CONCLUSIONE
Le tribolazioni dei naufraghi del «Danebrog» erano
terminate.
Ormai erano salvi e più nulla avevano da temere.
Nel forte Speranza che era lontano pochi chilometri dal
luogo ove era avvenuto l'inseguimento, i due naufraghi ebbero la più cordiale
ospitalità e le più affettuose cure da parte di quei bravi cacciatori e del
loro comandante.
La loro meravigliosa odissea destò gran meraviglia, e più
e più volte, dinanzi ad un bel fuoco e fra un bicchiere di «gin» o di «wiscky»,
dovettero ripeterla.
Per tre settimane, largamente nutriti, vissero colà; poi,
giunta la buona stagione, ben equipaggiati e ben forniti di denaro, partirono
per gli stabilimenti dall'est in compagnia di una esperta guida. Di tappa in
tappa raggiunsero il Canada, e a Quebec s'imbarcarono per New York e quindi per
l'Europa.
Ventisette giorni dopo sbarcavano finalmente in Aalborg,
loro città natìa, dove riabbracciarono i loro parenti e amici che li avevano
già pianti come morti.
Ma la vita tranquilla e la terraferma non avevano
attrattive per quei due lupi di mare. Ben presto la nostalgia dell'oceano li
invase e, all'apertura della nuova campagna di pesca, s'imbarcarono a bordo di
un'altra nave baleniera alla caccia dei giganti del mare.
Nonostante le terribili prove subite essi conservano
ancora una strana affezione per quei mari gelidi del polo artico, sotto i cui
ghiacci, nel seno delle onde, dormono il sonno eterno il capitano Weimar e i
suoi sventurati compagni!
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