Una piccola radura, malamente
dissodata, scorgendosi ancora i tronchi degli alberi spuntare dal suolo, si
estendeva dinanzi all'imbarcadero e dietro agli avanzi di capanne e di
tettoie risparmiate dall'incendio.
Al di là cominciava la grande e
fitta foresta, composta per la maggior parte d'immense felci arboree, di cycas,
di durion e di casuarine, e ingombra di rotangs di lunghezza
smisurata che formavano delle vere reti.
Nessun rumore turbava il silenzio
che regnava sotto quei maestosi alberi. Solo, di quando in quando, fra il
fogliame udivasi un debole grido lanciato da qualche gek-kò,
la lucertola cantatrice, o il pispiglio di qualche chalcostetha, quei
piccolissimi uccelli dai colori brillanti a riflessi metallici che, in quelle
isole malesi, tengono il posto dei tronchilichi americani.
Yanez ed i suoi uomini, dopo
essere rimasti qualche tempo in ascolto, un po' rassicurati da quella calma e
dal contegno pacifico d'una coppia di scimmie buto sopra un banano, dopo
aver fatto un giro intorno alle capanne, si inoltrarono verso la foresta,
esplorandone i margini per una larghezza d'un mezzo miglio, senza trovare
alcuna traccia dei loro implacabili nemici.
- Pare impossibile che siano
scomparsi, - disse Yanez, a cui riusciva inesplicabile quell'improvvisa tregua
dopo tanto accanimento. - Che abbiano rinunciato a tormentarci, dopo le batoste
che hanno preso?
- Uhm! - fece il pilota. - Se il
pellegrino aveva giurato la vostra perdita, ritengo che farà il possibile per
avere le vostre teste.
- Mettici anche la tua nel
numero, - disse il portoghese. - Torniamo a bordo e aspettiamo la notte.
Il ritorno lo compirono senza
essere stati molestati, confermandosi vieppiù nella supposizione che i dayaki
non fossero ancora giunti in quei dintorni.
Appena calato il sole, Yanez fece
subito i preparativi della partenza. Vi erano ancora a bordo trentasei uomini,
compresi i feriti.
Ne scelse quindici, non volendo
indebolire troppo l'equipaggio il quale poteva, durante la sua assenza, venire
assalito, e verso le nove, dopo aver raccomandato a Sambigliong la più attiva
sorveglianza onde non si facesse sorprendere, ridiscendeva a terra con Tangusa,
il pilota e la scorta.
Erano tutti formidabilmente
armati, con carabine indiane di lungo tiro e parangs, quelle terribili
sciabole che con un solo colpo decapitano un uomo, e ampiamente provvisti di
munizioni, ignorando se Tremal-Naik ne avesse tante da
poter reggere anche ad un assedio.
- Avanti e soprattutto fate meno
rumore che sia possibile, - disse Yanez, nel momento in cui si cacciavano sotto
i boschi. - Noi non siamo ancora sicuri di trovare la via sgombra.
Si volse indietro per dare un
ultimo sguardo al veliero, la cui massa spiccava vivamente sulle acque del
fiume, semi-confusa fra i vegetali che crescevano sulla
riva e senza sapere il perché, provò una stretta al cuore.
- Si direbbe che ho un brutto
presentimento, - mormorò con inquietudine. - Che lo perda?
Scacciò l'importuno pensiero e si
mise alla testa della scorta, preceduto di pochi passi dal meticcio e dal
pilota, i soli che potessero orientarsi in mezzo a quel caos di enormi vegetali
e fra le reti immense formate dai nepentes, dai gomuti e dai
rotangs.
Come al mattino un silenzio
profondo regnava sotto quella infinita volta di verzura, come se quella foresta
fosse assolutamente priva di animali feroci e di selvaggina. Persino gli
uccelli notturni, quei grossi pipistrelli pelosi, che sono così comuni nelle
isole malesi, mancavano. Solo le lucertole cantanti, che sono per lo più
notturne, facevano udire di tratto in tratto il loro lieve grido stridente.
Essendo il cielo coperto, un'afa
pesante regnava sotto le immense foglie, incrociantisi strettamente a trenta o
quaranta metri dal suolo.
- Si direbbe che minaccia un
uragano, - disse Yanez che respirava con grande fatica.
- E scoppierà presto, signore, -
rispose il meticcio. - Ho veduto il sole tramontare fra una nuvola nerastra e
giungeremo appena a tempo al kampong.
- Se nessuno ci arresterà.
- Finora, signore, i dayaki non
si sono mostrati.
- Purché non li troviamo presso
il kampong. Speriamo che abbiano levato l'assedio.
- Non saranno tanti da opporre
una seria resistenza, almeno pel momento. Quelli che ci hanno aspettati alla
foce del fiume forse non sono ancora tornati.
- Se tardassero solo ventiquattro
ore, non li temerei più, - rispose Yanez. - La Marianna, con equipaggio
rinforzato, diverrebbe imprendibile. Avrà molti difensori
Tremal-Naik?
- Suppongo che abbia potuto
raccogliere una ventina di malesi, signor Yanez.
- Avremo così un piccolo esercito
che darà da fare a quel maledetto pellegrino. Affrettiamo il passo e cerchiamo
di giungere al kampong prima che l'alba sorga.
La foresta non permetteva però
che si avanzassero così rapidamente come avrebbero desiderato, essendo caduti
in mezzo ad una antica piantagione di pepe che avvolgeva gli alberi in una rete
assolutamente inestricabile.
Le grosse piante non erano
riuscite a soffocare i sarmenti altissimi i quali, ripiegandosi verso il suolo
e collegandosi coi rotangs ed i calamus o avvolgendosi intorno
alle mostruose radici uscite dal suolo per mancanza di spazio, formavano un
intrecciamento colossale che opponeva una solida resistenza.
- Mano ai parangs, - disse
Yanez, vedendo che le due guide non riuscivano a passare.
- Faremo rumore, - osservò il
pilota.
- Non ho già alcuna voglia di
tornarmene indietro.
- I dayaki possono udirci,
signore.
- Se ci assalgono li riceveremo
come si meritano. Affrettiamoci.
A colpi di sciabola riuscirono ad
aprirsi un varco e sempre sciabolando a destra ed a manca, continuarono ad
inoltrarsi nell'interminabile foresta.
Marciavano da un'ora, lottando
ostinatamente contro le piante, quando il pilota s'arrestò bruscamente,
dicendo:
- Fermi tutti.
- I dayachì? - chiese
sotto voce Yanez, che lo aveva subito raggiunto.
- Non lo so, signore.
- Hai udito qualche cosa?
- Dei rami scricchiolare dinanzi
a noi.
- Andiamo a vedere, Tangusa, e
voi tutti rimanete qui e non fate fuoco se io non vi do il segnale.
Si gettò a terra trovandosi
dinanzi a un caos di radici e di sarmenti e si mise a strisciare verso il luogo
dove il malese asseriva d'aver udito i rami scricchiolare.
Il meticcio gli si era messo
dietro cercando di non far rumore.
Percorsero così una cinquantina
di metri e s'arrestarono sotto le enormi corolle d'un fiore mostruoso, un crubul
che aveva una circonferenza di oltre tre metri, e che tramandava un odore
poco piacevole.
Essendovi intorno a quel fiore un
po' di spazio libero, era facile scoprire degli uomini che si avanzassero
attraverso la foresta.
- Padada non si era ingannato, -
disse Yanez, dopo essere rimasto qualche po' in ascolto.
- Sì, qualcuno si avvicina, -
confermò il meticcio.
- E questo cos'è? - chiese a un
tratto Yanez.
In lontananza si udì in quel momento
un rombo strano che pareva prodotto dall'avanzarsi di qualche furgone o d'un
treno ferroviario.
- Non è il tuono, - disse il
portoghese.
- Non lampeggia ancora, - disse
Tangusa.
- Si direbbe che un fiume ha
rotto gli argini e straripa.
- Non è caduta ancora una goccia
d'acqua e poi il Kabatuan è lontano.
- Che cosa sarà?
- E s'approssima rapidamente,
signore.
- Verso di noi?
- Sì.
- Taci!
Appoggiò un orecchio al suolo ed
ascoltò nuovamente, trattenendo il respiro.
La terra trasmetteva nettamente
quel rombo inesplicabile che pareva prodotto dal rapido avanzarsi di masse
enormi.
- Non comprendo assolutamente
nulla, - disse finalmente Yanez, rialzandosi. - È meglio che ci ripieghiamo
verso la scorta; chissà che il pilota non ci spieghi questo mistero.
Sgusciarono sotto i giganteschi
petali del crubul e rifecero il cammino percorso, scivolando fra gli
infinti sarmenti.
Quando raggiunsero il luogo ove
avevano lasciati i loro uomini, s'avvidero che anche la scorta era in preda ad
una viva agitazione, udendosi anche là quel fragore. Solo Padada pareva
tranquillo.
- Da che cosa proviene questo
baccano? - gli chiese Yanez.
- È una colonna di elefanti che
fugge dinanzi a qualche pericolo, signore, - rispose il pilota. - Saranno
certamente moltissimi.
- Degli elefanti! E chi può aver
spaventato quei colossi?
- Degli uomini, io credo.
- Che i dayaki si avanzino
da ponente? È di là che il fragore viene.
- È quello che pensavo anch'io.
- Che cosa mi consigli di fare?
- Di allontanarci al più presto.
- Non incontreremo gli elefanti
sulla nostra via?
- È probabile, ma basterà una
scarica per farli deviare. Hanno una paura incredibile quei colossi degli
spari, non essendovi abituati.
- Avanti dunque, - comandò il
portoghese, con voce risoluta. - Dobbiamo giungere al kampong prima che
vi arrivino i dayaki.
Si rimisero frettolosamente in
cammino sciabolando i rotangs ed i calamus, mentre il fragore
aumentava rapidamente d'intensità.
Il pilota doveva aver indovinato
giusto. Fra il fracasso assordante prodotto dall'incessante crollare delle
piante, abbattute dai poderosi ed irresistibili urti di quelle enormi masse
lanciate a galoppo sfrenato, si cominciavano a udire dei barriti. Quei
pachidermi dovevano essere spaventati da qualche grossa truppa d'uomini, non
fuggendo ordinariamente dinanzi ad un drappello di cacciatori.
Dovevano essere state le bande
dei dayaki a metterli in rotta.
Yanez e i suoi uomini
affrettavano il passo, temendo di venire travolti nella pazza corsa di quei
pachidermi.
Avendo trovato degli spazi
liberi, si erano messi a correre, guardandosi con spavento alle spalle,
credendo di vedersi rovinare addosso quei mostruosi animali. Anche Yanez
appariva preoccupato.
Avevano raggiunta una macchia
formata quasi esclusivamente di enormi alberi della canfora, che nessuna forza
avrebbe potuto atterrare, avendo quelle piante dei tronchi grossissimi, quando
il pilota per la seconda volta si arrestò, dicendo precipitosamente:
- Gettatevi sotto queste piante
che sono sufficienti a proteggerci. Ecco che giungono!
Si erano appena lasciati cadere
dietro a quei tronchi colossali quando si videro apparire i primi elefanti.
Sbucavano a corsa sfrenata da una
macchia di sunda-matune, gli alberi della notte,
così chiamati perché i loro fiori non si schiudono che dopo il tramonto del
sole e dei quali dovevano aver fatta una vera strage nella carica furibonda.
Quei colossi, che parevano pazzi
di terrore, piombarono di colpo su un ammasso di giovani palme che sbarrava
loro la via e le abbatterono come se una falce immensa, manovrata da qualche
titano, fosse scesa su quelle piante.
Non era che l'avanguardia quella,
poiché pochi istanti dopo si rovesciò su quello spazio il grosso, con clamori
spaventevoli.
Erano quaranta o cinquanta
elefanti, fra maschi e femmine, che si urtavano fra loro confusamente, cercando
di sorpassarsi. Le loro formidabili trombe percuotevano con impeto
irresistibile alberi e cespugli, tutto abbattendo.
Vedendone alcuni che pareva
volessero scagliarsi verso gli alberi della canfora, Yanez stava per far
eseguire una scarica, quando vide dei punti luminosi apparire dietro ai
pachidermi che descrivevano delle fulminee parabole.
- Silenzio! Che nessuno si muova!
I dayaki! - aveva esclamato Padada.
Parecchi uomini, quasi
interamente nudi, correvano dietro agli elefanti, scagliando sui loro dorsi dei
rami resinosi accesi, che subito raccoglievano appena caduti, tornando a
lanciarli.
Non erano che una ventina,
tuttavia i pachidermi, atterriti da quella pioggia di fuoco che cadeva loro
addosso senza posa, non osavano rivoltarsi, mentre con una sola carica
avrebbero potuto spazzare e stritolare quel piccolo gruppo di nemici.
- Non muovetevi e non fate fuoco!
- aveva ripetuto precipitosamente Padada.
Gli elefanti erano già passati,
urtando i primi tronchi della macchia, senza che quelle colossali piante
avessero fortunatamente ceduto ed erano scomparsi nel più folto della foresta,
sempre perseguitati dai dayaki.
- Che siano cacciatori? -
chiese Yanez quando il fragore si perdette in lontananza.
- Che cacciavano noi, - rispose
il malese. - La nostra discesa a terra è stata notata da qualcuno che
sorvegliava l'imbarcadero e non essendo probabilmente in numero
sufficiente i dayaki che si trovavano nei dintorni, ci scagliano addosso
gli elefanti. Vedrete che faranno percorrere a quei colossi tutta la foresta,
colla speranza che c'incontrino sulla loro corsa e ci travolgano.
- Possiamo quindi rivederli
ancora?
- È probabile, signore, se non ci
affrettiamo a lasciare questa boscaglia ed a rifugiarci nel kampong di
Pangutaran.
- Siamo lontani molto ancora?
- Non ve lo saprei dire, essendo
questa parte della foresta così intricata, da non poterci né orientare, né
correre troppo. Tuttavia suppongo che giungeremo prima dell'alba.
- Prima che gli elefanti
ritornino, andiamocene. Non si trovano sempre degli alberi della canfora per
proteggerci. Mi stupisce però una cosa.
- Quale, signore?
- Come quei selvaggi abbiano
potuto radunare tanti animali.
- Li avranno incontrati per caso
non essendo domatori come i mahut siamesi o i cornac indiani, -
disse Tangusa, che assisteva al colloquio.
- Non è raro, in queste foreste,
trovare delle truppe di cinquanta e anche di cento capi.
- E si presteranno a quel giuoco?
- Continueranno a scappare finché
i dayaki avranno fiato e non cesseranno di perseguitarli coi tizzoni
accesi.
- Non credevo che quei bricconi
fossero così furbi. Amici, al trotto!
Lasciarono la macchia che li
aveva così opportunamente protetti da quella carica spaventevole e si
cacciarono entro altri macchioni formati per la maggior parte di alberi
gommiferi, di dammeri e di sandracchi, cercando alla meglio di orientarsi, non
potendo scorgere le stelle, tanto era folta la cupola di verzura che copriva la
foresta.
Fortunatamente le piante non
crescevano così l'una presso all'altra ed i cespugli e i rotangs erano
rari, sicché potevano marciare più celermente e correre anche meno rischi di
cadere in qualche agguato.
In lontananza il fragore prodotto
dagli elefanti lanciati in piena corsa si udiva ancora, ora intenso ed ora più
debole.
I poveri animali ora cacciati da
una parte, ora respinti verso l'altra, facevano il giuoco dei dayaki, i
quali sapevano abilmente guidarli dove desideravano, colla speranza che
sorprendessero il drappello in qualche luogo dell'immensa foresta.
Padada e il meticcio, sapendo
ormai di che si trattava, si regolavano a tempo per tenersi sempre lontani da
quel pericolo, conducendo il drappello in direzione opposta a quella seguìta
dai pachidermi.
Dopo una buona mezz'ora parve
finalmente che i dayaki, convinti che le tigri di Mompracem non si
trovassero in quella parte della selva, spingessero gli elefanti verso il
fiume, poiché il fragore prodotto da quella carica furibonda si allontanò verso
il sud, finché cessò completamente.
- Ci credono ancora lontani dal kampong,
- disse il pilota, dopo d'aver ascoltato per qualche po'. - Vanno a
cercarci verso il Kabatuan.
- Quanta ostinazione in quei
furfanti, - disse Yanez. - È proprio una guerra a morte che ci hanno
dichiarata.
- Eh, signor mio, - rispose
Padada, - sanno bene che se noi riusciamo a unirci a
Tremal-Naik, l'espugnazione del kampong diverrà
estremamente difficile.
- Io glielo lascio il kampong;
non ho alcuna intenzione di stabilirmi qui. Ho l'ordine di condurre a
Mompracem Tremal-Naik e sua figlia e non già di fare la
guerra al pellegrino, almeno per ora. Più tardi vedremo.
- Rinunziate a sapere chi è
quell'uomo misterioso che ha giurato un odio implacabile contro tutti voi?
- Non ho ancora pronunciato
l'ultima parola, - rispose Yanez, con un sorriso. - Un giorno faremo i conti
con quel messere. Per ora mettiamo in salvo l'indiano e la sua graziosa
fanciulla. Dove siamo ora? Mi pare che la foresta cominci a diradarsi.
- Buon segno, signore. Il kampong
di Pangutaran non deve essere molto lontano.
- Fra poco troveremo le prime
piantagioni, - disse il meticcio che da qualche minuto osservava attentamente
la foresta. - Se non m'inganno siamo presso il Marapohe.
- Che cos'è? - chiese Yanez.
- Un affluente del Kabatuan, che
segna il confine della fattoria. Alt, signori!
- Che cosa c'è?
- Vedo dei fuochi brillare
laggiù! - esclamò Tangusa.
Yanez aguzzò gli sguardi e
attraverso uno squarcio delle piante, ad una distanza considerevole, vide brillare
nelle tenebre un grosso punto luminoso che non doveva essere un semplice
fanale.
- Il kampong! - chiese.
- O un fuoco degli assedianti? -
disse invece Tangusa.
- Dovremo dare battaglia prima di
entrare nella fattoria?
- Prenderemo il nemico alle spalle,
signore.
- Tacete, - disse in quel momento
il pilota, che si era avanzato di alcuni passi.
- Che cosa c'è ancora? - chiese
Yanez, dopo qualche minuto.
- Odo il fiume rompersi contro le
rive. Il kampong si trova dinanzi a noi, signore.
- Attraversiamolo, - rispose
Yanez risolutamente, - e piombiamo sugli assedianti a passo di carica.
Tremal-Naik ci aiuterà dal canto suo come meglio potrà.
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