XIX CACCIA AI BUOI MUSCHIATI
A quale punto
della costa americana erano giunti i due audaci balenieri? Era impossibile
saperlo, ma secondo i loro calcoli dovevano trovarsi fra l'Yucon, grande fiume
che sbocca verso l'ovest, e il Makenzie, altro grande fiume che sbocca all'est.
Del resto nè il tenente nè il fiociniere per il momento si preoccupavano di
ciò; a loro bastava di essere giunti a quella costa tanto sospirata e che per
loro era la salvezza.
Forse molto cammino dovevano ancora percorrere e forse
molti pericoli dovevano ancora affrontare, ma che importava? L'America era lì,
a pochi passi di distanza, e non chiedevano di più. In seguito avrebbero
pensato a raggiungere qualche tribù di eschimesi o d'indiani o meglio ancora
qualcuno degli stabilimenti che la Compagnia della Baia d'Hudson fondò in gran
numero in quella regione, per il commercio delle pelliccie.
Ansiosi di porre i piedi su quella terra così
miracolosamente e quasi senza fatica raggiunta, non perdettero un solo istante
e, attaccatisi alla slitta con una lunga correggia, si spinsero risolutamente
innanzi.
Disgraziatamente il cammino non era più facile. Il
ghiaccio, sconvolto e sollevato dagli urti degli «icebergs», dei «palks» e
degli «streams», presentava per ogni dove larghi crepacci o punte aguzze e
scricchiolava in modo inquietante come se fosse sempre lì lì per aprirsi. La
slitta, non trovando modo di scivolare su quel terreno irregolare e malfermo,
ora si sprofondava ed ora si rovesciava facendo andare in bestia il fiociniere
il quale sudava, quantunque il termometro segnasse ancora 12° sotto lo zero.
Non fu che alle 8 che i due balenieri stanchi, colle
vesti lacerate dalle punte dei ghiacci e le scarpe assai malandate, poterono
raggiungere la cima della sponda americana.
I loro sguardi percorsero ansiosamente il paese che si
stendeva a loro dinanzi, colla speranza di scoprire qualche capanna o qualche
colonna di fumo che segnalasse la presenza di una creatura umana, ma invano.
La regione era assolutamente deserta e desolata. Una
pianura coperta di ghiacci e di nevi, frastagliata da piccoli laghetti gelati e
da crepacci profondi, s'apriva dinanzi a loro, chiusa verso sud da alcune
montagne che sembravano dirupate e molto difficili a scalarsi e le cui vette
sparivano dentro una fitta nebbia.
Qualche meschina pianticella, dei miseri salici artici
non più alti di venti centimetri, qualche macchia di licheni detti di «roccia trippa»
e un pò di muschio apparivano qua e là sulla bianca distesa di neve, ma nessuno
di quei «settlements» che s'incontrano talvolta in mezzo a quei deserti delle
terre d'Hudson, nessun villaggio di eschimesi, nessuna capanna e nessun
animale.
- Era brutto il nostro banco di ghiaccio, ma questa costa
non mi sembra migliore! - disse Koninson.
- Credevi forse di riposare in un soffice letto stasera?
- chiese il tenente ridendo.
- No, ma credevo di vedere qualche volto umano.
- Ne vedremo e fra non molto forse.
- Ma più a sud.
- E perchè più a sud? Forse che gli eschimesi hanno paura
del freddo per spingersi fin qui? Essi salgono molto più a nord e mi ricordo
che alcuni furono trovati così lontani dalle terre abitabili da ignorare
l'esistenza di altri popoli. James Ross, per esempio, che nel 1818 intraprese
una campagna polare, trovò una tribù di questi strani individui al 78° di
latitudine, in un lembo di terra da tutti ignorato e che da secoli e secoli
vivevano credendo di essere i soli rappresentanti della razza umana. Vedi bene
che non hanno paura di spingersi verso nord.
- E chi li aveva condotti là?
- Chi può saperlo? Forse in un'epoca assai lontana una
piccola tribù era emigrata fino a quella elevata latitudine.
- Ditemi, signor Hostrup, da dove si crede che siano
venuti gli eschimesi?
- Dirlo sarebbe molto difficile, ma si suppone, e con
ragione, che siano venuti dall'Asia.
- Infatti mi sembra la via più breve e la più facile,
esistendo fra i due continenti il lungo arcipelago delle isole Aleutine. Ed è
molto tempo che questo popolo si conosce?
- Si conosceva prima ancora che Cristoforo Colombo
scoprisse l'America.
- Eh? - fè Koninson, al colmo della sorpresa.
- Sì, fiociniere, ciò che dico è vero; ma non intendo con
ciò scemare il grande merito spettante al celebre navigatore italiano, poichè
se si sapeva che esistevano verso nord delle terre abitate, non si sapeva che
all'occidente dell'Europa esistesse l'America.
- E chi furono i primi navigatori ad avere relazioni con
quei figli delle nebbie e dei ghiacci?
- Gli Scandinavi, che fino dal secolo IX si spinsero
verso nord fondando colonie nell'Islanda e nella Groenlandia.
- Avevano dell'audacia, i nostri vecchi!
- Infatti ne ebbero molta, poichè non si accontentarono
di sbarcare in Groenlandia, ma si spinsero più oltre verso l'occidente
sbarcando su di una costa che pare fosse l'attuale Labrador e dove fondarono
ricche e numerose colonie.
- Fino nel Labrador? Ma se oggi è un vero deserto di
ghiaccio, appena abitabile dagli eschimesi!
- Oggi sì, ma pare che in quei tempi godesse un clima
abbastanza mite, tanto è vero che vi cresceva la vite e appunto per questo
chiamarono quella terra Vinlandia, ossia «terra del vino».
- E come scomparvero quelle colonie?
- Non lo si sa. Nei primi anni della scoperta della
Vinlandia molti Scandinavi s'imbarcarono per quel paese e anche molti
Islandesi, fondando su diversi punti della costa grandi stabilimenti e mandando
in Europa molti vascelli carichi di pelliccie; poi, a poco a poco le relazioni
coll'Islanda e coi paesi scandinavi si rallentarono, finchè cessarono
totalmente, forse a causa dei ghiacci che sempre più scendevano verso sud,
forse per altre cause che restarono per sempre ignote. Il fatto è che tutte
quelle colonie, un tempo così fiorenti, disparvero senza lasciar traccie. Anzi,
taluni opinano che la Vinlandia non fosse il Labrador, ma l'isola di Terra
Nuova; così incerte sono le memorie lasciate da quegli intrepidi naviganti e
coloni.
- Che siano stati tutti uccisi dagli eschimesi?
- Non si sa, Koninson. Fors'anche dalla fame causata dal
crescente freddo apportato dai ghiacci che distrusse i loro raccolti, forse da
guerre civili, forse da qualche epidemia e, potrebbe anche darsi, dagli
eschimesi.
- E non potrebbero essersi invece fusi cogli eschimesi?
- È possibile; anzi, molti scienziati sono del tuo
parere, poichè è stato più volte osservato che talune tribù eschimesi sotto i
loro strati di olio e di pittura hanno la pelle bianca. Ma lasciamo lì gli
eschimesi e pensiamo ad accamparci. Domani, se il tempo, lo permetterà, ci
dirigeremo verso quella catena di monti che chiudono l'orizzonte meridionale.
- E poi? - chiese Koninson.
- Poi continueremo ad avanzare verso sud finchè
incontreremo il Porcupine. Quando saremo là, penseremo a raggiungere il fiume
Makenzie e quindi il lago del Grand'Orso.
- Perchè andremo fino a quel lago?
- Perchè là appunto si trova un forte della Compagnia
della Baia d'Hudson.
- Allora ci andremo. Le nostre gambe sono buone malgrado la
lunga prigionia subita in quella dannata capanna. Ora accampiamoci e mettiamo
sotto i denti qualche cosa, poichè mi sento una fame diabolica.
Staccarono la vela dalla slitta, rizzarono una specie di
tenda sostenuta dall'albero e dal pennoncino e coprirono il suolo colle pelli
che avevano portato con loro per ripararsi dal freddo e combattere l'umidità.
Koninson, accesa la lampada, fece bollire un pò di pesce
secco mescolandovi dei fagiuoli, gli ultimi che ancora possedeva, e quando
tutto fu pronto invitò il tenente al magro desco. Dopo una fumata, turarono per
bene la tenda e si coricarono cercando di addormentarsi.
Avevano appena chiuso gli occhi che udirono, a breve
distanza, un lungo urlo che aveva un non so che di lugubre.
- Che razza di bestia si avvicina? - chiese Koninson,
allungando la destra verso il suo fucile.
- Mi pare che fosse l'urlo d'un lupo! - disse il tenente,
punto spaventato.
- Brutta compagnia, signor Hostrup. Forse che quei
famelici animali si spingono fin sulle rive dell'oceano artico?
- Nella buona stagione s'incontrano anche su queste
coste. Probabilmente hanno fiutato l'odore del nostro pasto e si sono
affrettati a dirigersi a questa volta. Metti fuori il capo e guarda.
Koninson alzò la tela e strisciò all'aperto portando con
sè il fucile.
Un grande lupo dal mantello grigio urlava verso alcuni
grossi animali assai villosi, che per le loro forme somigliavano ai buoi e che
passavano ad un chilometro di distanza dirigendosi verso la catena di monti.
- Signor Hostrup, uscite, uscite! - esclamò egli. - Vedo
dei buoi.
- Dei buoi? - disse il tenente. - Sei pazzo, giovanotto
mio?
- No, no, affrettatevi che se ne vanno.
Il tenente uscì e dovette proprio convincersi che
Koninson non aveva del tutto torto.
- Sono buoi muschiati - disse, dopo aver attentamente
guardato i ruminanti che galoppavano rapidamente verso sud. - E sono molti.
- Una ventina per lo meno - aggiunse Koninson. - Sono
buoni da mangiare?
- Sì, fiociniere.
- Che appartengano a qualche tribù di eschimesi?
- No, non vivono che allo stato selvaggio e s'incontrano
di rado, poichè la loro razza va a poco a poco scomparendo.
- Se li inseguissimo?
- Sarebbe fatica sprecata, poichè corrono e molto più
rapidamente di noi.
- Ma volete lasciarli andare? - insistette il fiociniere
che si era fitto in capo di regalarsi, per l'indomani, delle succolente
bistecche
- Per ora sì, ma domani cercheremo di sorprenderli in
qualche vallata e vedrai che qualcuno cadrà sotto le nostre palle. Oggi è
inutile spaventarli.
Il fiociniere dovette a malincuore arrendersi. D'altronde
i buoi muschiati, che forse avevano fiutato qualche pericolo sia da parte dei
due balenieri che dei lupi, si erano affrettati ad allontanarsi, ed in breve
sparvero in mezzo alle colline di neve.
Il tenente e il suo compagno ritornarono sotto la tenda e
si riaddormentarono, ma furono ancora risvegliati, e parecchie volte, dalle
urla dei lupi, di cui alcuni vennero a ronzare non solo attorno alla slitta, ma
anche attorno alla tenda.
All'indomani, un pò prima delle 6, erano tutti e due in
piedi, pronti a mettersi in caccia.
La giornata era splendida. Al disopra dei monti di
ghiaccio che chiudevano l'orizzonte settentrionale, brillava un superbo sole il
quale aveva portato la temperatura a soli 9° sotto lo zero.
Per l'aria, vere nuvole di uccelli passavano e
ripassavano mandando allegre grida, e sui campi di neve della terra americana
si vedevano galoppare in tutti i sensi gran numero di volpi bianche occupate a
cacciare i piccoli sorci di neve che cominciavano a lasciare le loro tane.
La grossa selvaggina non mancava. In lontananza, fra gli
«icebergs» e gli «hummocks», dei lunghi corpi nerastri si avvoltolavano in
mezzo alle nevi, godendosi i tiepidi raggi di sole che li inondavano; erano
foche e trichechi che, forato il ghiaccio, venivano a «respirare una boccata
d'aria» come diceva Koninson.
- Partiamo! - disse il tenente, dopo essersi riempite le
tasche di palle e di polvere ed essersi caricato del fucile e di una scure. - I
buoi muschiati non devono essere molto lontani.
- E la slitta la lasceremo qui? - chiese Koninson.
- Partiremo domani per il sud. Oggi ci dedicheremo alla
caccia.
- Non chiedo di meglio. Avanti, signor Hostrup; io ho un
vivissimo desiderio di far conoscenza coi buoi muschiati.
Chiusero alla meglio la tenda affinchè durante la loro
assenza i lupi non facessero man bassa sui viveri, inforcarono gli occhiali per
difendere gli occhi dal riflesso delle nevi percosse dai raggi solari e si
misero animosamente in cammino, dirigendosi verso la catena di montagne, le cui
valli non potevano essere lontane più di quattro o cinque miglia.
Sul principio la marcia non fu difficile, quantunque la
neve, cominciando a sciogliersi, rendesse il cammino faticoso; ma ben presto
divenne aspra a causa del terreno che diventava sempre più malagevole, ora
interrotto da larghi crepacci dai quali saliva una fitta nebbia che tosto si
disperdeva, ora da profondi letti di neve che cedeva subito sotto i piedi, ed
ora da certe collinette brulle i cui fianchi, coperti di ghiaccio, mal si
prestavano per le ascensioni.
Soffermandosi però di quando in quando per riprendere
lena, verso le 10 del mattino i due cacciatori giungevano all'entrata di una
stretta ma molto profonda e tortuosa vallata, interrotta qua e là da alte
roccie sui cui fianchi germogliavano stentatamente alcuni campioni della
famiglia delle sassifraghe, pochi salici artici e licheni di roccia.
Il tenente, che di quando in quando si arrestava per
guardare la neve, scoprì numerose traccie di buoi muschiati che si perdevano in
fondo alla valle.
- Siamo vicini alla grossa selvaggina - disse a Koninson.
- Prepara il fucile e bada di non mancare il colpo, poichè i buoi muschiati
hanno delle solide corna.
- Assalgono i cacciatori? - chiese il fiociniere.
- Qualche volta sì, e allora diventano pericolosi; più
d'un eschimese è stato sventrato come un «toreador» spagnuolo, se non peggio.
Avanti e silenzio.
Armarono
i fucili e s'addentrarono nella valle cercando di evitare gli stagni e i
piccoli corsi d'acqua per non fare rumore calpestando il ghiaccio che li
copriva e cercando pure di mantenersi nascosti più che era possibile, allo
scopo di non allarmare subito la selvaggina che forse pascolava a breve
distanza.
Avevano percorso in quella guisa oltre mezzo miglio,
quando udirono dietro alcune roccie dei sonori muggiti.
- Adagio, Koninson! - mormorò il tenente trattenendo il
compagno che stava per slanciarsi innanzi. - Giriamo pian piano le roccie.
Si gettarono a terra e, strisciando a mò di serpenti,
avanzarono lentamente finchè giunsero a una piccola rupe, dietro la quale
potevano vedere e sparare senza correre pericolo.
La scalarono e guardarono dall'altra parte: i buoi
muschiati, che la sera innanzi avevano attraversata la pianura inseguiti dai
lupi, stavano loro dinanzi, a meno di duecento passi.
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