XXVII SUL MAKENZIE
Due
ore dopo i due balenieri seduti ad un gran fuoco banchettavano allegramente
colle carni dell'orsacchiotto che furono ad unanimità dichiarate eccellenti,
più delicate di quelle dei porcellini da latte. La povera madre non si era più
fatta vedere e pareva che ormai avesse abbandonato ogni progetto di vendetta;
sicchè, dopo il pasto, poterono discorrere tranquillamente sul nuovo viaggio
che stavano per intraprendere sul Makenzie e che molto probabilmente doveva
essere l'ultimo, essendo lontani solamente poche giornate dal forte Speranza.
- Se tutto procede bene e non facciamo cattivi incontri,
fra una settimana potremo riposare su di un buon letto - diceva il tenente,
dopo aver narrato la fortunata scoperta dei «kajacks».
- Io conto di essere ormai fra le mura del forte - disse
Koninson. - Sul fiume non troveremo ostacoli di certo.
- Non bisogna correre troppo, ragazzo mio. Ci troviamo in
un certo paese che può giuocarci ancora dei brutti tiri. Gli indiani o gli
eschimesi, gli orsi e la fame possono metterci in gravi imbarazzi.
- Io ho fiducia nella nostra buona stella che, dalle
sponde dellArtico, ci condusse fin qui, signor Hostrup.
- Piuttosto quando saremo giunti al forte, cosa faremo?
- S'incaricherà quel comandante di farci condurre negli
stabilimenti dell'est. Nella buona stagione le comunicazioni sono frequenti tra
forte e forte e, quando saremo giunti nel Canada, daremo un addio all'America e
torneremo in patria.
- Come desidero di rivedere la mia Danimarca, signor
Hostrup! - disse Koninson sospirando. - I nostri parenti ci crederanno a
quest'ora morti fra i ghiacci del polo.
- La cosa è certa.
- E di tanti che erano con noi, non ritornano che due!
Povero capitano e poveri compagni!
- Lascia le cose tristi, mio buon Koninson, - disse il
tenente che pure era diventato commosso. - Non è il momento di evocare la
dolorosa storia del naufragio. Orsù, pensiamo a riposare, che domani dobbiamo
partire per tempo.
- E non correremo alcun pericolo? L'orsa non si è più
fatta vedere, ma potrebbe ritornare e approfittare del nostro sonno per
divorarci il cranio.
- Hai ragione, quantunque le belve non osino avvicinarsi
egli accampamenti difesi da un fuoco. Coricati; il primo quarto li guardia lo
farò io.
Il fiociniere, che si sentiva ancora spossato, non se lo
fece dire due volte e si sdraiò coi piedi volti verso il fuoco, mentre il
tenente si sedeva pochi passi più lontano col fucile fra le ginocchia.
Il primo quarto passò senza incidenti, ma durante il
secondo l'orsa si mostrò sull'orlo della palude e si spinse fino a poche
centinaia di passi dall'accampamento mandando urla disperate. Il fuoco però,
che veniva continuamente alimentato, la tenne lontana e verso le prime ore del
mattino la povera madre ritornava in mezzo ai salici allontanandosi verso est.
Alle 7 i due balenieri, caricatisi delle loro armi e
della carne dell'orsacchiotto, si misero in cammino seguendo la riva del
Makenzie e tre ore dopo giungevano dinanzi alla tenda scoperta il giorno
precedente.
Il tenente visitò accuratamente i «kajacks» e, trovatili
in ottimo stato, ne gettò due sul fiume.
- In barca, - comandò poi - e facciamo molta attenzione ai
ghiacci, poichè basta un solo urto per sfondare le costole di questi
leggerissimi canotti.
Si cacciarono dentro, presero le pagaie a doppia pala e
si spinsero al largo evitando con somma cura le lastre di ghiaccio che la
corrente ancora trascinava, e in quantità rilevante.
Da principio le loro mosse furono faticose, ma ben presto
le loro braccia ritrovarono l'antico vigore e i due leggieri canotti, spinti
energicamente innanzi, risalirono il fiume con notevole velocità, rimbalzando
agilmente sulla corrente.
Le due rive offrivano di quando in quando delle
pittoresche vedute, ma erano affatto deserte. Quella di sinistra, alta assai,
in taluni punti tagliata quasi a picco, era selvaggia, con rupi gigantesche dai
cui crepacci saltavano nel fiume torrentelli spumeggianti, con gole profonde e
affatto spoglie d'ogni vegetazione, con piccoli ghiacciai, che lasciavano
scivolare grandi ammassi di ghiaccio, i quali s'inabissavano con cupo fragore
rimontando poscia a galla; quella di destra invece scendeva dolcemente mostrando
boschi di pini altissimi e di abeti e di betulle e macchie di salici nani in
mezzo alle quali si vedevano saltellare numerosi topi campagnuoli dal mantello
giallastro o bruno.
Qualche lupo si mostrava qua e là, ma fuggiva ratto, e
anche qualche lince si spingeva fin sulle rive a guardare con gli occhi
sanguigni i due piccoli canotti che filavano in mezzo ai ghiacci galleggianti.
I due naufraghi avevano già percorso una dozzina di
miglia, quando improvvisamente giunse ai loro orecchi una specie di nitrito
molto acuto che pareva emesso da un mulo.
Si fermarono entrambi, guardandosi in faccia con
inquietudine.
- Se non m'inganno questo è il grido dell'orso bianco -
disse Koninson.
- Non ti sei ingannato, ragazzo mio, - rispose il
tenente.
- Fortunatamente abbiamo i canotti.
- Se all'orso saltasse il brutto ticchio di darci la
caccia, i nostri canotti a nulla gioverebbero. Sono nuotatori formidabili, quei
carnivori dal bianco mantello, e non perdono contro un canotto.
- Infatti sovente ho veduto qualcuno di questi mostri
nuotare ad una trentina di miglia dalle coste. Mi sorprende però di trovarli
qui, su questo fiume.
- E perchè, Koninson?
- Mi hanno detto che gli orsi bianchi non si allontanano
molto dalle rive dell'Oceano.
- È vero, ma talvolta si addentrano nelle terre seguendo
il corso dei fiumi e non di rado se ne uccisero ad una distanza di
centosessanta e anche duecento miglia dalle coste marine.
II nitrito si fece udire più vicino. Koninson e il
tenente guardarono verso la riva sinistra e videro scendere, attraverso la
spaccatura di una roccia, un grosso orso bianco, il quale si arrestò sedendosi
sulle zampe posteriori.
- Mi pare che non abbia delle buone intenzioni - disse
Koninson. - Il birbante deve essere affamato e conta di satollarsi colle nostre
carni. Eh, mio caro, sono troppo coriacee per il tuo ventricolo.
- Stiamo in guardia, poichè mi ha l'aria di non lasciarci
passare. Appoggiamo verso la riva destra.
- Se si potesse piantargli due palle nel cranio?
- È impossibile avere il polso fermo in questi canotti.
Orsù, prendiamo il largo.
L'orso non assaliva. Si accontentava di seguirli con due
occhi che manifestavano un'ardente bramosia, agitando il capo da destra a
sinistra, con quel moto che è particolare a tutti gli orsi, a qualunque razza
appartengano.
I due canotti erano già giunti presso la riva che in quel
luogo disgraziatamente non offriva approdi essendo tagliata quasi a picco,
quando l'orso si decise a muoversi. Fece alcuni passi innanzi e indietro, come
se cercasse un buon punto, poi si gettò nel fiume con un sordo tonfo,
sollevando una colonna d'acqua.
- Presto, fuggiamo o siamo perduti! - gridò il tenente. -
Attento ai ghiacci, Koninson, poichè se il tuo canotto si spezza l'orso non ti
risparmierà.
Fecero forza di remi e risalirono la corrente sperando di
giungere in qualche punto della sponda che permettesse di approdare e di
affrontare sul terreno solido il nemico che nel liquido elemento aveva dalla
sua tutti i vantaggi possibili.
Ma ben presto s'accorsero con vivo terrore, che quella
gara con quell'abile nuotatore era impossibile. Infatti il feroce animale, che
forse una gran fame animava, veniva innanzi con una velocità incredibile
battendo furiosamente le sue larghe zampe e mostrando una larga bocca che, di
quando in quando, richiudeva con colpi secchi da mettere i brividi. Certi
momenti si slanciava quasi interamente fuori dell'acqua spiccando dei lunghi
salti, come se trovasse un terreno solido, guadagnando in un colpo solo tre o
quattro metri.
La buona stella però, che fino allora aveva protetto i
naufraghi, anche questa volta non li abbandonò. Infatti ad una svolta del fiume
scorsero alcun isolotti che potevano offrire un rifugio o almeno un luogo
propizio per affrontare l'animale.
- Presto, Koninson! - disse il tenente che remava
disperatamente. - Dirigiamoci laggiù e prendiamo subito terra.
Con un ultimo sforzo si avvicinarono agli isolotti e si
arenarono dinanzi al primo. Abbandonati precipitosamente i canotti, si
slanciarono a terra portando con loro i fucili e la scure.
L'orso non era lontano che trenta passi e raddoppiava gli
sforzi temendo che l'agognata preda fosse per sfuggirgli. Vedendo i due uomini
prendere terra e puntare i fucili, armi che senza dubbio non gli erano nuove,
subito si tuffò.
- Fugge forse? - chiese Koninson, che contava di
regalarsi uno zampone d'orso per pranzo.
- Non lo credo - rispose il tenente, tenendo il fucile
sempre puntato. - Simili animali non abbandonano così facilmente una preda,
quando sono affamati. Cercherà di avvicinarsi tenendosi sott'acqua per poi
gettarsi contro di noi all'improvviso.
- Bah! Avrà l'accoglienza che si merita.
- Eccolo, Koninson! Mira giusto!
Infatti l'orso era repentinamente riapparso a pochi passi
dall'isolotto. Con un solo balzo si slanciò sulla riva tentando di risalirla.
- Fuoco! - gridò il tenente.
Le due detonazioni dei fucili si fusero in una sola. La
belva, ferita, mandò un lungo nitrito che parve anzi un vero urlo e tornò a
sommergersi, lasciando alla superficie un cerchio di sangue che rapidamente si
allargava.
- È morto! - gridò Koninson slanciandosi innanzi.
- Non ti fidare! - disse il tenente. - Sta in guardia!
L'avvertimento giungeva troppo tardi. Koninson si era già
immerso nella corrente fino alle ginocchia, quando si sentì violentemente
atterrare. L'orso, che spiava il nemico tenendosi sott'acqua, repentinamente si
rialzò e urtò violentemente il fiociniere che non resse al colpo.
- Aiuto, signor Hostrup! - gridò il disgraziato,
tentando, ma invano, di rimettersi in gambe.
- Non temere, ragazzo! - tuonò il tenente.
L'orso, con una agilità che si sarebbe creduta
impossibile in quel corpo tutt'altro che ben formato, stava per gettarsi sul
fiociniere per dilaniarlo coi potenti artigli, ma il tenente gli si gettò
coraggiosamente dinanzi.
S'udì un colpo secco, seguito da un sordo grugnito. La
belva, colpita mortalmente alla testa, si rovesciò nel fiume perdendo un
torrente di sangue misto a brani di cervella, e sparve in mezzo ai gorghi.
- Grazie, mio tenente! - disse Koninson con voce
commossa. - Non dimenticherò mai questo colpo maestro.
- Mi ringrazierai a pericolo finito! - rispose Hostrup,
raccogliendo prontamente il fucile e disponendosi a caricarlo.
- Come? Non è morto dunque?
- Non è lui che ci darà ancora da fare, ma i suoi
compagni. Guarda, mio povero amico, guarda sulla riva che ci sta di fronte.
Koninson guardò nella direzione indicata e non potè
trattenere un gesto di spavento.
Da una collinetta che scendeva dolcemente nel fiume, tre
forme biancastre scivolavano rapidamente sulla neve mandando dei grugniti punto
rassicuranti. Erano tre altri orsi bianchi i quali, forse attirati dalle urla
del compagno e dalle detonazioni, accorrevano a prendere parte alla lotta.
- Corpo d'una balena! - esclamò il fiociniere
impallidendo. - Ma questo è il paese degli orsi! Ci assaliranno?
- Se son affamati come quello che abbiamo ucciso, non si
accontenteranno di guardarci - rispose il tenente che cominciava a diventare
inquieto.
- Si potrebbe tentare la fuga?
- Se la loro intenzione è quella di assalirci, l'acqua
non li arresterà. Qui si tratta di mirare giusto e di picchiare sodo. Carica il
tuo fucile e stiamo attenti.
I tre orsi erano allora giunti sulla riva del fiume, ma
non parevano avere molta fretta. Andavano innanzi e indietro lentamente,
guardando i due uomini più con curiosità che con ferocia, senza decidersi a
entrare nel fiume.
Finalmente uno, il più grosso, s'immerse e nuotò in
direzione degli isolotti, ma procedendo cautamente. Koninson e il tenente lo
mirarono e gli scaricarono contro i fucili.
La lezione parve sufficiente, poichè il carnivoro
s'arrestò un momento, poi raggiunse i compagni zoppicando e perdendo sangue.
Si fermarono ancora alcuni minuti sulla riva, indi
s'allontanarono per la stessa via di prima, scomparendo dietro le rocce.
- Buon viaggio! - gridò il fiociniere.
- E tarda guarigione all'ammalato! - aggiunse il tenente.
- Che il diavolo si porti questi affamati abitanti delle regioni artiche!
- Fortunatamente che non erano di cattivo umore, quei
signori dalla bianca pelliccia. E quello che abbiamo ucciso, dove è andato a
finire?
- La corrente l'ha portato chi sa mai dove, Koninson.
- Che disgrazia che tanta carne sia andata perduta!
- Bah! Ne troveremo dell'altra.
- Ma le munizioni scarseggiano, signor Hostrup. Non ho
più di quaranta colpi.
- Ti basteranno per giungere al forte. Orsù,
imbarchiamoci e proseguiamo il viaggio.
Rimisero a galla i canotti, vi si cacciarono dentro e
abbandonarono il gruppo d'isolette colla maggior sollecitudine, temendo di
vedere ritornare gli orsi bianchi che forse si tenevano celati dietro le rocce.
Fortunatamente i tre carnivori non si fecero vedere,
sicchè poterono proseguire tranquillamente il loro viaggio costeggiando la
sponda opposta che si manteneva così dirupata da non permettere la discesa ad
alcun animale per quanto fosse fornito di solidi artigli.
A mezzogiorno fecero una breve sosta dentro un profondo
«fiord» che li teneva riparati dai ghiacci che la corrente continuava a trascinare,
mangiarono alla meglio un pezzo d'orsacchiotto, poi ripartirono.
Il viaggio fu però di breve durata, poichè ben presto si
alzò sul fiume un nebbione così denso da non permettere più di discernere i
ghiacci anche a pochi passi di distanza. Le due rive in breve scomparvero ai
loro occhi.
- Approdiamo - disse il tenente, che temeva pei fragili
canotti. - Vedo dinanzi a noi un isolotto boscoso che ci offrirà un buon fuoco
e un riparo contro il freddo della notte.
- Non faremo cattivi incontri, spero.
- No, ma veglieremo per turno. Hai veduto come nuotano
gli orsi bianchi? Se qualcuno si aggira sulle rive e si accorge della nostra
presenza, non ci penserà su due volte a farci una visita durante il nostro
sonno.
Presero terra all'estremità dell'isolotto che non aveva
una estensione maggiore di trenta metri, tirarono a secco i canotti e si
accamparono fra due alti pini. Koninson, dopo aver acceso il fuoco, fece una
corsa attraverso quel brano di terra per assicurarsi che nessun animale fosse
celato fra le piante, poi allestì la cena.
Alle 10 di sera, quando il nebbione era più fitto, il
tenente sì coricò accanto al fuoco sotto la guardia del compagno, cui spettava
il primo quarto.
Nessun incidente venne a interrompere il suo sonno. Alle due
del mattino surrogò Koninson che cadeva dalla stanchezza.
Nessun rumore fino allora era stato avvertito,
all'infuori del gorgoglio della corrente che si rompeva contro l'isolotto e gli
urti dei ghiacci. Ma verso le quattro, quando il nebbione cominciava ad
alzarsi, il tenente, che si teneva seduto accanto al fuoco col fucile in mano,
avvertì dei vaghi rumori che venivano dalla riva destra.
Si alzò rapidamente e s'avvicinò al fiume curvandosi
verso la corrente. Ben presto udì in mezzo al nebbione un lungo fischio che si
ripetè parecchie volte.
- Che animale è mai questo? - si chiese egli. - Un orso
no di certo.
Stette in ascolto e gli parve di udire degli scoppi di
risa che era si avvicinavano ed ora si allontanavano.
- Se non mi trovassi sul Makenzie, direi che sulla riva
ci sono delle jene, ma le terre della Baia d'Hudson non hanno mai ospitato
questi animali dei climi caldi.
- Signor Hostrup! - disse in quell'istante il fiociniere
che si era svegliato. – C'è della gente allegra, a quanto pare. Chi ride in
questo brutto paese?
- È ciò che io sto chiedendomi - rispose il tenente.
- Sono persone o animali?
- Persone senza dubbio.
- Forse siamo giunti al forte senza accorgercene?
- Io credo che sia ancora molto lontano.
- Provate a chiamare.
- Olà, chi ride? - gridò il tenente.
Una specie di grugnito vi rispose, seguito tosto da risa
sgangherate e un vociare di persone.
- Senza dubbio ci sono degli Indiani - disse il
fiociniere raggiungendo il tenente. - Ci saranno amici o nemici?
- In questo paese non si può dire mai nulla, poichè le
tribù indiane oggi rispettano i bianchi e domani sono capaci di assassinarli a
tradimento.
- Provatevi a interrogarli. Che lingua parlano gli
abitanti di questa regione?
- Una lingua che ben pochi conoscono, ma avendo essi
frequenti comunicazioni coi forti della Compagnia comprenderanno l'inglese o
almeno il russo.
- Proviamoci.
- Olà, chi siete e da dove venite? - chiese egli in
inglese.
- Co-yuconi, - rispose una voce forte e distinta.
- Corpo d'un vascello sventrato! - esclamò Koninson,
facendo un salto. - Io conosco questa voce!
- È quella...
- Del capo Tanana che ci ha derubati.
- Se è proprio lui che ha parlato, gli farò pagar caro il
tradimento. Arma il fucile e teniamoci pronti a tutto.
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