Ai bagliori dell'incendio, che
rischiaravano tutta la pianura, il maharatto aveva scorta una colonna di
dayaki che s'avanzava a passo di corsa lungo il margine della foresta,
cercando di accostarsi inosservata. Doveva essere l'ultima riserva del
pellegrino, che muoveva alla caccia dei fuggiaschi.
Qualcuno doveva averli veduti
attraversare la pianura ed aveva dato l'allarme prima che scomparissero sotto i
boschi.
Yanez e
Tremal-Naik con un solo sguardo si persuasero che non era
il caso d'impegnare una lotta, anche se il grosso dei nemici si trovava, almeno
per parecchie ore, nell'impossibilità di prendere le armi.
- Sono almeno un centinaio e per
la maggior parte armati di fucili! - aveva esclamato il portoghese. -
Raccomandiamoci alle nostre gambe e carichiamo i feriti più gravi sui cavalli.
A terra Tremal-Naik, e anche tu Kammamuri, e tu,
Sambigliong, forma un drappello che protegga la ritirata.
Sei feriti furono fatti salire
sui tre cavalli rimasti liberi, il settimo fu quello montato da Darma ed il
drappello si slanciò di corsa sotto la foresta, fuggendo verso ponente.
Sambigliong, con otto uomini
scelti fra i più lesti ed i più robusti, si era messo alla retroguardia per
rallentare, con qualche scarica, lo slancio degli inseguitori.
Avevano il vantaggio di qualche
chilometro e si studiavano di mantenerlo, facendo sforzi disperati per non
rimanere indietro.
Quella corsa sfrenata sotto le
gigantesche piante durò una buona ora, poi Yanez e
Tremal-Naik, avendo trovato una macchia foltissima,
comandarono la fermata onde non sfiatare completamente i loro compagni.
Quel luogo si prestava anche
opportunamente per una valida difesa nel caso che i dayaki fossero
riusciti a scoprirli, essendo la macchia formata da durion dal tronco
enorme che potevano benissimo proteggerli.
Ogni rumore era cessato. Non
udivano più le grida degli inseguitori lanciati sulle loro tracce. Si erano
fermati, non osando inoltrarsi sotto la foresta o s'avanzavano a passi di lupo
per sorprenderli?
- Aspettiamoli qui, - aveva detto
Yanez. - Se hanno smarrite le nostre tracce le ritroveranno infallantemente e
preferisco fucilarli fra questi colossi, piuttosto che ci piombino addosso in
un altro luogo più scoperto. Se possiamo infliggere loro un'altra lezione,
quelle mignatte ci lasceranno tranquilli fino a che non sarà passata l'ebrezza
agli altri. È terribile una sbornia di bram, è vero,
Tremal-Naik?
- Dura almeno ventiquattro ore, -
rispose l'indiano.
- Con un simile vantaggio
giungeremo sulle rive del mare prima di loro.
- Purché non scendano il Kabatuan
con delle piroghe. Ecco il pericolo.
- È più breve la via del fiume?
- Di molto, Yanez.
- Non avevo pensato a questo.
Bah, se ci assalgono in mare ci difenderemo. Tutto dipende dall'avere un paio
di prahos.
- Ne troveremo, signor
Yanez, - disse Kammamuri. - Nel villaggio ove ne ho noleggiato uno per recarmi
a Mompracem, ne ho veduti parecchi. Non avranno difficoltà, quei pescatori, a
vendercene un paio.
Attesero più di un'ora entro la
macchia, aspettando invano l'arrivo dei dayaki.
Certi che avessero smarrite le
loro tracce o che fossero tornati verso i loro accampamenti decisero, dopo
breve consiglio, di riprendere la marcia.
Collocarono la fanciulla ed i
feriti nel centro della colonna e s'addentrarono risolutamente nella immensa
foresta che Kammamuri asseriva estendersi quasi senza interruzione fino sulle
rive del mare.
Tutta la notte proseguirono la
marcia, sempre col timore di veder si raggiungere dai tagliatori di teste e
allo spuntare del sole improvvisarono un accampamento sulla riva d'un
fiumicello che doveva essere qualche affluente del Kabatuan.
Le loro apprensioni andavano a
poco a poco calmandosi e cominciavano a sperare di poter raggiungere il mare
senza altri combattimenti e d'imbarcarsi per Mompracem.
Ed infatti anche quel giorno
passò tranquillo. Della colonna lanciata sulle loro tracce più nessuna nuova.
Per altri tre giorni continuarono
ad inoltrarsi attraverso quella interminabile foresta, abitata solamente da
qualche tranquillo tapiro e da qualche banda di babirussa e verso il tramonto
del quinto salivano i primi contrafforti dei monti Cristallo, la gran catena
costiera che si prolunga da nord al sud a breve distanza dalle sponde
occidentali dell'immensa isola.
Nonostante la foltezza dei
boschi, l'incontro di non poche pantere nere e di mias, quelle
gigantesche scimmie dal pelame rossastro, dotate d'una forza prodigiosa, anche
quella traversata fu compiuta senza gravi pericoli.
Nel pomeriggio del sesto giorno,
dopo d'aver avvistato il mare dalle più alte giogaie della catena, scendevano in
una valle strettissima, che doveva condurli alla costa.
Marciavano da quattro ore, nel
più profondo silenzio, in fila indiana, tanto era stretto il passaggio ed
ingombro di massi enormi, quando delle grida lontane li fermarono di colpo.
- I dayaki? - aveva chiesto
Yanez, voltandosi rapidamente.
Una scarica rimbombò in quel
momento sul margine superiore della vallata ed una truppa numerosissima
d'uomini apparve, scendente a precipizio i fianchi selvosi della costa.
- Birbanti! - esclamò Yanez,
furioso. - Ci hanno seguìti per schiacciarci in questo luogo!
- Capitano, - disse Sambigliong,
- proseguite verso la costa coi feriti, la signorina Darma e
Tremal-Naik ed una piccola scorta. Kammamuri mi ha
assicurato che il mare non è che a tre miglia di distanza.
- E tu? - chiesero
Tremal-Naik ed il portoghese.
- Io, signore, assieme agli
altri, impedirò il passo a quei furfanti finché avete preparati i prahos. Se
non li arrestiamo, ci schiacceranno tutti in questa gola e nessuno di noi
rivedrà mai più Mompracem. Presto, signori, il nemico ci piomba addosso.
- Puoi resistere mezz'ora? -
chiese Yanez.
- Anche un'ora, capitano. Lassù,
- disse il valoroso mastro della Marianna, indicando un'alta roccia che
si rizzava proprio in mezzo alla valletta, - terremo duro a lungo.
- Sì, mio bravo, - disse Yanez
con voce commossa. - Appena udrai a tuonare le nostre carabine, ripiegati verso
la costa. I prahos o delle scialuppe saranno pronte. Vi è un villaggio è
vero, Kammamuri, allo sbocco di questo burrone?
- Sì, signor Yanez. È abitato da
pescatori e le barche non mancano! Lesti, signori! Tra noi e la tigre daremo da
fare ai dayaki.
Le prime palle giungevano di già,
sibilando sinistramente nella gola e scheggiando le rocce. Qualcuna poteva
colpire la fanciulla.
- Arrivederci presto! - gridarono
Yanez e Tremal-Naik, slanciandosi dietro ai cavalli che si
erano messi a trottare portando Darma ed i feriti.
- A me, amici! - disse
Sambigliong, volgendosi verso i suoi uomini. - Facciamo fronte a quei birbanti!
Là, tutti su quella rupe! Vieni, Kammamuri.
Erano in venti, avendone
distaccati otto per scortare Yanez e Tremal-Naik, tutti ben
armati e ben provvisti di munizioni.
In pochi salti raggiunsero la
rupe che sbarrava quasi ininterrottamente il burrone e si scaglionarono fra le
rocce, riparandosi dietro le sporgenze. Darma, la tigre addomesticata, l'amica
fedele del maharatto, era con loro, pronta a provare i suoi artigli
sulle carni dei dayaki.
La colonna nemica era già discesa
nella valle, a cinquecento passi dallo scoglio. Era composta di un centinaio e
mezzo d'uomini, per la maggior parte armati di moschetti e di carabine, il
fiore certamente delle forze del maledetto pellegrino.
Vedendo le tigri di Mompracem, i
malesi ed i giavanesi della fattoria occupare la cima della rupe, invece di
muovere direttamente all'assalto, i guerrieri si dispersero fra i cespugli che
coprivano il fondo del burrone e aprirono un fuoco violentissimo colla speranza
di snidare i difensori.
- Amici, - gridò Sambigliong,
rivolgendosi ai suoi uomini, - vi avverto che dobbiamo resistere fino a che
udremo il segnale che ci darà l'uomo bianco. Non contate i morti e non
economizzate le cartucce.
- Fuoco! - urlò Kammamuri che occupava
proprio la cima della rupe.
Una scarica nutrita partì da
dietro le rocce, abbattendo d'un colpo solo un piccolo drappello di nemici,
che, sprezzando il pericolo, muoveva audacemente innanzi, senza prendere alcuna
precauzione. Era composto di una dozzina d'uomini e nessuno era rimasto in
piedi.
- Cominciamo bene, Sambigliong, -
gridò Kammamuri. - Per Siva e Visnù, dovrebbero mandarci incontro un altro
manipolo d'uomini.
I dayaki, resi furibondi
per la distruzione totale della loro avanguardia, non avevano indugiato a
rispondere con scariche formidabili, che rintronavano profondamente nella
stretta valle.
Per alcuni minuti la fucilata
durò intensissima d'ambe le parti, poi i dayaki, comprendendo che non
sarebbero mai riusciti a scacciare, coi fucili, i difensori della rupe che si
tenevano bene nascosti, si radunarono in varii drappelli per prendere a viva
forza quella formidabile posizione.
Impugnati i kampilang, si
slanciarono, col loro impeto abituale, all'attacco, urlando per incutere
maggior terrore ai nemici, ma non erano ancora giunti alla base della rupe che
il fuoco dei Tigrotti, dei malesi e dei giavanesi, li costrinse ad arrestarsi
per riprendere i fucili.
- Amici! - gridò Sambigliong ai
suoi prodi che non abbandonavano i loro posti, quantunque molti fossero stati
già feriti. - Ecco il momento terribile! Sappiate morire da eroi!
I dayaki per la seconda
volta si erano precipitati all'assalto, sostenendosi con un fuoco vivissimo.
Malgrado le enormi perdite che
subivano, avevano cominciato ad arrampicarsi su per le roccie, vociando sempre,
balzando come scimmie, impazienti d'impadronirsi delle teste di quegli ostinati
difensori e di vendicarsi di tante sconfitte subite.
Il drappello guidato da Sambigliong
e da Kammamuri resisteva tenacemente. La lotta diventava terribile! Era un
battagliare selvaggio, feroce, inumano.
Gli uomini cadevano mandando urla
furiose, tentando ancora di offendere o col fucile o coi kampilang o coi
parangs gli avversari.
Sambigliong e Kammamuri vedevano
con angoscia assottigliarsi sempre più il loro drappello. Tutti quelli che si
trovavano a metà della rupe erano stati decapitati dalle pesanti sciabole degli
assalitori o fucilati sul posto ed il segnale ancora non si udiva! Che cosa
poteva essere successo a Yanez? Che i prahos dei pescatori non fossero
ancora rientrati in porto? Era quello che si chiedevano con ansietà estrema
Kammamuri e Sambigliong, i quali ormai si vedevano impotenti a frenare
l'attacco.
I dayaki salivano sempre,
sfidando intrepidamente la morte e facendo scintillare i loro terribili kampilang.
Non facevano quasi più fuoco, tanto erano sicuri della vittoria.
Sambigliong, vedendo sciabolare
gli uomini che si erano appiattati a due terzi della salita, mandò un grido
tuonante:
- Kammamuri! Lancia la tigre!
- A te, Darma! - urlò il
maharatto. - Sbrana!
La belva, che durante quella
intensa fucilata era rimasta nascosta dietro una roccia, mugolando sordamente e
rizzando il pelo, a quel comando balzò innanzi con un aug spaventevole e
piombò su un uomo che stava decapitando un giavanese, puntandogli i denti nella
nuca.
I dayaki, vedendo
rovinarsi addosso quella belva, che pareva volesse divorarli tutti, si erano
precipitati all'impazzata giù dalla roccia, ricaricando precipitosamente i loro
moschetti.
Vedendoli retrocedere, Darma
aveva subito abbandonato il primo uomo per scagliarsi sopra un altro. Con un
secondo slancio piombò addosso ad uno dei fuggiaschi, rovesciandolo di colpo,
quando una scarica vivissima la colpì.
La povera bestia si era
bruscamente rizzata sulle zampe posteriori, rimanendo in quella posa alcuni
istanti, poi s'abbattè, mentre Kammamuri mandava un urlo disperato:
- La mia Darma! Me l'hanno
uccisa!
Quasi nel medesimo istante si
udirono in lontananza tre spari.
- Il segnale! Il segnale! - gridò
Sambigliong. - In ritirata!
Del drappello non rimanevano che
undici uomini. Tutti gli altri erano caduti sotto le palle e i kampilang dei
dayaki e i loro corpi giacevano sui pendii della rupe, privi della testa.
Sambigliong afferrò Kammamuri che
stava per scendere verso la tigre, a rischio di farsi fucilare e lo trascinò
con sé, dicendogli:
- È morta: lasciala.
Si erano precipitati a corsa
disperata nel burrone, mentre una seconda scarica rumoreggiava verso la costa.
Yanez doveva avere molta premura.
Il drappello con una corsa fulminea percorse tutta la gola, sotto una grandine
di palle, avendo i dayaki ripreso l'inseguimento e sbucò su una piccola
pianura alla cui estremità s'alzavano quindici o venti capanne, piantate su dei
pali. Al di là rumoreggiava il mare.
- Signor Yanez - gridarono
Sambigliong e Kammamuri, vedendo dei piccoli prahos ancorati dinanzi al
minuscolo villaggio, colle vele già spiegate, pronti a prendere il largo.
Il portoghese usciva in quel
momento da una capanna, accompagnato da Tremal-Naik e dalla
fanciulla, mentre la loro scorta accostava i due legnetti alla riva.
- Presto! - gridò Yanez, vedendo
i superstiti ad attraversare, sempre correndo, la piccola pianura.
Pochi minuti dopo, estenuati e
insanguinati, madidi di sudore, si precipitavano sulla riva.
- E gli altri? - chiesero a una
voce Yanez e Tremal-Naik.
- Tutti morti, - rispose
Kammamuri con voce affannosa; - anche la tigre, la nostra brava Darma.
- Sia dannato quel cane di
pellegrino! - gridò l'indiano, sul cui viso traspariva un intenso dolore. -
Anche la mia tigre perduta!
- Ed i dayaki? - chiese Yanez.
- Fra poco saranno qui, - disse
Sambigliong.
- Lesti, imbarchiamoci. Tu sul
più grosso, Tremal-Naik, con tua figlia e la scorta. A me
l'altro con Kammamuri ed i superstiti.
S'imbarcarono rapidamente e i due
legni presero il largo, mentre la popolazione della borgata udendo le grida dei
dayaki si salvava precipitosamente nei boschi vicini.
Il vento era favorevole, sicché i
due prahos con poche bordate uscirono dalla piccola baia, filando
rapidamente verso il sud-ovest, non volendo scostarsi
troppo dalla spiaggia, almeno pel momento.
I dayaki giungevano allora
sulle rive della baia, ma troppo tardi. La preda tanto sospirata ancora una
volta sfuggiva loro e proprio nel momento in cui credevano di averla finalmente
nella mani.
Non sapendo su chi sfogarsi,
avevano dato fuoco al villaggio.
- Canaglie! - esclamò Yanez, che
teneva la barra del timone. - Se avessi ancora la mia Marianna vi darei
io una tale lezione da non scordarvela più. Tutto forse non è finito fra noi e
voi e chissà che un giorno non vi ritroviamo sui nostri passi e allora guai al
vostro pellegrino!
I due legnetti, spinti da un
fresco vento di settentrione, erano già lontani e stavano girando il capo Gaya,
per entrare nella baia di Sapangar, entro cui sbocca il Kabatuan.
Erano due piccoli prahos
pescherecci, con grandi vele formate di vimini intrecciati, bassi di scafo,
privi di ponte e col bilanciere per poter meglio appoggiarsi e resistere alle
raffiche senza correre il pericolo di rovesciarsi.
Quello montato da
Tremal-Naik, dalla fanciulla e dagli otto uomini della
scorta era un po' più grosso e portava per armamento un lilà; quello di
Yanez invece non aveva che una vecchia spingarda collocata su un cavalletto
fissato sulla prora.
- Pessimi velieri, - disse
Sambigliong, dopo un rapido esame. - Sono vecchi quanto me.
- Non vi era di meglio, mio bravo
tigrotto, - rispose Yanez. - È stata anzi una vera fortuna trovarli e non ci
volle poco a indurre quei pescatori a venderceli.
- Muoviamo subito su Mompracem?
- Costeggeremo fino a Nosong,
prima di intraprendere la traversata. Non vi è molto da fidarsi di queste
barcacce che assorbono acqua come le spugne.
- Sono impaziente di giungervi,
capitano.
- Ed io non meno di te,
Sambigliong. Che cosa sarà successo laggiù, dopo le notizie portate da
Kammamuri? Come desidero saperlo!
- Che la Tigre stia combattendo
contro gli inglesi?
- Non mi stupirei: Sandokan non è
un uomo d'abbassare la bandiera e di cedere alle pretese del governatore di
Labuan senza opporre una fiera resistenza. Come rimpiango ora d'aver perduto la
mia nave! Colla mia Marianna e la sua appoggiati dai prahos da
guerra, avremmo potuto dar da fare alle cannoniere di Labuan.
- Non è colpa mia, capitano
Yanez, - disse Sambigliong.
- Tu hai fatto anche troppo per
difendere la mia nave, - rispose Yanez, con voce dolce. - Non ho alcun
rimprovero da farti, mio bravo. Stringiamo verso la costa e cerchiamo di
guadagnare più via che potremo. Se il vento si mantiene, domani notte noi
approderemo a Mompracem.
Era allora calato il sole e le
tenebre scendevano rapide. Il mare era calmo, con leggere ondulazioni che non
davano alcun fastidio ai due legnetti, i quali continuavano la loro rotta verso
il sud-ovest, tenendosi a due o tre gomene l'uno
dall'altro.
Yanez, seduto a poppa, su una
grossa pietra che serviva da ancora, teneva la mano sulla barra, consumando le
sue ultime sigarette, mentre la maggior parte dei suoi uomini russavano stesi
sul fondo del legno.
Soli quattro vegliavano a prora,
per la manovra.
Nessun lume brillava sul mare, già
divenuto color dell'inchiostro. Anche verso la costa tutto era tenebroso. Solo
verso l'isolotto di Sapangar, che chiude a ponente la baia omonima, un punto
rossastro brillava, la torcia forse di qualche pescatore notturno.
Al di là del capo Gaya, il vento
era venuto quasi a mancare ed i due velieri non avanzavano che con estrema
lentezza.
- Bramerei trovarmi ben lontano
dalla baia prima dell'alba, - mormorò il portoghese. - La foce del Kabatuan per
poco non è stata fatale alla mia Marianna.
Vegliò fino alle una del mattino,
poi non scorgendo nulla di sospetto, cedette la barra a Sambigliong,
sdraiandosi sotto un banco, su una vecchia vela di vimini.
Un grido del mastro lo svegliò
bruscamente alcune ore dopo:
- All'armi! Tutti in piedi!
Cominciava allora ad albeggiare e
i due prahos, che durante la notte avevano camminato pochissimo, si
trovavano verso la punta settentrionale dell'isola di Gaya.
Yanez, udendo il grido del suo
fedele mastro, era balzato rapidamente in piedi, chiedendo:
- Ebbene, che cosa c'è? Che non
si possa dormire un momento tranquilli e...
Si era bruscamente interrotto,
facendo un gesto che tradiva una viva ansietà.
Un grosso giong, un
veliero assai più rotondo e più lungo dei soliti prahos, con due vele
triangolari, usciva in quel momento dalla baia, seguìto da una mezza dozzina di
doppie scialuppe munite di ponte e da una scialuppa a vapore che non portava
alcuna bandiera sull'asta di poppa.
- Che cosa vuole quella
flottiglia? - si era domandato il portoghese.
Un colpo di mirim, partito
dal giong, sparato a bianco, fu la risposta. La flottiglia intima ai due
prahos di fermarsi.
- I dayaki, signori! -
gridò in quell'istante Sambigliong, che si era slanciato verso prora per meglio
osservare gli uomini che montavano il veliero e le doppie canoe. - Signor
Yanez, virate di bordo e gettiamoci verso la costa!
Il portoghese mandò una
bestemmia. - Ancora essi! - esclamò poi. - Ecco la fine!
Era una follia tentare
d'impegnare la lotta con forze così poderose e munite di lilà e di mirim
e fors'anche di spingarde. Fuggire era pure impossibile: la scialuppa a
vapore, che era pure montata da uomini di colore, malesi e dayaki, non
avrebbe tardato a raggiungere i due vecchi e pessimi velieri.
Gettarsi verso la costa o meglio
ancora verso l'isola di Gaya che era coperta di folte foreste, era l'unica
salvezza che restasse ai fuggiaschi.
- Appoggiate sulla costa! - gridò
Yanez. - E armate i fucili.
Il praho di
Tremal-Naik che si trovava a sette o otto gomene da quello di
Yanez, aveva già virato di bordo e muoveva sollecitamente verso Gaya.
Disgraziatamente il tempo
mancava. Il giong, accortosi dell'intenzione dei fuggiaschi, con una
lunga bordata si era frammesso fra i due prahos, seguìto subito dalla
scialuppa a vapore ed aveva cominciato a far fuoco coi suoi lilà, cercando
di abbattere le manovre.
- Ah! Canaglie! - aveva gridato
Yanez. - Ci separano per distruggerci più facilmente. Su, tigri di Mompracem,
diamo battaglia e affondiamo tutti piuttosto che cadere vivi nelle mani di quei
selvaggi.
Afferrò la carabina e pel primo
aprì il fuoco, sparando sul ponte del giong.
I suoi uomini avevano pure
impugnate le armi, moschettando vigorosamente l'equipaggio della nave
avversaria.
Anche sul praho di
Tremal-Naik, quantunque stretto fra il grosso veliero e la
scialuppa a vapore che tentava di abbordarlo, le carabine tuonavano
furiosamente, tentando una suprema resistenza.
Non doveva durare a lungo quella
lotta così impari. Una bordata di mitraglia disalberò d'un colpo solo il
praho dell'indiano rasandolo come un pontone ed immobilizzandolo, mentre
una piccola granata, sparata dal pezzo d'artiglieria che armava la scialuppa a
vapore sfondava la ruota di prora, aprendo una falla enorme.
- Tigrotti di Mompracem! - aveva
gridato Yanez, che si era subito accorto della disperata situazione in cui
trovavasi Tremal-Naik. - Andiamo a salvare la fanciulla!
Il praho virò per la
seconda volta di bordo cercando di accostarsi a quello dell'indiano, quando si
vide tagliare la via dal giong.
Il grosso veliero, compiuta la
sua opera di distruzione, si era rivolto verso quello di Yanez, mentre la
scialuppa a vapore abbordava, con due doppie scialuppe d'appoggio, quello di
Tremal-Naik che cominciava ad affondare.
- Fuoco sul ponte, Tigrotti! -
gridò il portoghese. - Almeno vendichiamo gli amici!
Una voce dall'accento metallico,
si levò in quel momento dalla poppa del giong:
- Arrendetevi al
pellegrino della Mecca! Vi prometto salva la vita!
Il misterioso nemico era apparso
sul cassero col suo turbante verde in capo, impugnando una di quelle corte
scimitarre indiane chiamate tarwar.
- Ah! Cane! - gridò Yanez.
- Anche tu ci sei! Prendi!
Aveva in mano la carabina carica.
La puntò e fece fuoco rapidamente.
Il pellegrino aprì le braccia, le
richiuse, poi cadde addosso al timoniere, mentre un altissimo urlo di furore
s'alzava fra l'equipaggio del giong.
- Finalmente! - gridò
Yanez. - Ed ora fumiamo la nostra ultima sigaretta!
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