13 - Un altro
attacco misterioso
Una luce
vivissima, scaturita improvvisamente fra le alte graminacee quasi secche che
coprivano il fondo della vallata, si era alzata verso l'estremità di quella
chiusa, tingendo il cielo di rosso e fugando rapidamente le tenebre.
Era una vera
cortina di fuoco, alta parecchi metri, che il venticello notturno scendente
dalle altissime montagne ravvivava. Essa minacciava d'invadere tutto lo spazio
racchiuso fra quelle immense rupi tagliate a picco.
Come era
avvampato? Mistero! D'altronde i tre disgraziati, sfuggiti appena allora da un
gravissimo pericolo, non avevano certamente il cervello abbastanza calmo per
ragionare.
Il fatto era
che il fuoco avvampava e si dilatava con una rapidità così prodigiosa, da far
temere che chiudesse il passo ai tre amici e che li rinserrasse in un cerchio
ardente prima che potessero raggiungere l'uscita o l'entrata di quel burrone.
I pitoni che
sonnecchiavano sulle rocce o sotto le erbe, svegliati da quella brusca
invasione di luce e dal crepitio dei vegetali, sorgevano da tutte le parti,
alzandosi sulle loro code per vedere che cosa stava accadendo.
Pareva che per
opera magica la valle si fosse tutta d'un tratto coperta di tronchi d'albero privi
dei rami e delle foglie, poiché quei colubri giganteschi si mantenevano rigidi,
guardando la cortina fiammeggiante, come se non riuscissero ancora a
comprendere di quale natura era il pericolo che li minacciava.
«Seguitemi! -
gridò Palicur, che si era prontamente rimesso. - Raccomandatevi alle vostre
gambe e ricordatevi che chi cade è uomo morto!»
«Lo sospettavo
che quei maledetti selvaggi ci avrebbero teso un agguato in qualche luogo, -
disse Will. - Su, lesti e attenti ai serpenti!»
Si erano
slanciati tutti e tre verso l'uscita della valle, correndo come antilopi,
gettando sguardi a destra ed a manca per paura di vedersi piombare addosso
qualche pitone. Ondate di fumo caldissimo di quando in quando li avvolgevano,
mentre sopra di loro volteggiavano miriadi di scintille e cadevano folate di
cenere ardente.
I rettili,
accortisi finalmente che stavano per venire raggiunti dal fuoco, si erano messi
in movimento, sibilando rabbiosamente e contorcendosi disperatamente per guadagnare
maggior terreno. Erano per lo meno tre o quattrocento, tutti di dimensioni
enormi e si dirigevano anch'essi verso l'uscita del burrone, a sbalzi ed a
scatti.
Lo spettacolo
era spaventevole. Guai se quell'orda si fosse mossa prima! Certo nessuno dei
tre ex-forzati sarebbe scampato alle irresistibili strette di quei mostri.
Jody, Palicur
e Will, per buona ventura, oltre ad essere robusti possedevano delle buone
gambe e mantenevano a distanza i rettili.
«Più presto!
Più presto! - ripeteva senza posa il malabaro che precedeva gli altri due. - Il
fuoco guadagna rapidamente!»
E infatti
l'immensa cortina di fuoco s'avanzava sempre più veloce, alimentata dalla
brezza notturna, tutto divorando sul suo cammino.
Parecchi
pitoni erano stati ormai raggiunti e si contorcevano fra le fiamme. Un
nauseante odore di carne bruciata si spargeva per l'aria. Finalmente, con un
ultimo sforzo, i tre ex-forzati riuscirono a raggiungere lo sbocco del burrone.
Le fiamme non erano che a pochi passi e fu un vero miracolo se non caddero
asfissiati dal fumo che li investiva accecandoli.
Dinanzi a loro
s'apriva una stretta gola che serpeggiava fra due altissimi montagne e dove non
si scorgevano altro che enormi macigni affatto spogli d'ogni vegetazione.
Vi si erano
già slanciati, quando alle loro spalle rimbombarono due spari, seguiti poco
dopo da altri due.
Palicur mandò
un grido e si arrestò portandosi una mano all'orecchio destro.
«Colpito?»
chiese Will, raggiungendolo.
Il malabaro,
invece di rispondere, si volse rapidamente, colla carabina imbracciata. I suoi
occhi scorsero subito una nuvoletta di fumo alzarsi sulla cima d'una roccia che
dominava la valle dei pitoni, ad un'altezza di due o trecento metri, e delle
forme umane, profilarsi sul rosso dell'incendio.
«Ah!
Briganti!» urlò furioso.
Paf! Paf! Due
spari rintronarono, destando l'eco delle montagne, poi un essere umano si
staccò dalla roccia, volteggiò parecchie volte su se stesso, e piombò poco dopo
nella voragine di fuoco.
«Via!» gridò
l'abile tiratore.
Si gettò la
carabina a bandoliera e si mise in corsa, comprimendosi l'orecchio. Delle gocce
di sangue gli cadevano sulla spalla lordandogli la giacca.
«Palicur, dove
ti hanno ferito?» chiesero ad una voce Jody ed il quartiermastro, che gli si
erano lanciati dietro.
«È nulla!
Correte! Dopo, quando saremo dietro quelle rocce,» rispose il malabaro senza
arrestarsi.
Quella corsa
sfrenatissima durò una decina di minuti, poi i tre amici, superata una curva
formata dalla gola, si fermarono dietro ad un masso così alto da metterli al
coperto da qualsiasi scarica.
«Dunque?»
chiese il quartiermastro, rivolgendosi al pescatore di perle.
«Bah! È nulla,
signor Will. La palla mi ha asportato semplicemente il lobo dell'orecchio
destro. Ferita dolorosa forse, che dà molto sangue, ma niente affatto
pericolosa. È vero che se la palla fosse giunta due centimetri e anche meno più
avanti, la mia testa sarebbe scoppiata come una noce di cocco.»
«Lascia
vedere.»
«Vi ho detto
che non è nulla, signor Will.»
«È necessario
arrestare l'emorragia. Jody, mettiti di guardia sulla cima del masso, il primo
uomo che vedi apparire, fucilalo come una tigre.»
«Vi prometto
di non mancarlo, signor Will, - rispose il macchinista, - quantunque quelle
canaglie abbiano ben pagato quel pezzo d'orecchio con una vita umana.»
Mentre il
bravo giovane si arrampicava sul masso nascondendosi entro una fenditura,
l'inglese levò dalla sua bisaccia un pezzo di tela e fasciò l'orecchio ferito
al malabaro, dicendo:
«Già, qualche
centimetro più innanzi, e tu, mio povero Palicur, non saresti più nel numero
dei viventi. Sei fortunato di possedere due buoni orecchi!»
Fasciò
destramente la ferita, dopo averla lavata con un po' d'acqua mescolata con
alcune gocce di gin, quindi disse:
«Hai ben
veduto l'uomo che hai colpito?»
«No, signor Will.
La rabbia in quel momento mi accecava.»
«Tuttavia era
un uomo, è vero?»
«Di questo non
dubito.»
«Chi credi che
fosse? Uno di quei maledetti selvaggi che ci assalirono sul fiume?»
«Sarebbe un
po' difficile dirlo, signor Will - rispose il pescatore di perle. - Che un uomo
sia caduto in mezzo alle fiamme e che a quest'ora non sia più vivo, oh sì, di
questo rispondo io. La mia palla deve averlo colpito in qualche parte vitale.»
«Devono essere
stati loro a dar fuoco alle erbe.»
«Certo, signor
Will. M'immagino che i pitoni non abbiano nelle loro tasche, ammesso che la
loro bocca possa servire a tal uopo, né zolfanelli, né acciarino e tanto meno
dell'esca.»
«E quei colpi
di fucile?»
«Devono essere
candiani, signore, e non vadassi. Se fossero selvaggi ci avrebbero saettati con
delle frecce, sia pure avvelenate.»
«Sarei curioso
di chiarire questo mistero.»
«Pensiamo a
battercela per ora, signor Will. Sulle cime delle alte montagne quei furfanti
non oseranno assalirci e nemmeno...»
Un grido del
macchinista gl'interruppe la frase:
«Gambe,
amici!»
«Che cosa c'è
ancora, Jody?» chiese Will.
«I pitoni
s'avanzano.»
«Non sono
stati tutti bruciati?»
«Non pare,
signor Will, - rispose il macchinista. - Molti sono rimasti indubbiamente nel
burrone e stanno cuocendo al forno, però ne vedo parecchi avanzarsi nella gola.
Pare che non amino il caldo quelle dannate bestie!»
«Scendi
subito.»
Il mulatto,
che vedeva i rettili accostarsi rapidamente, facendo dei balzi straordinarii,
si lasciò scivolare lungo la rupe, cadendo ai piedi dei suoi due amici.
«Abbiamo
appena un minuto per scappare,» disse.
«E quelli che
ci hanno fatto fuoco addosso li hai veduti?» chiese il quartiermastro.
«No, signor
Will.»
«Puoi
camminare, Palicur?»
«Un orecchio
non ha nulla a che fare colle gambe, signore, - rispose il malabaro. - Non sono
stato storpiato.»
«Di corsa
dunque!»
A poca
distanza si udivano già i fischi stridenti dei pitoni delle rocce, che
l'incendio aveva cacciato dalla valle.
Palicur ed i
suoi compagni, i quali avevano più paura di quei rettili che del fuoco,
lasciarono la rupe che li aveva protetti e ripresero la corsa attraverso la
gola, balzando attraverso i massi che ingombravano loro il passo e varcando dei
crepacci che superavano con non poca fatica.
Verso la
mezzanotte, ansanti, sfiniti, si fermarono sulla vetta d'una collina che
dominava il passo e che, avendo i fianchi non molto scoscesi, aveva permesso
l'arrampicata.
«Basta, -
disse il quartiermastro, che non era abituato a quelle lunghe corse. - Non sono
già un podista io e nemmeno un indiano od un mezzo figlio dell'Africa. La poppa
di questa interminabile nave finisce qui e più innanzi non potrò andare.»
«Non vi chiedo
di più, signor Will, - rispose il malabaro, sorridendo. - Il più famoso
marinaio della flotta anglo-indiana non avrebbe potuto reggere ad un simile
sforzo.»
«Che si siano
fermati i pitoni?» chiese Jody.
«Non saranno
andati molto lontano, - rispose Palicur. - La marcia non é il loro forte e
appena al sicuro avranno ripreso il loro sonno.»
«E noi faremo
altrettanto, - aggiunse il quartiermastro. - Quassù non correremo il pericolo
di venire sorpresi.
«E poi non
commetteremo l'imprudenza di addormentarci tutti, - disse il malabaro. - Io che
sono il più resistente monterò il primo quarto di guardia. Riposatevi pure: il
sonno non mi coglierà prima della mezzanotte, ve lo assicuro.»
Jody spiegò la
tenda, tagliò alcuni rami da un piccolo tamarindo che cresceva a breve distanza
e la rizzò in quattro colpi.
Mentre egli vi
si cacciava sotto, imitato subito dal quartiermastro, il malabaro fece il giro
della piccola altura, poi si sedette su un masso da cui poteva dominare il
passaggio sottostante, guardandosi bene dall'accendere il fuoco per non
segnalare a quei misteriosi nemici l'accampamento.
La notte era
calma e serena ed il silenzio non era rotto che dal lontano scrosciare della
cascata. Verso la valle dei pitoni delle rocce si scorgeva ancora qualche
bagliore rossastro e qualche getto di scintille, che il vento spingeva
attraverso le tenebre come una folata di stelle cadenti.
L'incendio,
non trovando più alimento, si spegneva rapidamente.
A mezzanotte
il malabaro, nulla avendo notato di sospetto, svegliò Jody e alle tre il
quartiermastro gli subentrò nel quarto, senza che nulla di straordinario fosse
accaduto.
Anche quei
misteriosi nemici non si erano più fatti vedere. Si erano inerpicati sui
fianchi delle montagne o si erano allontanati, riattraversando la valle dei
pitoni? Oppure, approfittando delle tenebre, erano già passati silenziosamente
sotto la collina, sfuggendo alla vigilanza del malabaro e dei suoi due
compagni?
Quantunque
fossero molto inquieti sulla direzione presa da quei bricconi, ignorando anche
le loro intenzioni, poco dopo lo spuntare del sole i tre amici si riponevano in
cammino attraverso a quelle alte montagne, ansiosi di giungere al famoso
monastero.
Impiegarono
tre giorni a varcare quelle cime selvose, perseguitati sempre dal timore di
cadere in qualche imboscata, e finalmente giunsero nella valle, chiusa da una
parte dalla catena centrale della isola e dall'altra dal fiume Mahowilla che
avevano nuovamente ritrovato.
Ormai
s'avvicinavano a gran passi a Candy, sulle cui vicine montagne s'innalza
Annarodgburro e il bogaha, il celebre albero che secondo la leggenda
servì di ricovero a Buddha.
Il paese
diventava popolato. Grossi villaggi, abitati da Candiani, si succedevano,
specialmente lungo il fiume e sui fianchi delle montagne, quindi delle
splendide pagode per la maggior parte diroccate, poi avanzi di grandi città
scomparse forse da migliaia d'anni.
Ceylon, al
pari della vicina India, è ricca di macerie grandiose. Non è raro trovare in
mezzo alle più folte foreste delle rovine colossali, dei palazzi e delle pagode
d'una architettura superba, sepolte sotto un caos di vegetali da chissà quanto
tempo, e anche delle statue ancora laminate d'oro, rappresentanti sempre
Buddha.
Anzi su una di
esse venne trovato un dente enorme che dai cingalesi fu creduto appartenesse al
loro dio: i portoghesi, che pei primi invasero quell'isola meravigliosa, lo
tolsero con la violenza agli adoratori e lo restituirono solamente dietro
l'enorme compenso di settecentomila ducati, che non poterono però godere,
perché furono costretti a restituire la somma, avendo deciso la santa
inquisizione di far bruciare quell'oggetto di un culto superstizioso.
Undici giorni
dopo aver lasciato la valle dei pitoni, il malabaro ed i suoi compagni
salutarono finalmente il monastero di Annarodgburro ed il famoso albero che
stendeva i suoi immensi rami sopra i tetti del non meno famoso monastero.
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