Dodici ore dopo, una scialuppa montata da sei bughisi dell'equipaggio
dello yacht, da lord Ada e Kammamuri, saliva il fiume per giungere a Sedang.
I marinai avevano indossato i loro costumi nazionali,
consistenti in gonnellini variopinti e un piccolo turbante, e il lord e Ada, la
cui pelle aveva assunto un bel color bronzeo, si erano avvolti in ricche vesti
a tinte vivaci, strette alla cintola da larghe fasce di seta rossa, per farsi
credere principi indiani in viaggio di piacere.
Solamente Kammamuri aveva conservato il suo costume maharatto,
che non poteva far nascere alcun sospetto. Il fiume, angusto e dalle acque
assai torbide, era quasi deserto. Solamente i tratto in tratto appariva sulle
sue sponde qualcuna di quelle grandi capanne piantate sopra fitte file di pali,
ad una altezza di quindici o venti piedii, di fabbricazione dayaca.
Invece vi erano grandi boscaglie di alberi gommiferi di giunta
wan; piante di piper nigrum già coperte di bacche rossastre che
danno un granello assai aromatico; di gluga dalla cui corteccia macerata
si estrae una specie di carta; d'immensi alberi della canfora esalanti un acuto
profumo e di banani, di areche e di rotang, piante sarmentose queste,
che in quelle regioni tengono il luogo delle liane e raggiungono lunghezze
straordinarie poiché toccano sovente i trecento metri.
In mezzo a quella ricca vegetazione si vedevano talora scimmie
dal naso lungo dondolarsi sulle più alte cime degli alberi o svolazzare i calaos
giganti, stravaganti volatili dai becchi enormi, grossi quanto l'intero corpo,
il cui capo è sormontato da un bizzarro elmetto a forma di virgola. Apparivano
pure stormi di splendidi argus, adorni di lunghissime penne, di cacatua
nere, e anche qualcuno di quei pipistrelli enormi che gl'indigeni chiamano kulang,
grossi come un piccolo cane, le cui ali misurano perfino un metro e trenta
centimetri.
A mezzogiorno, la scialuppa, che risaliva il fiume col favore
della marea, giungeva dinanzi a Sedang ancorandosi alla estremità della
borgata.
Quantunque vanti il nome di città, Sedang non è che un
villaggio al pari di Kutsching, la seconda cittadina per importanza del reame
di Sarawak. A quell'epoca si componeva di un centinaio di capanne piantate su
pali, quasi tutte abitate da dayachi-laut, ossia da dayachi
costieri, di alcune casette coi tetti arcuati appartenenti a pochi cinesi, e di
due edifici in legno, uno abitato dal nipote di
Muda-Hassin, che veniva guardato come un prigioniero, non
ignorandosi che egli aspirava alla riconquista del trono, e l'altro dal
governatore, creatura devotissima al rajah, che aveva ai suoi ordini una
ventina d'indiani armati.
Non essendovi a Sedang nemmeno la più modesta trattoria, il
Lord acquistò una delle più belle casette cinesi situata presso il fiume, alla
estremità settentrionale della cittadina; vi condusse Ada e Kammamuri, poi
disse alla nipote:
- La mia missione finisce qui. Tutto quello che ho potuto fare
per te, senza compromettere il mio onore di marinaio inglese e di compatriotta
di James Brooke, io l'ho fatto. Alla guerra che tu e i pirati state per
scatenare io non posso partecipare, quantunque lo Stato di Sarawak sia
assolutamente indipendente, non abbia legami con l'Inghilterra e io abbia avuto
a dolermi ultimamente della eccessiva rigorosità di Brooke nei riguardi di
Tremal-Naik. Io rimango tuo zio e tuo protettore, ma come
inglese devo serbarmi neutrale.
- Dunque voi ci lasciate già? - disse Ada con dolore.
- È necessario. Ritorno al mio yacht, ma non lascerò la foce
del fiume prima che siano aperte le ostilità, per potere eventualmente
proteggerti. Tu non hai dimenticato di essere una donna abbastanza energica per
agire anche da sola.
- Oh sì, zio!... Sono decisa a tutto.
- Ti lascio quattro dei miei marinai con l'incarico di
difenderti e di aiutarti. Ti obbediranno come a me stesso, e sono uomini d'un
provato coraggio e d'una fedeltà sicura. Addio! Qualunque pericolo ti
minacciasse, manda a me uno dei miei marinai. Il mio yacht è armato e ad ogni
tua richiesta salirà prontamente il fiume.
Si abbracciarono a lungo, poi il lord tornò ad imbarcarsi e
ridiscese il fiume. La giovinetta era rimasta sulla riva e lo guardava
allontanarsi: non si accorse che una guardia del rajah si era
avvicinata, osservandola con viva curiosità, non esente da una certa
diffidenza.
Se ne avvide soltanto quando l'uomo fu al suo fianco.
- Chi siete voi? - chiese la guardia.
La giovinetta gettò su quell'indiano uno sguardo acuto ed
altero.
- Cosa vuoi tu? - gli chiese.
- Sapere chi siete - rispose l'indiano.
- Ciò non ti riguarda.
- È l'ordine, poiché voi siete una straniera.
- L'ordine di chi?
- Del governatore.
- Non lo conosco.
- Ma egli deve sapere chi sbarca a Sedang.
- E il motivo?...
- Qui vi è il nipote di Muda-Hassin.
- Non so chi sia.
- Il nipote del sultano che prima regnava in Sarawak.
- Non conosco sultani.
- Non importa: io devo sapere chi siete.
- Sono una principessa indiana.
- Di quale regione?...
- Della grande tribù dei maharatti - disse Kammamuri
che si era silenziosamente avvicinato a loro.
- Una principessa maharatta!... - esclamò l'indiano,
trasalendo.- Ma anch'io sono maharatto.
- No, tu sei un rinnegato - disse Kammamuri. - Se tu fossi un
vero maharatto saresti libero come me, e non schiavo o servo d'un uomo
che appartiene alla razza dei nostri oppressori, d'un inglese.
Il soldato del rajah ebbe negli occhi un lampo d'ira,
che subito si spense, e chinò il capo, mormorando:
- È vero.
- Vattene - disse Kammamuri. - I liberi maharatti
disprezzano i traditori.
L'indiano trasalì, poi, alzando gli occhi velati di lacrime,
disse con voce triste:
- No, non ho dimenticato la mia patria, non ho dimenticato la
mia tribù, non si è spento nel mio cuore l'odio verso gli oppressori
dell'India: sono ancora maharatto.
- Tu!... - disse Kammamuri, con maggior disprezzo. - Dammene
una prova!...
- Comanda.
- Ecco la mia padrona, principessa d'una delle nostre più
valorose tribù. Giurale obbedienza come le giurarono tutti i liberi figli delle
nostre montagne, se osi!...
L'indiano girò intorno un rapido sguardo per accertarsi di non
essere osservato, poi cadde ai piedi di Ada con la fronte nella polvere,
dicendo:
- Comanda: per Sivah, Visnù e Brahma, divinità protettrici
dell'India, io giuro di obbedirti.
- Ora ti riconosco per un compatriota - disse Kammamuri. -
Seguici!...
Entrarono nell'abitazione cinese guardata dai quattro marinai
dello yacht, i quali tenevano alla cintura delle rivoltelle per proteggere la
nipote del padrone contro qualunque attentato, e s'arrestarono in una
stanzuccia con le pareti coperte di carta fiorita di Tung: leggerissime sedie
di bambù e alcuni tavoli ingombri di teiere e di chicchere di porcellana color
del cielo dopo la pioggia, la tinta favorita dai figli del Celeste Impero,
ammobiliavano la camera.
- Comanda - ripeté l'indiano prostrandosi nuovamente dinanzi
ad Ada.
Allora la giovinetta, fissando su di lui un lungo sguardo,
come se volesse leggergli nell'animo, gli disse:
- Sai che io odio il rajah?
- Tu!... - esclamò l'indiano, rialzando il capo e guardandola
con stupore.
- Sì - disse la giovinetta con energia.
- Hai forse da lagnarti di lui?
- No, ma lo odio perché è inglese, lo odio perché io sono maharatta
e lui appartiene alla stirpe degli oppressori dell'India, e perché un giorno
appartenne a quella compagnia che distrusse l'indipendenza dei nostri rajah.
Noi popoli liberi abbiamo giurato odio eterno agli uomini della lontana Europa.
- Ma tu adunque sei potente? - chiese l'indiano con maggior
stupore.
- Ho uomini valorosi, ho navi e cannoni.
- E vieni a portare la guerra qui?
- Sì, perché qui trovo un oppressore della nostra patria che
ora cerca di opprimere altri uomini di colore al pari di noi.
- Ma chi ti aiuterà nell'impresa?...
- Chi?... Il nipote di Muda-Hassin.
- Lui!...
- Lui.
- Ma se è prigioniero!
- Noi lo libereremo.
- E lo sa lui che tu ti prepari a lottare in suo favore?...
- No, ma lo vedrò.
- Ti ho detto che è prigioniero.
- Deluderemo la vigilanza delle guardie.
- In che modo?...
- Lo troverai tu il modo.
- Io!...
- Ecco la prova che attendo da te, se sei veramente un maharatto.
- Ho giurato di obbedirti e Bangawadi non mancherà alla parola
data - disse l'indiano con voce solenne.
- Sentiamo - disse Kammamuri che fino allora era rimasto
silenzioso. - Quante guardie vegliano su Hassin?
- Quattro.
- Giorno e notte?
- Sempre.
- Senza mai lasciarlo?
- Non lo abbandonano mai.
- Vi è qualche maharatto fra quegli indiani?
- No, sono tutti del Guzerate.
- Fedeli al governatore?...
- Incorruttibili.
Il maharatto fece un gesto di stizza e parve immergersi
in profondi pensieri. Poi frugò nell'ampia cintura che gli stringeva i fianchi
e ne trasse un diamante grosso come una nocciuola.
- Recati dal governatore - disse rivolgendosi all'indiano, - e
gli dirai che la principessa Raibh gli offre questo regalo e lo prega di
accordarle una visita.
- Ma che cosa intendi fare, Kammamuri? - chiese Ada.
- Ve lo dirò, poi, padrona. Va', Bangawadi: contiamo sul tuo
giuramento.
L'indiano prese il diamante, si prostrò un'ultima volta
dinanzi alla giovinetta e uscì a rapidi passi.
Kammamuri lo seguì con lo sguardo fino a che poté, poi,
volgendosi verso Ada, le disse:
- Spero, padrona, che riusciremo.
- A fare che cosa?
- A rapire Muda-Hassin.
- Ma in che modo?...
Kammamuri, invece di rispondere, levò dalla cintura una
scatoletta e mostrò alcune pillole piccolissime, che esalavano uno strano
odore.
- Me le ha date il signor Yanez - disse - e so per esperienza
quanto siano potenti. Basta lasciarne cadere una in un bicchiere di acqua o di
vino o di caffè per addormentare istantaneamente la persona più robusta.
- E a che cosa possono servire? - chiese la giovanetta con
maggior sorpresa.
- Per addormentare il governatore e le guardie che vegliano
nella casa di Hassin.
- Non riesco a comprenderti.
- Col regalo che gli abbiamo mandato, il governatore
c'inviterà a pranzo, o lo inviteremo noi. M'incarico io di fargli bere il
narcotico, e quando lo vedremo addormentato andremo da Hassin, e là ripeteremo
il giuoco con le guardie.
- Ma ci lasceranno entrare dal prigioniero, quegli indiani?...
- Penserà Bangawadi ad aprirci il passo, fingendo d'aver
ricevuto l'ordine del governatore di farci visitare Hassin.
- Ma dove condurremo il prigioniero?...
- Dove vorrà lui, dove avrà i suoi partigiani. M'incarico io
di far comprare dei cavalli dai nostri uomini.
Stava per uscire quando vide ritornare Bangawadi. L'indiano
pareva contento perché aveva il sorriso sulle labbra.
- Il governatore vi attende - diss'egli, entrando.
- Ha gradito il dono?... - chiese Kammamuri.
- Non l'ho mai veduto così di buon umore come oggi.
- Andiamo, padrona - disse il maharatto.
Uscirono preceduti dalla guardia e seguiti dai quattro marinai
dello yacht che avevano ricevuto dal lord l'ordine di non lasciare Ada un solo
istante. Pochi minuti dopo giungevano alla sede del governatore di Sedang.
Quel fabbricato, chiamato pomposamente palazzo dagli abitanti,
era una modesta casa di legno, a due piani, col tetto coperto di tegole azzurre
come le abitazioni del quartiere cinese di Sarawak, cinta da una palizzata e
difesa da due pezzi di cannone arrugginiti, tenuti là per spauracchio, poiché
non avrebbero potuto sparare due colpi di seguito senza scoppiare. Una dozzina
d'indiani, vestiti come i sipai del Bengala, con la giacca rossa, i
calzoni bianchi, il turbante in capo, ma i piedi nudi, stavano schierati
dinanzi alla cinta e presentarono le armi alla principessa dei maharatti.
Il governatore attendeva la giovanetta ai piedi della scala, segno evidente che
quel regalo di grande valore aveva fatto il suo effetto.
Sir Hunton, comandante di Sedang, era un
anglo-indiano che aveva preso parte alla sanguinosa
crociera del Realista contro i pirati del Borneo in qualità di mastro
d'equipaggio.
Aveva quarant'anni, ma ne dimostrava di più perché il clima
non era troppo propizio per gli stranieri. Era alto come tutti gli indiani, ma
tarchiato; aveva la pelle leggermente abbronzata con sfumature dorate, gli
occhi nerissimi, la barba più folta dei puri indostani e già brizzolata.
Poiché aveva dato prove di grande coraggio e di fedeltà era
stato destinato al comando di Sedang coll'incarico di esercitare un'attiva
vigilanza sul nipote di Muda-Hassin. James Brooke non ignorava
di avere un potente e pericoloso rivale nel discendente del defunto sultano.
Sir Hunton, vedendo la principessa indiana, le mosse incontro
tendendole la mano: si scoprì il capo, poi le offerse galantemente il braccio e
la condusse in un salottino arredato con eleganti mobili europei.
- A quale evento fortunato devo l'onore della vostra visita,
Altezza? - chiese egli, sedendosi di fronte alla giovanetta. È un caso raro
veder giungere in questa sperduta cittadina alle frontiere del reame una
persona distinta come voi.
- Compio un viaggio di piacere nelle isole della Sonda, sir, e
ho voluto visitare anche Sedang, avendo solamente qui la possibilità di vedere
quei formidabili tagliatori di teste che chiamasi dayachi.
- Siete venuta qui per pura curiosità? Credevo che lo scopo
fosse un altro.
- E quale?...
- Per vedere il nipote di Muda-Hassin.
- Non so chi sia.
- Un rivale del rajah Brooke, che passa il suo tempo
sognando continue cospirazioni.
- Un uomo interessante, dunque?
- Può essere.
- Col vostro permesso non mancherò di visitarlo.
- A qualunque altra persona non lo permetterei, ma a voi,
Altezza, che venite dall'India e perciò non potete avere alcun interesse se non
una certa curiosità, non negherò questo favore.
- Grazie, sir.
- Vi tratterrete molto qui?...
- Alcuni giorni, finché il mio yacht avrà riparato alcuni
guasti.
- Siete giunta con uno yacht?...
- Sì, sir.
- E andrete poi a Sarawak?
- Certamente; voglio vedere il famoso sterminatore dei pirati.
Io sono una delle sue più ardenti ammiratrici.
- È un valent'uomo il rajah!
- Lo credo.
- Ritornate allo yacht questa sera?...
- No, ho preso a pigione una piccola casa.
- Allora spero che mi farete l'onore di accettare l'ospitalità
della mia abitazione.
- Ah!... Signore!...
- È la migliore di Sadang.
- Grazie, sir, ma amo meglio essere libera.
- Allora spero che vii tratterrete oggi presso di me.
- Non potrei rifiutare una simile cortesia.
- Farò il possibile perché non abbiate ad annoiarvi, Altezza.
- Intanto mi farete vedere il vostro regale prigioniero -
disse Ada, ridendo.
- Dopo il pranzo, Altezza, andremo a bere il tè da Hassin.
- È un uomo gentile od un selvaggio?...
- Un uomo astuto ed educato che ci farà buona accoglienza.
- Conto su di voi, signore. Questa sera sarò vostra
commensale.
Si era alzata ad un cenno di Kammamuri, il quale l'aveva
seguita tenendosi in un angolo del salotto. Il governatore la imitò e la
condusse fino alla porta, dove il drappello indiano le rese gli onori spettanti
al suo grado di principessa indostana.
Ritornata alla propria abitazione, seguita sempre da Kammamuri
e dai quattro indiani dello yacht, ritrovò l'indiano Bangawadi che l'attendeva
sulla porta dimostrando una certa impazienza.
- Ancora tu? - chiese la giovanetta.
- Sì, padrona - rispose.
- Hai delle novità?...
- Ho parlato con Hassin.
- Quando?
- Pochi minuti or sono.
- E che cosa gli hai detto?...
- Che alcune persone s'interessano della sua sorte e cercano
di farlo evadere.
- E che cosa ti ha risposto?
- Che è pronto a tutto.
- Sei un brav'uomo, Bangawadi.
- E lo sarai di più se tu tornerai da lui - aggiunse
Kammamuri.
- Sono a vostra disposizione.
- Va' allora, e gli dirai che questa sera la principessa Raibh
andrà a visitarlo in compagnia del governatore, e che cerchi di essere solo,
almeno nelle sue stanze. Dirai inoltre a lui che lasci a me la cura di
preparare il thè per il governatore. -
Poi, levandosi dalla cintola un piccolo diamante, glielo porse
aggiungendo:
- Questo è per te, e pagherai da bere alle sentinelle che
vegliano sulla casa di Hassin. Questa sera poi offrirò io!...
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