Dieci minuti dopo Yanez e
Tremal-Naik, assicuratisi che i dayaki avevano
sgombrato anche la zona alberata e che tutti si erano ripiegati sui loro
accampamenti, certi di non venire più disturbati, almeno per quella notte,
lasciavano la terrazza per raggiungere il maharatto.
L'uragano stava per calmarsi. La
nera nube si era squarciata e attraverso uno strappo mostravasi la luna.
Solo in lontananza il tuono continuava
a brontolare e si udiva il vento ululare sinistramente sotto le folte foreste
che circondavano la pianura.
Trovarono Kammamuri nel salotto
da pranzo, seduto dinanzi alla tavola, che divideva fraternamente un pollo
arrostito colla tigre.
- È finita la battaglia, padrone?
- chiese, rivolgendosi a Tremal-Naik.
- E spero che non avranno più
desiderio di ritornare per qualche tempo, - rispose l'indiano. - È la seconda
sconfitta che subiscono.
- Quali nuove rechi da Mompracem?
- chiese Yanez, sedendosi di fronte al maharatto. - Io sono
stupito di averti veduto giungere senza una scorta. Gli uomini non mancano a
Mompracem.
- È vero, signor Yanez, ma anche
là sono non meno necessari di qui, - rispose il maharatto.
Il portoghese e anche
Tremal-Naik avevano fatto un gesto di stupore.
- Padrone, signor Yanez, io reco
da Mompracem delle gravi notizie.
- Spiegati meglio, - disse il
portoghese. - Chi può minacciare il covo delle tigri di Mompracem?
- Un nemico non meno misterioso
del pellegrino, appoggiato dagli inglesi di Labuan e dal nipote di James
Brooke, il nuovo rajah di Sarawak.
Yanez aveva lasciato cadere un
pugno così formidabile sul tavolo, da far traballare i bicchieri e le
bottiglie.
- Anche Mompracem minacciata! -
esclamò.
- Sì, signor Yanez, e la cosa è
più grave di quello che credete. Il governatore di Labuan ha notificato a
Sandokan che deve prepararsi a sgombrare l'isola.
- La nostra Mompracem? E per
quale motivo?
- Egli ha scritto alla Tigre che
la presenza degli antichi pirati costituisce un pericolo permanente per la
tranquillità e per lo sviluppo della colonia inglese; che l'isola è troppo
vicina e troppo difesa; e che infine serve d'incoraggiamento ai pirati bornesi
i quali cominciano ad alzare la testa e scorrere il mare, contando
sull'appoggio vostro.
- Menzogne! Noi da molti anni
abbiamo rinunciato alle nostre scorrerie e non prestiamo più appoggio ai
bornesi, che scorazzano i mari della Malesia.
- Sono infamie! - gridò
Tremal-Naik. - È questa la ricompensa che l'Inghilterra
riserbava pei valorosi che hanno liberata l'India dagli strangolatori? Hanno
ben ragione di chiamare quel governo l'insaziabile leopardo.
- E Sandokan, che cosa ha
risposto a quell'insolente governatore? - chiese Yanez.
- Che è pronto a difendere la
propria isola e che non cederà dinanzi ad alcuna minaccia.
- E sta fortificandosi?
- Ha fatto arruolare già cento
dayaki di Sarawak e a quest'ora li avrà ricevuti. Voi sapete che contate
ancora dei fidi amici fra gli antichi partigiani di Muda Hassim, il competitore
di James Brooke, lo sterminatore dei pirati.
- Sì, vi son laggiù delle
persone che si ricordano ancora che fummo noi a rovesciare Brooke e rimandarlo
in Inghilterra senza una ghinea, - rispose Yanez. - E chi è che ha mosso tutta
questa guerra? Qui i dayaki fanatizzati da un pellegrino che vogliono la
testa del tuo padrone; là gli inglesi aizzati da chissà chi, giacché fino a
poche settimane or sono noi vivevamo in buoni rapporti col governatore di
Labuan.
- E pare che vi sia anche il
rajah di Sarawak della partita, il nipote di Brooke, - aggiunse
Kammamuri. - Una nave di quel reame, senza alcun motivo plausibile, ha
affondato in questi giorni un praho di Sandokan lasciando affogare
l'intero equipaggio. Mandata la Marianna a dargli la caccia e chiedere
al comandante spiegazioni e riparazioni, per tutta risposta l'equipaggio
ricevette l'intimazione di seguirlo a Sarawak.
- Ciò che non avrà fatto,
suppongo, - disse Tremal-Naik.
- No, ma dovette ritornare più
che in fretta a Mompracem sotto il fuoco d'una nave a vapore giunta
improvvisamente per sostenere la prima, e che portava pure sul picco le
bandiere del rajah.
-
Tremal-Naik, - disse Yanez che si era alzato e che passeggiava
nervosamente per la sala. - Mi viene un sospetto.
- E quale?
- Che tutta questa congiura sia
opera del rajah per vendicare la caduta di suo zio e che si sia
accordato col governo inglese. Già noi siamo una spina per Labuan, che è così
prossima a Mompracem e che noi molti anni fa per poco non abbiamo espugnata e
conquistata.
- Non solo, signor Yanez, vi è
qualche altro nella partita, - disse Kammamuri.
- E chi?
- Sapete che cosa mi ha raccontato
l'ex servo del mio padrone che mi ha aiutato ad attraversare gli accampamenti
dei dayaki e giungere qui inosservato?
- Che cosa? - chiesero ad una
voce Yanez e Tremal-Naik.
- Che il pellegrino che ha
fanatizzato i dayaki e che li ha armati e pagati largamente, non è un
arabo, come lo si è creduto finora, bensì un indiano.
- Un indiano! - esclamarono i due
amici.
- E ho da dirvi qualche cosa di
più grave ancora, che vi farà aprire di più gli occhi e meglio comprendere con
quale nemico noi abbiamo da fare. L'ex servo ha aggiunto d'averlo sorpreso una
notte in una capanna inginocchiato dinanzi ad una bacinella piena d'acqua
contenente dei piccoli pesci rossi, dei manghi del Gange, di certo.
- Per Giove! - esclamò Yanez,
fermandosi di colpo, mentre Tremal-Naik balzava in piedi
col viso alterato. - Un bacino con dei pesci dentro!
- Sì, signor Yanez.
- Allora quell'uomo è un thug!
- esclamò Tremal-Naik con accento di terrore.
- Deve essere tale perché
solamente gli strangolatori indiani adorano i manghi del Gange che, secondo le
loro credenze, incarnano l'anima della dea Kalì, - rispose Kammamuri.
Per alcuni istanti nella sala
regnò un profondo silenzio. Perfino Darma, la superba tigre ammaestrata,
divorava la sua cena senza più brontolare, come se avesse compresa la gravità
eccezionale della situazione.
- Udiamo, - disse ad un tratto
Yanez, che aveva riacquistato subito il suo sangue freddo. - Chi è l'uomo che
ti ha raccontato ciò?
- Karia, un dayako che fu
ai nostri servigi e che ora si trova nel campo dei ribelli, un uomo
intelligentissimo che corseggiò i mari parecchi anni. Un giorno gli ho salvato
la vita, mentre una tigre stava per divorarlo ed ha conservato a me un po' di
riconoscenza. È stato lui, come vi dissi, a farmi attraversare le linee dei
ribelli.
- Dove lo avevi trovato? - chiese
Tremal-Naik.
- Nella foresta, mentre io
cercavo di accostarmi inosservato al kampong. Invece di tradirmi e di
consegnarmi al pellegrino, mi guidò qui, dopo d'avervi avvertiti, con una
freccia ed un mio biglietto, della mia presenza.
- Possiamo quindi fidarci di
quanto ti ha narrato? - disse Yanez.
- Pienamente; e poi non ha mai
udito parlare dei thugs indiani ed è rimasto molto meravigliato quando
mi udì a dire che se il pellegrino adorava di nascosto i pesci non era
mussulmano.
- Yanez, - disse
Tremal-Naik, che era ancora in preda ad una profonda
agitazione, - che cosa pensi di fare?
Il portoghese, appoggiato alla
tavola, con una mano sulla fronte e la testa china, pareva che meditasse
profondamente.
- Siamo stati degli stupidi, -
disse ad un tratto. - Io mi chiedo come mai non abbiamo pensato che quel
dannato pellegrino potesse essere un thug! Eppure l'odio che ha
contro di te, Tremal-Naik, che hai rapito prima loro la Vergine
della pagoda e poi hai strappato pur loro tua figlia Darma, che doveva
surrogare sua madre, doveva bastare per aprirci gli occhi.
Poi, dopo un breve silenzio,
aggiunse:
- Se noi non avessimo veduto
Suyodhana, il loro capo, spirare sotto il pugnale di Sandokan, si potrebbe
credere che tutto ciò è opera sua, ma noi tutti abbiamo constatata la sua morte
ed abbiamo veduto il suo cadavere gettato nella gran fossa comune assieme ai ribelli
di Delhi.
- Chi può essere quel pellegrino?
Uno dei luogotenenti di Suyodhana?
- Yanez, che cosa dobbiamo fare?
- chiese per la seconda volta Tremal-Naik. - Ora che
sappiamo che vi è la mano dei thugs che noi credevamo per sempre annichiliti,
io tremo per la vita della mia Darma.
- Non ci resta che andarcene al
più presto da qui e raggiungere Sandokan. Qui non abbiamo più nulla da fare ed
io e Sandokan sapremo compensarti largamente di ciò che abbandoni nelle mani
dei dayaki.
- Sono ancora abbastanza
ricco e ho, tu lo sai, delle fattorie anche nel Bengala. Vorrei invece sapere
come potremmo noi fuggire cogli assedianti alle costole.
- Il mezzo lo troveremo. Si dice
che la notte porti consiglio. Già che i dayaki ci lasciano un momento
tranquilli, andiamo a riposare. Sambigliong s'incaricherà di disporre gli
uomini di guardia. Chissà che domani il mio cervello non abbia trovato qualche
buona idea.
Certi che gli assedianti, colla
terribile batosta ricevuta, non sarebbero tornati alla riscossa, i tre uomini
che erano stanchissimi si ritrassero nelle loro stanze non certo lieti,
specialmente il portoghese e Tremal-Naik, della brutta
piega che prendevano le cose.
La notte passò tranquilla. I
dayaki, scoraggiati e anche addolorati per le gravi perdite subite, non
avevano più osato lasciare i loro accampamenti che dovevano rigurgitare di
feriti.
Gli uomini di guardia del kampong
udirono fino all'alba rullare i tamburoni e i lamenti dei parenti dei morti
rimasti nei fossati delle cinte, che nessuno aveva levati di là.
Al mattino seguente Yanez, che
aveva dormito male e pochissimo, angosciato dalle tristi notizie recate dal
maharatto, era già in piedi prima ancora che il sole fosse spuntato
all'orizzonte.
Pareva che fosse tormentato da
qualche idea, perché, invece di scendere nella sala per farsi servire il thè
come faceva tutte le mattine, raggiunse il terrazzo su cui esisteva ancora un
pezzo della torretta di legno che le artiglierie nemiche avevano demolito e di
lassù si mise ad osservare attentamente le cinte e la disposizione interna del kampong.
La fattoria formava un vasto
parallelogrammo, tagliato a metà dal bengalow e dalle tettoie e da una
palizzata in modo da poter dividere la difesa.
La prima parte, dove trovavasi la
saracinesca, comprendeva i fabbricati in muratura: la seconda le aie e le
abitazioni della servitù e dei campieri e i recinti degli animali. Fu quella
disposizione, prima non attentamente notata, che colpì il portoghese.
- Per Giove! - mormorò,
stropicciandosi allegramente le mani. - Ciò si presta meravigliosamente al mio
progetto. Tutto dipende dalla provvista delle cantine del mio amico
Tremal-Naik. Se il bram abbonda il colpo è fatto. I
dayaki non sono meno golosi dei negri e anche su loro i forti liquori
esercitano un fascino irresistibile. Cane d'un pellegrino! Ti preparerò un tiro
da maestro.
Ridiscese visibilmente
soddisfatto e trovò Tremal-Naik e Kammamuri nel salotto,
che stavano vuotando alcune tazze di thè.
- Hai trovato nessuna buona idea
che ci permetta di andarcene? - chiese, rivolgendosi al padre della fanciulla.
- Ho tormentato invano tutta la
notte il mio cervello, - rispose Tremal-Naik che sembrava
assai abbattuto. - Non vi sarebbe che un solo tentativo da fare, un tentativo
disperato.
- Quale?
- Di aprirci il passo attraverso
le file degli assedianti coi parangs in pugno.
- E farci probabilmente
massacrare, - rispose Yanez. - Trenta contro trecento, avendo ormai dieci o
dodici uomini feriti che non varranno gran che in una lotta corpo a corpo;
brutto affare.
- Non ho trovato altro di meglio.
- Di quanti vasi di bram disponi?
- chiese bruscamente Yanez.
- A che cosa potrebbe servirci
quel liquore? - chiesero ad una voce Tremal-Naik e
Kammamuri guardandolo con sorpresa.
- Per farci scappare, amici miei.
- Scherzi, Yanez.
- No,
Tremal-Naik. D'altronde il momento sarebbe male scelto. Sei
ben provvisto?
- Le mie cantine sono piene,
provvedendo io tutte le tribù dei dintorni.
- I dayaki sono buoni
bevitori, vero?
- Come tutti i popoli selvaggi.
- Se trovassero sui loro passi un
centinaio di vasi di quel liquore, a loro disposizione, credi tu che si
fermerebbero per vuotarli?
- Non glielo impedirebbe nemmeno
il cannone, - rispose Tremal-Naik.
- Allora, miei cari amici, il
pellegrino è giocato, - disse Yanez.
- Non ti comprendiamo.
- Il kampong è diviso in
due dalla palizzata interna?
- Sì, l'ho fatto appositamente
costruire per opporre maggiore resistenza nel caso che il nemico avesse potuto
forzare la saracinesca, - rispose Tremal-Naik.
- L'idea è stata buona, amico
mio, e ci servirà magnificamente in questo momento. Noi concentreremo tutte le nostre
difese verso le aie e le abitazioni dei servi, lasciando ai dayaki il
passo libero e abbandonando loro il bengalow e le tettoie.
- Come! - esclamò
Tremal-Naik. - Tu cederesti loro le nostre migliori opere
di difesa?
- Non ci servirebbero più dal
momento che abbiamo deciso di evacuare la piazza, - rispose Yanez. - Anzi
abbatteremo una parte della cinta che guarda la saracinesca per attirare meglio
i dayaki.
- La palizzata interna non
è molto solida.
- Mi basta che resista qualche
ora e poi i dayaki non si affaticheranno ad abbatterla. Preferiranno
bere il tuo bram, - disse Yanez ridendo. - Noi collocheremo nel
cortile tutti i vasi che contiene la tua cantina e vedrai che quella barriera
li arresterà meglio di qualunque altra.
- Si ubriacheranno, ne sono
certo.
- È quello che desidero; perché
noi ne approfitteremo per andarcene, dopo d'aver incendiato il bengalow e
le tettoie. Protetti dalla barriera di fuoco, nessuno ci molesterà almeno per
alcune ore.
- Tippo Sahib, il Napoleone
dell'India non sarebbe certo capace di architettare un simile piano.
- Quella non era una tigre di
Mompracem, - disse Yanez con comica serietà.
- Cadranno nel laccio i dayaki.
- Non ne dubito. Appena si
accorgeranno che la saracinesca è aperta e che le terrazze sono state
abbandonate e disarmate, non indugieranno ad assalirci. Sotto gli arbusti
spinosi non mancano delle spie che si affretteranno ad avvertirli.
- A quando il colpo? - chiese
Kammamuri.
- Tutto deve essere pronto per
questa sera. Le tenebre ci sono necessarie per fuggire senza essere veduti.
- All'opera Yanez, - disse
Tremal-Naik. - Io ho piena fiducia nel tuo piano.
- Hai un cavallo per Darma?
- Ne ho quattro e buoni.
- Va benone, faremo correre i
dayaki fino alla costa. Quanto hai impiegato tu, Kammamuri, a
raggiungerla?
- Tre giorni, signore.
- Cercheremo di arrivare prima. I
villaggi di pescatori non mancano e qualche praho o delle scialuppe
sapremo trovarle.
L'audace progetto fu subito
comunicato ai difensori del kampong e da tutti approvato senza
obiezioni. D'altronde, non vi era nessuno che non fosse disposto a fare un
supremo tentativo per liberarsi da quell'assedio che cominciava a pesare e
demoralizzare la piccola guarnigione.
I preparativi vennero cominciati.
Le spingarde vennero ritirate e piazzate dietro la palizzata interna, su
terrazze frettolosamente costruite, essendo la fattoria fornita di legname, poi
le cantine furono vuotate portando tutto il bram nel cortile che si
estendeva dinanzi al bengalow.
Vi erano più di ottanta vasi,
della capacità di due e anche tre ettolitri ciascuno; tanto liquore da
ubriacare un esercito, essendo quella mistura fermentata, di riso, di zucchero
e di succhi di palme diverse, eccessivamente alcolica.
Verso il tramonto, la guarnigione
abbattè una parte della cinta e dopo aver isolate le terrazze, le incendiò per
meglio attirare i dayaki e far loro credere che il fuoco fosse scoppiato
nel kampong.
Terminati quei diversi
preparativi e preparate delle cataste di legna sotto le tettoie e nelle stanze
terrene del bengalow, abbondantemente innaffiate di resine e di caucciù
onde ardessero immediatamente, la guarnigione si ritrasse dietro la
palizzata in attesa del nemico.
Come Yanez aveva preveduto, gli
assedianti attratti dai bagliori dell'incendio che divorava le terrazze contro
cui si erano fino allora infranti i loro sforzi e fors'anche avvertiti dai loro
avamposti celati sotto gli arbusti spinosi, che le cinte erano state sfondate,
non avevano indugiato a lasciare i loro accampamenti per muovere ad un ultimo
assalto.
Presa fra il fuoco ed i kampilang,
la guarnigione del kampong non doveva tardare ad arrendersi.
Calavano le tenebre quando le
sentinelle che vegliavano sui due angoli posteriori della fattoria annunciarono
il nemico.
I dayaki avevano formato
sei piccole colonne d'assalto e s'avanzavano di corsa, mandando clamori
assordanti. Si tenevano ormai certi della vittoria. Quando Yanez li vide
entrare fra gli arbusti, fece dare fuoco alle cataste di legna accumulate sotto
le tettoie e nelle stanze del bengalow, poi appena vide che i suoi
uomini erano in salvo, fece tuonare le spingarde per simulare una disperata
difesa.
I dayaki erano allora
davanti alle cinte. Vedendole in parte abbattute ebbero un momento di esitazione
temendo qualche agguato, poi passarono correndo sotto le terrazze che finivano
di ardere e si rovesciarono all'impazzata nel kampong, urlando a
squarciagola, pronti a sgozzare i difensori a colpi di kampilang.
Yanez vedendoli slanciarsi verso
gli enormi vasi che formavano come una doppia barriera dinanzi al bengalow, aveva
dato ordine di sospendere il fuoco per non irritare troppo gli assalitori.
Vedendo quei recipienti, i dayaki
per la seconda volta si erano arrestati. Un resto di diffidenza li tratteneva
ancora non sapendo che cosa potessero contenere.
L'alcol che si sprigionava dai
coperchi, che erano stati appositamente smossi, non tardò a giungere ai loro
nasi.
- Bram! Bram!
Fu il grido che uscì da tutte le gole.
Si erano precipitati sui vasi, strappando i coperchi e tuffando le mani nel
liquido.
Urla di gioia scoppiarono tosto
fra gli assedianti. Una bevuta s'imponeva, tanto più che i difensori avevano
sospeso il fuoco.
Un sorso, solo un sorso e poi
avanti all'attacco! Ma dopo le prime gocce tutti avevano cambiato parere. Era
meglio approfittare dell'inazione della guarnigione del kampong; d'altronde
era infinitamente migliore, quell'ardente liquore, delle palle di piombo.
Invano i capi si sfiatavano per
cacciarli innanzi. I dayaki erano diventati ostriche attaccate al loro
banco colla differenza che si erano invece incrostati ai vasi.
Ottanta vasi di bram! Quale
orgia! Mai si erano trovati a simile festa.
Avevano gettato perfino gli scudi
ed i kampilang e bevevano a crepapelle, sordi alle grida e alle minacce
dei capi.
Yanez e
Tremal-Naik ridevano allegramente, mentre i loro uomini
staccavano senza troppo rumore alcuni tavoloni dalla cinta per prepararsi la
ritirata.
Intanto le tettoie cominciavano
ad ardere e dalle finestre del bengalow uscivano torrenti di fumo nero.
Fra pochi istanti una barriera di
fuoco doveva frapporsi fra gli assedianti e gli assediati.
I dayaki non parevano
preoccuparsi dell'incendio che minacciava di divorare l'intero kampong.
Insaziabili bevitori continuavano
a dare dentro ai vasi, urlando, ridendo, cantando, e contorcendosi come
scimmie. Bevevano colle mani, coi panieri destinati a contener le teste dei
vinti nemici, con gusci di noci di cocco trovati per il cortile.
I loro stessi capi avevano finito
per imitarli. Il terribile pellegrino dopo tutto era al campo e non poteva
vederli. Perché non avrebbero approfittato di quell'abbondanza, dal momento che
gli assediati si mantenevano tranquilli?
E gli uomini cadevano, come
fulminati, pieni da scoppiare, intorno ai vasi, mentre le fiamme s'alzavano
altissime facendo piovere su di loro una pioggia di scintille.
Il bengalow era tutto in
fuoco e le tettoie, piene di provviste, ardevano come zolfanelli, illuminando i
bevitori.
Era il momento di andarsene. I
dayaki non si ricordavano forse di non aver più dinanzi il nemico, tanto
la loro ubriachezza era stata rapida.
- In ritirata! - comandò Yanez. -
Abbandonate tutto fuorché le carabine, le munizioni ed i parangs.
Aiutando i feriti, lasciarono
silenziosamente la palizzata, attraversarono la cinta e si slanciarono a corsa
sfrenata attraverso la pianura, preceduti da Tremal-Naik e
da Kammamuri che cavalcavano a fianco di Darma.
La tigre li seguiva spiccando salti
immensi, spaventata dalla luce dell'incendio che diventava sempre più intensa.
Raggiunto il margine della
boscaglia che si estendeva verso ponente, il drappello che si componeva di
trentanove persone, compresi sette feriti, s'arrestò per prendere fiato e anche
per osservare ciò che succedeva nel kampong e negli accampamenti dei
dayaki.
La fattoria pareva una fornace.
Il bengalow che era costato tante fatiche al suo proprietario, ardeva
dalla base alla cima come una fiaccola immensa, lanciando in aria fitte nubi di
fumo e sprazzi di scintille.
Le cinte avevano pure preso fuoco
e rovinavano assieme alle terrazze. Si udivano gli scoppi delle spingarde che
erano state abbandonate ancora cariche. Degli uomini s'aggiravano
affannosamente trascinando i guerrieri che si erano ubriacati e che correvano
il pericolo di essere bruciati accanto ai vasi di bram.
Il pellegrino doveva aver tenuto
alcuni drappelli di riserva per appoggiare le colonne d'assalto nel caso che
non fossero riuscite a penetrare nel kampong e, non udendo più né spari
né grida di guerra, erano certamente accorsi per vedere che cosa era successo
dei loro compagni.
- Che l'inferno bruci tutte
quelle canaglie, - disse Yanez inforcando uno dei quattro cavalli che gli era
stato condotto da Tangusa. - Solo mi spiace andarmene senza aver potuto mettere
le mani su quel cane di pellegrino. Spero di ritrovarlo un giorno sul mio
cammino e allora guai a lui!
- Un giorno? - disse ad un tratto
Kammamuri, che aveva volti gli sguardi verso il nord. - Gambe, signori! Siamo
stati scoperti e ci danno la caccia!
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