XXIV CACCIA E TRADIMENTO
Quegli indiani
Tanana, la cui tribù abita ordinariamente l'alto corso dell'Yucon dove ha un
grosso villaggio chiamato Nu-clukayette, erano una quindicina e, a prima vista,
non tali da ispirare troppa fiducia e simpatia.
Avevano i lineamenti brutti, angolosi, gli occhi foschi,
il viso dipinto a vivaci colori, i capelli lunghi, sciolti, adorni di penne e
di pezzi di argilla sorretti da strisce di garza e un bastoncino passato fra le
cartilagini del naso che dava loro un aspetto tutt'altro che gradevole.
Le loro vesti consistevano in corte giubbe di pelli
d'orso o d'ermellino o di lupo, calzoni di pelle di foca adorni di frangie e di
perle comperate senza dubbio dai commercianti ambulanti, e grandi scarpe da
neve formate da una specie di rete terminante in punta sul dinanzi e
arrotondata di dietro.
Dopo la corsa fatta, che aveva per scopo di provare se
gli stranieri avevano il «cuore forte» - com'è loro costume - si erano fermati
in atteggiamento pacifico.
Il tenente, che aveva rapidamente puntato il fucile
contro di loro pronto a far fuoco, dopo le parole del capo lo aveva abbassato
tenendosi però in guardia, non fidandosi interamente di quegli indiani che
ordinariamente vedono di cattivo occhio i bianchi stabiliti sulle loro terre.
- Se vieni come amico, nulla hai da temere! - disse poi,
rivolgendosi al capo che aspettava una risposta.
- Mio fratello è russo? - chiese questi.
- No, appartengo ad una tribù che è molto lontana da qui,
verso il sole che tramonta.
- Allora sei mio amico! - rispose il capo.
Gettò a terra il vecchio fucile che teneva in mano,
s'avvicinò al tenente e accostando il proprio naso a quello di lui glielo
strofinò energicamente.
Dopo questo segno di amicizia riprese:
- Se mio fratello non teme l'ospitalità dei Tanana, mi
segua: avrà una tenda, della carne e del fuoco.
- Ti seguo.
La banda gettò le armi sulle spalle e si addentrò nella
grande macchia seguita dai due naufraghi.
- Possiamo fidarci? - chiese Koninson.
- Sì, ma fino ad un certo punto! - rispose il tenente. -
Ad ogni modo abbiamo anche noi delle armi.
Dopo dieci minuti di cammino, giungevano in una vasta
radura in mezzo alla quale si rizzavano sei grandi tende di pelle di renna, di
forma conica, sostenute da pertiche e sormontate da strani emblemi
rappresentanti teste di orsi e teste di lupi.
Alcune donne ancor più brutte degli uomini, più
orribilmente dipinte, infagottate in pelli di orso e di foca e adorne,
specialmente al naso, di conchiglie di «ki-a-qua» (dentalium), mossero incontro
ai nuovi venuti: ma ad un gesto dei guerrieri si affrettarono a ritirarsi.
Il capo condusse gli ospiti dinanzi ad una piccola tenda
mezzo sdruscita e che pareva si reggesse per un miracolo di equilibrio e li
invitò ad entrare, promettendo di raggiungerli fra pochi istanti. Koninson per
il primo vi mise dentro la testa, ma la ritirò subito sternutando sonoramente.
- Ma questo è un porcile - disse. - Sfido chiunque a
sopportare l'orribile puzza che regna lì dentro.
- Bah! Non bisogna essere schizzinosi, ragazzo mio! -
rispose il tenente. - Credevi forse di trovare un palazzo? Animo, entriamo.
Facendo uno sforzo, si cacciarono sotto la tenda dove si
arrestarono mezzo asfissiati da un insopportabile odore di carne corrotta.
Nel mezzo ardeva una strana lampada scavata in una pietra
ollare, la quale spandeva all'intorno un luce rossastra e fetente. Negli
angoli, ammonticchiate alla rinfusa, si vedevano diverse pelli di animali non
ancora completamente seccate, poi interiori che finivano di marcire, pesci
corrotti, dei sacchetti che parevano contenere carne secca e infine un gran
numero di fiocine di ogni forma e dimensione, nonchè certi coltellacci d'una
forma particolare montati in corno di narvalo o in un dente di morsa.
- Questo deve essere il magazzino della tribù e anche
l'arsenale - disse il tenente.
- Che pulizia, signor Hostrup! Noi morremo asfissiati se
non ci affrettiamo a uscire.
- Se vivono i Tanana in queste brutte tende, possiamo
viverci anche noi.
- Ma forse le altre sono migliori.
- Probabilmente saranno peggiori.
- E l'orso? Tò, me lo ero scordato.
- Quando verrà il capo sapremo qualche cosa. Ah! Eccolo
che ritorna!
Infatti il Tanana si avvicinava accompagnato da un guerriero
il quale portava un grosso pesce, che pareva fosse stato allora allora levato
dai carboni.
- Mio fratello accetti il regalo che gli offre il capo -
disse il Tanana entrando.
- Sii il benvenuto, - rispose il tenente - e ricevi i
nostri ringraziamenti.
Il guerriero depose su di una pelle il pesce, poi uscì
mentre il capo si sedeva per terra colle gambe incrociate. I due naufraghi non
si fecero pregare a far onore al pasto e lavorarono così bene di denti che ben
presto del pesce non rimasero che le pinne.
Il Tanana, quando vide che avevano terminato, estrasse
dal suo sacchetto che portava appeso alla cintura la pipa, la caricò
flemmaticamente, l'accese, aspirò due boccate, poi la passò agli ospiti che
fecero altrettanto.
Terminata quella funzione che presso tutti gli Indiani
dell'America settentrionale è della più alta importanza, poichè viene
considerata come una dichiarazione di amicizia, il Tanana, che fino allora non
aveva pronunciato sillaba, disse:
- Mio fratello il viso pallido è contento dei suoi
fratelli dal viso rosso?
- Sì e ti ringrazio della cortese ospitalità accordatami.
- Allora mi dirà perchè viaggia in queste terre che non
sono le sue.
- Siamo qui perchè la tempesta ci ha gettati, malgrado
tutta la nostra buona volontà per non approdarvi.
- Ah! I miei fratelli sono stati disgraziati adunque?
Montavano forse una di quelle grandi barche che vengono così da lontano?
- L'hai detto.
- Ed ora dove vanno?
- Cerchiamo di raggiungere un qualche forte o della
Compagnia inglese o di quella russa.
- Ma i forti sono molto lontani.
- Ma le nostre gambe sono buone.
- E non possedete un attiraglio?
- Una slitta, ma senza cani per trascinarla.
- E dov'è questa slitta? - chiese il Tanana, i cui occhi
mandarono un lampo.
- L'abbiamo lasciata a due ore di cammino di qui, sulla
riva del Porcupine.
- Mio fratello possederà dell'«acqua di fuoco»?
- Dell'acquavite, vuoi dire? No, l'abbiamo consumata
tutta.
- Possederà della polvere da sparo.
- Sì, ma non molta.
- Doveva portarne un pò a suo fratello Tanana.
- Basta appena per noi due.
Il capo non dissimulò un gesto di dispetto che al tenente
non sfuggì.
- Ma perchè ha lasciato la sua slitta? - chiese il
Tanana.
- Per inseguire un orso bianco che ci aveva rubato un
fucile. È tuo quell'orso?
- No.
- Sarà di qualche tuo guerriero. Io so che è entrato nel
tuo campo e io conto sulla tua generosità per riavere l'arma.
Il Tanana lo guardò per qualche istante senza rispondere,
poi disse:
- Tu l'avrai, ma ad un patto.
- Parla.
- Che tu venga quest'oggi con me nella foresta a cacciare
l'alce. I volti pallidi sono tutti bravi cacciatori e tu e il tuo compagno mi
sarete di grande aiuto.
- Accetto.
II capo si alzò, uscì dalla tenda e poco dopo ritornava
portando il fucile che Koninson s'affrettò a prendere, mandando una
esclamazione di gioia.
- Ora mettiamoci in cammino! - disse il Tanana. - Le alci
sono state già scoperte dai miei uomini e forse a quest'ora sono strette da
ogni parte. Affrettiamoci, poichè conto di partire questa notte con tutta la
mia tribù.
- E per dove? - chiese il tenente.
- Verso il sole che si leva, nel paese dei Malemuti -
rispose il Tanana con un enigmatico sorriso. - Odi le grida dei cacciatori?
In lontananza si erano improvvisamente udite delle alte
grida seguite dall'abbaiare di numerosissimi cani.
- Andiamo! - disse il tenente.
Il Tanana uscì seguito dai due marinai, disse qualche
parola ad alcuni guerrieri che lo attendevano fuori della tenda, poi si
addentrò nel bosco.
- Che vi pare di questo selvaggio? - chiese Koninson al
tenente. - Mi ha un certo viso che non mi rassicura completamente.
- Hai ragione, mio degno fiociniere, ma staremo in
guardia e ci guarderemo ben bene alle spalle.
Le grida e gli abbaiamenti si avvicinavano rapidamente e
ben presto attraverso gli alberi si videro correre parecchi cacciatori
preceduti da grossi cani, poco dissimili per altezza e per forme dai lupi.
- Dove sono queste alci? - chiese Hostrup al capo.
- Dinanzi a noi - rispose il Tanana.
- Sono molti i cacciatori?
- Una quarantina sparsi sulla nostra destra e sulla
nostra sinistra.
Camminarono per altri venti minuti sempre più
inoltrandosi nella foresta e sempre preceduti dai cacciatori che continuavano a
mandare urla selvagge, poi il Tanana si arrestò.
Dinanzi a loro, a tre o quattrocento metri, stavano
riunite venti o venticinque alci, superbi animali, grandi quanto un cavallo
giovane, colle teste adorne di corna robustissime. Correvano or qua or là in
preda ad un vivo spavento, cercando di fuggire fra gli spazi lasciati dai
cacciatori, ma senza arrischiarsi, poichè subito ritornavano galoppando
disordinatamente
II tenente e il fiociniere puntarono le armi mirando
ognuno un'alce, ma il Tanana con un gesto li trattenne.
- Siamo a buon tiro - disse Hostrup.
- Non è ancor giunto il momento - rispose il capo. -
Aspetta che entrino nel recinto e poi farai fuoco a volontà.
- In quale recinto?
- Guarda laggiù.
Il tenente guardò nella direzione indicata e non senza
sorpresa vide, attraverso gli alberi, un grandioso recinto fabbricato con rami assicurati
ai tronchi mediante strisce di pelle, il quale si restringeva a mò di collo di
bottiglia.
- È così che noi cacciamo - disse il Tanana. - Le alci
hanno paura ad entrare, ma noi le costringeremo.
- E non spezzeranno il recinto?
- È semplice, ma molto solido. Attenzione e guardatevi
dalle corna, poichè talvolta le alci, rese furiose, si gettano sui cacciatori a
testa bassa.
I suoi uomini si erano a poco a poco riuniti formando un
semicerchio assai vasto il quale si univa colle due estremità del recinto. Ad
un cenno del capo impugnarono le fiocine e si spinsero coraggiosamente innanzi
raddoppiando le grida e aizzando i cani.
Le alci si misero a caracollare confusamente mostrando
delle intenzioni tutt'altro che pacifiche, ma quando si videro assalite dai
cani e minacciate assai da vicino dai cacciatori, non esitarono più a fuggire e
non trovando dinanzi che l'apertura del recinto vi si spinsero dentro.
II capo, i due naufraghi e tutti gli altri le seguirono e
si appostarono dietro a certi mucchi di neve muniti di una feritoia, che erano
stati precedentemente costruiti.
- Fuoco a volontà! - comandò il capo.
Tosto da ogni parte partirono detonazioni ed alcuni alci,
colpite mortalmente, caddero dibattendosi disperatamente. Le altre fecero di
gran galoppo il giro del recinto cercando una uscita che ormai non esisteva
più, essendo stata subito chiusa quella che poc'anzi c'era, poi si scagliarono
contro i rami d'albero tentando di spezzarli a colpi di corna, ma invano
poichè, come aveva detto il capo, erano solidissimi e ben legati.
Vista l'inutilità dei loro sforzi, si rivolsero contro i
cacciatori, ma una nuova scarica, che ne gettò a terra altre quattro o cinque,
le costrinse a riprendere la fuga.
Riunitesi in fondo al recinto, le povere bestie parvero
consigliarsi, poi ritornarono verso i cacciatori a testa bassa mostrando
minacciosamente le loro robuste corna. Alcune colpite dalle palle caddero, ma
le altre passarono come un uragano fra cumulo e cumulo, si gettarono
furiosamente contro il recinto che in quel luogo presentava una solidità molto
dubbia, ne rovesciarono un tratto e fuggirono nel bosco allontanandosi verso
est con tale rapidità, da par perdere ogni speranza di raggiungerle.
Il tenente e il fiociniere fecero atto di inseguirle, ma
il capo Tanana li arrestò.
- È inutile - disse. - Abbiamo carne quanta ci basta per
vivere un bel pezzo.
Ed infatti aveva ragione. Nove alci giacevano a terra
immobili e due altre si dibattevano negli ultimi aneliti.
Mentre alcuni cacciatori uscivano traendosi dietro i cani
per condurre colà le slitte, gli altri s'affrettarono a finire le ferite; poi,
dato mano ai coltelli, si misero a scuoiare e a tagliare con tanta abilità e
prestezza che due ore dopo la non facile operazione era finita.
Al tramonto, quell'ammasso di carne ancor palpitante
veniva caricato sulle slitte e portato all'accampamento dove erano stati accesi
dei grandi fuochi.
Il capo offrì ai due marinai una lauta ed abbondante
cena, poi li ricondusse nella loro tenda che in quel frattempo era stata
completamente vuotata.
- Quando parti? - gli chiese il tenente, prima di
coricarsi.
- Domani all'alba - rispose il Tanana con un sottile
sorriso. - Dormi in pace sotto la buona guardia dei miei guerrieri e all'alba
riceverai i miei saluti e una provvista di carne da bastarti per un mese.
- A domani, adunque! - risposero i due naufraghi. E si
sdraiarono con accanto le armi.
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