Le orde dei dayaki sbucavano
in quel momento dalle foreste a gruppi, a drappelli, senza ordine alcuno,
lanciati tutti a corsa sfrenata.
Ululavano come belve feroci,
agitando forsennatamente i loro pesanti kampilang d'acciaio lucentissimo
e sparando in aria qualche colpo di fucile.
Parevano furibondi e
probabilmente lo erano per non aver potuto raggiungere e decapitare gli ultimi
difensori della Marianna, che più riposati e fors'anche più lesti, erano
riusciti a rifugiarsi nella fattoria prima di lasciarsi prendere.
- Per Giove! - esclamò Yanez che
li osservava attentamente dall'alto della cinta, - sono in buon numero quei
bricconi e quantunque la loro istruzione militare lasci molto a desiderare, ci
daranno dei gravi grattacapi.
- Non sono meno di quattrocento,
- disse Tremal-Naik.
- Là! Hanno anche un parco
d'assedio, - aggiunse il portoghese, vedendo uscire dalla boscaglia un grosso
drappello che trascinava una dozzina di lilà ed un mirim. - Canaglia
d'un pellegrino! Pare che se ne intenda di cose di guerra e che abbia dedicate
tutte le sue cure alla sua artiglieria. Non marciano mica male, gli artiglieri!
Manovrano come coscritti di tre mesi!
- E non tirano male, ve lo
assicuro, capitano, - disse Sambigliong. - Battevano la Marianna per
bene, prendendola d'infilata da prora a poppa.
- Che quel dannato pellegrino sia
stato prima soldato? - si chiese Yanez. - Chi diavolo può essere quell'uomo
misterioso?
- Yanez, - disse
Tremal-Naik, guardandolo con una certa espressione, - credi
tu che noi potremo resistere a lungo?
- Come artiglieria siamo
debolucci in confronto a loro, - rispose il portoghese, - ora che non abbiamo
più i nostri due pezzi da caccia, ma prima che gli assedianti montino
all'assalto, ci vorrà del tempo e decimeremo per bene le loro colonne, se
vorranno tentare di espugnare a viva forza la nostra fortezza. Basta che i
viveri e le munizioni non ci vengano a mancare.
- Ti ho già detto che siamo ben
forniti, specialmente dei primi. Tutte le tettoie ne sono piene.
- Allora terremo duro fino a che
tornerà Kammamuri. Sapendoci in pericolo, Sandokan non indugerà a mandarci
altri soccorsi. Quanto avrà impiegato a raggiungere la costa?
- Non meno d'una settimana.
- Sicché a quest'ora dovrebbe
essere a Mompracem.
- Lo spero, se i dayaki non
lo hanno ucciso, - rispose Tremal-Naik.
- Uhm! Assalire un uomo che è
scortato da una tigre! Nessuno avrebbe osato attaccarlo. Quindi, a conti fatti,
fra una quindicina di giorni potrebbe essere qui. Terremo duro fino allora e
intanto cercheremo di divertire i dayaki facendoli ballare a colpi di
mitraglia.
- E se Sandokan non ci mandasse
soccorsi?
- In tal caso, mio caro amico, ce
ne andremo, - rispose Yanez, colla sua calma abituale.
- Con tutti questi assedianti?!
- Vedremo se fra quindici giorni
saranno così numerosi. Non caricheremo già le spingarde con patate e le
carabine con uova di passeri. Terminiamo la nostra ispezione, mio caro
Tremal-Naik, e vediamo di fortificare i punti più deboli.
Dobbiamo resistere e resisteremo.
Mentre riprendevano il loro giro,
i dayaki si erano accampati intorno alla fattoria, tenendosi fuori di
portata dai tiri delle spingarde, costruendo rapidamente, con rami e con foglie
di banano, delle capannuccie per ripararsi dagli ardenti raggi del sole, mentre
i loro artiglieri innalzavano senza indugio delle piccole trincee formate di
terra e sassi e piazzavano i loro pezzi in modo da poter battere la fattoria
tutta all'intorno. Quei cannoni non potevano recare quindi danno alle massiccie
tavole che formavano la cinta, essendo il tek un legno durissimo che
offre una grande resistenza, tuttavia quando Yanez, terminata l'ispezione, salì
sulla torricella con Tremal-Naik e Sambigliong, per
dominare tutta la pianura, non potè frenare un gesto di stizza.
- Quel pellegrino deve essere
stato un soldato, - ripetè. - I dayaki non avrebbero mai pensato
innalzare delle trincee, né a scavare dei fossati per ripararsi dai tiri degli
avversari.
- Lo vedi? - chiese in quel momento
Tremal-Naik.
- Chi?
- Il pellegrino.
- Come! Osa mostrarsi?
- Guardalo là, in piedi su quel
tronco d'albero che gli artiglieri hanno fatto rotolare dinanzi al mirim per
rinforzare la trincea.
Yanez guardò attentamente nella
direzione indicata, poi, tratto da una tasca un binoccolo di marina, lo puntò.
Sul tronco stava un uomo molto
alto e molto secco, vestito tutto di bianco, con alamari d'oro, con scarpe
rosse a punta rialzata come usano i ricchi bornesi di Bruni ed il capo difeso da
un ampio turbante di seta verde che gli calava fino sugli occhi.
Pareva che avesse cinquanta o
sessanta anni. La sua pelle era assai abbronzata, ma non così oscura né opaca
come quella dei malesi e dei dayaki e anche i suoi lineamenti, che Yanez
distingueva benissimo, erano molto più fini e più perfetti di quelli delle due
razze dominanti le grandi isole malesi.
- Parrebbe un arabo o un birmano,
- disse Yanez, dopo di averlo osservato a lungo. - Un dayako no di certo
e nemmeno un malese. Da dove sarà piombato costui?
- Non lo hai mai veduto? - chiese
Tremal-Naik.
- Frugo e rifrugo nella mia
memoria e mi convinco sempre più di non aver mai avuto a che fare con
quell'uomo, - rispose il portoghese.
- Eppure in qualche luogo dobbiamo
averlo veduto. Il suo odio contro di me e anche contro di voi, avendo udito
narrare che dopo di me si sarebbe anche occupato delle tigri di Mompracem, deve
essere stato motivato da qualche cosa.
- Ah! Vorrebbe prendersela anche
con Mompracem, - disse Yanez, sorridendo. - Si capisce che non conosce ancora
quanto valgono i nostri Tigrotti.
- Si provi a rovesciare le sue
orde sulle coste della nostra isola! Vedrà quanti dayaki torneranno alle
loro natie foreste. Ah! La danza di guerra! Brutto indizio.
- Che cosa vuol dire, Yanez?
- Che i dayaki si
preparano alla pugna. Si esaltano prima colla danza quando mettono mano ai kampilang.
Sambigliong, va' ad avvertire i nostri uomini di tenersi pronti e fa'
portare le spingarde ai quattro angoli della fattoria, onde possano battere
tutti i punti dell'orizzonte. Quando i dayaki si muoveranno, verremo noi
a dirigere la difesa.
Un centinaio e mezzo di
guerrieri, che tenevano in ambo le mani una sciabola, si erano staccati dal
grosso su quattro colonne avanzandosi verso il kampong, per eseguire la
danza di guerra.
Giunti a cinquecento passi dalla
cinta, mandarono un urlo altissimo, un urlo di sfida, poi formarono quattro
circoli, mettendosi a ballare disordinatamente.
Nel centro avevano deposto i loro
kampilang, incrociando l'uno coll'altro in modo da occupare un vasto
spazio, poi alcuni avevano tratto dai panieri che portavano appesi al fianco,
alcune teste umane che parevano recise di recente, collocandole fra i gruppi
formati dalle sciabole.
Vedendo quelle teste, Yanez aveva
fatto un gesto d'ira, a malapena represso.
- Miserabili! - aveva esclamato.
- Appartenevano ai tuoi uomini, è
vero mio povero amico? - disse Tremal-Naik.
- Sì, - rispose il portoghese. -
Devono aver pescato i cadaveri lanciati nel fiume dall'esplosione, per
impadronirsi delle loro teste. Noi non faremo altrettanto ma, vivaddio,
contraccambieremo con piombo senza risparmio.
- Vuoi che li mitragliamo giacché
sono a buona portata?
- Non ancora. Dobbiamo lasciare a
loro di sparare il primo colpo.
I dayaki intanto
continuavano a sgambettare come scimmie o come ubriachi in delirio, ululando
spaventosamente, dimenando le braccia e contorcendosi, mentre alcuni suonatori
percuotevano con delle mazze dei tamburoni di legno coperti con una pelle di
tapiro.
Ora i danzatori procedevano a
passo cadenzato, poi spiccavano salti come se calpestassero dei carboni accesi,
finalmente si davano ad una corsa pazza, impugnando certe specie di kriss, come
se inseguissero dei nemici fuggenti.
Quella danza durò una buona
mezz'ora, poi, i guerrieri esausti, trafelati, rientrarono nei loro
accampamenti.
Successe un profondo silenzio che
si prolungò per alcuni minuti, poi un urlo formidabile, mandato da tutti i
combattenti, echeggiò nella pianura, propagandosi sotto i boschi che la
circondavano.
- Si preparano all'attacco? -
chiese Tremal-Naik a Yanez che aveva puntato nuovamente il
binocolo.
- No: vedo un uomo che esce dalla
tettoia abitata dal pellegrino con una banderuola verde infissa su una lancia.
- Che ci mandi un parlamentario?
- Sembra, - rispose il
portoghese.
- A proporci la resa?
- La pace no di certo.
Un dayako, un qualche
famoso guerriero a giudicarlo dalle lunghe penne che gli ornavano la testa e
dalla straordinaria quantità di braccialetti di ottone che portava alle braccia
e alle caviglie, aveva lasciato il campo, seguìto da un altro che reggeva a
stento uno di quei grossi tamburi di legno che avevano servito poco prima per
accompagnare i danzatori.
- Cospettaccio! - esclamò il
portoghese. - Ecco un parlamentario in piena regola; invece d'avere un
trombettiere ha un tamburino o meglio un tamburone. Quel pellegrino deve essere
un uomo civilissimo. Scendiamo, Tremal-Naik, e andiamo a
udire che cosa ci manda a dire il generalissimo dei dayaki.
- Avevano appena lasciata
la torretta e raggiunta la terrazza che si alzava sopra la saracinesca,
quando il parlamentario giunse, chiedendo di voler parlare all'uomo bianco.
- Non sono io il padrone del kampong,
- disse il portoghese, curvandosi sul parapetto e guardando con
curiosità il guerriero ed il suo tamburino.
- Non importa, - rispose il
parlamentario. - Il pellegrino della Mecca, il discendente del gran Profeta, desidera
che io comunichi solamente coll'uomo bianco, il fratello della Tigre della
Malesia.
- Per Giove! - esclamò Yanez,
ridendo. - Due fratelli di colore diverso! Quel pellegrino deve essere un
grande sciocco.
Poi alzando la voce, proseguì:
- Mi dirai allora che cosa ha da
dirmi il discendente del Profeta.
- Egli ti manda a dire che
accorda per ora la vita a te ed ai tuoi uomini, a condizione che tu gli ceda
Tremal-Naik e sua figlia.
- E per cosa farne di loro?
- Per decapitarli, - rispose
candidamente il guerriero.
- Mi dirai almeno per quale
motivo.
- Allah così vuole.
- Dirai allora che il mio Allah
invece non lo vuole e che io sono qui venuto per far rispettare il suo
desiderio e che sono pronto a difendere i miei amici.
- Ti ripeto che Allah ed il
Profeta hanno decretato la morte di quell'uomo e di quella fanciulla.
- Io me ne infischio di loro e di
quell'imbroglione di pellegrino che vi ha fanatizzati dandovi da bere delle
panzane.
- Il pellegrino è uomo che ha
compiuto dei miracoli sotto i nostri occhi.
- E non sotto i miei e gli dirai
anzi che lo sfido a farne qualcuno. Fino a prova contraria non lo crederò altro
che un intrigante che abusa della vostra dabbenaggine o dei vostri istinti
sanguinari.
- Io andrò a riportare a lui le
parole dell'uomo bianco.
- Senza fretta, giacché noi non
ne abbiamo, - disse Yanez, ironicamente.
Il tamburino fece echeggiare per
tre volte il suo pesantissimo istrumento che risuonò come il tuono udito in
lontananza, poi i due selvaggi tornarono verso l'accampamento dove tutti i
guerrieri pareva che li aspettassero con viva impazienza.
- Quel pellegrino deve essere il
più gran furbo che viva sotto la cappa del cielo, - disse Yanez a
Tremal-Naik, quando i due parlamentari si furono allontanati.
- Che specie di miracoli può aver compiuto quell'uomo per persuadere i dayaki
d'essere un semi-dio? Vorrei saperlo.
- Qualche cosa deve evidentemente
aver fatto, - rispose l'indiano. - Non ci si impone da un momento all'altro a
questi selvaggi che sono per natura diffidenti.
- Armi, denari e miracoli! -
esclamò Yanez. - Con tuttociò si domano anche gli antropofagi della Malesia. E
non sapere per quali cause quell'uomo se la prende con noi!
- Con me e con mia figlia, -
corresse Tremal-Naik.
- Per ora e poi?... E poi non mi
fiderei delle promesse di quell'impostore. Toh! Ecco il parlamentare che
ritorna. Comincia a diventare noioso lui e anche il suo tamburone. Se si mostra
ancora gli farò tirare nelle gambe una scarica di pallottole o di chiodi.
- Uomo bianco, - disse il
parlamentario, quando giunse sotto il terrazzo, - il pellegrino mi manda a dire
che egli compirà dinanzi a te un miracolo stupefacente che nessun altro uomo
potrebbe fare, per dimostrare a te ed ai tuoi uomini la sua invulnerabilità.
- Vuole che io provi sul suo
corpo la penetrazione delle palle della mia carabina? - chiese Yanez
beffardemente.
- Egli si propone di eseguire
dinanzi ai tuoi occhi la prova del fuoco e vuol mostrarti come ne uscirà
incolume per la protezione celeste che gode. Chiede solo che tu gli conceda una
zona di terreno in prossimità del kampong, in modo che tu possa ben
osservarlo.
- E poi?
- Non ti basta?
- Domando che cosa farà dopo.
- Aspetterà la tua decisione.
- Che sarebbe?
- Di consegnargli nelle sue mani
l'indiano e sua figlia, perché dopo una simile prova non ti rimarrà più alcun
dubbio che egli non sia un semi-dio, contro cui nessuno
potrebbe lottare, né tu, né i tuoi uomini e nemmeno la Tigre della Malesia,
quantunque la si dica invincibile.
- Giacché il pellegrino è così
gentile da offrirci uno spettacolo, digli che noi non ci opponiamo. Ci servirà
almeno di svago.
- Tu non credi, uomo bianco, che
il pellegrino possa subire una simile prova?
- Te lo saprò dire quando avrò
veduto quel miracolo.
- E ti arrenderai allora?
- Questo poi non te lo posso dire
per ora.
- I tuoi uomini disarmeranno
subito e ti abbandoneranno.
- Va bene: aspetterò che gettino
a voi i loro fucili, - rispose Yanez col suo sorrisetto ironico.
Non era trascorso un quarto d'ora
da che i due parlamentari avevano fatto ritorno per la seconda volta
all'accampamento, quando Yanez e Tremal-Naik, che
non avevano abbandonato il terrazzo, curiosi di godersi quel miracolo, videro
due drappelli di dayaki, formati d'una quindicina d'uomini ciascuno, tutti
disarmati, accostarsi al kampong portando delle grandi ceste colme di
pietre, per la maggior parte piatte, che dovevano aver raccolte di certo nel
letto di qualche ruscello.
Si fermarono a cinquanta passi
dal terrazzo e si misero a disporle in modo da formare una specie di aia, larga
una mezza dozzina di metri e lunga il doppio.
- Preparano il letto del
braciere, - disse Yanez a Tremal-Naik che lo interrogava.
Ripartiti i due drappelli, se ne
avanzarono due altri carichi di legname resinoso che accumularono sulle pietre
e che poi accesero lasciandolo avvampare per un paio d'ore. Yanez,
Tremal-Naik e tutta la guarnigione, eccettuate le
sentinelle, avevano assistito pazientemente a quei preparativi, tenendosi al
riparo degli alberi i cui rami fronzuti proiettavano una fresca ombra sulle
terrazze costruite sulla cinta per permettere ai difensori di far fuoco più
comodamente.
I dayaki, che da quanto si
poteva capire, ci tenevano a mostrare all'uomo bianco, - essere superiore per
loro, - i miracoli del pellegrino, a poco a poco si erano radunati intorno al
falò, senza che i difensori del kampong si fossero presi la briga di
protestare, essendosi avanzati tutti inermi.
- Ecco un divertimento che non
godremo mai più, - aveva detto Yanez, - e che non produrrà alcun effetto,
almeno sui miei Tigrotti.
- E nemmeno sui miei malesi e
giavanesi, - aveva aggiunto Tremal-Naik. - Già non credono
in Allah come questi fanatici imbecilli. Chi può essere stato a far conoscere a
questi selvaggi la religione maomettana?
- Gli arabi antichi, mio caro, -
rispose il portoghese.
- Non sai tu che quegli intrepidi
navigatori conoscevano e percorrevano queste regioni, quando gli europei non
sapevano nemmeno che esistessero in questa parte del globo le grandi isole
malesi?
Tu non conosci certo Tolomeo che
visse 166 anni dopo la nascita di Gesù Cristo, il dio dei cristiani. Ti posso
però dire che fino da quell'epoca gli arabi conoscevano perfettamente i malesi,
la Chersoneso Aurea ove si poneva il monte Ofir, che altro non sarebbe che
Sumatra; Glabadiva che è l'attuale Giava; i Satiri che sono Battias, gli
antropofagi. Eh! Guarda il pellegrino che si avanza! Quel birbone si lascerà
bruciare le piante dei piedi per dare ad intendere ai suoi fanatici che è un
semi-dio, un essere superiore, un vero discendente del gran
Profeta? Io ammiro la sua forza d'animo.
- Ed io vorrei ucciderlo con un
buon colpo, - rispose Tremal-Naik.
- Non commettiamo un simile
assassinio, amico mio. Dobbiamo essere gli ultimi a rispondere alle
provocazioni. Siamo persone civili, noi.
Un urlo immenso li avvertì che il
pellegrino stava per lasciare l'accampamento onde mostrare all'uomo bianco ed
ai suoi guerrieri la sua invulnerabilità e la sua potenza di essere superiore.
Darma, la gentile e graziosa
anglo-indiana, aveva raggiunto suo padre e Yanez. Anche i
Tigrotti di Mompracem si erano radunati sul terrazzo, appoggiando le carabine
ai parapetti, temendo qualche sorpresa da parte di quei selvaggi nei quali non
avevano nessuna fiducia.
Il pellegrino si avanzava verso
la via formata dalle pietre, rese ardenti da due ore di fuoco continuo.
Aveva sul capo il suo turbante
verde ed il viso nascosto da un piccolo drappo di seta d'egual colore. Il corpo
invece era avvolto in una specie di camicia assai attillata, di nanchino
giallo, che gli scendeva fino alle ginocchia ed i suoi piedi erano nudi.
- O che quell'uomo è un gran
ciurmadore o è una vera salamandra, - disse Yanez.
- Forse che i fakiri dell'India
non passeggiano sui tizzoni ardenti invece che sulle pietre arroventate? -
disse Tremal-Naik. - Non ricordi della festa di Darma
Ragia, dove tu hai conosciuto l'adorabile Surama, la nipote del rajah di
Gualpara?
- Per Giove! Se me ne ricordo, -
rispose Yanez.
- Anche in quella festa i
fanatici correvano sulle brace.
- Ma uscivano da quell'inferno zoppi,
mentre questo demonio di pellegrino promette di passeggiare su quelle pietre
scaldate a bianco senza alcun malanno.
- Lo vedremo, Yanez, a meno che
non sia un gran fakiro.
- Apri gli occhi, Darma, -
disse Yanez, vedendo la fanciulla curvarsi sul parapetto. - Non mi fido di quei
bricconi.
- Che cosa temete, signor Yanez?
- Eh! Un colpo di carabina si fa
presto a spararlo.
- Non hanno alcuna arma, -
rispose Darma.
- Sì, visibile. Avanti, signor
discendente di Maometto, mostrateci il vostro miracolo.
Il misterioso avversario di
Tremal-Naik era giunto dinanzi all'aia lastricata di pietre
che doveva proiettare un calore assolutamente intollerabile.
Stette un momento raccolto in se
stesso, colle mani alzate e gli sguardi fissi verso occidente, ossia in
direzione del lontanissimo sepolcro del Profeta, agitò per qualche po' le
labbra come se recitasse una preghiera, poi si slanciò risolutamente sulle
pietre, gridando per tre volte, con voce rimbombante:
- Allah! Allah! Allah!
Quindi con passo sicuro,
insensibile all'ardente calore che saliva dalle pietre, coi piedi e le gambe
nude, s'avanzò sull'aia, a passi lenti, senza che gli sfuggisse un moto che
tradisse qualche dolore.
I dayaki, stupiti,
ammaliati da una simile prova, lo guardavano con profonda ammirazione, alzando
le braccia.
Quell'uomo per loro doveva essere
assolutamente un semi-dio, un vero discendente del grande
Profeta.
Il pellegrino compiuta la
traversata si fermò un momento, poi ritornò sui suoi passi, sempre calmo,
sempre impassibile, come se passeggiasse su un prato anziché su delle pietre
che potevano cuocere benissimo del pane.
- Costui deve essere un figlio di
compare Belzebù! - esclamò Yanez, che non poteva fare a meno di ammirare lo
stoicismo di quell'uomo. - Come può resistere a quel calore? Eppure i suoi
piedi sono nudi e qui non vi può essere alcun trucco.
- Quell'uomo deve essere
insensibile come una vera salamandra, - rispose
Tremal-Naik.
Il pellegrino, compiuta la
seconda prova, volse il viso mascherato dal drappo verso Yanez, guardandolo per
qualche istante, poi si allontanò a lenti passi, dirigendosi verso la sua
tettoia, mentre i dayaki, in preda ad una vera esaltazione, urlavano a
squarciagola:
- Allah! Allah! Allah!
Qualche minuto dopo, mentre i
guerrieri raggiungevano i loro accampamenti, precipitandosi verso il
pellegrino, il parlamentario, accompagnato dal suo tamburino, si presentava per
la terza volta sotto la terrazza.
- Che cosa vuoi ancora, uomo
noioso? - gli chiese Yanez.
- Vengo a chiederti se dopo una
simile prova data dal discendente del gran Profeta tu ti sei deciso ad
arrenderti, - disse il guerriero.
- Ah! È vero, dovevo darti una
risposta, - disse Yanez. - Dirai dunque al figlio o nipote o pronipote di
Maometto, che io lo ringrazio dell'interessante spettacolo che si è degnato di
offrire a noi, poveri miscredenti.
Poi levandosi, con un gesto
superbo, un magnifico anello che portava in un dito, lo gettò al parlamentario
stupito, aggiungendo:
- E questa è la sua ricompensa!...
|