L'indiano non aveva opposto la
menoma resistenza, anzi il sorriso ironico che gli sfiorava le labbra non era
nemmeno sparito. Pareva che quell'uomo fosse assolutamente sicuro di sé e che
nemmeno la prospettiva, non certo piacevole, di dover sopportare la tortura,
avesse scossa la sua forte anima di settario fanatico.
Quando si trovò sulla tolda,
disteso su una tavola e solidamente legato in modo da impedirgli di fare il
menomo movimento, anche allora la sua serietà non venne meno.
Guardò con occhio tranquillo i
marinai che avevano formato un circolo intorno a lui, poi il capitano e Yanez,
dicendo a quest'ultimo col suo solito accento beffardo:
- Ed ora mi getterai ai pesci?
- Abbiamo qualche cosa di meglio,
signor strangolatore, - disse l'americano. - Vi duole la ferita?
Lo strangolatore alzò le spalle
con disprezzo.
- Non datevi alcun pensiero per
quella graffiatura, - disse con voce recisa. - Mi prendete per un fanciullo?
- Meglio così. Portate un paio di
secchie e l'imbuto.
Tre marinai si fecero largo,
portando quanto era stato chiesto. L'imbuto era quello che usava il cambusino
per riempire le botti, un arnese massiccio dall'imboccatura abbastanza larga
per tappare completamente la bocca dell'indiano.
- Vuoi confessare? - chiese per
l'ultima volta l'americano. - Mi risparmierai una tortura inutile, perché non
potrai resistere.
- No, - rispose seccamente lo
strangolatore.
- Neanche se ti promettessi un
giorno la libertà? - chiese Yanez, a cui ripugnava ricorrere ai mezzi estremi.
- Quel giorno io non sarei più
vivo.
- Agite, - disse l'americano.
Tutti si erano ristretti attorno
alla tavola. Solo il timoniere era rimasto dietro la ruota ed i fuochisti
dinanzi ai forni.
Due marinai introdussero nella
bocca dell'indiano l'estremità dell'imbuto, tenendovelo ben fermo, mentre un
terzo vi versava lentamente l'acqua contenuta nel bugliolo5.
Lo strangolatore, costretto a bere
per non morire soffocato, aveva cercato con uno sforzo disperato, di spezzare i
legami per allontanare l'imbuto. Aveva subito compreso che non avrebbe potuto
resistere a lungo a quella tortura che prima di allora non aveva mai
conosciuta.
Tuttavia, deciso a resistere fino
all'ultimo, anche a morire, non fece alcun atto che potesse far supporre
all'americano ed al portoghese di essere pronto a confessare.
Il liquido continuava a
scorrergli nello stomaco ed il suo ventre si gonfiava a vista d'occhio. I suoi
lineamenti dimostravano uno spasimo estremo, gli occhi pareva che volessero
schizzargli dalle orbite e respirava affannosamente per le nari, con un rantolo
sinistro, lugubre.
- Confesserai? - gli chiese
l'americano che assisteva, freddo, impassibile, a quella scena, facendo segno
al marinaio che teneva la secchia di fermarsi.
Il thug fece col capo un
feroce gesto di diniego ed i suoi denti scricchiolarono sulla canna di ferro
dell'imbuto.
Un altro paio di litri d'acqua
scorsero pel tubo. Il martirizzato, col viso congestionato, gli occhi già
spaventosamente sbarrati, lo stomaco enormemente dilatato, fece ad un tratto un
brusco soprassalto.
Era la sua resa.
- Basta, - aveva detto Yanez,
nauseato. - Basta.
L'imbuto fu tolto. Il thug aspirò
a lungo l'aria, poi con voce rantolosa mormorò:
- Assassini!
- Oh! Non morrai per un po'
d'acqua, - disse l'americano. - Non si può resistere, questo è vero, ma non si
corre alcun pericolo se non si continua. Parlerai?
L'indiano stette un momento
silenzioso, poi vedendo l'americano fare cenno ai marinai di ricominciare, una
orribile espressione di spavento si diffuse sul suo viso.
- No... no... più - balbettò.
- Chi è l'uomo che ti ha mandato
qui? Parla o ricominciamo, - disse Yanez.
- Sindhya, - rispose l'indiano.
- Chi è costui? E tu,
soprattutto, chi sei veramente?
- Sono... sono... il
precettore... di Sindhya... l'ho allevato... io... io... l'amico... fedele...
di Suyodhana...
- E quel Sindhya? - insistette
Yanez che vedeva l'indiano girare gli occhi e respirare sempre più
affannosamente.
- Parla o torniamo all'acqua, -
disse l'americano.
- È... è... il figlio... di...
Suyodhana, - burbugliò lo strangolatore.
Un grido di stupore era sfuggito
dalle labbra di Yanez, di Kammamuri e di Sambigliong. Suyodhana aveva lasciato
un figlio! Era possibile? Il capo dei settari, che meno degli altri avrebbe
potuto amare una donna, lui che incarnava sulla terra il Trimurti della
religione indiana, come un giorno la piccola Darma aveva incarnata Kalì, la
sanguinaria divinità, aveva avuto il suo romanzo, come un mortale qualunque?
Yanez si era curvato
sull'indiano, per chiedergli maggiori spiegazioni e s'avvide che il povero uomo
aveva smarrito i sensi.
- Che muoia? - chiese, rivolgendosi
all'americano. - Non ha confessato tutto e bisogna che sappia dove si trova il
figlio del terribile strangolatore e dove hanno condotto
Tremal-Naik e Darma.
- Lasciatelo digerire
tranquillamente la sua acqua, - rispose lo yankee. - Questa
tortura non uccide, se viene sospesa a tempo e domani quest'uomo starà bene
quanto me e voi. Facciamolo riportare nella cabina e lasciamo che dorma.
- È svenuto.
- S'incaricherà il medico di
bordo di farlo tornare in sé. Non temete, signor de Gomera. Questa sera o
domani, noi sapremo tutto quello che desiderate sapere.
Fece un cenno ai due marinai e
questi sollevarono l'indiano, che non dava più segni di vita e lo portarono nel
frapponte.
- Ebbene, signor de Gomera, -
disse l'americano, rivolgendosi a Yanez che pareva assai preoccupato e
pensieroso. - Pare che non siate troppo lieto della nuova che avete appreso. È
un uomo pericoloso, il figlio del capo degli strangolatori?
- Può diventarlo, - rispose
Yanez, - non sapendo noi né dove si trovi, né chi sia, né di quali mezzi
disponga. La guerra sorda ma implacabile, fattaci finora, dimostra che quel
Sindhya deve possedere l'energia e la ferocia del padre. È necessario che io
sappia dove si nasconde.
- Non era dunque fra i dayaki che
vi hanno assaliti?
- Non sembra. Non vi era che quel
pellegrino alla testa dell'insurrezione, di questo siamo certi. Se vi fosse
stato qualche altro indiano a quest'ora l'avremmo saputo.
- Che sia veramente possente quel
Sindhya?
- I fatti lo dimostrano. È stato
lui ad armare i dayaki, lui a sobillare gli inglesi e forse anche il
nipote di James Brooke. Sono certo che deve disporre di ricchezze
incalcolabili.
- E l'oro è il nerbo della
guerra, - disse l'americano.
- E deve aver armato qualche nave
anche.
- Che la vostra affonderà senza
fatica, signor de Gomera. Nessuno potrà sfidare impunemente le vostre
artiglierie che sono le più moderne e le più formidabili che finora si
conoscano e che anche la marina del mio paese sta adottando. Che peccato non
potervi tenere compagnia!
- Signor Yanez, - disse in quel
momento Kammamuri, che fino allora era rimasto silenzioso e non meno pensieroso
del portoghese, - che cosa ne dite di questa inaspettata rivelazione?
- Che non avrei mai supposto che
noi dovessimo trovarci ancora di fronte ai thugs indiani. Tu che sei
stato loro prigioniero parecchio tempo, non hai mai udito a narrare che
Suyodhana avesse un figlio?
- No, signor Yanez, e poi se i thugs
lo avessero saputo, il loro capo avrebbe molto perduto della sua influenza.
Egli deve averlo fatto allevare molto lontano dalle Sunderbunds, all'insaputa
di tutti, per celare la propria colpa. Un capo come lui non può amare una
mortale: il suo cuore non deve battere che per la sanguinaria dea e per
nessun'altra donna.
- Credi tu che la comunità dei thugs
fosse molto ricca?
- Mi fu detto che poteva disporre
di tesori favolosi e che solo Suyodhana sapeva dove erano collocati.
- Distrutti i settari, certo
quelle ricchezze saranno state raccolte da Sindhya.
- È probabile, signor Yanez, -
rispose il maharatto.
- Ed ora viene a sfidarci
per vendicare suo padre! - disse il portoghese, come parlando fra sé. - Come la
Tigre della Malesia ha vinto e ucciso la Tigre dell'India abbatterà anche il
tigrotto.
- Mi stupisce però, - disse
l'americano, - come lui, figlio d'uno strangolatore, sia riuscito a procurarsi
l'appoggio degli inglesi, se è vero quanto voi sospettate.
- Sapete voi sotto quale nome o
quale titolo si nasconda? - chiese Yanez. - Non sarà stato così sciocco da dire
al governatore di Labuan che è un seguace di Kalì. Mi occorre sapere dove si
trova ed il suo precettore me lo dirà, dovessi torturarlo fino a che muoia.
- Basterà minacciarlo d'una nuova
bevuta, - disse l'americano. - Non resisterà, lo vedrete e vi spiattellerà
tutto. Signor de Gomera, andate un po' a riposarvi. Dovrete essere assai
stanco, dopo tante emozioni. I vostri marinai dormono già come ghiri.
Il portoghese, che da due notti
non chiudeva gli occhi, seguì il consiglio dell'americano e scese nel quadro
con Kammamuri, gettandosi vestito come era in un lettuccio.
Intanto la nave continuava la sua
rotta verso il sud-est, tenendosi a una dozzina di miglia
dalla costa. Divorava i suoi quindici nodi, velocità assolutamente
straordinaria in quell'epoca, in cui i piroscafi migliori, non esclusi gli
incrociatori, non riuscivano ordinariamente a percorrerne più di dodici.
Al largo non appariva alcuna
nave; verso la costa, assai sinuosa e frastagliata da minuscoli seni,
veleggiavano lentamente alcuni prahos montati probabilmente da
pescatori, essendo le acque che bagnano quella grande isola ricchissime di
pesci.
A mezzodì il Nebraska -
tale era il nome del magnifico vapore - avvistava già l'isola di Tiga e
puntava direttamente verso il capo Nosong, che forma l'estremità d'una vasta
isola staccata dalla terraferma da uno stretto canale che sbocca nella vasta
baia di Bruni.
Alle quattro, Labuan, la colonia
inglese, a cui Sandokan per tanti anni aveva dato da fare, minacciando l'esterminio
dei suoi primi coloni, era in vista verso il sud. Quasi nel medesimo istante la
voce dell'americano svegliava bruscamente Yanez.
- In piedi, signor de Gomera! -
aveva gridato il comandante.
Vi era nella voce un certo tono,
che fece balzare subito in piedi il portoghese. Anche il viso dell'americano
era assai oscuro.
- Avete qualche brutta nuova da
comunicarmi? Mi sembrate sconvolto, signor Brien.
- By God! - bestemmiò
lo yankee grattandosi rabbiosamente la testa. - Non me l'aspettavo,
signor Yanez.
- Insomma, che cosa c'è di nuovo?
- C'è... c'è... che quel
maledetto indiano se n'è andato all'altro mondo senza completare le sue
confessioni.
- Morto!
- Aveva qualche terribile veleno
nascosto in un anello. Vi rammentate che ne aveva uno al dito medio, con un
grosso corindone?
- Sì, mi pare di averglielo
veduto.
- Ho trovato il corindone levato
e sotto di esso un piccolo vuoto che doveva contenere qualche granello di
chissà quale sostanza tossica ed è rimasto fulminato sotto gli occhi del
marinaio di guardia, - disse l'americano.
Yanez aveva fatto un gesto di
collera.
- Morto, portando nella tomba il
segreto che più mi premeva! - esclamò coi denti stretti. - Come faremo noi a
sapere dove quella scialuppa a vapore ha condotto Tremal-Naik,
Darma ed i loro uomini? Maledizione! La stella che per tanti anni ci ha
protetti, comincia a offuscarsi. Sarebbe il principio della fine?
- Non scoraggiatevi, signor
Yanez, - disse l'americano. - Non li avranno già mangiati i vostri amici. Se
non li hanno uccisi subito, vuoi dire che i rapitori avevano ricevuto l'ordine
di tradurli in qualche luogo.
- E dove?
- Ecco il punto nero, per ora.
Yanez, che in quella disgraziata
spedizione più volte aveva perduto la sua calma, si era messo a passeggiare per
la cabina in preda ad una vivissima agitazione.
Che cosa fare? Che cosa
risolvere? Dove dirigere le ricerche? Erano quelli i pensieri che turbavano la
sua mente.
- Dove ci troviamo ora, signor
Brien? - chiese ad un tratto fermandosi dinanzi all'americano.
- In vista delle coste di Labuan,
signor de Gomera.
- Quando potremo giungere a
Mompracem?
- Fra le dieci e le undici di
notte.
- Fate mettere in acqua una
scialuppa con viveri e armi per due uomini e accostate Labuan.
- Che cosa volete tentare, signor
de Gomera?
- Mi è venuto un sospetto.
- E quale?
- La scialuppa a vapore si è
diretta verso il sud, senza entrare nella baia di Kabatuan, che i miei prahos
avevano già oltrepassata.
- Sicché voi credete?
- Che abbia condotti
Tremal-Naik, Darma e i loro uomini a Labuan.
- E vorreste sbarcare un paio dei
vostri malesi onde vadano ad informarsi?
- E raccoglierli più tardi.
- Due uomini bianchi avrebbero
maggiori probabilità e ve ne sono a bordo di quelli che hanno fegato. Basta
pagarli.
- Avranno ciò che chiederanno.
- Seguitemi, signor Yanez.
Quando salirono in coperta, le
spiagge di Labuan erano perfettamente visibili, non distando che una dozzina di
miglia.
L'americano fece armare una
scialuppa, chiamò due marinai, due californiani alti come granatieri e li
informò del desiderio espresso dal portoghese.
- E offro cento sterline a
ciascuno se riuscirete a darmi notizie dei miei amici, - aggiunse Yanez.
- Andiamo anche all'inferno noi,
- rispose uno dei due marinai.
- A prendere Belzebù, se lo
vorrete, signor comandante, - disse l'altro.
- Fra due giorni al più tardi io
verrò a raccogliervi.
- Di notte? - chiese Bob.
- Sì, e segnalerò la nostra
presenza con un razzo verde.
- Che il diavolo ci porti via se
non riusciremo, signor comandante, - rispose il primo.
La scialuppa era pronta. I due
californiani vi discesero e presero subito il largo arrancando verso l'isola,
mentre il Nebraska riprendeva frettolosamente la sua rotta, dirigendosi
verso ponente.
Un po' più tardi lo
strangolatore, dopo che il medico ebbe constatato essere veramente morto,
veniva gettato in mare chiuso entro un'amaca e con una palla di cannone ai
piedi, onde sottrarlo alla voracità dei pescicani, che si tengono
ordinariamente a fior d'acqua.
Alle otto di sera il Nebraska,
che non aveva rallentata la velocità, si trovava già a mezza via fra Labuan
e Mompracem. Il mare era sempre deserto e la luna sorgeva lentamente
all'orizzonte, specchiandosi in esso.
Una calma assoluta regnava
intorno alla nave. Nessuna ondulazione increspava la superficie che pareva
d'olio.
Yanez, Kammamuri e Sambigliong,
dal castello di prora, spiavano ansiosamente l'orizzonte, impazienti di
avvistare l'alta rupe su cui sorgeva la dimora della Tigre della Malesia,
mentre l'americano, che aveva ripreso momentaneamente il comando della poderosa
nave, passeggiava sulla plancia di comando.
- Quale sorpresa per Sandokan
vedendoci giungere con un simile rinforzo! - disse Sambigliong. - Abbiamo
perduto la Marianna e torniamo con una nave che ne vale venti.
- Che darà del filo da torcere a
Sindhya ed ai suoi alleati, se veramente ne ha, - rispose Yanez.
- Che gli inglesi si siano
accontentati d'una semplice minaccia, capitano?
- È un bel po' che ci hanno fatto
capire di andarcene lontani da Mompracem.
- E l'ultima minaccia era grave,
signor Yanez, - disse Kammamuri. - Non avevo mai veduto Sandokan così
preoccupato prima di allora.
- Si preparava alla resistenza?
- Sì, signor Yanez.
Ad un tratto il portoghese
impallidì.
- Se giungessimo troppo tardi? -
chiese con ansietà. - No, è impossibile che abbiano potuto vincere in così
breve tempo Sandokan. Ha uomini di ferro e navi e cannoni e batterie
formidabili. Le sole forze di Labuan non sarebbero sufficienti per una tale
impresa. Fra un'ora sapremo che cosa sarà avvenuto.
Si era messo, come era sua
abitudine, quando un pensiero lo tormentava, a passeggiare pel castello, colle
mani affondate nella tasca e la sigaretta spenta fra le labbra.
Passarono quindici o venti
minuti. Solo diciotto o venti miglia separavano la Nebraska da
Mompracem.
Ad un tratto, verso ponente, si
udì un rombo lontano, che si propagò sul mare rumoreggiando sinistramente.
Yanez aveva interrotta
bruscamente la sua passeggiata, mentre l'americano scendeva precipitosamente la
plancia di comando.
- Un colpo di cannone! - aveva
esclamato Yanez.
- E viene da Mompracem, signor de
Gomera, - disse l'americano, salendo il castello. - Il vento ci soffia di
fronte.
- Che gli inglesi abbiano
assalito l'isola?
- Ma ci siamo noi e vi mostrerò
la potenza delle nostre artiglierie. Uomini di macchina! A tiraggio forzato e
caricate le valvole più che potete. Uomini dei pezzi! Ai vostri posti!
Una seconda detonazione rimbombò
in quel momento, più distinta della prima, seguìta dopo qualche po' da una
serie non interrotta di spari più o meno sonori.
Non ci si poteva ingannare.
All'orizzonte, in direzione di Mompracem, si combatteva un'aspra battaglia.
Yanez e l'americano si erano
slanciati sul ponte di comando, mentre gli artiglieri caricavano
frettolosamente i pezzi della coperta e delle batterie e si raddoppiava il
personale di macchina.
- Siamo pronti? - chiese Brien
all'ufficiale di quarto che aveva ispezionati rapidamente tutti i pezzi.
- Sì, comandante.
- Doppia riserva al timone ed in
coperta la guardia franca.
Le detonazioni continuavano con
un fragore crescente. Si udivano quelle secche dei piccoli pezzi e quelle
poderose e più prolungate delle artiglierie di grosso calibro.
Yanez, un po' pallido per
l'emozione, ma calmo, aveva puntato un cannocchiale verso ponente, mentre la
nave correva come una rondine marina, lasciandosi dietro una interminabile scia
spumeggiante.
- Fumo all'orizzonte! - gridò ad
un tratto il portoghese. - Vi sono delle navi a vapore laggiù. Sono navi
inglesi, non ne dubito. Presto! Presto!
- Corriamo il pericolo di
saltare, signor de Gomera. Non possiamo forzare di più le caldaie.
Un fumo biancastro, che la luce
lunare mostrava perfettamente, si alzava verso Mompracem.
I colpi spesseggiavano. Si
combatteva furiosamente in quella direzione.
Poi cominciarono a scorgersi i
lampi delle artiglierie. Avvampavano su una vasta zona, come se un gran numero
di navi combattessero.
- I nostri prahos! - urlò
d'improvviso Yanez, staccando dall'occhio il cannocchiale. - La Tigre della
Malesia s'allontana al nord. Maledetti! Ancora una volta gli inglesi ci hanno
vinti!
L'americano gli aveva strappato
di mano il cannocchiale.
- Sì, i prahos - disse
poi, - e cannoneggiati da cannoniere. Veleggiano al nord.
- Cannonieri! - gridò Yanez. -
Pronti pel fuoco di bordata! Massacrate quelle navi!
Il Nebraska si avanzava
rapido, in modo da frapporsi fra i velieri che fuggivano sempre sparando, colla
Marianna di Sandokan in coda che avvampava come un vulcano e le piccole
navi a vapore che li perseguitavano con scariche formidabili.
- Eccoci in pieno ballo, - disse
l'americano. - Giovanotti! Fuoco di bordata!
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