Kammamuri non se lo fece ripetere due volte. Si sedette in
mezzo ad un mucchio di velluti sgualciti, bruttati qua e là di macchie, e, dopo
essere rimasto alcuni istanti silenzioso, come per raccogliere le idee, disse:
- Tigre della Malesia, avete udito parlare delle Sunderbunds del sacro
Gange?
- Non conosco quelle terre - rispose il pirata, - ma so cos'è
il delta di un fiume. Tu vuoi parlare dei banchi che ostruiscono la foce della
grande fiumana.
- Sì, dei grandi ed innumerevoli banchi coperti di canne
giganti e popolati di feroci animali che si estendono per molte miglia dalla
foce dell'Hugly a quella del Gange. Il mio padrone era nato là in mezzo, in
un'isola che si chiama la jungla nera. Era bello, era forte, era prode,
il più prode che io abbia incontrato nella mia vita avventurosa. Nulla lo
faceva tremare: né il veleno del cobra-capello, né
la forza prodigiosa del pitone, né gli artigli della grande tigre del Bengala,
né il laccio dei suoi nemici.
- Il suo nome? - chiese il pirata. - voglio conoscere questo
eroe.
- Si chiamava Tremal-Naik, il
cacciatore di tigri e serpenti della jungla nera.
La Tigre della Malesia a quel nome si alzò, guardando fisso il
maharatto.
- Cacciatore di tigri, hai detto? - domandò.
- Sì.
- Perché tale soprannome?
- Perché cacciava le tigri della jungla.
- Un uomo che affronta le tigri non può essere che un coraggioso.
Senza conoscerlo, sento già di amare quel fiero indiano. Tira avanti: divento
impaziente.
- Una sera Tremal-Naik ritornava dalla jungla.
Era una sera magnifica, una vera sera del Bengala; dolce e profumata era
l'aria, ancor fiammeggiante l'orizzonte e debolmente stellato il firmamento.
Aveva già percorso un lungo tratto senza incontrare anima
viva, quando gli si rizzò dinanzi, a meno di venti passi, fra un cespuglio di
mussenda, una giovinetta di meravigliosa bellezza.
- Chi era?
- Era una creatura dalla carnagione rosea, coi capelli neri e
gli occhi immensi.
Lo fissò per un istante con sguardo malinconico, poi sparve.
Tremal-Naik fu così vivamente toccato da quell'apparizione
che arse d'amore per la fanciulla sconosciuta.
Pochi giorni dopo un delitto veniva commesso sulle rive di
un'isola che si chiama Raimangal. Uno dei nostri, che si era recato colà a
cacciare la tigre, veniva trovato cadavere con un laccio al collo.
- Oh!... - esclamò il pirata, al colmo della sorpresa. - Chi
poteva aver strangolato un cacciatore di tigri?
- Siate paziente e lo saprete.
Tremal-Naik, come vi dissi, era un uomo coraggioso. Mi
prese con sé e sbarcammo a mezzanotte a Raimangal, risoluti a vendicare lo sventurato
nostro compagno.
Dapprima udimmo rumori misteriosi che uscivano di sotto terra,
poi dal tronco di un gigantesco banian sbucarono parecchi uomini nudi,
bizzarramente tatuati. Quegli uomini erano gli assassini del povero cacciatore
di tigri.
- Ebbene? - chiese il pirata, i cui occhi brillavano di gioia.
- Tremal-Naik non esitava mai. Un colpo di
carabina bastò per gettare a terra il capo di quegli indiani, poi fuggimmo.
- Bravo Tremal-Naik! - esclamò la Tigre
con entusiasmo. - Continua. Mi diverto più a udire questa storia che ad
abbordare un vascello carico di minerale giallo.
- Il mio padrone, per far perdere le tracce a quegli uomini
che ci inseguivano, si separò da me e si rifugiò in una grande pagoda dove ritrovò...
indovinate chi?
- La giovanetta forse?
- Sì, la giovanetta che era prigioniera di quegli uomini.
- Ma chi erano?
- Gli adoratori di una divinità feroce che altro non brama che
vittime umane. Si chiama Kalì.
- La terribile dea dei thugs indiani?
- La dea degli strangolatori.
- Quegli uomini sono più feroci delle tigri. Oh! io li conosco
- disse il pirata. - Ne ebbi qualcuno nella mia banda.
- Un thug nella tua banda? - esclamò il maharatto,
rabbrividendo. - Sono perduto.
- Non aver paura, Kammamuri; un tempo ne ebbi qualcuno, ma ora
non ne ho più. Continua il tuo racconto.
- La fanciulla, che amava ormai il mio padrone, conoscendo
quali pericoli lo circondavano, lo scongiurò di partire all'istante; ma egli
non era uomo da aver paura. Rimase là in attesa dei feroci thugs,
risoluto a misurarsi con loro e, potendo, a rapire la prigioniera. Ma ohimè!
Aveva troppo confidato nelle sue forze. Poco dopo dodici uomini armati di
laccio entravano e si scagliavano contro di lui e, malgrado la sua ostinata
difesa, veniva atterrato, legato e poi pugnalato dal capo degli strangolatori,
il feroce Suyodhana.
- E non morì? - chiese Sandokan, che si interessava al
racconto.
- No - continuò Kammamuri, - non morì poiché più tardi io lo
ritrovai in mezzo alla jungla, insanguinato, col pugnale ancora infisso
nei petto, ma vivo.
- E perché lo avevano gettato nella jungla? - chiese
Yanez.
- Perché le tigri lo divorassero. Lo portai nella nostra
capanna e dopo molte cure guarì, ma il suo cuore era rimasto ferito dagli occhi
neri della giovinetta... Un giorno, dopo essere scampato a parecchi agguati
tesigli dai thugs, risolvette di partire per Raimangal, deciso a tutto
pur di rivedere l'amata creatura. C'imbarcammo di notte, durante un uragano,
scendemmo il Mangal e approdammo all'isola.
Nessun uomo vegliava all'entrata dei banian e ci
sprofondammo sotto terra addentrandoci in oscurissimi corridoi. Avevamo saputo
che i thugs, non essendo riusciti ad estirpare dal cuore della
giovinetta dagli occhi neri l'amore per Tremal-Naik,
avevano deciso di bruciarla viva, per calmare l'ira della mostruosa dea, e noi
correvamo a salvarla.
- Ma perché era proibito a quella donna di amare? - chiese
Yanez.
- Perché era la guardiana della pagoda consacrata alla dea
Kalì e, come tale, doveva mantenersi pura.
- Che razza di bricconi!
- Continuo: dopo aver percorso lunghi corridoi, uccidendo le
sentinelle, ci trovammo in una immensa sala sostenuta da cento colonne e
illuminata da una infinità di lampade che spandevano all'intorno una luce
spettrale. Duecento indiani, coi lacci in mano, erano seduti all'intorno. In
mezzo si ergeva la statua di Kalì: dinanzi a lei, il bacino dove nuota un
pesciolino rosso, che si dice contenga l'anima della dea; e più oltre si levava
un gran rogo.
Alla mezzanotte ecco apparire il capo Suyodhana coi suoi
sacerdoti che trascinavano l'infelice ragazza, ubriacata di oppio e di
misteriosi profumi. Ella non opponeva più alcuna resistenza.
Già non distava che pochi passi dal rogo; già un uomo aveva
acceso una fiaccola e i thugs avevano intonato la preghiera dei defunti,
quando io e Tremal-Naik ci slanciammo come leoni in mezzo
all'orda, scaricando le nostre armi a destra e a sinistra. Sfondare quella
muraglia umana, strappare la giovinetta dalle mani dei sacerdoti e fuggire
attraverso le oscure gallerie, fu l'affare di un sol momento. Dove fuggivamo?
Nessuno di noi lo sapeva, non ci si pensava in quel supremo istante. Non
cercavamo che di guadagnare strada sui thugs, i quali, rimessisi dallo
spavento, si erano subito lanciati sulle nostre tracce! Corremmo per una buona
ora addentrandoci sempre più nelle viscere della terra finché, trovato un
pozzo, ci calammo entro una caverna che non aveva uscite. Quando cercammo di
risalire era troppo tardi: i thugs ci avevano rinchiusi dentro!
- Maledizione! - esclamò Sandokan. - Di' su, maharatto
mio; la tua storia è interessantissima. Dimmi, siete fuggiti?
- No.
- Mille tuoni!
- Ci assediarono strettamente, ci assetarono accendendo
attorno alla caverna immensi fuochi che ci arrostivano vivi, poi lasciarono
irrompere su di noi un getto d'acqua alla quale era stato mescolato non so
quale narcotico. Appena ci fummo dissetati, stramazzammo al suolo come colpiti
da sincope e cademmo senza resistenza nelle mani dei nostri nemici.
Eravamo ormai rassegnati a morire, poiché nessuno di noi
ignorava che la pietà è sconosciuta ai thugs, nondimeno fummo
risparmiati. La morte sarebbe stata troppo dolce per noi e nella mente
infernale di Suyodhana, il capo degli strangolatori, si era già formato un
terribile disegno, che aveva per scopo di svellere dal cuore della giovinetta
l'amore per Tremal-Naik e di sbarazzarsi del mio padrone,
che avrebbe potuto diventare per loro un formidabile nemico. Dovete sapere che
a quel tempo un uomo prode, risoluto, cui era stata rapita la figlia dai thugs,
faceva loro una guerra accanita. Quell'uomo era un inglese e si faceva chiamare
capitano Macpherson.
Centinaia e centinaia di thugs erano caduti per sua
mano, e giorno e notte egli inseguiva gli altri senza tregua, potentemente
aiutato dal governo inglese. Né i lacci degli strangolatori, né i pugnali dei
più fanatici settari erano giunti a colpirlo, né le più infernali trame avevano
avuto successo contro di lui.
Suyodhana, che lo temeva assai, gli lanciò contro
Tremal-Naik promettendogli per compenso la mano della vergine
della pagoda d'Oriente, così infatti aveva nome la fanciulla dai capelli
neri amata dal mio padrone. La testa del capitano doveva essere il regalo di
nozze!
- E Tremal-Naik accettò? - chiese la
Tigre, con viva ansietà.
- Egli amava troppo la Vergine e accettò l'orribile patto di
sangue impostogli dal padre delle sacre acque del Gange, lo spietato
Suyodhana. Non vi narrerò tutto ciò che egli tentò, tutti i pericoli in cui
incorse per poter avvicinare quel disgraziato capitano.
Una fortuita combinazione gli procurò il mezzo di diventare
uno dei suoi servi, ma un giorno venne scoperto e dovette penare assai per
ricuperare la libertà e salvare la vita.
Non rinunziò tuttavia ad effettuare l'impresa impostagli dai thugs
ed un giorno riuscì ad imbarcarsi su di una nave che il capitano Macpherson
guidava verso le Sunderbunds per assalire nel loro covo i seguaci della
sanguinaria dea.
L'istessa notte, scortato da alcuni complici, entrava nella
cabina del capitano per decapitarlo. La sua coscienza gli gridava di non
commettere un delitto, perché la vita di quell'uomo doveva essere sacra per
lui, ed il suo sangue si ribellava; pure era deciso, poiché solamente uccidendo
quel formidabile avversario avrebbe potuto avere la fidanzata: o almeno così
credeva, non conoscendo ancora l'infernale perversità del fanatico Suyodhana.
- E lo uccise? - chiesero Sandokan e Yanez, con ansietà.
- No - disse Kammamuri. - In quel supremo istante il nome
della donna amata sfuggì dalle labbra del mio padrone e fu udito dal capitano
che stava per risvegliarsi. Quel nome fu un colpo di fulmine per entrambi:
risparmiò un assassinio ed un raccapricciante delitto, poiché quel capitano era
il padre della donna amata dal mio padrone.
- Per Giove!... - esclamò Yanez. - Quale storia tremenda ci
narri!...
- La verità, signor Yanez.
- Ma il tuo padrone non conosceva il nome della sua
fidanzata?...
- Sì, ma il padre ne aveva assunto un altro per non far
comprendere ai thugs che egli lottava per riavere la figlia, perché
temeva che, conoscendolo, gliela uccidessero.
- Continua - disse Sandokan.
- Ciò che accadde potete immaginarvelo. Il mio padrone
confessò tutto: aveva finalmente compreso l'infernale astuzia di Suyodhana. Si
offerse al capitano di guidarlo nelle caverne dei settari. Sbarcarono a
Raimangal, il mio padrone entrò nel tempio sotterraneo fingendo di portare con
sé la testa del capitano e, quando poté rivedere la fanciulla amata, gl'inglesi
piombarono sui thugs. Suyodhana, però, uscì vivo dall'assalto improvviso
dei nemici, e quando il mio padrone, il capitano, la fidanzata ed i soldati
lasciarono i sotterranei per ritornare alla nave, lo udirono gridare con voce
minacciosa:
«Ci rivedremo nella jungla!...».
E quell'uomo sinistro manteneva la parola. A Raimangal si
erano radunate parecchie centinaia di strangolatori essendo già stati informati
della spedizione del capitano Macpherson. Guidati da Suyodhana piombarono,
venti volte più numerosi, sugli inglesi. L'equipaggio della nave invano accorse
in aiuto del suo capitano. Tutti caddero fra le erbe giganti della jungla,
schiacciati dal numero, e il capitano per primo. Perfino la nave fu presa,
incendiata e fatta saltare in aria.
Solo Tremal-Naik e la sua fidanzata erano
stati risparmiati. Aveva rimorso, Suyodhana, a spegnere anche il mio padrone
che tanto aveva fatto per quegl'infami, oppure sperava di fare di lui un thug?
Io non lo seppi mai.
Ma, tre giorni dopo, il mio padrone, che era stato fatto
impazzire mediante la somministrazione di un liquore misterioso, veniva
arrestato dalle autorità inglesi presso il forte Williams. Era stato denunciato
come thug ed i testimoni non erano mancati, poiché quella setta conta
numerosi seguaci anche a Calcutta.
Fu risparmiato perché era pazzo, ma condannato alla
deportazione perpetua nell'isola di Norfolk, una terra al sud d'una regione chiamata
Australia, così mi dissero.
- Quale spaventevole dramma!- esclamò la Tigre, dopo alcuni
istanti di silenzio. - Così intensamente Suyodhana odiava lo sventurato Tremal-
Naik?
- Il capo dei settari voleva, facendo decapitare il capitano
dal mio padrone, spegnere per sempre la passione che ardeva nel cuore della vergine
della pagoda.
- Era un mostro quel feroce capo dei thugs.
- Ma il tuo padrone è ancora pazzo? - chiese Yanez.
- No, i medici riuscirono a guarirlo.
- E non si difese? Non svelò tutto?...
- Lo tentò, ma non fu creduto.
- Ma perché si trova a Sarawak?...
- Perché il legno che lo trasportava a Norfolk naufragò presso
Sarawak. Disgraziatamente nelle mani del rajah non ci starà molto.
- E perché?
- Perché la nave è già partita dall'India e fra sei o sette
giorni, se i miei calcoli non m'ingannano, giungerà a Sarawak. Quella nave è
diretta a Norfolk.
- Come si chiama quella nave?
- L'Helgoland.
- L'hai vista tu?
- Prima di lasciare l'India.
- E dove ti recavi colla Young-India?
- A Sarawak a salvare il mio padrone - disse Kammamuri con
fermezza.
- Solo?
- Solo.
- Sei un giovanotto audace, maharatto mio - disse la
Tigre della Malesia. - E della vergine della pagoda d'Oriente cosa fece
il terribile Suyodhana?
- La tenne prigioniera nei sotterranei di Raimangal, ma la
disgraziata, dopo il sanguinoso assalto dei thugs nella jungla,
era impazzita.
- Ma come fuggì dalle mani dei thugs? - chiese Yanez.
- È fuggita? - domandò Sandokan
- Sì, fratellino.
- E dove si trova?
- Lo saprai più tardi. Narrami, Kammamuri, in che modo fuggì -
disse Yanez.
- Ve lo dirò in due parole - disse il maharatto. Io ero
rimasto coi thugs anche dopo l'atroce vendetta di Suyodhana, e vegliavo
attentamente sulla vergine della pagoda. Saputo, dopo parecchio tempo,
che il mio padrone era stato condannato alla deportazione nell'isola di Norfolk
e che la nave che lo trasportava era naufragata a Sarawak, meditai la fuga.
Comperai un canotto, lo nascosi in mezzo alla jungla, e una sera d'orgia,
mentre i thugs, ubriachi fradici, non erano più in grado di uscire dai
loro sotterranei, mi recai alla pagoda sacra, pugnalai gl'indiani che la
custodivano, afferrai fra le mie braccia la Vergine e fuggii.
All'indomani io ero a Calcutta e quattro giorni dopo a bordo
della Young-India.
- E la Vergine? - chiese Sandokan.
- È a Calcutta - s'affrettò a dire Yanez.
- È bella?
- Bellissima - disse Kammamuri. - Ha i capelli neri e
splendidi occhi scuri.
- E si chiama?
- La vergine della pagoda, vi ho detto.
- Non ha nessun altro nome?
- Sì.
- Dimmelo.
- Si chiama Ada Corishant.
A quel nome la Tigre della Malesia aveva fatto un balzo,
gettando un urlo terribile.
- Corishant!... Corishant!... Il nome dell'adorata madre della
mia povera Marianna!... Dio!... Dio!... - urlò con accento disperato.
Poi piombò sul tappeto con la faccia orribilmente sconvolta e
le mani contratte sul cuore. Un rauco singhiozzo, che parve un ruggito, lacerò
il suo petto.
Kammamuri, spaventato, sorpreso, si era alzato per accorrere
in aiuto del pirata, che pareva fosse stato colpito a morte, ma due mani
robuste lo arrestarono.
- Una parola - gli disse il portoghese, tenendolo stretto per
le spalle. - Come si chiamava il padre di quella giovinetta?
- Harry Corishant - rispose
il maharatto.
- Gran Dio!... Ed era?
- Capitano dei sipai.
- Esci di qui!
- Ma perché?... Che cosa è accaduto?...
- Silenzio, esci di qui!
E, riafferrandolo per le spalle, lo spinse bruscamente fuori
della porta, che richiuse con un doppio giro di chiave.
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