
«Perché non mi
avete pagato il diritto di transito.»
«Potevi
chiederlo quando ci siamo fermati al tuo villaggio, imbecille! Che cosa
domandi?»
«La barca che
fuma».
Il malabaro
rispose con uno scroscio di risa.
«Tu sei pazzo!
- gridò. - Come faremmo noi a continuare il viaggio?»
«Colle vostre
gambe,» rispose il capo, imperturbabilmente.
«La vuoi
davvero?»
«Sì e se non
me la date spontaneamente, ve la toglierò colla forza e poi vi ucciderò tutti.
Adikar così vuole ed io obbedirò ai suoi ordini.»
«Mandaci Adikar
a parlamentare.»
«Non
s'incomoda per così poco.»
«Allora va' a
dirgli che noi usiamo trattare i ladri in questo modo.» Pronunciando quelle
parole il pescatore di perle puntò bruscamente il fucile, lasciando partire le
due cariche.
Mancò il capo
e colpì lo stregone, il quale rotolò giù per la riva senza mandare un sol
grido, scomparendo nelle acque che dovevano essere profonde in quel luogo.
Subito urla
orribili s'alzarono fra i cespugli e una cinquantina di Vadassi comparvero come
per incanto, cogli archi tesi.
«A terra,
Palicur!» gridò il quartiermastro, afferrandolo per le gambe.
Il malabaro si
lasciò cadere prontamente dietro la cassa, mentre una nuvola di frecce
attraversava sibilando il fiume, piantandosi sui ripari e attraversando in più
luoghi la tenda.
«Hai avuto
troppa fretta, Palicur, - disse Will. - Potevi aspettare un po' e trattare.»
«Sarebbe stato
tempo sprecato, signore. Quei bricconi si credono più forti di quello che sono.
Giacché hanno cominciato, continuiamo la battaglia o non partiremo più.»
«Sono pronto.
Jody!»
«Signore!»
«Vi sono dei
selvaggi dalla tua parte?»
«Ne scorgo
alcuni avanzarsi carponi sui banchi.»
«Cerca di non
risparmiarli.»
«Non li
mancherò, signor Will, - rispose il mulatto. - Non sono un pessimo tiratore.»
I Vadassi, dopo
quella bordata di frecce, erano tornati a nascondersi in mezzo ai cespugli,
tuttavia si vedevano strisciare per accostarsi al fiume. Il loro capo, manco a
dirlo, si era affrettato a rifugiarsi in mezzo alle piante, per non subire la
sorte toccata al suo disgraziato stregone e consigliere.
Trascorsero
alcuni minuti senza che né dall'una, né dall'altra parte si riprendessero le
ostilità, poi le frecce ricominciarono a sibilare sopra ed intorno al piccolo
accampamento e anche sulla scialuppa. Erano probabilmente avvelenate e
giungevano in buon numero, assieme a qualche zagaglia lanciata molto
destramente, poiché gli assalitori si erano assai avvicinati, approfittando
delle canne che si spingevano quasi fino in mezzo al fiume.
Il
quartiermastro e il malabaro avevano aperto il fuoco, mirando fra i canneti. Di
quando in quando un urlo acuto li avvertiva che non tutte le palle andavano
perdute.
Avevano già
sparato dieci o dodici colpi, quando il capo del villaggio ricomparve sulla
riva del fiume, tenendo in mano la scure che gli era stata regalata.
«Prendi,
furfante! - gridò il quartiermastro, alzandosi sulle ginocchia e prendendolo di
mira. - Ciò ti servirà di lezione.»
Il negrito un
momento dopo, colpito in mezzo al petto dalla palla dell'abile marinaio,
allargò le braccia mandando un urlo selvaggio. Rimase un momento ritto, cogli
occhi spalancati, pieni di terrore, poi s'abbandonò e scomparve travolto dalla
corrente.
I negritos,
vedendo cadere il loro condottiero, erano balzati fuori dalle canne per
salvarsi in mezzo ai cespugli, quando due spari rimbombarono nel bosco che si
estendeva dietro di loro e due palle fischiarono agli orecchi del
quartiermastro.
«Chi spara su
di noi?» gridò questi, gettandosi prontamente dietro la cassa.
«Che abbiano
invece fatto fuoco contro i selvaggi? - chiese Palicur. - Forse vi sono degli
uomini bianchi che vengono in nostro aiuto?»
«No, Palicur,
hanno sparato su di noi. Ho udito il fischio delle palle; credi tu che i
Vadassi posseggano dei fucili?»
«Impossibile,
signore.»
In quel
momento una terza detonazione rimbombò e i due ex-forzati udirono distintamente
il crepitio prodotto da una palla nell'attraversare la cassa.
«Chi sono quei
cani che si alleano ai selvaggi?» si domandò Will.
«Sono nascosti
nel bosco, signore. Vedete quella nuvoletta di fumo che ondeggia là dentro?»
«Tira là in
mezzo, malabaro.»
Spararono
quattro colpi verso la nuvola di fumo, poi scaricarono i fucili da caccia
contro i negritos che erano tornati ad avanzare verso il fiume.
Udendo quelle
detonazioni, Jody accorse.
«Lasciate un
po' di posto anche a me, - disse. - Dall'altra parte non vi è più nulla da
fare. Al primo colpo i selvaggi sono scappati come antilopi e non mi pare che
si sentano il coraggio di tornare.»
«Tira dunque,
- rispose Will. - Abbiamo dei fucili dinanzi a noi.»
«Me n'ero
accorto, signore.»
Una furiosa
fucilata parti da dietro la barricata, un superbo fuoco accelerato che fece
balzare fuori dalle canne i negri, nonostante i colpi di fucile dei loro
alleati sempre nascosti nel bosco.
I poveri
diavoli, non potendo opporre alle palle che degli archi e dei bastoni colla
punta indurita, colpiti in pieno soprattutto dai pallinacci dei fucili da
caccia, scappavano da tutte le parti, urlando come una legione di demoni,
rifugiandosi in mezzo ai cespugli ed agli alberi. Bastarono dieci minuti di
quel fuoco per sbarazzare non solo il fiume ma anche la riva da quegli
avversari, d'altronde più fracassoni che realmente pericolosi.
«Speriamo che
per qualche po' ci lascino tranquilli, - disse il quartiermastro, non vedendo
più nessuno. Ritiriamoci dietro la tenda e prepariamoci la colazione. Anche
quelli armati di fucili pare non osino più provocarci.»
«Non tirano
mica male, signore, - disse Jody. - Ho udito le palle fischiare più volte sopra
di noi. Chi credi dunque che siano, Palicur? Dei Vadassi anche quelli?»
«Ti ho già
detto che non conoscono le armi da fuoco.»
«Dei bianchi?»
«Suppongo che
siano dei Candiani, - rispose il malabaro, dopo una breve riflessione. - Dei
banditi se ne trovano dovunque, e possono essersi alleati ai selvaggi, colla
speranza di saccheggiarci e d'impadronirsi soprattutto delle nostre armi e
delle nostre munizioni.»
«Credo che tu
abbia ragione, - disse il quartiermastro. - È impossibile che degli uomini
appartenenti alla mia razza s'accordino con quelle scimmie dalla pelle nera.
Tuttavia stiamo in guardia e ritiriamoci senza farci scorgere.»
Tenendosi
sempre dietro le casse, si rifugiarono dietro la tenda, la quale si trovava in
parte riparata dalla scialuppa, e approfittando di quel momento di tregua,
stritolarono alcuni biscotti e sorseggiarono qualche tazza di brandy.
La mattinata
trascorse senza che i negritos tornassero all'attacco. Non avevano però
abbandonato la riva opposta, perché di quando in quando qualche testa lanuta si
mostrava al di sopra dei cespugli, per scomparire subito dopo, prima che gli
assediati avessero il tempo di prendere i fucili.
«Che aspettino
la notte?» chiese Will, che cominciava ad inquietarsi.
«E noi staremo
qui ad attenderli ancora?» domandò Palicur.
«Jody, abbiamo
molto carbone?»
«Un quintale
per lo meno,» rispose il macchinista.
«Saresti
capace di accendere la macchina senza farti fucilare?»
«Lancerò due
casse dinanzi a me e mi nasconderò dietro.»
«Appena il
sole tramonta, preparati a farci fare una buona corsa. Passeremo a tutto
vapore, facendo un fuoco infernale.»
«Va bene,
signor Will.»
Anche nel
pomeriggio non vi furono allarmi. Solamente dalla parte dei banchi furono
vedute avanzarsi cautamente alcune pesanti piroghe scavate in tronchi d'albero
e prive di remiganti.
I selvaggi
dovevano spingerle tenendosi immersi nell'acqua per paura di ricevere qualche
scarica. La visita di quei galleggianti persuase il quartiermastro che i nemici
prendevano tutte le disposizioni per un attacco notturno.
«Vedremo se ci
troverete ancora qui, - mormorò. - Barricheremo i bordi della scialuppa colle
casse e apriremo delle feritoie.»
Le piroghe non
s'avanzarono di molto e rimasero arenate presso i banchi ad una distanza di tre
o quattrocento metri, in attesa di venire spinte verso la punta della
penisoletta.
Verso le otto
Jody strisciò verso la scialuppa, spingendo dinanzi a sé una cassa per non
venire bersagliato dalle frecce, e approfittando dell'oscurità si arrampicò a
bordo, accendendo il forno.
Il malabaro
nel frattempo aveva smontato la tenda e accumulato i colli onde fossero pronti
a essere imbarcati. Will invece si era imboscato fra le canne con una carabina
ed un fucile da caccia, temendo che i Vadassi tentassero una sorpresa.
Mezz'ora dopo,
Jody avvertiva i compagni che la macchina era sotto pressione e la scialuppa
pronta a ripartire.
Trasportarono
cautamente le casse, disponendole lungo i bordi a breve distanza l'una
dall'altra per lasciar posto alle canne dei fucili, poi s'imbarcarono.
«A tutto
vapore, Jody, - comandò Will. - Vedremo se saranno capaci di seguirci.»
«Pronti?»
chiese il macchinista.
«Avanti!»
La scialuppa
si staccò dalla punta di terra e si slanciò sul fiume, mentre il quartiermastro
e il malabaro si coricavano dietro le casse colle carabine in mano e i fucili
da caccia al fianco.
Quasi nello
stesso momento si udì un clamore spaventevole ed una turba di negritos, che si
erano avvicinati nuotando sott'acqua, circondò l'imbarcazione, tirando furiosi
colpi di zagaglia contro i bordi.
«Fulmina,
Palicur!» urlò il marinaio.
Quattro spari
si seguirono a breve distanza l'uno dall'altro, facendo indietreggiare gli
assalitori, poi la scialuppa sfondò colla prora un gruppo di esseri umani,
travolgendolo sotto la chiglia, e s'allontanò rapidamente fra un urlio feroce.
Will ed il
malabaro balzarono a poppa, mitragliando vigorosamente gli assalitori coi
fucili da caccia, mentre Jody, lasciata per un momento la macchina, faceva
tuonare la spingarda verso i banchi, avendo veduto avanzarsi le piroghe.
Fra i clamori
selvaggi dei Vadassi si udirono rintronare, in direzione della foresta, alcuni
spari, ma nessun proiettile giunse fino ai fuggiaschi.
«Accelera,
Jody!» gridò Will, scaricando un'ultima volta la carabina.
«Corriamo il
pericolo di saltare, signore, - rispose il macchinista. - Il forno è pieno di
carbone e mi arrostisco allegramente.»
Infatti la
scialuppa procedeva rapidissima, balzando sulle acque del fiume, mentre lo
stantuffo batteva colpi precipitati facendo girare l'elica vertiginosamente. Il
vapore muggiva entro l'involucro di ferro e le valvole fischiavano. Quella
corsa furibonda durò un paio d'ore, poi Jody rallentò, per tema che
l'imbarcazione urtasse contro qualche banco e si sfasciasse d'un colpo solo.
«Siamo già
abbastanza lontani, - disse il quartiermastro. - Abbiamo percorso almeno due
dozzine di miglia e più nessuna scialuppa potrebbe raggiungerci. Palicur, sonda
il fiume. E tu, Jody, brucia sempre carbone, finché ne abbiamo; ho fretta di
finire questa noiosa navigazione. Saremo ancora molto distanti dalla sorgente?
«Prima di
domani sera non troveremo più acqua sufficiente, signore, - rispose il
malabaro. - Questo fiume non ha un corso troppo lungo.»
«Allora avanti
sempre, Jody. Palicur ha buoni occhi per vedere i banchi.» La scialuppa non cessò
di risalire la fiumana durante tutta la notte, divorando quasi l'intera
provvista di carbone.
All'indomani
si arrestava a quasi cento chilometri dal luogo dell'attacco. Colà non vi erano
altro che boscaglie immense e qualche coppia di quadrumani inoffensivi che non
potevano recare noia alcuna ai naviganti. I selvaggi non erano ormai più da
temersi; avrebbero dovuto aver le ali per raggiungerli ad una tale distanza.
I tre amici,
che da due notti vegliavano, si riposarono indisturbati per una mezza dozzina
di ore, poi dopo aver fatto un'ampia provvista di legna secca, ripresero il
viaggio.
L'acqua
cominciava a diventare assai scarsa. Il fondo si alzava dovunque e il fiume a
poco a poco si restringeva. Ancora poche dozzine di chilometri e la navigazione
sarebbe diventata impossibile.
«Siamo agli
sgoccioli del nostro viaggio, - disse Palicur verso le quattro pomeridiane. -
Fra poco dovremo raccomandarci alle nostre gambe.»
Infatti tre
ore dopo la scialuppa, che già da qualche po' s'avanzava penosamente, non
trovando quasi più acqua sufficiente, si arenò a pochi passi dalla riva destra.
Tutto il fiume era ingombro di banchi coperti di piante acquatiche che non
permettevano il passaggio nemmeno ad un semplice canotto.
«È finita, -
disse Jody. - Dobbiamo mettere un po' di vapore nei nostri piedi. Siamo ancora
lontani da quel famoso convento che, ricovera la tua bella cingalese, Palicur?»
«Fra quattro
giorni vi giungeremo, - rispose il malabaro. - Conosco la via, avendo fatto più
volte il pellegrinaggio ad Annarodgburro. Non ci dividono che poche catene di
montagne. Giungeremo anzi in tempo per le grandi processioni, alle quali
assisterà probabilmente il re di Candy colla sua corte. Vedrete uno spettacolo
imponente.»
«È deserto il
paese che dovremo attraversare?» chiese Will.
«Non troveremo
che delle belve, signore.»
«Le preferisco
ai Vadassi. Orsù, sbarchiamo e mettiamo in luogo sicuro la nostra scialuppa.»
«E dove,
signore? Volete affidarla alle scimmie?»
«Sotterreremo
la macchina e affonderemo lo scafo in mezzo alle erbe acquatiche. Più tardi
potrebbe esserci di grande utilità per tornare alla costa. Suppongo che tu non
avrai alcuna intenzione di diventare un monaco.»
«Non avrei
intrapreso un simile viaggio.»
«Accosta,
Jody,» comandò il quartiermastro.
Il macchinista
lanciò la scialuppa fra i canneti, che erano foltissimi in quel luogo, e
raggiunse con molta fatica la riva.
Anche là
boschi immensi si scorgevano, boschi che pareva non dovessero aver fine, e che
certo non erano abitati che da animali selvaggi. I tre amici sbarcarono le armi
e le munizioni, e gettarono le casse, già ormai quasi vuote, nel fiume, non
potendo trasportarle; poi smontarono la macchina e la seppellirono in una
profonda escavazione, ammucchiandovi sopra una piccola piramide di ciottoli.
Levata infine
la tenda, troppo necessaria in quei boschi umidi, caricarono di massi la
scialuppa e la calarono a fondo in un punto ove l'acqua aveva non meno di
quattro metri.
«Nessuno la
troverà, - disse Palicur. - Fra poche settimane le erbe acquatiche la copriranno,
rendendola invisibile agli sguardi anche più acuti.»
Per meglio
riconoscere quel luogo, incisero profondamente colla scure parecchi alberi,
formando dei segni speciali che il tempo non doveva certo facilmente
cancellare.
«Saprai
ricondurci qui, senza sbagliarti?» chiese Will al malabaro quando tutto fu
terminato.
«Un indiano
non s'inganna mai, - rispose il pescatore di perle. - Noi giungeremo
esattamente qui; non dubitatene, signor Will.»
«Quanto siamo
lontani dal monastero?»
«Domani sera
noi giungeremo sulle rive del lago Kalawewe e fra tre o quattro giorni
scaleremo la grande catena di Senkgalla Nanara.»
«È fra quelle
montagne che si trova Annarodgburro?»
«Sì, signor
Will.»
«Conosci
benissimo la via?»
«Ho fatto
quattro pellegrinaggi a quel monastero e non mi sbaglierò.»
«Sta bene;
facciamo colazione e poi in marcia.»
Mangiarono
lestamente, fecero una fumata, poi caricatisi delle armi, della tenda e dei
pochi viveri rimasti, si rimisero coraggiosamente in marcia, risoluti a raggiungere
le altissime montagne del centro.
Invece di
cacciarsi sotto i boschi, seguirono la riva del fiume, perché il lago che
volevano raggiungere si trovava a est e poi anche perché la marcia riusciva più
facile, lasciando gli alberi un certo margine fra l'immensa foresta e le acque.
Quella prima
marcia non doveva però durare molto. Non avevano ancora percorso un paio di
miglia, quando si videro tagliata la via da alcune masse enormi che avevano
occupato la riva.
«Che cosa
sono? Rinoceronti forse?» chiese Will, che non aveva potuto ancora distinguerli
bene a causa della foltezza delle piante.
«No,
elefanti,» rispose Palicur.
«Come
evitarli? Tutta la riva è ingombra e ci impediranno di raggiungere la foresta.»
«Proviamo a
spaventarli.»
«Con un colpo
di fucile?»
«Sì, signor
Will.»
«E se invece
ci caricano?»
«Ci getteremo
nel fiume.»
«Al diavolo
anche quei colossi.»
«Venite,
signore, e non fatevi scorgere. Tu, Jody, rimani qui coi fucili di ricambio e
la tenda. Basteremo noi.»
Gli elefanti
non pareva si fossero ancora accorti della presenza degli uomini. Erano una
diecina, tutti di forme gigantesche, con orecchie immense e, cosa strana,
sprovvisti di zanne. Allineati sulla riva, assorbivano l'acqua colle loro
trombe, poi si inaffiavano reciprocamente per rinfrescarsi.
«Sono koes-cops,
- disse il malabaro, trattenendo il quartiermastro. - Non hanno zanne come gli
altri, eppure sono i più pericolosi e un nonnulla basta per renderli furiosi.»
«Allora non
fuggiranno udendo i nostri spari.»
«Al contrario,
si getteranno su di noi,» rispose il pescatore di perle con preoccupazione.
«Cerchiamo
qualche altro passaggio.»
«È
impossibile, signore. La foresta è formata da palmizi spinosi e così fitta da
non permettere il passaggio.»
«Sicché che
cosa si fa? Questi animali sono capaci di farci perdere parecchie ore.»
«Signor Will,
strisciate fra quei cespugli spinosi e nascondetevi.»
«E tu?»
«Vado a
provocare i koes-cops.»
«Ti
stritoleranno.»
«Bah! Non mi
vedranno.»
L'intrepido
pescatore di perle, non nuovo a simili pericolose cacce, attese che il
quartiermastro si fosse cacciato in mezzo ad alcuni cespugli spinosi, poi si
mise a strisciare lungo la riva, tenendosi nascosto fra i canneti,
fortunatamente abbastanza alti per coprirlo. Trovandosi egli sottovento, non vi
era pericolo che i koes-cops lo sentissero subito.
Giunto a cento
passi, si sdraiò dietro un ammasso di foglie, puntò il fucile e mirò l'animale
più prossimo alla giuntura della spalla, uno dei punti più delicati di quei
colossi. Alcuni istanti dopo, due spari formidabili rimbombarono sotto le volte
degli alberi.
Il malabaro
con una mossa fulminea si gettò giù dalla riva, cercando un rifugio fra i
canneti. Era tempo, perché i koes-cops, invece di fuggire, si erano precipitati
verso il luogo dove avevano veduto balenare la fiamma e dove ondeggiava ancora
una nuvoletta di fumo.
Passarono come
un uragano, peggio ancora, come una tromba devastatrice, tutto abbattendo sul
loro passaggio, cespugli e alberi, barrendo spaventosamente ed agitando
furiosamente le loro proboscidi, poi scomparvero in mezzo alla foresta
continuando la loro fuga indemoniata.
Il pescatore
di perle, felice del successo ottenuto, risali subito la riva per raggiungere
il quartiermastro ed approfittare, senza perdere tempo, del passaggio libero.
Ad un tratto
però si arrestò, pallido, anelante.
Un'altra massa
enorme, gigantesca, che fino allora doveva essersi tenuta celata in mezzo alle
piante, era improvvisamente comparsa sul margine del bosco, a soli quindici
passi dal disgraziato pescatore. Era un altro elefante, ma non già un koes-cops,
perché questo aveva delle zanne superbe che dovevano pesare per lo meno
quattrocento libbre. Se era solo, doveva essere un vecchio solitario, qualche carl-cop
ossia una testa grigia, come li chiamarono gli olandesi che colonizzarono
l'isola, pachidermi eccessivamente cattivi, pericolosissimi, che se la prendono
contro tutti. Questi animali, scacciati dai loro branchi per cause che ancora
non si conoscono, sono condannati a vivere da soli, sicché diventano facilmente
irritabili, sono sempre di cattivo umore e non esitano mai ad assalire.
Il carl-cop,
maligno come tutti quelli della sua specie, pareva si divertisse delle angosce
del malabaro. Lo guardava fisso coi suoi occhietti, ondeggiando lievemente la
proboscide e soffiando rumorosamente. L'assalto non doveva farsi attendere
molto.
Palicur, senza
staccare lo sguardo dal pericoloso gigante, cacciò rapidamente due nuove
cartucce nella carabina e si mise in guardia, deciso a vendere cara la pelle ed
in caso disperato a balzare nel fiume.
Un barrito
furioso lo avvertì che la testa-grigia stava per investirlo. Alzò il fucile,
quantunque si trovasse in una posizione svantaggiosa per colpire a morte il
colosso, che gli presentava il largo petto e la fronte, punti non certo
vulnerabili in un elefante.
Vedendolo
alzare la tromba stava per far fuoco, quando una detonazione rimbombò in
direzione dei cespugli spinosi. Il quartiermastro, accortosi della pericolosa
situazione dell'indiano, aveva scaricato il fucile, sperando di decidere il carl-cop
a fare una diversione.
Questi,
colpito in qualche luogo, scosse la testa come se avesse voluto scacciare una
mosca noiosa, lanciò il suo grido di guerra e caricò con impeto spaventevole.
Palicur
scaricò a casaccio il fucile, poi senza attendere altro si slanciò in mezzo ai
canneti, scomparendo quasi tutto nel fango.
Il carl-cop
a sua volta si era rovesciato nel fiume, sollevando uno sprazzo immenso d'acqua
fangosa. Sprofondò tutto intero in mezzo ai canneti, poi tornò a galla,
cacciando la tromba fra le piante acquatiche per trovare l'avversario e
stritolarlo.
Il pescatore
non aveva però perduto la testa. Mentre il colosso s'immergeva, attraversò
rapidamente le canne, riguadagnò la riva e si slanciò, a tutta corsa, verso il
folto cespuglio spinoso che serviva da nascondiglio al quartiermastro.
«A terra e non
fate fuoco,» disse rapidamente Palicur.
Si gettarono
in mezzo alle radici d'un fico baniano che serpeggiavano al suolo come immensi
boa e raggiunsero, strisciando, il margine della foresta.
L'elefante,
non avendo trovato il suo nemico, rimontava faticosamente la riva, grondante
d'acqua e di fango.
Pareva in
preda ad un furore terribile. Agitava la formidabile tromba falciando e
stritolando canne e cespugli, e calpestava il suolo coi suoi larghi piedi,
facendo franare la riva. Alzava ed abbassava le sue immense orecchie con moto
nervoso e lanciava barriti assordanti che si propagavano lungamente sotto la
foresta, destandone l'eco.
Credendo che il
suo avversario si trovasse ancora nascosto fra le canne, non voleva lasciare il
fiume e continuava a rovistare ostinatamente le piante, soffiando con violenza
l'acqua ed il fango che assorbiva.
«Il
capo-grigio sta bene nell'acqua, - disse il malabaro. - Se mi avesse veduto
risalire la riva, a quest'ora ci sarebbe addosso.»
«Ti credevo
perduto, amico, - disse il quartiermastro. - Sono ancora tutto agitato. Sono
dunque così terribili questi animali?»
«Il carl-cop
sì».
«Che la mia
palla lo abbia ferito?»
«Lo suppongo,
signor Will. Dove avete mirato?»
«Non lo so
nemmeno io; ho fatto fuoco precipitosamente, quasi a casaccio.»
«Lo avete
toccato sul dorso; non vedete come il vecchio cop si bagna? Lava il
sangue che esce.»
«Ed ora, che
cosa facciamo?»
«Aspettiamo
che sì avvicini e faremo una doppia scarica, - rispose il malabaro. - Eccolo
che si decide a riguadagnare la foresta.»
Il carl-cop,
persuaso della inutilità delle sue ricerche, percorse la riva per un centinaio
di metri, continuando a frugare fra le piante, poi si diresse verso i grandi
alberi.
Non pareva
troppo contento, il vecchio. Soffiava rumorosamente, si passava la tromba sul
dorso ferito, poi si arrestava per guardare il fiume, sperando di veder comparire
il suo avversario. Ad un tratto fu visto fermarsi di colpo e alzare la
proboscide come se fiutasse l'aria.
«Ci sente, -
disse Palicur. - L'aria ha cambiato direzione e non ci troviamo più sottovento.
Signor Will, preparatevi a far fuoco.»
«Che ci abbia
già fiutati?»
«Guardatelo,
volge la testa verso di noi. Vi dico che ci ha scoperti. Orsù, un bel colpo
doppio, e non mirate alla testa.»
«No, alla
giuntura delle spalle.»
«A me la
destra, a voi la sinistra.»
Il pachiderma,
dopo aver aspirato l'aria a varie altezze dando segno d'una viva agitazione,
mandò un lungo barrito, quindi si diresse rapidamente verso i cespugli che
servivano d'asilo ai due amici, tenendo alta la tromba e mostrando le sue
gigantesche zanne.
«Siete
pronto?» chiese Palicur con voce calma.
«Sì,» rispose
il quartiermastro.
«Fuoco!»
Il capo-grigio
si trovava allora a soli sessanta o settanta metri e precipitava la corsa. Il
malabaro ed il marinaio spararono quasi simultaneamente.
L'elefante,
colpito di certo, s'impennò come un cavallo che riceve un forte colpo di
sperone, poi, invece di cadere, s'avventò all'impazzata verso la foresta.
Due altri
spari risuonarono a breve distanza l'uno dall'altro.
Il carl-cop
si arrestò, lasciando cadere la proboscide che teneva alzata, e chinò l'enorme
testa.
Rimase un
momento così, mentre altre due palle lo raggiungevano, poi s'avvicinò alla riva
camminando penosamente, come se volesse bagnare le sue ferite; ma, appena fu
giunto presso i canneti, la sua enorme massa rovinò al suolo, quindi rotolò in acqua
sollevando una vera ondata.
«È morto!»
gridò Palicur, slanciandosi fuori dal nascondiglio. Quando giunse sulla riva la
corrente trascinava già via il mostruoso corpo, facendolo girare su se stesso,
come una trottola colossale.
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