XXVI GLI ORSI DELLE TERRE NUDE
Il Makenzie,
scoperto solamente verso il finire del XVIII secolo, e precisamente nel 1789,
da un inglese che gli diede il proprio nome, è uno dei più grandi ma nello
stesso tempo dei meno conosciuti fiumi che solcano quell'immensa estensione di
tetre semideserte e quasi sempre gelate, appartenenti alla Compagnia della Baia
di Hudson.
Il preciso suo corso ancora oggi si ignora, ma secondo
taluni sarebbe di circa 3200 chilometri. Alimentato dal Lago dello Schiavo, poi
dal Lago del Grand'Orso, a cui è unito da un fiume che chiamasi pure
Grand'Orso, quindi dal Porcupine, scorre con grandi serpeggiamenti attraverso a
quelle terre e va a scaricarsi presso i 69° 14' di latitudine nord e i 129° 12'
di longitudine ovest nell'Oceano artico, per una larga imboccatura ostruita in
parte da un gruppo d'isole deserte fra cui le più notevoli sono quella della
Balena, ove si fermò Makenzie, e quella di Garry, visitata dal capitano
Franklin nel 1825.
La Compagnia della Baia di Hudson, che traffica cogli
Indiani, ha sulle rive di questo grande fiume alcuni piccoli forti abitati da
pochi cacciatori, separati gli uni dagli altri da grandi distanze.
All'infuori di questi posti, il paese bagnato è quasi
deserto, poichè anche le tribù indiane vi sono poche e senza stabile dimora.
Malgrado quel repentino capitombolo da una sponda alta
più di una quindicina di piedi, nelle acque del fiume, che forse da sole poche
ore si erano liberate dalla crosta di ghiaccio, i due balenieri non si
perdettero d'animo. Con un vigoroso colpo di tallone ritornarono subito a galla
e si aggrapparono alla slitta la quale nel precipitare non aveva riportato che
la rottura dell'albero, tagliato in due dall'urto di un grosso ghiaccio.
La prima cosa che fecero fu di tentare di guadagnar la
riva; ma, almeno per il momento, furono costretti ad abbandonare l'idea, poichè
enormi lastroni di ghiaccio, che il fiume trascinava tumultuosamente nella sua
rapida corsa, li circondavano da ogni lato minacciando di schiacciarli o di
tagliarli a mezzo.
- Passiamo a prua - disse il tenente. - Eviteremo almeno
gli urti.
Tenendosi stretti alle traverse della slitta, si
portarono entrambi sul dinanzi, cercando di tenersi più che potevano fuori
dell'acqua per non gelare completamente.
- Hai nulla di guasto? - chiese poi il tenente.
- Non mi pare - rispose Koninson. - Ma, se rimaniamo qui
una sola mezz'ora, mi guasterò tutto. Corpo d'una pipa rotta! Sono ben fredde
queste acque.
- Le tue munizioni?
- Le ho bene assicurate e vedete che anche il fucile non
l'ho abbandonato.
- Ora pensiamo a guadagnare la riva.
- Ma questi dannati ghiacci ci stritoleranno se abbandoniamo
la slitta, e poi le mie vesti sono diventate così pesanti che non sarò capace
di nuotare per dieci metri.
- Si tratta di spingere la slitta verso la riva.
Attenzione, Koninson!
Una gran lastra di ghiaccio, un vero «stream» lungo una
cinquantina di metri, muoveva dritto sulla slitta frantumando con mille
scricchiolìi tutti i ghiacci minori.
- Ci schiaccerà! - disse Koninson, battendo i denti per
il freddo.
- Prima romperà la slitta! - rispose il tenente. - Non
perderti d'animo, amico mio, e tieni fermo finchè raggiungiamo la riva.
- Vi confesso che non ne posso più. Queste acque sono
diabolicamente fredde e sento che a poco a poco i miei muscoli si
irrigidiscono.
- Attenzione, Koninson.
Il lastrone non era che a pochi passi. Frantumò con un
potente urto due piccoli ghiacci, poi si precipitò come un ariete sulla slitta.
Si udì un lungo scricchiolìo, le traverse si spezzarono, le corde si ruppero,
lasciando cadere i pochi oggetti che i naufraghi avevano salvato dalle rapaci
mani dei Tanana, quindi tutto l'apparecchio si disciolse andandosene alla
deriva.
Il tenente e Koninson furono travolti dalla corrente, ma
ben presto, lottando con disperata energia, riuscirono ad aggrapparsi ad un
banco di ghiaccio issandovisi sopra.
- Ah, mio tenente! - mormorò il povero fiociniere che non
si reggeva più. - Mi pare che il mio cuore sia diventato un blocco di ghiaccio.
- Coraggio, amico. La corrente ci spinge verso la riva
destra e fra pochi istanti toccheremo terra.
Koninson non rispose. Quasi completamente assiderato si
era raggomitolato su sè stesso, ormai incapace di fare il più piccolo
movimento.
Fortunatamente il banco urtò contro i ghiacci della riva
e si incastrò fortemente dentro un largo crepaccio. Il tenente, a cui quel
bagno prolungato in quelle acque così gelate non aveva completamente tolte le
forze, si caricò del compagno e raggiunse la sponda arrestandosi a pochi passi
da un boschetto di betulle.
Senza occuparsi di sè stesso, in pochi istanti spogliò il
fiociniere, poi raccolse un pò di neve e si mise a strofinarlo vigorosamente
per rimettergli in circolazione il sangue.
Dopo alcuni minuti lo vide muoversi e infine riaprire gli
occhi.
- Vedo che hai la pelle dura e sono contento! - gli
disse, sorridendo. - Orsù, ragazzo mio, spicca quattro salti finchè io corro al
boschetto a procurare della legna.
- Grazie, signor Hostrup, ma se tardate a spogliarvi
delle vesti, gelerete.
- Bah! La mia pelle sfida quella degli orsi bianchi;
d'altronde non impiegherò che pochi minuti ad accendere un buon fuoco.
Impugnò la scure che aveva avuto tempo di salvare nel
momento che la slitta capitombolava nel fiume, e si allontanò correndo,
raccogliendo qua e là i rami morti e quelli che tagliava. Fatta un'ampia
provvista ritornò presso Koninson, il quale stava facendo una ginnastica
indiavolata per non tornare a gelare.
L'esca e l'acciarino, conservati dentro un astuccio
impermeabile, procurarono un bel fuoco attorno al quale i due balenieri si
assisero, riscaldandosi le membra ed asciugandosi le vesti.
- Ditemi, signor Hostrup, - disse il fiociniere che aveva
ricuperato le forze e la favella - dove supponete che noi siamo?
- Sulle rive del Makenzie, ma in quale punto preciso non
te lo saprei dire.
- Siamo molto lontani dal forte che cercate?
- Te lo dirò quando avremo raggiunto la riviera del
Grand'Orso, che si scarica in questo fiume.
- A sud o a nord da noi?
- A nord no di certo, poichè ci siamo costantemente
tenuti a nord del Porcupine e questo fiume sbocca nel Makenzie quasi di fronte
alla riviera del Grand'Orso.
- Allora marceremo verso sud seguendo il fiume.
- È necessario, e quando avremo raggiunto la riviera
piegheremo ad est finchè troveremo il forte Speranza, il quale, se la memoria
non mi tradisce, deve trovarsi a circa mezza via fra il Makenzie e il lago del
Grand'Orso o del Musquàsa-ky-e-gum, come lo chiamano gli indiani.
- Auff! Mi ci vorrà una settimana a pronunciare siffatto
nome. Questo sforzo di lingua lo lascio a voi ed agli indiani. Ma ditemi,
signor Hostrup, a cosa servono i forti piantati fra quelle deserte regioni?
- A scopo di commercio.
- E con chi commerciano?
- Cogli indiani, i quali si recano di quando in quando ai
forti a vendere le pelli degli orsi, di foche, di martore, di volpi, di linci,
di lupi, di castori, di ratti muschiati e di lontre, contro, armi, liquori,
reti, ecc. Anzi, ti dirò che tanto la Compagnia Russa che quella della Baia di
Hudson, proprietarie dei forti, fanno ottimi affari.
- Ma dove sono questi indiani, che non ne abbiamo veduto
che trenta o quaranta?
- Sono disseminati qua e là, ma tutti sanno dove si
trovano i forti.
- Ne troveremo degli altri, dunque?
- Sì, poichè il territorio su cui ci troviamo, e che
appartiene alla Compagnia della Baia di Hudson, è più popolato di quello
appartenente alla Russia. Nei pressi del Makenzie e del lago del Grand'Orso si
trovano numerose tribù di Jannoit della famiglia degli Eschimesi, di indiani
Loschi, così chiamati perchè sono realmente loschi, di Fianchi di Cane o
Liu-tcan che sono tutti balbuzienti, di Denè, di Diendije, di Fine e di
Chippewyans, i quali poi per lungo tempo furono creduti forniti di coda a causa
delle loro vesti che di dietro terminano in una lunga punta.
- Speriamo di trovare anche abbondante selvaggina, poichè
non abbiamo un solo pezzetto di carne da porre sotto i denti.
- Ne troveremo, Koninson, anzi mi metterò oggi stesso in
cerca di qualche capo di selvaggina. Puoi reggerti?
- No, tenente, ho le gambe che si rifiutano di star
ritte.
- Andrò io solo a battere il paese, e se incontro un orso
puoi star certo che stasera faremo un lauto pranzo.
Indossò le vesti che si erano asciugate dinanzi a quella
grande fiammata, rinnovò la carica del fucile con polvere asciutta, poi, dopo
aver raccomandato al fiociniere di fare altrettanto col secondo fucile, per
tenersi pronto a qualunque evento, s'allontanò lentamente inoltrandosi, nel
paese, un pò verso sud.
Camminava da due ore costeggiando un bosco di betulle e
di pini che pareva seguisse la riva del Makenzie, quando si trovò sul limite di
una palude il cui fango era tenacissimo. Dopo aver errato un pò a destra e un
pò a sinistra, s'avventurò su una lingua di terra che si addentrava in quella
palude, fiancheggiata da altissimi abeti neri e da folti boschetti di salici,
nella speranza di incontrare qualcuna di quelle stupende lontre la cui
pelliccia si paga quasi a peso d'oro.
Ad un tratto i suoi orecchi furono colpiti da una specie
di grugnito, che veniva dal mezzo d'un gruppo di piante.
- In guardia! - mormorò, armando il fucile. - Qui ci sono
delle bistecche.
Si gettò a terra per non farsi scoprire e si trascinò
carponi e senza produrre rumore, verso il luogo d'onde venivano i grugniti.
Quando giunse in mezzo ai salici vide dinanzi a sè, a
circa duecento metri, un orso di statura piuttosto piccola, somigliante agli
orsi bruni d'Europa, che si avvoltolava nel fango assieme ad un orsacchiotto
grosso quanto un cane di statura media.
- Oh! - esclamò egli sorpreso. - Che razza di animale è
mai questo? Non può essere che un orso detto delle Terre Nude, accennato da
John Richardson, il compagno dell'infelice Franklin. Stiamo in guardia, poichè
si dice che sia ferocissimo.
L'orsa, poichè doveva essere una femmina, d'improvviso si
alzò guardando verso il gruppo di piante. Senza dubbio aveva fiutato la
presenza del cacciatore e si mostrava inquieta se non per sè stessa, certamente
per l'orsacchiotto che non era in grado di difendersi.
Il tenente, che non voleva perdere una sì bella
occasione, si alzò pure in piedi e puntato rapidamente i fucile fece fuoco
attraverso il fogliame.
L'orsa mandò un urlo terribile, poi si diede a fuggire
attraverso la palude cacciando dinanzi a sè l'orsacchiotto, che mandava
lamentevoli grugniti.
Il tenente saltò nella palude risoluto a inseguirli, ma
fatti pochi passi fu costretto a fermarsi poichè tanta era la tenacità di quel
fango da non lasciargli alzare i piedi. Anzi s'accorse che minacciava di
sprofondare.
Scaricò una seconda volta il fucile, ma con nessun
frutto, poichè l'orsa che forse aveva trovato del terreno più solido, continuò
a fuggire scomparendo in mezzo alle piante, sempre accompagnata dal piccino.
Uscì dalla palude dopo aver ricaricata l'arma e si
slanciò sotto il bosco dirigendosi verso sud, colla speranza di raggiungere la
belva che forse era stata gravemente colpita.
Percorse tre o quattro chilometri quasi sempre correndo,
ma quando si fermò s'accorse di essersi allontanato assai dalla palude. Stava
per tornare sui propri passi e riguadagnare l'accampamento, quando gli pervenne
un lontano muggito che pareva prodotto dal rompersi d'un grosso fiume.
- Che sia il Makenzie? - si chiese. - Ciò non può essere,
poichè il fragore viene da sud, mentre il fiume deve scorrere alla mia destra.
Il sole è ancora alto e Koninson non diventerà inquieto se tardo a ritornare.
Proseguì il cammino verso sud, inoltrandosi in un nuovo
bosco di salici, di abeti e di betulle, e dopo una mezz'ora di trovava sulla
riva di un largo corso d'acqua che veniva da est.
- È il Makenzie, o la riviera del Grand'Orso? - si chiese
egli, salendo su di un'alta rupe dalla quale poteva dominare un gran tratto di
paese. - Sarà senza dubbio il Makenzie; poichè la riviera deve trovarsi molto
più a sud. Ad ogni modo mi accerterò seguendone le rive.
Stava per mettersi in cammino quando, girando gli occhi ai
piedi della rupe, scorse sulla sponda una tenda semi-atterrata e presso questa
quattro lunghi oggetti che potevano fino ad un certo punto sembrare uomini
giganteschi avvolti in pelliccie.
- Cosa saranno quegli oggetti là? - si domandò. - Andiamo
un pò a vedere.
Scese verso la riva seguendo un sentieruzzo appena
praticabile e si avvicinò a quegli strani oggetti che subito riconobbe. Erano
quattro canotti eschimesi, di quelli che si chiamavano «kajacks», leggerissimi
assai, essendo costruiti con pelli di foca ricucite sopra uno scheletro di ossa
di balena o di legno molto sottile, lunghi tre metri, larghi non più di
settanta centimetri, un pò rialzati a prua e bassi a poppa e con un'apertura
nella quale si caccia il battelliere. Osservandoli attentamente li trovò in
ottimo stato e dentro rinvenne alcune pagaie a doppia pala.
- Scoperta magnifica! - disse il tenente. - Se gli
eschimesi, con questi canotti, ardiscono sfidare le tempeste e i ghiacci
dell'Oceano artico o dei grandi laghi, noi potremo senza tema sfidare la
corrente del Makenzie. Se Dio continua a proteggerci fra poche settimane potrò
riposare le mie stanche membra al forte Speranza.
Si avvicinò alla tenda sollevando un lembo, ma tosto si
ritrasse facendo un gesto di orrore. Colà uno scheletro, perfettamente denudato
dalle sue carni, giaceva in mezzo a pochi pezzi di pelliccia che un tempo
dovevano averlo ricoperto.
- Il disgraziato sarà morto di fame e i lupi avranno
banchettato colle sue carni - disse il tenente. - E quanti ne muoiono in questa
regione dei grandi freddi! Orsù, ritorniamo che Koninson sarà inquieto.
Risalì la rupe e si rimise in cammino costeggiando il
fiume che accennava a volgersi verso nord. Dopo due buone ore si convinse che
percorreva la riva sinistra del Makenzie e non già del Grand'Orso, poichè il
fiume, dopo un brusco gomito, si dirigeva verso nord.
Si riposò pochi minuti su di un rialzo di terreno, indi
proseguì la via a lenti passi volgendo sguardi a destra e a sinistra, sperando
di scoprire qualche capo di selvaggina.
Già cominciava a distinguere il fumo che si alzava dall'accampamento,
quando nello sbucare da un gruppo di pini si trovò improvvisamente dinanzi
all'orsa e al suo orsacchiotto che stavano uscendo dalla palude.
Imbracciò rapidamente il fucile e fece fuoco. L'orsacchiotto, che stava
dinanzi di pochi passi, colpito nella testa, rotolò due volte su di sè stesso,
poi rimase immobile.
Là madre, furente, si alzò sulle zampe posteriori, cacciò un urlo di rabbia
e di dolore, e si slanciò verso il cacciatore il quale, non avendo tempo di
ricaricare l'arma e non osando venire ad un combattimento a corpo a corpo, si
slanciò verso l'accampamento gridando:
- A me, Koninson!... A me!...
Il fiociniere, messo in guardia dalla detonazione, si era già alzato col
fucile in mano. Vedendo l'orsa inseguire il tenente, si slanciò innanzi e fece
fuoco. La belva, ferita dalla palla, si arrestò di botto, poi tornò sui propri
passi zoppicando; si fermò un momento presso il cadavere dell'orsacchiotto come
per assicurarsi se era morto, e finalmente si cacciò nella palude scomparendo
in mezzo alle macchie di salici.
|