All'orizzonte, là dove il cielo si confondeva con l'oceano,
era quasi improvvisamente apparso un vascello a tre alberi che, quantunque
ancora assai lontano, s'indovinava essere di grandi dimensioni. Dal fumaiolo
usciva una striscia di fumo nero che il vento portava assai lontano. La sua
mole, la sua struttura, i suoi alberi rivelavano subito che quella nave
apparteneva alla categoria dei vascelli da guerra.
- Lo scorgi, Kammamuri? - chiese Sandokan, che fissava il
piroscafo con estrema attenzione, come se volesse riconoscere la bandiera che
sventolava sul picco della randa.
- Sì - rispose il maharatto.
- Lo conosci?
- Aspettate un poco, padrona
- È l'Helgoland?
- Aspettate... mi pare... sì, sì, è l'Helgoland!
- Non t'inganni?
- No, Tigre, non m'inganno. Ecco la sua prua tagliata ad
angolo retto, ecco là i suoi alberi tutti d'un pezzo, ecco i suoi dodici
sabordi. Sì, Tigre, sì, è l'Helgoland!
Un lampo sinistro guizzò negli occhi della Tigre della
Malesia.
- Là v'è lavoro per tutti! - esclamò il pirata.
Si aggrappò ad una sartia e si lasciò scivolare fino al ponte.
I suoi pirati, che avevano brandite le armi, gli corsero attorno interrogandolo
con lo sguardo.
- Yanez! - chiamò.
- Eccomi, fratello - rispose il portoghese, accorrendo da
poppa.
- Prendi sei uomini, scendi nella stiva e sfonda i fianchi del
praho.
- Che? Sfondare i fianchi del praho? Sei matto?
- Ho il mio piano. L'equipaggio del vascello udrà le nostre
grida, accorrerà e ci accoglierà come naufraghi. Tu sarai un ambasciatore portoghese
in rotta per Sarawak e noi la tua scorta.
- Ebbene?
- Ebbene una volta sul vascello, non sarà difficile per uomini
come noi impadronircene. Spicciati: l'Helgoland si avanza.
- Fratello, sei davvero un grand'uomo! - esclamò il
portoghese.
Fece armare dieci uomini e discese nella stiva ingombra di
armi, di barilotti di polvere, di palle e di vecchi cannoni che servivano quale
zavorra. Cinque uomini si misero a babordo e gli altri cinque a tribordo, con
le scuri in mano.
- Animo, ragazzi - disse il portoghese. - Picchiate sodo, ma
che le falle non siano troppo grandi. Bisogna affondare lentamente per non
farsi mangiare dai pesci-cani.
I dieci uomini si misero a picchiare contro i bordi della nave
che erano solidi come fossero di ferro. Dieci minuti dopo, due enormi getti
d'acqua si precipitavano fischiando nella stiva, dirigendosi verso poppa.
Il portoghese ed i dieci pirati si slanciarono in coperta.
- Affondiamo - disse Yanez. - Saldi in gambe, ragazzi, e
nascondete le pistole e i kriss sotto le casacche. Domani ne avremo
bisogno.
- Kammamuri - gridò Sandokan, - conduci la tua padrona sul
ponte.
- Dovremo saltare in mare, capitano? - chiese il maharatto.
- Non c'è bisogno. Se però sarà necessario, m'incarico io di
portare la giovanetta.
Il maharatto si precipitò sotto coperta, afferrò fra le
robuste braccia la sua padrona, senza che ella opponesse la minima resistenza,
e la portò sul ponte.
Il piroscafo era lontano un buon miglio, ma si avanzava colla velocità
di quattordici o quindici nodi all'ora. Fra pochi minuti doveva trovarsi sulle
acque del praho.
La Tigre della Malesia si avvicinò ad un cannone e vi diede
fuoco.
La detonazione fu portata dal vento fino al vascello, il quale
mise subito la prua verso il praho.
- Aiuto! a noi! - urlò la Tigre.
- Aiuto! aiuto!
- Affondiamo!
- A noi! a noi! - gridarono i pirati.
Il praho, inclinato a tribordo, affondava lentamente,
traballando come fosse ubriaco. Già nella stiva si udiva l'acqua penetrare con
sordo rumore attraverso le due spaccature, e i barili urtarsi e spezzarsi
contro i cannoni. L'albero di maestra, scavezzato alla base, barcollò un
istante, poi precipitò in mare, trascinando nella caduta la gran vela e tutte
le sartie.
- In acqua le artiglierie - comandò Sandokan, che sentiva
mancarsi il praho sotto i piedi.
I cannoni furono gettati in mare, poi i barili di polvere, le
palle, le ancore, la zavorra che era in coperta, le gomene e gli alberi di
ricambio.
Sei uomini, afferrati alcuni mastelli, scesero nella stiva per
rallentare l'impeto delle acque che entravano con furia rodendo gli orli delle
due spaccature..
Il vascello era giunto allora a trecento metri di distanza e
si era arrestato. Sei imbarcazioni montate da marinai si staccarono dai suoi
fianchi dirigendosi a tutta velocità verso il praho che affondava.
- Aiuto! aiuto! - gridò Yanez, che si trovava in piedi sulla
murata di babordo, circondato da tutti i pirati.
- Coraggio - gridò una voce partita dal battello più vicino.
Le imbarcazioni venivano avanti con furia, fendendo
rumorosamente le acque. I timonieri, seduti a poppa, colla barra in mano,
incoraggiavano i marinai, i quali arrancavano con furore e con perfetto
accordo, senza perdere un colpo di remo.
In brevi istanti il praho si trovò abbordato da due
lati. L'ufficiale che comandava la piccola squadra, un buon giovanotto nelle
cui vene doveva scorrere sangue indiano, saltò sul ponte di legno che stava per
sommergersi.
Vedendo la pazza, si scoprì cortesemente il capo.
- Spicciatevi - disse, - prima la signora, poi gli altri.
Avete nulla da salvare?
- Nulla, comandante - disse Yanez. - Abbiamo gettato tutto in
mare.
- In barca!
La vergine della pagoda prima, poi Yanez, Sandokan e
alcuni malesi e dayachi si precipitarono nell'imbarcazione
dell'ufficiale, mentre gli altri si accomodavano alla meglio nelle altre
cinque.
La piccola squadra si allontanò in fretta, dirigendosi verso
il vascello che avanzava a piccolo vapore.
L'acqua arrivava allora sul ponte del praho, il quale oscillava
da prua a poppa scuotendo il malfermo albero di trinchetto.
D'improvviso fu visto piegarsi sul fianco dritto, rovesciarsi,
poi scomparire sotto le onde, formando un piccolo vortice che attirò le
imbarcazioni per una ventina di metri, nonostante gli sforzi erculei dei
marinai.
Una grande ondata si distese al largo, sollevando i rottami e
infrangendosi contro i fianchi del vascello, il quale barcollò da babordo a
tribordo.
- Povera Perla! - esclamò Yanez che provò una stretta
al cuore
- Da dove venivate? - chiese l'ufficiale dell'Helgoland,
rimasto fino allora silenzioso.
- Da Varauni - rispose Yanez.
- Si era aperta una falla?
- Sì, a causa di un urto contro la scogliera dell'isola Whale.
Chi sono tutti questi uomini di colore che conducete con voi?
- Dayachi e malesi. È una scorta d'onore datami dal
Sultano del Borneo.
- Ma allora voi siete...?
- Yanez Gomera y Marhanhao, capitano di S.M. Cattolica il Re
del Portogallo, ambasciatore alla Corte del Sultano di Varauni.
L'ufficiale si scoperse il capo.
- Sono tre volte felice di avervi salvato - disse
inchinandosi.
- Ed io vi ringrazio, signore - disse Yanez, inchinandosi
pure. -
Senza il vostro aiuto, a quest'ora nessuno di noi sarebbe in
vita.
Le imbarcazioni erano giunte presso il vascello. La scala fu
abbassata e l'ufficiale, Yanez, Ada, Sandokan e tutti gli altri salirono in
coperta dove li attendevano ansiosamente il capitano e l'equipaggio.
L'ufficiale presentò Yanez al capitano del vascello, un
bell'uomo sulla quarantina con due grossi mustacchi e la pelle abbronzata dal
sole equatoriale.
- È una vera fortuna, signore, l'essere arrivato in così buon
punto - disse il capitano stringendo vigorosamente la destra che il portoghese
gli porgeva.
- Certamente, mio caro capitano. Mia sorella sarebbe morta.
- È vostra sorella, signor ambasciatore? - chiese il capitano,
guardando la pazza che non aveva ancor pronunciato parola.
- Sì, capitano, ma l'infelice è pazza.
- Pazza?
- Sì, comandante.
- Così giovane e così bella! - esclamò il capitano guardando con
occhio compassionevole la vergine della pagoda. - Forse sarà stanca.
- Lo credo, capitano.
- Sir Strafford, conducete la signora nella migliore cabina di
poppa.
- Permettete però che il suo servo la segua - disse Yanez. -
Accompagnala, Kammamuri.
Il maharatto prese per mano la giovinetta e seguì
l'ufficiale a poppa.
- Anche voi, signore, dovete essere stanco e affamato - disse
il capitano, rivolgendosi a Yanez.
- Non dico di no, capitano. Sono due lunghe notti che non si
dorme affatto e due giorni che appena si assaggia cibo.
- Dove eravate diretti?
- A Sarawak. A proposito, permettetemi, capitano, di
presentarvi S.A.R. Orango Kahaian fratello del sultano di Varauni - disse Yanez
presentando Sandokan.
Il capitano strinse con entusiasmo la mano della Tigre della
Malesia.
- By God! - esclamò. - Un ambasciatore e un principe
sul mio vascello? Ciò è un avvenimento. Non occorre che vi dica, signori, che
la mia nave è a vostra disposizione.
Mille grazie, capitano - rispose Yanez. - Siete anche voi in
rotta per Sarawak?
Precisamente, e faremo il viaggio insieme. Quale fortuna! Vi
recate forse dal rajah James Brooke?
- Sì, capitano, devo firmare un trattato importantissimo.
- Lo conoscete il rajah?
- No, capitano.
- Vi presenterò io, signor ambasciatore. Sir Strafford,
conducete questi signori nel quadro di poppa e fate servire loro il pranzo.
- E i nostri marinai, dove li alloggerete, capitano? - chiese
Yanez.
- Nel frapponte, se non vi spiace.
- Grazie, capitano.
Yanez e Sandokan seguirono l'ufficiale che li condusse in una
vasta cabina fornita di lettucci e ammobiliata con molta eleganza.
Le due finestre, riparate da grossi vetri e da cortine di
seta, davano sulla poppa della nave e permettevano alla luce e all'aria di
entrare liberamente.
- Sir Strafford - disse Yanez, - chi abbiamo vicino alla
nostra cabina?
- Il capitano alla vostra destra, e vostra sorella a sinistra.
- Benissimo. Scambieremo qualche parola attraverso le pareti.
L'ufficiale si ritirò, avvertendoli che sarebbe stato subito
servito il pranzo.
- Ebbene, fratellino mio, come va? - chiese Yanez quando
furono soli. -
Va tutto a gonfie vele - rispose Sandokan: - quei poveri
diavoli ci credono davvero due galantuomini.
- Che cosa ne dici del vascello?
- È un legno di prima classe che farà ottima figura a Sarawak.
- Hai contato gli uomini di bordo?
- Sì, sono una quarantina.
- Accidenti! - esclamò il portoghese facendo una brutta
smorfia.- Hai paura di quaranta uomini?
- Non dico di no.
- Siamo in buon numero e tutti scelti, Yanez.
- Ma hanno dei buoni cannoni, gli Inglesi.
- Ho incaricato Hirundo di venirmi a dire di quali mezzi
dispone il vascello. Il ragazzo è furbo e ci dirà tutto.
- Quando faremo il colpo?
- Questa notte. Domani, a mezzogiorno, saremo alla foce del
fiume.
- Zitto, ecco lo steward.
Il garzone portava, aiutato da due mozzi, un lauto pranzo: due
sanguinolenti beefsteaks, un colossale pudding, scelte bottiglie
di vino francese e di gin. I due pirati, che avevano appetito, si sedettero a
tavola, assaltando bravamente il pranzo.
Stavano intaccando il pudding, quando al di fuori si
udì un passo silenzioso e un leggero sibilo.
- Entra, Hirundo - disse Sandokan.
Un bel giovanotto, color del bronzo, ben piantato, con lo
sguardo vivo entrò chiudendo dietro di sé la porta.
- Siedi e narra, Hirundo - disse Yanez. - Dove sono i nostri?
- Nel frapponte - rispose il giovane dayaco.
- Che cosa fanno?
- Accarezzano le armi.
- Quanti cannoni vi sono nella batteria? - chiese Sandokan.
- Dodici, Tigre.
- Questi inglesi sono ben armati. James Brooke avrà un osso
duro da rosicchiare, se gli salterà il ticchio di abbordarci. Con una sola
bordata manderemo a picco il suo famoso Realista.
- Lo credo, Tigre.
- Odimi, Hirundo, e cacciati in testa le mie parole.
- Sono tutto orecchi.
- Che nessuno dei nostri si muova, per ora. Quando la luna
tramonterà, rovesciate i cannoni della batteria e salite in massa sul ponte
gridando: al fuoco! al fuoco! I marinai, gli ufficiali e il capitano saliranno
in coperta e noi daremo loro addosso, se non si arrenderanno. Mi hai capito?
- Perfettamente, Tigre della Malesia. Avete altro da dirmi?
- Sì, Hirundo. Quando uscirai di qui, entrerai nella cabina
della vergine della pagoda, che è attigua a questa, e dirai a Kammamuri
di barricare solidamente la porta e di non uscire finché durerà il
combattimento.
- Ho capito, Tigre della Malesia.
- Vattene e obbedisci.
Hirundo uscì ed entrò nella cabina della vergine della
pagoda sacra.
- Li ammazzeremo tutti?
- No, Yanez, li costringeremo ad arrendersi. Mi spiacerebbe
uccidere questi uomini che ci hanno accolto con tanta gentilezza.
I due pirati terminarono tranquillamente il pasto vuotando
parecchie bottiglie, sorseggiarono il thè recato dallo steward e si
sdraiarono nei loro lettucci, aspettando pazientemente il segnale per
precipitarsi in coperta.
Verso le otto il sole sparve sotto l'orizzonte e le tenebre si
stesero a poco a poco, sull'ampia superficie d'acqua che diventava rapidamente
oscura.
Sandokan diede uno sguardo fuori dal finestrino.
A babordo, a grande distanza, gli sembrò di vedere una massa
nerastra ergersi verso le nubi: a poppa, pure assai lontana, una vela
biancastra che radeva l'orizzonte.
- Siamo in vista del monte Matang - mormorò. - Domani saremo a
Sarawak.
Tese gli orecchi, avvicinandosi alla porta della cabina.
Udì due persone scendere la scaletta, un bisbiglio, poi due
porte aprirsi e chiudersi; una a destra e l'altra a sinistra.
- Bene - tornò a mormorare. - Il capitano e il luogotenente
sono entrati nelle loro cabine. Tutto va a meraviglia.
Accese il suo scibouk che aveva avuto il tempo di
salvare dal naufragio insieme alle pistole, alla sua scimitarra e al suo kriss
d'inestimabile prezzo, e si mise a fumare colla maggiore tranquillità.
Poco dopo udì suonare nella cabina del capitano le nove, poi
le dieci, indi le undici. Sussultò come se fosse stato colpito da una pila
elettrica. Balzò dal letto.
- Yanez - esclamò.
- Fratello - rispose il portoghese.
La Tigre della Malesia fece due passi verso l'uscio colla mano
destra sull'impugnatura della scimitarra. Un grido terribile rimbombò nel
ventre del vascello perdendosi sul mare.
- Al fuoco! al fuoco!
- Saliamo! - esclamò Sandokan.
I due pirati, aperta la porta, si slanciarono sul ponte come
tigri.
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