L'acqua già da cinque ore
continuava a montare nella baia e a poco a poco aveva coperto interamente il
banco, su cui la Marianna si era incagliata.
Era quindi quello il buon momento
per cercare di liberarsi e la cosa non sembrava dovesse essere molto difficile,
poiché i marinai avevano rimarcato un leggero spostamento della ruota di prua.
Il veliero non galleggiava ancora; tuttavia nessuno disperava di riuscire a
levarlo da quel cattivo passo, aiutandolo con qualche sforzo.
Sbarazzata la coperta dei
cadaveri che la ingombravano, essendo molti dayaki caduti sul castello
di prora sotto le micidiali scariche delle spingarde ed a mezza nave, e,
ricollocate nelle casse le pericolosissime palle d'acciaio, che avevano
arrestato così bene l'attacco dei bellicosi isolani, i Tigrotti di Mompracem si
misero alacremente all'opera sotto la direzione di Yanez e di Sambigliong.
Furono gettati due ancorotti a
sessanta passi dalla poppa, su un buon fondo e le gomene passate all'argano
onde trarre indietro la nave ed aiutare l'azione della marea, poi le vele
furono girate in modo che la spinta del vento avvenisse non più verso la prora.
- All'argano, ragazzi! - gridò
Yanez, quando tutto fu pronto. - Noi ci leveremo presto di qui.
Già qualche scricchiolo si era
udito sotto la ruota, segno evidente che l'acqua tendeva, aumentando sempre, a
sollevare la carena.
Dodici uomini si erano
precipitati verso l'argano, mentre altrettanti si erano gettati sulle funi
collegate ai due ancorotti, affinché lo sforzo fosse maggiore, e, al comando
del portoghese, i primi avevano cominciato a spingere energicamente le aspe.
Avevano dato appena quattro o
cinque giri all'argano, quando la Marianna scivolò, per modo di dire,
sul banco su cui s'appoggiava, virando lentamente sul tribordo, per l'azione
del vento che gonfiava fortemente le due immense vele.
- Eccoci liberi! - aveva
esclamato Yanez, con voce giuliva. - Forse sarebbe bastata la sola marea a
trarci di qui. Che bella sorpresa pel pilota, quando si risveglierà. Salpate
gli ancorotti, contrabbracciate le vele e avanti, diritti verso il fiume.
- Lo imboccheremo senza attendere
l'alba? - chiese Sambigliong.
- È largo e profondo, mi ha detto
Tangusa, e non è interrotto da banchi, - rispose Yanez. - Preferisco
attraversare la foce ora e sorprendere i dayaki, che non s'aspettano di
certo di vederci così presto.
Con uno sforzo poderoso i marinai
dell'argano avevano strappati dal fondo i due ancorotti, mentre i gabbieri
avevano orientato rapidamente le due vele e i fiocchi del bompresso. Tangusa,
che non aveva lasciata la tolda, si era messo alla barra del timone, essendo il
solo che conoscesse la foce del Kabatuan.
- Conducici solamente entro il fiume,
mio bravo ragazzo, - gli aveva detto Yanez. - Poi penseremo noi a guidare la Marianna
e tu andrai a riposarti.
- Oh signore, non sono già un
fanciullo, - aveva risposto il meticcio, - per aver bisogno d'un immediato
riposo. Quel balsamo prodigioso, sparso sulle mie ferite da Kickatany, mi ha
calmato i dolori.
- Ah! - esclamò ad un tratto
Yanez, mentre la Marianna, girato prudentemente il banco, s'avanzava
verso il fiume, - tu non mi hai ancora narrato come sei caduto nelle mani dei
dayaki e il perché ti hanno martirizzato.
- Non mi avevano lasciato il
tempo, quei furfanti, di finire di raccontarvi la mia triste avventura, -
rispose il meticcio forzandosi a sorridere.
- Venivi dal kampong di
Tremal-Naik, quando ti catturarono?
- Sì, signor Yanez. Il mio
padrone mi aveva incaricato di raggiungere le rive della baia per guidarvi sul
fiume.
- Era certo dunque che noi non
avremmo indugiato ad accorrere in suo aiuto.
- Non ne dubitava, signore.
- Dove sei stato sorpreso?
- Sulle isolette della foce.
- Quando?
- Due giorni or sono. Alcuni
uomini che avevano lavorato nelle piantagioni del kampong mi avevano
subito riconosciuto, sicché assalirono senza indugio il mio canotto e mi fecero
prigioniero. Dovevano essersi immaginati che Tremal-Naik mi
aveva mandato alla costa per attendere qualche soccorso, perché mi sottoposero
ad un lungo interrogatorio, minacciando di accopparmi se non rivelavo loro lo
scopo della mia gita. Siccome rifiutavo ostinatamente di rispondere, quei
miserabili mi gettarono in una buca che era prossima ad un formicaio, mi
legarono per bene, poi mi fecero sul corpo alcune incisioni onde il sangue
uscisse.
- Briganti!
- Voi sapete, signor Yanez, quanto
sono avide di carne le formiche bianche. Attirate dall'odore del sangue non
tardarono ad accorrere a battaglioni e cominciarono a divorarmi, vivo, pezzetto
a pezzetto.
- Un supplizio degno di selvaggi.
- E che durò un buon quarto d'ora
facendomi provare tormenti spaventevoli. Fortunatamente quegli insetti si erano
gettati anche sulle corde che mi legavano le braccia e le gambe e non tardarono
a rosicchiare anche quelle, essendo state spalmate d'olio di cocco onde,
disseccandosi, mi stringessero vieppiù.
- E tu, appena libero, scappasti?
- disse Yanez.
- Ve lo potete immaginare, -
rispose il meticcio. - Essendosi i dayaki allontanati, mi gettai nella
vicina foresta, raggiunsi il fiume e avendo trovato sulla riva un canotto
munito d'una vela, presi senza indugio il largo, avendo già scorto in
lontananza il vostro veliero.
- Sei stato però ben vendicato!
- E ne sono lieto, signor Yanez.
Quei selvaggi non meritano compassione. Oh!
Quell'esclamazione gli era
sfuggita, scorgendo alcuni fuochi che brillavano sulle coste delle isolette che
formavano la barra del fiume.
- I dayaki vegliano,
signor Yanez, - disse.
- Lo vedo, - rispose il
portoghese. - Possiamo passare al largo, senza essere veduti?
- Prenderemo l'ultimo canale, -
rispose il meticcio, dopo d'aver osservato attentamente la foce del fiume. - In
quella direzione non vedo brillare alcun fuoco.
- Vi sarà acqua bastante?
- Sì, ma vi sono dei banchi colà.
- Ah! diavolo!
- Non temete, signor Yanez.
Conosco benissimo la foce e spero di farvi entrare nel Kabatuan senza malanni.
- Noi intanto prenderemo le
nostre precauzioni per respingere qualsiasi attacco, - rispose il portoghese,
avvicinandosi verso il castello di prora.
La Marianna, spinta da una
leggera brezza di ponente, scivolava dolcemente, come se appena sfiorasse
l'acqua, accostandosi sempre più alla foce del fiume.
La marea che montava ancora
doveva facilitare l'entrata, risalendo per un buon tratto il Kabatuan.
L'equipaggio, eccettuati due o
tre uomini incaricati della cura dei feriti, era tutto in coperta, al posto di
combattimento, non essendo improbabile che i dayaki, nonostante la
terribile sconfitta, tentassero nuovamente un abbordaggio o aprissero il fuoco
tenendosi nascosti fra i boschetti che coprivano le isole.
Tangusa che teneva la barra e
che, come abbiamo detto, conosceva a menadito la baia, guidò la Marianna in
modo da tenerla lontana dai fuochi che ardevano presso le scogliere e che
dovevano dominare gli accampamenti dei nemici, poi con un'abile manovra la
spinse dentro un canale piuttosto stretto che s'apriva fra la costa ed un
isolotto, senza che alcun grido d'allarme fosse partito né da una parte né
dall'altra.
- Siamo nel fiume, signore, -
disse a Yanez, che lo aveva raggiunto.
- Non ti sembra un po' strano che
i dayaki non si siano accorti della nostra entrata?
- Forse dormivano della grossa e
non sospettavano che noi potessimo trarci così felicemente dal banco.
- Uhm! - fece il portoghese,
scuotendo il capo.
- Dubitate?
- Io ritengo che ci abbiano
lasciati passare per darci battaglia sull'alto corso del fiume.
- Può darsi, signor Yanez.
- Quando potremo giungere?
- Non prima di mezzodì.
- Quanto dista il kampong dal
fiume?
- Due miglia.
- Di foresta, probabilmente.
- E folta, signore.
- Peccato che Tremal-Naik
non abbia fondata la sua principale fattoria sul fiume. Noi saremo costretti a
dividere le nostre forze. È bensì vero che i miei Tigrotti si battono
splendidamente sia sui ponti dei loro prahos, che a terra.
- Saliamo dunque, signore? Il
vento è favorevole e la marea ci spingerà per qualche ora ancora.
- Avanti e bada di non mandare la
Marianna in secco.
- Conosco troppo bene il fiume.
- Il veliero superò una lingua di
terra che formava la barra del fiume e rimontò la corrente, spinto dalla brezza
notturna che gonfiava le sue enormi vele.
Quel corso d'acqua, che è ancora
oggidì poco noto, in causa della continua ostilità dei dayaki che non
risparmiano nemmeno le teste degli esploratori europei, era largo un centinaio
di metri e scorreva fra due rive piuttosto alte, coperte da manghi, da durion
e da alberi gommiferi. Nessun fuoco si vedeva brillare sotto gli alberi, né si
udiva alcun rumore che indicasse la presenza di quei formidabili cacciatori di
teste.
Solo di quando in quando nelle
acque, che dovevano essere profonde, echeggiava un tonfo prodotto
dall'improvvisa immersione di qualche gaviale addormentato a fior d'acqua, che
la massa del veliero aveva spaventato. Quel silenzio tuttavia non rassicurava
affatto Yanez, il quale anzi raddoppiava la vigilanza, cercando di scoprire
qualche cosa sotto la fosca ombra degli alberi.
- No, - mormorava, - è
impossibile che noi abbiamo potuto passare inosservati. Deve succedere qualche
cosa; fortunatamente conosciamo il nemico e non ci coglierà di sorpresa.
Era trascorsa una mezz'ora, senza
che nulla fosse accaduto di straordinario, ed il portoghese cominciava a
rassicurarsi, quando, verso il basso corso del fiume, si vide una linea di
fuoco alzarsi al di sopra dei grandi alberi.
- Toh! un razzo! - aveva
esclamato Sambigliong, che aveva potuto scorgerlo prima che si spegnesse.
La fronte di Yanez si era
abbuiata.
- Come mai questi selvaggi
posseggono dei razzi di segnalazione? - si chiese.
- Capitano, - disse Sambigliong,
- ciò è una prova che in tutta questa faccenda vi è lo zampino degli inglesi.
Questi ignoranti non li hanno mai conosciuti prima d'ora.
- O che li abbia portati quel
pellegrino misterioso.
- Là, guardate, comandante: si
risponde.
Yanez si era vivamente voltato
verso la prora ed a una notevole distanza, verso l'alto corso del fiume,
invece, aveva veduto spegnersi in cielo un'altra linea di fuoco.
- Tangusa, - disse, volgendosi
verso il meticcio, che non aveva abbandonata la barra. - Pare che si preparino
a farci passare una brutta notte, gli ex coltivatori del tuo padrone.
- Lo sospetto anch'io, signore, -
rispose il meticcio.
In quell'istante verso prora si
udirono delle esclamazioni.
- Lucciole!
- O fuochi?
- Guarda lassù.
- Brucia il fiume!
- Signor Yanez! Signor Yanez!
Il portoghese in pochi salti fu
sul castello di prora, dove si erano già radunati parecchi uomini
dell'equipaggio.
Tutto l'alto corso del fiume, che
scendeva in linea quasi retta con leggeri serpeggiamenti, appariva coperto da
miriadi di punti luminosi che ora si raggruppavano ed ora si disperdevano, per
riunirsi poco dopo in linee ed in macchie foltissime.
Yanez era rimasto talmente
sorpreso, che stette per qualche minuto silenzioso.
- Qualche fenomeno, capitano? -
chiese Sambigliong. - È impossibile che quelle siano lucciole.
- Nemmeno io lo credo, - rispose
finalmente Yanez, la cui fronte si abbuiava sempre più.
Tangusa che aveva affidato
momentaneamente la barra a uno dei timonieri, era pure accorso, allarmato da
quelle esclamazioni.
- Sapresti dirmi di che cosa si
tratta? - chiese Yanez, vedendolo.
- Quelli sono fuochi che scendono
il fiume, signore, - rispose il meticcio.
- È impossibile! Se ognuno di
quei punti luminosi segnalasse una barca, ve ne dovrebbero essere delle
migliaia e non credo che i dayaki ne posseggano tante, nemmeno riunendo
tutte quelle che si trovano sui fiumi bornesi.
- Eppure sono fuochi, - replicò
Tangusa.
- Accesi dove?
- Non so, signore.
- Su dei tronchi d'albero?
- Non saprei dirvelo.
- Il fatto è che quei fuochi
s'avvicinano, capitano, e che la Marianna potrebbe correre il pericolo
d'incendiarsi.
Yanez lanciò un «per Giove!»
tuonante che fece stupire Sambigliong, che non l'aveva mai veduto prima
d'allora uscire dai gangheri.
- Che cos'hanno preparato quelle
canaglie? - esclamò il bravo portoghese.
- Capitano, prepariamo per
maggior precauzione le pompe.
- E arma i nostri uomini di
buttafuori e di manovelle per allontanare quei fuochi. Questi maledetti
selvaggi cercano d'incendiare la nostra nave. Su lesti, Tigrotti miei: non vi è
tempo da perdere.
Quelle centinaia e centinaia di
punti luminosi ingrandivano a vista d'occhio, trascinati dalla corrente e
coprivano un tratto immenso di fiume.
Scendevano a gruppi, danzando con
un effetto meraviglioso, che in altre occasioni Yanez avrebbe certamente
ammirato, ma non in quel momento. Giravano su loro stessi, seguendo i gorghi,
formando delle linee circolari e delle spirali, che poi bruscamente si
rompevano, oppure delle linee rette che poi diventavano delle serpentine.
Un gran numero filava lungo le
rive; molti invece, anzi i più danzavano in mezzo, essendo la corrente ivi più
rapida.
Dove posassero nessuno poteva
dirlo, essendo la notte oscura, anche a causa dell'ombra proiettata dalle
piante altissime che coprivano le rive. Certo però dovevano ardere su dei
minuscoli galleggianti.
Tutto l'equipaggio, armatosi
frettolosamente di buttafuori, di pennoni, di aste e di manovelle, si era
disposto lungo i fianchi della Marianna per allontanare quei fuochi
pericolosi. Alcuni erano scesi nella rete delle dolfiniere del bompresso e
nelle bancazze per poter meglio agire.
- Sempre in mezzo al fiume! -
aveva gridato Yanez a Tangusa, che aveva ripresa la barra del timone. - Se
prenderemo fuoco, faremo presto a poggiare sull'una o sull'altra riva.
La flottiglia giungeva a ondate,
correndo addosso alla Marianna la quale s'avanzava lentamente essendo il
vento debolissimo.
- Recatemi uno di quei fuochi, -
disse Yanez ai malesi che si erano calati nella rete della dolfiniera, la cui
estremità inferiore sfiorava quasi l'acqua.
Tutti i marinai si erano messi
all'opera, vibrando furiosi colpi di buttafuori e di manovelle su quei fuochi
galleggianti che ormai circondavano la Marianna.
Un malese, presone uno, lo aveva recato
a Yanez. Si componeva d'una mezza noce di cocco, piena di bambace inzuppato
d'una materia resinosa e attaccaticcia che ardeva meglio dell'olio vegetale, di
cui fanno ordinariamente uso i bornesi al pari dei siamesi.
- Ah! Bricconi! - aveva esclamato
il portoghese. - Ecco una trovata meravigliosa che io non avrei mai immaginata!
Come sono diventati furbi, da un momento all'altro, questi dayaki! Tigrotti,
date dentro a tutta lena; se questo cotone s'attacca ai madieri, arrostiremo
come anitre allo spiedo.
Aveva gettato via il guscio di
cocco e si era slanciato a prora, dov'era maggiore il pericolo, perché quei
fuochi investendo il tagliamare si rovesciavano in gran numero e la materia
attaccaticcia e resinosa ond'era imbevuto il cotone poteva attaccarsi al
fasciame, dove avrebbe trovato buon alimento nel catrame che lo copriva.
I Tigrotti, che avevano compreso
il gravissimo pericolo che correva il veliero, non risparmiavano i colpi.
Specialmente quelli che si trovavano nella rete della dolfiniera ed a cavalcioni
delle trinche, avevano un bel da fare a rovesciare quei minuscoli galleggianti,
che giungevano sempre a ondate, scivolando e capovolgendosi lungo i fianchi
della Marianna. Tuttavia dei fuochi di cotone di quando in quando
s'appiccicavano al fasciame, ed il catrame subito prendeva fuoco, sviluppando
un fumo denso ed acre.
Guai se quel legno avesse avuto
un equipaggio poco numeroso! Le tigri di Mompracem fortunatamente erano
bastanti per sorvegliare tutti i bordi e, quando il fuoco cominciava a manifestarsi,
le pompe lo spegnevano di colpo con un abbondante getto d'acqua.
Quella strana lotta durò una
buona mezz'ora, poi i pericolosi galleggianti cominciarono a diradarsi e
finalmente cessarono di sfilare, scomparendo verso il basso corso del fiume.
- Che ci preparino ora qualche
altra sorpresa? - disse Yanez che aveva raggiunto il meticcio. - Vedendo il
loro criminoso tentativo andato a male, escogiteranno qualche cosa d'altro. Che
cosa ne dici, Tangusa?
- Che noi non giungeremo all'imbarcadero
del kampong, senza che i dayaki ci diano una seconda battaglia,
signor Yanez, - rispose il meticcio.
- La preferirei a qualche altra
sorpresa, mio caro. Finora però non vedo alcuna scialuppa.
- Non siamo ancora giunti, anzi
tarderemo assai con questo vento così debole. Se non aumenta, invece del
mezzodì dovremo faticare fino alla sera di domani.
- E ciò mi rincrescerebbe. Ohè,
Tigrotti, aprite gli occhi e tenete le armi in coperta. I tagliatori di teste
ci spiano di certo.
Accese una sigaretta e si sedette
sul capo di banda di poppa, per meglio sorvegliare le due rive.
La Marianna, sfuggita
miracolosamente a quel secondo pericolo, s'avanzava sempre più lenta, essendo
scemata la brezza.
Nessun rumore si udiva sulle
rive, che erano sempre coperte da alberi immensi che stendevano i loro rami
mostruosi sul fiume, rendendo maggiore l'oscurità, eppure nessuno dubitava che
degli occhi seguissero nascostamente il veliero.
Era impossibile che i dayaki, dopo
quel tentativo che per poco non riusciva, avessero rinunciato all'idea di
distruggere quella piccola sì, ma poderosa nave che aveva inflitto loro quella
sanguinosa sconfitta.
Altre cinque o sei miglia erano
state guadagnate, senza che alcun nuovo avvenimento fosse accaduto, quando
Yanez scorse, sotto le foreste, scintillare dei punti luminosi che apparivano e
scomparivano con grande rapidità.
Pareva che degli uomini muniti di
torce corressero disperatamente fra gli alberi, scomparendo subito in mezzo ai
cespugli. Poi dei sibili si udivano in varie direzioni che non dovevano essere
mandati da serpenti.
- Sono segnali, - disse il
meticcio, prevenendo la domanda che Yanez stava per rivolgergli.
- Non ne dubitavo, - rispose il
portoghese, che ricominciava ad inquietarsi. - Che cosa ci prepareranno ora?
- Una sorpresa non migliore
dell'altra di certo, signore. Ci vogliono impedire a qualunque costo di
giungere all'imbarcadero.
- Comincio ad averne le tasche
piene, - disse Yanez. - Almeno si mostrassero e ci attaccassero risolutamente.
- Sanno che siamo forti e che non
manchiamo di artiglierie, signore, ed un assalto diretto non lo tenteranno.
- Eppure sento per istinto che
quei bricconi preparano qualche cosa contro di noi.
- Non dico il contrario e vi
consiglierei di non far disarmare le pompe.
- Temi che ci mandino addosso
un'altra flottiglia di noci di cocco?
Invece di rispondere, il meticcio
si era vivamente alzato, dando un colpo di barra al timone.
- Siamo al passo più stretto del
fiume, signor Yanez, - disse poi. - Prudenza o daremo dentro a qualche banco.
Il fiume, che fino allora si era
mantenuto abbastanza largo, permettendo alla Marianna di manovrare
liberamente, si era repentinamente ristretto in modo che i rami degli alberi
s'incrociavano.
L'oscurità era diventata ad un tratto
così profonda che Yanez non riusciva più a discernere le sponde.
- Bel luogo per tentare un
abbordaggio, - mormorò.
- E anche per fucilarci per bene,
signore, - aggiunse Tangusa.
- Punta le spingarde verso le due
rive, Sambigliong! - gridò Yanez.
Gli uomini addetti al servizio
delle grosse bocche da fuoco avevano appena eseguito quell'ordine, quando la Marianna,
che da alcuni minuti aveva accelerata la corsa essendo la brezza diventata
più fresca, urtò bruscamente contro un ostacolo che la fece deviare verso
babordo.
- Che cosa è avvenuto? - gridò
Yanez. - Ci siamo arenati?
- Ma no, capitano, - rispose
Sambigliong che si era slanciato verso prora. - La Marianna galleggia!
Il meticcio con un colpo di barra
rimise il legno sulla rotta primiera, quando avvenne un secondo urto e la Marianna
tornò a deviare indietreggiando di alcuni passi.
- Come va questa faccenda? -
gridò Yanez, raggiungendo Sambigliong.
- Vi è una linea di scoglietti
dinanzi a noi?
- Non ne vedo, capitano.
- Eppure non possiamo passare. Fa'
calare in acqua qualcuno.
Un malese gettò una fune e dopo
averla assicurata, si lasciò scivolare, mentre il veliero per la terza volta
tornava a indietreggiare.
Yanez e Sambigliong, curvi sulla
murata prodiera guardavano ansiosamente il malese che si era gettato a nuoto
per cercare l'ostacolo che impediva al legno di avanzare.
- Scogliere? - chiese Yanez.
- No, capitano, - rispose il
marinaio, che continuava a inoltrarsi tuffandosi di quando in quando, senza
preoccuparsi dei gaviali che potevano mozzargli le gambe.
- Che cos'è dunque?
- Ah! Signore! Hanno tesa una
catena sott'acqua, e non possiamo avanzare se non la taglieremo.
Nel medesimo istante una voce
poderosa s'alzò fra gli alberi della riva sinistra, gridando in un inglese
molto gutturale:
- Arrendetevi, Tigri di
Mompracem, o noi vi stermineremo tutti!
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