XIV LO SVERNAMENTO
Sì, questa volta per il «Danebrog» era proprio finita.
Non gli restava più alcuna speranza di potersi liberare da quella formidabile
cerchia di ghiacci che lo stringevano come in una morsa di ferro, impossibile a
spezzarsi, anzi tendente a chiudersi sempre più, forse fino a stritolarlo.
Bisognava attendere il ritorno dell'estate, non meno di
sei mesi, se non anche più.
Sei mesi fra i ghiacci! Sei interminabili mesi fra le
tempeste di neve; sei interminabili mesi fra le nebbie, avvolti in una continua
oscurità, giacchè il sole fra breve doveva tramontare.
E quali freddi da sopportare! E quali pericoli da
sfidare! C'era di che spaventare il più intrepido baleniere dei mari artici;
c'era di che far rabbrividire il più intrepido esploratore delle regioni
polari.
Quando l'equipaggio del «Danebrog» s'avvide che il gran
banco di ghiaccio non si era spezzato, come aveva dapprima sperato, fu preso da
una violenta collera che si tramutò ben presto in un profondo scoraggiamento.
Dinanzi ai suoi occhi erano passate tutte d'un colpo le orribili sofferenze che
porta con sè lo svernamento.
Fortunatamente il capitano Weimar, dotato di un'audacia
senza pari e di un sangue freddo ammirabile, quantunque avesse compreso che la
sua nave aveva novanta probabilità su cento di venire stritolata, non aveva
perduta la testa.
Con un gesto energico chiamò attorno a sè i marinai e
disse:
- Non scoraggiatevi, amici. Altri balenieri, rinchiusi come
noi fra i ghiacci del polo, hanno riveduto la loro patria. La nostra nave è
solida, le nostre provviste abbondanti, i nostri cuori sono forti, i nostri
corpi agguerriti contro i freddi più intensi. Perchè non riusciremo anche noi
vincitori della terribile prova? Forse che i Danesi sono da meno degli altri?
Animo, amici, diamo coraggiosamente mano ai preparativi di svernamento, e
guardiamo serenamente in faccia i freddi del polo e gli assalti dei ghiacci.
Mastro Widdeak, fa portare sul ponte un barile di «gin», e poi tutti all'opera.
- Bravo capitano! - gridò Koninson. - Li affronteremo,
questi ghiacci, e li sfideremo, questi freddi del polo. Siamo danesi e per di
più balenieri danesi.
Mastro Widdeak fece portare in coperta il bariletto di
«gin», il quale in pochi istanti fu perfettamente asciutto.
I marinai, riscaldati e rinvigoriti dall'ardente liquore,
si misero febbrilmente al lavoro parte sotto la direzione del capitano e parte
sotto quella del tenente, ambedue uomini cui lo svernamento non era nuovo.
Fu dapprima condotta la nave entro un «fiord» aperto nel
banco e colà solidamente assicurata sia a prua che a poppa, con grossi cavi
girati attorno agli «hummocks» e con ancore ben infisse nei crepacci delle
sponde.
Ciò fatto, vennero staccate le vele, calate le antenne e
gli alberelli e le cime dei travi ben avviluppate onde il freddo non le
guastasse. Disarmata la nave, si pensò di cambiare la sua coperta in una comoda
sala onde tenere gli uomini al riparo e anche per mantenere vieppiù il calore
nelle sottostanti cabine.
Costruirono un tetto di tavole, con una certa pendenza
verso la prua e la poppa della nave e al disopra delle murate vennero collocate
altre tavole in modo che si unissero al tetto, formando una sala lunga quanto
quasi la coperta della nave. Quattro finestre furono aperte per la luce e per
la ventilazione e le fessure lasciate fra tavola e tavola vennero coperte da
carta incatramata per impedire il passaggio dell'aria.
Fu da ultimo sparsa della cenere sul ponte affinchè i
marinai non scivolassero.
- È una sala magnifica! - esclamò Koninson, che aveva
lavorato forse più di tutti. - Passeremo, qui sotto, delle belle giornate.
- Organizzeremo delle feste! - disse il capitano.
- Da ballo?
- E perchè no? Harwey ha una fisarmonica, mastro Widdeak
in fondo alla sua cassa deve avere una vecchia chitarra e il gabbiere Tomshoë
una tromba. Come vedi, l'orchestra non manca.
- Allora non ci annoieremo più.
- Poi organizzeremo qualche altro divertimento.
- E quale mai?
- Pianteremo un teatro.
- Superba idea, capitano. Ma chi reciterà?
- Voi altri, e se avrete una discreta voce vi faremo
anche cantare.
- Il nostro svernamento diventa un carnevale, capitano.
- Sì, se il freddo, le pressioni e lo scorbuto non ci
annoieranno.
- E intraprenderemo delle caccie, anche?
- Formeremo una squadra di cacciatori e una di pescatori.
La carne fresca è necessaria per tener lontano lo scorbuto.
- Ma non vedo selvaggina, capitano.
- Non dirlo così presto, Koninson. Fra poco giungeranno
gli orsi bianchi.
- Da quell'isolotto forse?
- Dall'isolotto e anche dal mare.
- Faremo loro buona accoglienza, capitano. Abbiamo delle
buone carabine e le munizioni abbondano.
L'indomani il capitano e il tenente rivolsero le loro
cure all'interno della nave.
La stiva venne accuratamente raschiata e lavata con acqua
mescolata a calce, onde il legname non soffrisse troppo durante i grandi freddi
e sotto il gran boccaporto fu collocata la stufa munita di un tubo assai
curvato affinchè il calore non si espandesse troppo al di fuori. Sopra di essa
venne pure collocato un doppio cilindro di ferro galvanizzato destinato allo
scioglimento della neve, per aver sempre acqua per la cucina e per la pulizia
dell'equipaggio.
Anche le cabine furono prima raschiate e lavate con acqua
mescolata a calce e a tutte fu aperto un foro dal sotto in alto per lasciar
entrare e uscire liberamente l'aria, la quale combatte efficacemente il
congelamento e l'umidità.
Da ultimo fu munito lo scafo della nave di un
rivestimento verticale di grosse travi destinato a difenderla dagli urti e a
sollevarla durante le pressioni impedendole così lo schiacciamento.
Il 30 settembre il capitano lo destinò al lavoro più
faticoso e nel medesimo tempo più indispensabile: l'erezione di un magazzino
sul banco di ghiaccio onde, nel caso molto probabile che la nave venisse
frantumata dalle pressioni dei ghiacci, l'equipaggio non si trovasse sprovvisto
di viveri e dei mezzi necessari per guadagnare la costa americana.
Fu scelto a tale uopo un rialzo, una specie di terrazza,
che si trovava a non più di sessanta braccia dalla nave e là sopra fu costruito
con legname e con blocchi di ghiaccio il magazzino, fornendolo di un'ampia
provvista di legna e di carbone, di una stufa, di alcune casse di vestiti, di
vele, di remi, di munizioni e di una grossa partita di viveri sufficienti a
nutrire per un mese l'intero equipaggio del «Danebrog». A tutto ciò furono
aggiunte due delle più grandi baleniere, armate completamente.
Compiuti questi ultimi provvedimenti, il capitano e i
suoi marinai attesero coraggiosamente i rigori dell'inverno polare. E questi
purtroppo non si fecero attendere.
Il 2 ottobre il termometro, che da qualche giorno era in
moto, scese al mattino a 15 gradi. L'acqua del canale in meno di mezz'ora gelò,
stringendo la nave in un cerchio così solido che la scure a mala pena era
capace di spezzare.
- Addio autunno! - disse Koninson che era uscito con il
tenente dalla sala costruita sopra coperta. - Fra qualche giorno tutto il mare
che ci circonda sarà gelato.
- È probabile! - rispose il tenente.
- E poi verranno le pressioni a farci passare dei brutti
quarti d'ora.
- Delle brutte giornate, Koninson.
- Resisterà il «Danebrog»?
- Chi può dirlo?
- Avete svernato altre volte voi, signor Hostrup?
- Sì, una volta a bordo dell'«Albert» e una seconda volta
a bordo dell'«Islanda».
- Si sono salvate le navi?
- No, Koninson. La prima è andata a picco in seguito ad
una falla apertasi per la caduta di un «iceberg», la seconda fu frantumata
dalle pressioni come fosse stata una semplice noce.
- Brutti esempi tenente.
- Ma non devi spaventarti, Koninson. Molte altre navi
hanno sopportato uno svernamento senza essere danneggiate, e qualcuna ne ha
sopportati anche due senza venire fracassata.
- E usciremo di qui quando avverrà lo scioglimento dei
ghiacci?
- Sì, se il banco si sfonderà. Certi anni la stagione
estiva è così pessima da non finire lo scioglimento dei campi di ghiaccio, e
allora la nave che si è lasciata prendere in mezzo è costretta ad aspettare un
altro anno.
- Se a noi tocca ciò, moriremo di fame.
- Speriamo che la sorte non sia così crudele, Koninson
- Ditemi, tenente, dove siamo precisamente ora?
- Il punto che feci ieri mi diede 72° 05' di latitudine e
140° 15' di longitudine ovest di Greenwich.
- Siamo dunque assai vicini alla costa americana.
- Non ci dividono più di centoquaranta o centocinquanta
miglia.
- E sapete che scoglio sia, questo?
- Non tutti gli isolotti che sorgono presso la costa
americana hanno un nome, Koninson.
- Se non ci avesse arrestati, forse a quest'ora saremmo
in vista della terraferma.
- Certamente, fiociniere. La corrente…
Un fortissimo scroscio, partito dal grande «iceberg» che
ostruiva il canale, gli mozzò la parola.
- Cosa sta per succedere? – chiese Koninson, che
involontariamente fece due passi indietro.
- Che stia per crollare l'«iceberg»? – si chiese il
tenente. – Se ciò accade frantumerà il banco.
- No, tenente, non è lui che crolla, bensì la sua torre.
Guardate! Guardate!
La torre infatti si era smossa, facendo inclinare, colla
sua mole, la montagna intera e oscillava lievemente facendo piovere al basso
migliaia e migliaia di ghiacciuoli.
Ben presto si udì uno scroscio ancora più forte, seguito
da una serie di detonazioni paragonabili allo scoppio di piccole mine; poi la
torre scivolò lentamente in mare lasciando sempre cadere una grande quantità di
ghiacciuoli.
Ad un tratto si staccò dalla montagna e sparve tutta
intera nell'abisso spalancato, mandando in aria uno sprazzo immenso. Restò
sottacqua cinque secondi, poi in mezzo alla spuma nuovamente apparve, dapprima
lentamente, poi con un balzo improvviso, rovesciandosi subito su di un fianco.
Un'onda mostruosa si alzò e si slanciò muggendo sul
ghiaccio del canale che in un attimo fu sollevato e sminuzzato e balzato sopra
i banchi. Il «Danebrog», investito a poppa, si alzò spaventosamente rovesciando
l'equipaggio che era uscito fin dai primi scrosci, poi s'inchinò gemendo e
tendendo gli ormeggi.
- Ventre di foca! - esclamò Koninson, risollevandosi prontamente.
– Un'altra onda come questa e il «Danebrog» sarà sfracellato.
- Ai buttafuori! - si udì tuonare in quel momento la voce
del capitano.
La gran torre, spinta innanzi da una seconda ondata,
minacciava di investire la nave e di sfondarle i fianchi.
I marinai corsero a prendere i buttafuori e si disposero
a tribordo, pronti a respingerla. Fortunatamente incontrò sulla sua via un
lastrone di ghiaccio staccatosi dal banco a causa dell'ondata e si arrestò un
momento. Ciò bastò perchè una terza ondata la facesse deviare verso una delle
due rive alla quale si cementò solidamente.
Dieci soli minuti dopo, l'acqua del canale, essendosi
calmata, era nuovamente coperta da uno strato di ghiaccio dello spessore di tre
pollici!
L'equipaggio si affrettò a rientrare nella sala ove la
stufa aveva sparso un dolce tepore.
Il 3 ottobre il freddo discese a 17 gradi e il tempo si
cambiò. Dapprima un nebbione assai fitto si estese al disopra del grande banco
e dello scoglio, poi cominciò a cadere la neve ed a soffiare un vento
fortissimo ed eccessivamente freddo. L'equipaggio non osò mostrarsi all'aperto.
Il capitano, verso mezzogiorno, essendosi un po' calmata
la bufera, fece scendere sul banco una decina d'uomini armati di picconi e di
scuri, e fece tagliare il ghiaccio attorno alla nave onde le pressioni,
sopraggiungendo improvvisamente, il che poteva accadere, non la stritolassero.
Fu constatato che il ghiaccio del canale aveva già
raggiunto uno spessore di trenta centimetri.
- Bisognerà tagliarlo ogni mattina attorno al «Danebrog»
- disse il capitano al tenente. - Sento per istinto che le pressioni non sono
lontane.
- Se questo freddo cresce ancora un pò, tutto il mare
gelerà e allora le pressioni ci daranno addosso! - rispose Hostrup.
- Però un buon tratto è ancora libero. Non vedete laggiù
che il cielo è cupo?
- Lo vedo, capitano. È segno che il mare è ancora libero.
- Ma pur troppo lo sarà per poco. Temo che questo inverno
sia rigidissimo.
- Lo sosterremo con coraggio, capitano.
- Purchè lo scorbuto non venga a fiaccare le nostre
forze. Voi sapete che questo terribile male è un nemico che trova buon terreno
nelle regioni polari.
- Lo so e farete bene anzi a prendere delle precauzioni
contro di esso, fin d'ora.
- Avete ragione, tenente. Cominciando da domani dispenseremo
a colazione una fetta di patata e qualche pò di sugo di limone.
- Farete bene anche a lanciare dei cacciatori sul banco.
La carne fresca è pure efficace per tener lontano quello spietato male.
- Anche questo faremo, quando il tempo lo permetterà.
Voi, che siete un sì abile tiratore, vi metterete alla testa dei cacciatori.
- Domani allora farò una visita allo scoglio. Forse
incontrerò qualche orso e delle foche.
Disgraziatamente il tempo, che pareva dapprima volesse
rimettersi al bello, l'indomani fu orribile. La neve cadde in siffatta
abbondanza da coprire il banco d'uno strato alto un buon mezzo metro e soffiò
tutto il giorno un vento così freddo e così impetuoso da rendere pericolosa
anche la più piccola marcia.
L'equipaggio, che cominciava già a soffrire il freddo,
quantunque avesse indossato le vesti più pesanti, non abbandonò un solo istante
la sala ove ardeva senza posa la stufa.
Il capitano, onde non mantenerlo in ozio, fece purificare
una certa quantità d'olio di balena. Questa operazione però diede poco frutto,
essendo cosa non facile lo sgelare il grasso.
Il 5 il tempo non migliorò, anzi divenne più orribile. La
neve continuò a cadere attraverso un nebbione fitto assai, che il vento non era
capace di scacciare. A mezzogiorno il termometro segnò 19° sotto lo zero, ma
dopo ridiscese a 15° essendosi calmata la burrasca.
Il capitano fu costretto a far sgomberare il tetto della
sala dalla neve che lo copriva, onde non finisse col crollare. Per meglio
riparare, poi, la nave dal vento che ammucchiava contro di essa una grande
quantità di neve e ghiaccioli, fece alzare a breve distanza quattro alte
muraglie di ghiaccio, quattro veri bastioni con due uscite.
Il 6 il sole apparve all'orizzonte, ma era un sole senza
forza, d'un giallo pallido assai. Poco dopo scomparve dietro al nebbione che
pareva non volesse più abbandonare il gran banco di ghiaccio.
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