I due uomini, visibilmente
impressionati, uscirono dalla stanza e, salita una scala, si trovarono su una
delle terrazze del bengalow su cui si alzava la torricella o meglio il
minareto, essendo altissimo e sottilissimo, con una piccola gradinata esterna.
In pochi istanti raggiunsero la
cima che terminava in una piccola piattaforma circolare, su cui trovavasi una
grossa spingarda dalla canna lunghissima che doveva battere da quell'altezza
tutti i punti dell'orizzonte.
Il sole erasi già alzato
diffondendo sulla pianura i suoi raggi dorati, appena sorti e già subito
ardentissimi, non essendovi in quelle regioni nessuna frescura, nemmeno nelle
prime ore del mattino.
I dayaki che assediavano
il kampong, coll'apparire della luce, si erano allontanati di sei o
settecento metri, riparandosi dietro ai grossi tronchi d'alberi appositamente
abbattuti onde servirsene a modo di trincee mobili, potendo farli scorrere
innanzi o indietro, a loro piacimento.
Pareva che durante la notte
fossero aumentati di numero, perché Tremal-Naik, appena
ebbe lanciato uno sguardo all'ingiro, non potè trattenersi dall'esclamare: -
Ieri sera non ve n'erano tanti intorno a noi.
Yanez stava per chiedergli
qualche cosa, quando un secondo colpo di cannone si udì rimbombare in
lontananza, ripercuotendosi contro le cinte del kampong.
- Questo rombo viene dal
sud! - esclamò il portoghese. - Sono i cannoni da caccia della Marianna che
tirano. I dayaki hanno assalito i miei uomini.
- Sì, - confermò l'indiano, -
viene dalla parte del Kabatuan. Credi che possano respingere il nemico, coi
pezzi che hanno a loro disposizione?
- Bisognerebbe conoscere il
numero degli assalitori. Di quali forze dispone quel maledetto pellegrino?
- Ha fanatizzato quattro tribù e
ognuna deve avergli fornito non meno di centocinquanta guerrieri.
- E armati di fucili?
- Sì, Yanez. Quell'uomo
misterioso ha portato con sé un vero arsenale e perfino dei lilà e dei mirim.
Toh! Un altro colpo!
- E queste sono le spingarde! -
esclamò Yanez, facendo un gesto di rabbia.
Dalla parte dell'immensa foresta
che si estendeva verso il sud, giungevano ad intervalli delle detonazioni più
leggere e più secche che dovevano essere prodotte da pezzi a canna lunga.
Poi gli spari aumentarono
rapidamente d'intensità, formando un rimbombo incessante, come se molti pezzi
d'artiglieria e molte spingarde sparassero insieme.
Yanez era diventato pallido e
nervosissimo. Passeggiava intorno alla piattaforma come un leone in gabbia,
interrogando ansiosamente cogli sguardi tutti i punti dell'orizzonte. Anche
l'indiano era in preda ad una sovraeccitazione vivissima.
I colpi si succedevano intanto ai
colpi. Una battaglia furiosa, terribile, doveva essersi impegnata sul fiume fra
il poco numeroso equipaggio della Marianna e le grosse forze del
misterioso pellegrino.
- E non cessa! - esclamava Yanez,
che non si tratteneva più. - Se fossi là io!
- Sambigliong è un valoroso che
non si arrenderà, - rispose Tremal-Naik. - È una vecchia
tigre che la sa lunga e che sa difendersi.
- Non vi sono che sedici uomini
validi a bordo, mentre i dayaki possono essere tre o quattrocento e
forniti anche essi d'artiglieria.
- Dunque tu dubiti che la Marianna
possa resistere? - chiese Tremal-Naik con angoscia. -
Se la prendessero sarebbe finita anche per noi. E mia figlia?
- Adagio, amico, - rispose Yanez.
- I dayaki troveranno qui un osso ben duro da rodere. Ho osservato
attentamente il tuo kampong e mi sembra assai robusto. Tu sai che i
selvaggi generalmente si trovano imbarazzati dinanzi ad un ostacolo che frena
il loro slancio. Per Giove! Ed il cannone non cessa! Si massacrano laggiù.
Quanti uomini hai?
- Una ventina.
- Tutti malesi?
- Fra malesi e giavanesi, -
rispose Tremal-Naik.
- Quaranta uomini, chiusi da una
cinta così solida, possono dare del filo da torcere a quei furfanti. Sei ben
provvisto?
- Ho viveri e munizioni in
abbondanza.
- Signor Yanez! Buon giorno! -
disse in quel momento una giovane, comparendo sulla piattaforma.
Il portoghese aveva mandato un
grido:
- Darma!
Una bellissima fanciulla di forse
quindici anni, dal corpo flessuoso come una palma, con lunghi capelli neri, un
po' inanellati, la pelle del viso leggermente abbronzata e vellutata come
quella delle donne indiane, ma assai più chiara, i lineamenti perfetti che
sembravano più caucasici che indù, si era fermata dinanzi al portoghese,
fissandolo coi suoi occhi neri e scintillanti come carbonchi.
Indossava un costume mezzo
europeo e mezzo indiano, che le dava una grazia unica, composta d'un busticino
di broccatello, con ricami d'oro, d'un'ampia fascia di cascemir che le cadeva
sulle anche ben arrotondate e d'una sottanina piuttosto corta che lasciava
vedere i calzoncini di seta bianca che le scendevano fino sulle scarpettine di
pelle rossa, a punta rialzata.
- Ben felice di rivedervi, signor
Yanez, - riprese la fanciulla, tendendogli una manina da fata. - Sono due anni
che vi abbiamo lasciato.
- Abbiamo sempre da fare laggiù,
a Mompracem.
- Medita sempre spedizioni la
Tigre della Malesia? Che uomo terribile, - disse Darma sorridendo. - Ah... il
cannone! Non udite?
- È già mezz'ora che rimbomba,
figlia mia, - disse Tremal-Naik, - e annunzia forse una
grave disgrazia.
- Chi è che fa fuoco, padre?
- Sono le tigri di Mompracem.
- Che difendono la mia nave, -
aggiunse Yanez. - Tacete! Mi pare che i colpi rallentino! E non poter vedere
nulla!
Si erano tutti curvati sul
parapetto della piattaforma, ascoltando ansiosamente.
Non si udivano più che a rari
intervalli le secche detonazioni delle spingarde e la cupa voce dei pezzi da
caccia.
Ad un tratto si fece un gran
silenzio, come se la battaglia fosse bruscamente cessata.
- Hanno vinto o sono stati
schiacciati? - si chiese Yanez che si sentiva bagnare la fronte di sudore.
Ad un tratto una formidabile
detonazione attraversò gli strati d'aria e si propagò con tale intensità che la
torre tremò dalla base alla cima. Yanez aveva mandato un grido, mentre
Tremal-Naik e Darma erano diventati pallidissimi.
- Mio Dio, che cosa è successo? -
chiese la fanciulla.
- La mia Marianna deve
essere saltata in aria, - rispose Yanez con voce rotta. - Poveri i miei uomini!
Un dolore intenso traspariva sul
viso del portoghese, mentre qualche cosa di umido brillava nei suoi occhi.
- Yanez, - disse
Tremal-Naik, con voce affettuosa, - noi non abbiamo ancora
la certezza che la tua nave sia saltata.
- Questo rombo spaventevole non
può essere stato prodotto che dallo scoppio della santabarbara, - rispose il
portoghese. - Io che ne ho vedute saltare tante delle navi, non mi posso
ingannare. Che la Marianna sia calata a fondo non me ne importa, avendo
noi a Mompracem velieri in buon numero. Sono i miei uomini che rimpiango.
- Possono avere lasciata la nave
prima che scoppiasse. Chissà, forse sono stati essi stessi a dar fuoco alle
polveri onde non cadere nelle mani dei dayaki.
- Può essere vero, -
rispose Yanez, che aveva riacquistata la sua calma.
- Vi era qualcuno a bordo che
sapesse dove si trova il mio kampong?
- Sì, il corriere che ti
abbiamo mandato sei mesi fa.
- Quell'uomo allora, se è
sfuggito alla morte, potrebbe condurre qui i superstiti.
- E passare attraverso le file
dei dayaki! Ecco un'impresa che sarà ben difficile per così pochi
uomini. E poi, quand'anche giungessero qui, la nostra situazione non
migliorerebbe.
- È vero, - rispose l'indiano. -
Come potremo scendere il fiume senza la tua nave?
- Cercheremo dei canotti, padre,
- disse Darma.
- Per esporsi ad un fuoco
incessante senza alcun riparo? Chi giungerebbe vivo alla foce del fiume?
- Guarda i dayaki, - disse
in quel momento Yanez.
Gli assedianti, che dovevano aver
pure udito quello scoppio formidabile e anche quel vivo cannoneggiamento,
avevano abbandonate le loro trincee mobili, ritirandosi verso le foreste che
circondavano la pianura, come se avessero l'intenzione di togliere il blocco.
- Se ne vanno, padre! - esclamò
Darma. - Che abbiano compreso che era inutile ostinarsi contro questo kampong?
- Yanez, - disse
Tremal-Naik, - che il pellegrino sia stato invece sconfitto
e che abbia mandato qui qualche corriere per far ritirare gli assedianti?
- O che cerchino di trarci in
qualche agguato? - chiese invece il portoghese.
- In qual modo?
- Colla speranza che noi
approfittiamo della loro ritirata per abbandonare il kampong e poi
assalirci in piena foresta con tutte le loro forze. No, mio caro
Tremal-Naik, non sarò così sciocco io, da abboccare
all'amo. Finché non sapremo la sorte toccata alla mia Marianna, noi non
lasceremo questa fattoria dove potremo difenderci lungamente, nel caso che il
mio equipaggio sia stato distrutto. Mettiamo qui una sentinella e pel momento
non preoccupiamoci delle manovre insidiose di quei furfanti.
- Signor Yanez, - disse Darma. -
Venite a prendere un po' di riposo, intanto, ed a far colazione.
Non udendo più alcun colpo di
cannone, quantunque fossero tutti angosciati per la sorte che poteva essere
toccata all'equipaggio della Marianna, scesero nella sala pianterrena
dove i servi del kampong avevano preparata un'abbondante refezione
all'inglese, con carne fredda, burro e thè con biscotti.
Terminato il pasto e mandato il
meticcio sulla torricella onde li avvertisse delle mosse degli assedianti,
fecero una minuta ispezione alle cinte e alle opere di difesa, onde essere
pronti a sostenere anche un lungo assedio.
Erano trascorse già tre ore dallo
scoppio, quando udirono Tangusa gridare dall'alto del minareto: - All'armi!
E subito dopo rimbombarono alcuni
spari.
Yanez e
Tremal-Naik si erano precipitati verso la piattaforma più
alta della cinta, da cui potevano dominare buon tratto della pianura.
Vi erano appena giunti, quando
videro un piccolo drappello d'uomini uscire dalla foresta a corsa sfrenata,
sparando sui dayaki che accorrevano da tutte le parti come per tagliare
loro il passo.
Due grida erano sfuggite alle
labbra del portoghese e dell'indiano:
- Le tigri di Mompracem!
Sambigliong!
Poi lanciarono due grida
tuonanti:
- Fuoco le spingarde!
- Alzate la saracinesca ai nostri
amici!
I pirati che avevano scortato
Yanez, vedendo i loro compagni alle prese cogli assedianti, si erano gettati
sulle tre spingarde che difendevano la cinta dalla parte meridionale,
scaricando quasi contemporaneamente.
I dayaki, udendo quegli
spari e vedendo cadere parecchi compagni, avevano aperte le file rifugiandosi
precipitosamente nella foresta.
Sambigliong e il suo drappello,
trovando il passo libero, si erano slanciati verso il kampong a tutta
corsa, non cessando di sparare.
La saracinesca era stata alzata e
parte della guarnigione era mossa incontro a loro per sostenerli nel caso che i
dayaki tornassero alla riscossa e anche per guidarli attraverso il
boschetto spinoso.
I superstiti della Marianna non
erano che una mezza dozzina. Erano neri di polvere, madidi di sudore, ansanti,
colle vesti stracciate e insanguinate ed avevano la schiuma alle labbra per la
lunga corsa che doveva essere durata non meno di tre ore. Il corriere, che
conosceva la via, per fortuna era insieme a loro.
- La mia nave? - gridò Yanez,
correndo incontro a Sambigliong.
- Saltata, capitano, - rispose il
mastro con voce rantolante.
- Da chi?
- Da noi... non potevamo più
resistere... erano centinaia e centinaia di selvaggi che ci piombavano
addosso... tutti i nostri compagni sono stati uccisi... anche i feriti... ho
preferito dar fuoco alle polveri...
- Sei un valoroso, - gli disse
Yanez, con voce profondamente commossa.
- Capitano... vengono... sono
molti... preparatevi alla resistenza.
- Ah! vengono! - esclamò Yanez
con voce terribile. - Vendicheremo i nostri morti!
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