La sconfitta delle tigri di
Mompracem era oramai questione di minuti.
Il praho di
Tremal-Naik, stretto dalla scialuppa a vapore e dalle due
doppie barche, colla prora sgangherata che beveva acqua in quantità, era stato
subito preso d'assalto nonostante la disperata resistenza dell'equipaggio e
stava per scomparire negli abissi del mare.
Yanez, con una emozione facile a
comprendersi, aveva veduto Tremal-Naik, Darma e pochi
superstiti trascinati nella scialuppa a vapore, la quale aveva subito preso il
largo verso il sud, filando velocemente senza più occuparsi della battaglia.
Sul secondo praho non
rimanevano che sette uomini, mentre il giong ne aveva tre volte tanti e
portava grossi pezzi in paragone all'unica e vecchia spingarda. Per di più le
doppie barche accorrevano da tutte le parti per finirla ed aiutare il grosso
veliero.
Non rimaneva che arrendersi o
lasciarsi affondare. Già una bordata di mitraglia aveva fatto cadere a pezzi le
due vele di giunchi, togliendo così a Yanez ogni speranza di poter raggiungere
l'isola che si trovava ancora a otto o dieci gomene di distanza e di salvarsi
sotto le folte foreste.
I sette valorosi nondimeno non
avevano cessato di far fuoco, bruciando freddamente le loro ultime cartuccie.
Il portoghese ne dava l'esempio, sparando senza posa, con una calma
meravigliosa, senza levarsi dalle labbra la sua ultima sigaretta che si era
promesso di finire prima di andarsene all'altro mondo.
Il giong, che aveva
conservato tutte le sue vele, correva addosso al povero praho immobilizzato,
per abbordarlo o per sfasciarlo con una vigorosa speronata. Aveva sospeso il
fuoco delle sue artiglierie, giudicando inutile sprecare le munizioni, tanto
era oramai sicuro di aver facilmente ragione su quel pugno di prodi.
- Su, tigri di Mompracem, - gridò
Yanez, vedendo che l'equipaggio del veliero preparava i grappini d'abbordaggio.
- Una scarica ancora e poi mano ai parangs! Saremo noi che
salteremo sul ponte del giong.
Quei sette demoni che preferivano
la morte alla resa, avevano scaricate le loro carabine ed impugnate le pesanti
sciabole, quando una violenta detonazione rimbombò dietro di loro, propagandosi
pel lontano orizzonte.
Un istante dopo una nuvola di
fumo s'alzava sulla poppa del giong e l'albero maestro spaccato di colpo
dallo scoppio di qualche obice, cadeva pesantemente in coperta, assieme
all'immensa vela che portava, coprendo i combattenti come sotto un gigantesco
sudario.
Yanez, sorpreso che qualcuno
potesse accorrere in suo aiuto e proprio in quel momento, quando pareva che la
fine fosse oramai prossima, si era vivamente voltato.
Una magnifica nave a vapore, di
grandi dimensioni, formidabilmente montata da uomini vestiti di bianco, degli
europei senza dubbio, girava in quel momento la punta settentrionale di Gaya,
dirigendosi velocemente sul luogo della pugna.
- Amici, Tigrotti! Siamo salvi! -
gridò mentre un secondo obice fracassava il timone del giong ed un terzo
spaccava in due una delle scialuppe doppie.
Con un salto fu sulla murata
poppiera e facendo porta-voce colle mani, gridò
ripetutamente:
- A me, Europei!
Un quarto colpo di cannone, che
aprì una falla enorme alla linea di galleggiamento del giong, fu la
risposta; gli uomini che montavano quella superba nave dovevano essersi accorti
che sui praho vi era un uomo bianco, un uomo appartenente alla loro
razza che correva un estremo pericolo e, senza chiedere spiegazioni,
cannoneggiavano bravamente il grosso veliero, che era invece montato da
selvaggi.
Sul ponte di comando si vedevano
alcuni ufficiali fare dei gesti, come per rassicurare il portoghese.
Le doppie scialuppe, vedendo
avanzarsi quel colosso di ferro, si erano affrettate a scappare verso l'isola,
abbandonando il giong alla sua sorte, tanto più che non avevano più
nemmeno l'appoggio della scialuppa a vapore, scomparsa già verso il sud coi
prigionieri.
Il veliero, colpito già da tre
obici, si era inclinato su un fianco, imbarcando acqua per lo squarcio che
doveva essere stato gravissimo. I suoi uomini, dopo d'aver scaricato i loro
pezzi contro la nave, cominciavano a saltare in acqua per non venire attratti
dal gorgo.
- Amici! - gridò Yanez. - Ai
remi! Andiamo a cercare il pellegrino!
Mentre la nave a vapore metteva
in acqua due scialuppe, montate da due dozzine d'uomini armati di carabine, i
pirati di Mompracem, impadronitisi dei remi, spinsero il praho addosso
al giong il quale cominciava ad immergersi.
A bordo non erano rimasti che dei
morti e qualche ferito. Tutti gli altri nuotavano disperatamente verso l'isola,
dove erano già giunte le scialuppe doppie.
Yanez, Kammamuri e Sambigliong si
issarono rapidamente a bordo del veliero, slanciandosi verso il cassero dove
supponevano si trovasse il pellegrino.
Non si erano ingannati. Il loro
misterioso ed implacabile avversario, giaceva su una vecchia vela, coi pugni
stretti sul petto, comprimendosi una ferita prodotta probabilmente dalla palla
della carabina di Yanez. Non era morto, poiché appena si vide presso quei tre
uomini, con uno scatto improvviso s'alzò sulle ginocchia e strappatesi dalla
cintura una pistola dalla canna lunghissima, tentò di far fuoco. Kammamuri, a
rischio di ricevere la scarica in pieno petto, gli si era gettato prontamente
addosso, strappandogli l'arma.
- Credevo che fossi morto, -
disse il maharatto, - ma giacché ti ritroviamo ancora vivo, ti
ricacceremo all'inferno.
Aveva volta l'arma contro il
pellegrino e stava per fracassargli il cranio, quando Yanez gli trattenne il
braccio.
- È più prezioso vivo che morto,
- gli disse. - Non commettiamo la sciocchezza di finirlo. Sambigliong, prendi
quest'uomo e portalo sul praho. Lesti; il giong affonda!
Il veliero continuava a
inclinarsi sul fianco squarciato, minacciando di rovesciarsi. Yanez ed i suoi
compagni saltarono sul praho, mentre una delle due scialuppe gettava un
cavo per rimorchiarlo verso la nave, la quale erasi arrestata a due gomene di
distanza.
Tutto l'equipaggio, che era
piuttosto numeroso, era salito sulle murate del vapore, seguendo con viva
curiosità l'opera di salvataggio.
- Sono europei! - aveva esclamato
Yanez, appena ebbe terminato di far legare il pellegrino. - Che siano inglesi?
- Per lo meno parlano inglese, -
disse Kammamuri, che aveva udito un comando dato dall'ufficiale che guidava la
scialuppa.
- Sarebbe comica che dovessimo la
nostra salvezza a dei nemici non meno accaniti dei dayaki.
Poi, con un profondo sospiro,
aggiunse:
- E
Tremal-Naik? E Darma? Che cosa sarà accaduto di loro? Ah!
Mio Dio!
- La scialuppa a vapore è
scomparsa verso il sud, signor Yanez.
- Non si è diretta verso la foce
del Kabatuan? Sei proprio sicuro?
- Sicurissimo: non sono stati
consegnati ai dayaki.
- Ma allora chi erano
costoro? Dove li avranno condotti?
Una scossa lo interruppe. Il
praho aveva urtato contro la piattaforma inferiore della scala che era
stata subito abbassata.
Un uomo sui cinquant'anni,
solidamente piantato, con una barbetta brizzolata tagliata a punta, che
indossava una divisa di panno azzurro cupo con bottoni dorati ed un berretto
con gallone, attendeva sulla piattaforma superiore.
Yanez pel primo balzò sui gradini
e salì rapidamente, dicendo al comandante della nave, in inglese:
- Grazie, signore, del vostro
aiuto. Ancora qualche minuto e la mia testa andava ad aumentare la collezione
di quei terribili cacciatori di crani.
- Sono ben felice, signore, di
avervi salvato, - rispose il comandante, tendendogli la destra e dandogli una
stretta vigorosa. - Qualunque altro uomo bianco, d'altronde, avrebbe fatto
altrettanto. Con quei furfanti non ci vuole misericordia, come non ci vogliono
mezze misure.
- Ho l'onore di parlare al
comandante?
- Sì, signore...
- Yanez de Gomera, - rispose il
portoghese.
Il comandante aveva fatto un
soprassalto. Prese Yanez per una mano, traendolo sulla tolda per lasciare il
passo libero a Sambigliong ed agli altri che portavano il pellegrino e si mise
a guardarlo con viva curiosità, ripetendo:
- Yanez de Gomera! Questo nome non mi è nuovo, signore. By
God! Sareste voi il compagno di quell'uomo formidabile che anni or sono ha
detronizzato James Brooke, lo sterminatore dei pirati?
- Sì, sono quello.
- Ero a Sarawak il giorno in cui
Sandokan vi entrò coi guerrieri di Muda Hassim e le sue invincibili tigri.
Signor de Gomera, sono ben felice di avervi prestato un po' d'aiuto. Ma che
cosa volevano quegli uomini da voi?
- È una istoria un po' lunga a
narrarsi. Ditemi, signore, voi non siete inglese?
- Mi chiamo Harry Brien e sono
americano della California.
- E questa nave che è così
poderosamente annata, meglio d'un incrociatore di prima classe?
- Oh molto meglio! - disse
l'americano, sorridendo. - Credo che finora non ve ne sia una seconda in tutta
la Malesia e nel Pacifico. Forte, a prova di scoglio, con artiglierie
formidabili e rapida come una rondine marina.
Si volse verso i marinai che stavano
loro d'intorno, interrogando curiosamente i compagni del portoghese, mentre il
medico di bordo prodigava le prime cure al pellegrino, dal cui petto usciva un
filo di sangue.
- Date la colazione a quelle
brave persone, - disse loro. - E voi signor de Gomera, seguitemi nel quadro.
Ah! Che cosa devo fare del vostro praho?
- Abbandonatelo alle onde,
comandante, - rispose il portoghese. - Non vale la pena di prenderlo a
rimorchio.
- Dove desiderate che vi sbarchi?
- Più vicino a Mompracem che vi
sarà possibile, se non vi spiace.
- Vi condurremo direttamente
colà, si trova quasi sulla mia rotta e la visiterò volentieri. Venite, signor
de Gomera.
Si diressero verso poppa e
scesero nel quadro, mentre la nave, dopo che i marinai ebbero issato le due
scialuppe e tagliati gli ormeggi del praho, riprendeva la sua corsa
verso il sud.
Il comandante fece portare una
colazione fredda nel salotto poppiero e invitò Yanez a dare l'assalto.
- Possiamo discorrere anche
mangiando e bevendo, - disse amabilmente. - La mia cucina è a vostra
disposizione, signor de Gomera, al pari della mia cantina particolare.
Quando il pasto fu finito,
l'americano conosceva già tutte le disgraziate avventure toccate al suo
commensale sulla terra dei dayaki, per opera del misterioso pellegrino e
anche la pericolosa situazione in cui trovavasi Sandokan.
- Signor de Gomera, - disse,
offrendogli un manilla profumato, - vorrei proporvi un affare.
- Dite, signor Brien, - rispose
il portoghese.
- Sapete dove stavo per recarmi?
- Non lo saprei indovinare.
- A Sarawak per cercare di
vendere questa nave.
Yanez si era alzato, in preda ad
una visibile commozione.
- Voi volete vendere la vostra
nave! - esclamò. - Non appartiene alla marina da guerra americana?
- Niente affatto, signor de
Gomera. Era stata costruita nei cantieri d'Oregon, per conto del sultano di
Shemmerindan, il quale voleva vendicare, a quanto mi fu detto, suo padre
uccisogli dagli olandesi nella sanguinosa sconfitta inflitta a quei predoni
molti anni or sono.
- Nel 1844, - disse Yanez. - Conosco
quell'isola4.
- Il sultano aveva già versato ai
costruttori un'anticipazione di ventimila sterline, promettendo l'intero
pagamento alla consegna della nave, ed un forte regalo se fosse riuscita tale
da poter sfidare impunemente le navi olandesi. Non abbiamo lesinato e, come
avete potuto osservare, questo piroscafo vale meglio d'un incrociatore di prima
classe. Disgraziatamente quando condussi la nave alla foce del Cotti, fui
informato che il sultano era stato assassinato da un suo parente, ad
istigazione degli olandesi, a quanto pare, per evitare una nuova campagna. Il
suo erede non ne volle sapere della nave, abbandonandoci l'anticipo fattoci.
- Quello là è una bestia, - disse
Yanez. - Con un simile piroscafo avrebbe potuto far tremare anche il sultano di
Varauni.
- Da Ternate ho telegrafato ai
costruttori e mi hanno incaricato di offrirla al rajah di Sarawak o a
qualche sultano. Signor de Gomera, vorreste acquistarla? Con questa voi
potreste diventare il re del mare.
- Vale? - chiese Yanez.
- Gli affari sono affari,
signore, - disse l'americano. - I costruttori chiedono cinquantamila sterline.
- Ed io, signor Brien, ne offro
sessantamila, pagabili sul banco di Pontianak, a condizione che mi lasciate il
personale di macchina a cui offrirò doppia paga.
- Sono gente che non rifiuterà,
avventurieri della più bella razza, pronti a chiudere ed aprire una valvola ed
a sparare il fucile.
- Accettate?
- By God! È un affare d'oro, signor de Gomera, e non
me lo lascerò sfuggire.
- Dove volete sbarcare col vostro
equipaggio?
- A Labuan possibilmente, per
prendere il postale che va a Shangai, da cui troveremo facile imbarco per San
Francisco.
- Quando saremo a Mompracem farò
mettere a vostra disposizione un praho onde vi sbarchi in quell'isola, -
disse Yanez.
Estrasse un libriccino che teneva
gelosamente nascosto in una fascia che portava sotto la camicia, si fece dare
una penna e appose delle firme su diversi biglietti.
- Ecco degli chéques per
sessantamila sterline, pagabili a vista sul banco di Pontianak, dove io e
Sandokan abbiamo un deposito di tre milioni di fiorini. Signor Brien, da questo
momento la nave è mia e ne assumo il comando.
- Ed io, signor de Gomera, da
comandante divento un pacifico passeggero, - disse l'americano, raccogliendo
gli chéques. - Signor de Gomera, visitiamo la nave.
- Non mi occorre mi è bastato uno
sguardo per giudicarla. Solo desidero conoscere il numero delle bocche da
fuoco.
- Quattordici pezzi, fra cui
quattro da trentasei, un'artiglieria assolutamente formidabile.
- Mi basta: devo occuparmi del
pellegrino. O egli mi dice dove la scialuppa ha condotto
Tremal-Naik e Darma o lo martirizzo fino a che esalerà
l'ultimo respiro.
- Conosco un mezzo infallibile
per costringerlo a parlare, l'ho appreso dalle nostre
pelli-rosse, - disse l'americano. - Sempre la rotta su
Mompracem, signor de Gomera?
- Ed a tiraggio forzato, -
rispose il portoghese. - È probabile che in questo momento Sandokan stia per
misurarsi cogli inglesi e non ha che dei prahos.
- E voi, signor de Gomera,
avete a disposizione una nave da cacciare tutti a fondo. Pezzi da 36! Faranno
saltare le cannoniere di Labuan come giuocattoli.
Lasciarono il quadro e salirono
in coperta. La nave filava a tutto vapore verso il
sud-ovest, con una velocità assolutamente sconosciuta ai
piroscafi di quell'epoca.
Quindici nodi all'ora e sei
decimi. Chi avrebbe potuto gareggiare con quel piroscafo americano che filava
come una rondine marina o poco meno? Yanez ne era entusiasmato.
- È un fulmine! - aveva detto ad
Harry Brien. - Con tale nave, né gli inglesi di Labuan, né il rajah di
Sarawak mi fanno paura. Sandokan, se volesse, potrebbe dichiarare la guerra
anche all'Inghilterra!
Kammamuri in quel momento gli si
appressò, dicendogli:
- Signor Yanez, la ferita del
pellegrino non ha alcuna importanza. La vostra palla deve aver colpito prima
qualche cosa di duro, probabilmente l'impugnatura del tarwar, che
quell'uomo portava alla cintura e l'ha colpito solamente di rimbalzo,
strisciando su una costola.
- Dov'è?
- In una cabina di prora.
- Signor Brien, volete
accompagnarmi?
- Sono con voi, signor de Gomera,
- rispose l'americano. - Cerchiamo di strappare il velo che nasconde quel misterioso
personaggio.
Scesero nella corsia di babordo
di prora ed entrarono in una stanzetta che serviva d'infermeria.
Il pellegrino giaceva su una
branda, guardato da Sambigliong e da un marinaio della nave.
Era un uomo sui cinquant'anni
magrissimo, dalla pelle assai abbronzata, coi lineamenti fini come quelli degli
indiani delle alte caste e gli occhi nerissimi, penetranti, animati da un fuoco
sinistro.
Aveva i piedi e le mani legate e
conservava un mutismo feroce.
- Capitano, - disse Sambigliong a
Yanez, - ho veduto or ora il petto di quest'uomo e vi ho scorto un tatuaggio
rappresentante un serpente con una testa di donna.
- Ecco la prova che egli è
veramente un thug indiano e non già un arabo maomettano, - rispose
Yanez.
- Ah! Uno strangolatore! -
esclamò l'americano, guardandolo con vivo interesse.
Il prigioniero udendo la voce di
Yanez aveva trasalito, poi aveva alzato il capo, fissandolo con uno sguardo
ripieno d'odio.
- Sì, - disse, - sono un thug,
un amico devoto di Suyodhana, che aveva giurato di vendicare su
Tremal-Naik, su Darma, su te e più tardi sulla Tigre della
Malesia la distruzione dei miei correligionari. Ho perduto la partita quando
credevo di averla vinta: uccidimi. Vi è qualcuno che penserà a vendicarmi e più
presto di quello che credi.
- Chi? - domandò Yanez.
- Questo è il mio segreto.
- Che io ti strapperò.
Un sorriso ironico sfiorò le
labbra dello strangolatore.
- E mi dirai anche dove quella
scialuppa a vapore ha condotto Tremal-Naik, Darma ed i miei
Tigrotti sfuggiti al fuoco dei tuoi lilà.
- Questo non lo saprai
mai!
- Adagio, signor strangolatore, -
disse l'americano. - Permettetemi di avvertirvi che io conosco un mezzo
infallibile per farvi parlare. Non resistono nemmeno le
pelli-rosse, che sono d'una cocciutaggine incredibile.
- Voi non conoscete gli indiani,
- rispose il thug. - Mi ucciderete, ma non mi strapperete una
sillaba.
L'americano si volse verso il suo
marinaio dicendogli:
- Prepara sul ponte un paio di
tavole ed un barile d'acqua.
- Che cosa volete fare, signor
Brien? - chiese Yanez.
- Ora lo vedrete, signor de
Gomera. Fra due minuti quest'uomo parlerà, ve lo prometto.
- Voi, - aggiunse poi
rivolgendosi a Sambigliong e a Kammamuri, - prendete quest'uomo e portatelo in
coperta.
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