Sandokan attendeva Yanez ed i
prigionieri sulla cima della gradinata, a fianco d'una bellissima fanciulla
dalla pelle leggermente abbronzata, i lineamenti dolci e fini, gli occhi
nerissimi ed i capelli assai lunghi, intrecciati con nastrini di seta e che
indossava il pittoresco costume delle donne indiane.
Alcuni uomini dalla tinta
olivastra, che indossavano le bianche divise della marina da guerra,
illuminavano la scala con delle grosse lanterne.
Yanez pel primo era giunto sulla
tolda, tendendo una mano al terribile pirata e l'altra alla giovane indiana.
- Nulla? - aveva chiesto la Tigre
della Malesia con ansietà.
- Eccoli, - avea risposto Yanez.
Sandokan avea mandato un grido e
si era slanciato verso Tremal-Naik, mentre Darma si gettava
fra le braccia della giovane indiana, esclamando:
- Surama! Non credevo più mai di
rivederti!
- Nel quadro, miei cari amici, -
disse Sandokan, dopo d'essersi stretto al petto l'indiano e di aver baciato
sulle gote Darma. - Abbiamo mille cose da dirci.
- Un momento, Sandokan, - disse
Yanez, arrestandolo. - Fa' mettere la prora al nord e risaliamo a piccolo vapore
verso la seconda foce del Redjang. Vi è un leopardo nero che ci aspetta lassù e
che se non lo assaliamo ci guasterà i nostri piani. Si dice che sia molto
forte.
- Una nave?
- Sì e che a quest'ora si prepara
per darci la caccia.
- Ah! - fece Sandokan, quasi con
noncuranza. - Domani ci sbarazzeremo di quell'importuno.
Chiamò Sambigliong e l'ingegnere
di macchina e diede loro alcuni ordini, poi scese nell'elegante salotto del
quadro con Tremal-Naik, Darma e Surama che s'appoggiava
dolcemente a Yanez, il suo sahib bianco.
Quando ebbe appreso l'esito della
spedizione e quand'ebbe spiegato a Tremal-Naik tuttociò che
era accaduto dopo il combattimento avvenuto sulle coste del Borneo,
dell'acquisto della potente nave americana e della dichiarazione di guerra
lanciata contemporaneamente all'Inghilterra ingenerosa ed al nipote di James
Brooke, disse:
- Non sono già le squadre
inglesi, che non tarderanno a darci la caccia, né la flottiglia del rajah di
Sarawak che m'inquietano: è sempre il mistero che avvolge il figlio del tuo
antico nemico, mio caro Tremal-Naik. Dove si nasconde
quell'uomo che ha dato una rara prova della sua potenza, distruggendo per opera
del pellegrino, le tue piantagioni e le tue possessioni? Quando ci assalirà?
Che cosa sta tramando costui? Io non temo nessuno, eppure quell'uomo che non
abbiamo mai veduto, che non sappiamo né dove sia né che cosa stia preparando,
mi preoccupa, più che la presenza d'una squadra inglese.
- Non avete raccolta nessuna
notizia su di lui? - chiese Tremal-Naik, che pareva non
meno preoccupato del formidabile pirata.
- Abbiamo interrogato parecchie
persone durante la nostra corsa verso il sud avendo fermato parecchi velieri di
Sarawak, e senza riuscire a sapere dove sia quell'uomo.
- Non sarà già uno spirito.
- Si mostrerà una volta o
l'altra, - disse Yanez. - Se vuole farci la guerra e vendicare la morte di suo
padre, non rimarrà già eternamente nascosto.
- Che cosa conti di fare intanto,
Sandokan? - chiese Tremal-Naik.
- Di cominciare le ostilità col
dare battaglia a quella nave che si tiene ancorata alla foce del Redjang.
Giacché abbiamo dichiarata la guerra diamo segno di farla davvero.
- Volete affondarla? - chiese Darma
con un tono di voce che fece trasalire Yanez.
- La distruggerò, Darma, -
rispose freddamente Sandokan.
Il portoghese, che la guardava
attentamente, la vide leggermente impallidire e gli parve che un lieve sospiro
le fosse uscito dalle labbra, ma fu tutto, poiché la fanciulla non ribattè
parola alla terribile sentenza di morte pronunciata dal formidabile pirata
contro la nave di sir Moreland.
Tutti si erano alzati per
risalire in coperta. Surama aveva presa per una mano Darma, dicendole:
- Lasciamo fare agli uomini e tu
vieni a riposarti nella mia cabina. Ho fatto preparare un bel lettino per te,
perché ero sicura di rivederti presto.
La figlia di
Tremal-Naik sorrise senza rispondere e la seguì
nell'interno del quadro.
Quando Sandokan,
Tremal-Naik e Yanez furono in coperta, tutti gli uomini
erano ai loro posti di combattimento, avendo Sambigliong avvertito le tigri di
Mompracem che l'incrociatore si preparava ad assalire una grande nave nemica. I
fanali di posizione erano stati accesi e le batterie illuminate e raddoppiato
il personale del timone. I quattro enormi pezzi da caccia, disposti in
barbetta, a prora e a poppa entro torri giranti difese da piastre di ferro di
spessore considerevole, erano già stati caricati.
Un colpo di vento avendo dispersi
nuovamente i vapori che ingombravano il cielo, cacciandoli verso il sud, le
stelle erano riapparse, sicché un vago chiarore si era diffuso nelle nere acque
del vasto golfo di Sarawak, chiarore che permetteva di poter facilmente
distinguere una nave, anche se navigasse coi fanali spenti.
Il Re del Mare s'avanzava
a piccolo vapore, per non consumare troppo combustibile, anzi Sandokan, per
maggior economia, aveva fatto spiegare le vele basse sul trinchetto e
sull'albero maestro, essendo il vento abbastanza fresco e non del tutto
sfavorevole. Dopo i consigli del capitano americano, il formidabile pirata era
diventato eccessivamente economico nel consumo del combustibile, non potendo
provvedersi in alcun porto dopo l'audace dichiarazione di guerra, e durante la
traversata fra Labuan e il golfo di Sarawak non aveva fatto uso che delle vele,
manovra d'altronde più familiare ai suoi uomini, quantunque non pochi di loro
fossero stati già istruiti nel servizio delle macchine dagli americani rimasti
a bordo.
Yanez e
Tremal-Naik, appoggiati alla murata di prora, il cui capo
di banda era stato imbottito da amache arrotolate per riparo dei fucilieri,
scrutavano attentamente l'orizzonte, mentre Sandokan visitava le batterie e i
pezzi per vedere se tutto era in ordine.
A levante le coste apparivano
confusamente, diventando sempre più elevate di miglio in miglio che
s'avvicinavano al dirupato e altissimo promontorio di Sirik, che chiude verso
occidente la vasta baia o golfo di Sarawak. Nessun lume però brillava,
quantunque in quei luoghi si trovasse la cittadella di Redjang.
La notte trascorse così in una
continua esplorazione, senza risultato alcuno, ma appena cominciò a diffondersi
un po' di luce, si udì subito la voce della vedetta installata sulle crocette
del trinchetto a gridare a squarciagola:
- Fumo a levante!
Yanez,
Tremal-Naik e Sandokan si erano subito issati sulle
griselle di babordo del trinchetto, innalzandosi fino alla coffa e videro
subito, là dove il mare pareva confondersi col cielo, un pennacchio di fumo
alzarsi nettamente nella limpida atmosfera mattutina.
- Viene dalla foce del Redjang, -
disse Yanez. - Scommetterei cento sterline contro una sigaretta che quella è la
nave di sir Moreland.
- L'hai veduta tu quella nave? -
chiese Sandokan a Tremal-Naik.
- No, - rispose l'indiano. - Mi
hanno detto però che stava completando le sue provviste di carbone alla foce
del secondo braccio del Redjang.
- Vi è un deposito di combustibili
colà?
- Udii a parlare d'un praho carico
di carbone mandato da Sarawak. Non deve esservi nemmeno una misera borgata su
quelle spiaggie.
- Peccato, - disse Sandokan.
- Ma io ho udito a raccontare che
ve n'è uno alla foce del Sarawak invece, su di un'isoletta e dove va a
provvedersi la squadra del rajah.
- Chi te lo ha detto?
- sir Moreland.
- Se ci va la squadra del rajah,
possiamo bene andarci anche noi, è vero Yanez?
- E senza pagarlo, - rispose il
portoghese, che non dubitava mai di nulla. - Ecco la prora che comincia ad
emergere. Muovono su di noi, Sandokan, ed a tutto vapore. Devono aver scorto
anche essi il nostro fumo.
Sandokan si levò da una tasca un
cannocchiale, lo allungò più che potè e lo puntò sulla nave il cui scafo si cominciava
a distinguere anche a occhio nudo.
- Una bella nave infatti, -
disse. - Lo si direbbe un incrociatore e di forte tonnellaggio. Vedo molti
uomini a bordo.
- Corre su di noi? - chiese
Yanez.
- A tiraggio forzato, credo. Teme
che noi scappiamo. No, mio caro, non ne abbiamo alcun desiderio. È qui che noi
cominceremo le ostilità.
- Lo caleremo a fondo?
- Mi rincresce pel capitano, -
disse Tremal-Naik. - Contraccambiamo molto male la sua
ospitalità.
- Dorata, ma senza libertà, - disse
Yanez.
- Prepariamoci, - disse Sandokan.
Scesero in coperta, dove
s'incontrarono con Darma e con Surama che erano allora salite.
- Ci attaccano, mio sahib6?-
chiese l'indiana a Yanez.
- E farà molto caldo qui fra
poco, Surama, - rispose il portoghese.
- Noi vinceremo, è vero?
- Come abbiamo vinti i thugs di
Suyodhana.
- È la nave di sir Moreland? -
chiese Darma, con una certa ansietà, che non isfuggì all'astuto portoghese.
- Almeno lo supponiamo.
Poi, prendendola per un braccio e
traendola verso la torre di prora, le chiese, sorridendo:
- Che cos'hai Darma? È già la
terza volta che, udendo parlare del capitano, mi sembri commossa.
- Io! - esclamò la fanciulla,
arrossendo leggermente. - Vi siete ingannato, signor Yanez.
- Per Giove! Che la vecchiaia mi
abbia indebolita la vista?
- Oh no, ci vedete ancora troppo
bene.
- Allora?
Darma volse il capo verso il
mare, fissando i suoi sguardi sulla nave nemica, che forzava la sue macchine e
dicendo:
- È una grossa nave anche quella.
- Che non varrà la nostra -
rispose Yanez.
- Costringetela ad arrendersi
piuttosto che affondarla. Potrebbe esservi utile.
- Se è comandata da sir Moreland
non abbasserà la bandiera. Quell'uomo, quantunque giovane, deve essere un
valoroso e si batterà finché tutto il suo equipaggio non sarà distrutto.
- E non accorderete quartiere a
nessuno?
- Quando la nave calerà a picco
vedremo di salvare i superstiti, te lo prometto, Darma. Ritirati nella cabina
con Surama. Qui stanno per piovere le granate.
La voce formidabile, sonora come
lo squillo d'una tromba, della Tigre della Malesia, echeggiò in quel momento
sul ponte:
- A tutto vapore, ingegnere di
macchina! Pronti pei fuochi di bordata! Dietro le brande i fucilieri!
La nave avversaria che doveva essere
fornita di macchine poderose, non era più che a duemila metri e muoveva diritta
sul Re del Mare delle tigri di Mompracem, come se avesse avuto
intenzione di speronarlo o per lo meno di abbordarlo.
Era un bell'incrociatore e
fornito di sperone, con tre alberi e due ciminiere. Pareva che fosse
potentemente armato a giudicarlo dal numero dei suoi sabordi e anche in coperta
si scorgevano parecchi pezzi, ma non protetti da torri blindate come quelli
delle tigri di Mompracem.
Dietro le murate e perfino sulle
coffe si vedevano numerosi fucilieri e sul ponte di comando parecchi ufficiali.
- Ah! - disse Sandokan, che lo
contemplava con occhio tranquillo. - Vuoi misurarti pel primo colle tigri di
Mompracem? Siamo pronti a riceverti.
Mentre le due fanciulle sgombravano
rapidamente la coperta rifugiandosi nel quadro di poppa, Sandokan, Yanez e
Tremal-Naik si ritrassero nella torretta di comando dove
potevano mettersi in comunicazione col personale di macchina.
Gli artiglieri americani, assieme
ai migliori puntatori malesi, attendevano dietro ai loro pezzi col cordone
tira-fuoco in mano.
Ad un tratto una detonazione
scoppiò al largo, mentre un getto di fuoco sfuggiva da uno dei due pezzi di
prora dell'incrociatore. Si udì un rauco sibilo, che s'avvicinava rapidissimo
attraverso gli strati d'aria, poi una vampa s'alzò sull'orlo della prima
torretta di babordo del Re del Mare, mentre delle schegge passavano
sibilando sopra i fucilieri appiattati dietro le murate.
- Granata da dodici pollici! -
aveva esclamato Yanez. - Buon tiro!
La voce di Sandokan si fece udire
subito.
- Artiglieri, non vi trattengo
più!
I due pezzi da caccia di prora
avvamparono nell'istesso tempo, mentre quelli della batteria di tribordo,
trovandosi a buon tiro, tuonavano a loro volta con rimbombo tale da far tremare
tutta la nave.
L'incrociatore, che aveva già
guadagnato altri cinquecento metri e che manovrava in modo da presentare
all'avversario il suo fianco di babordo, fu sollecito a rispondere.
Palle e granate cominciavano a
cadere in gran numero su entrambi i vascelli, scrosciando lungo i fianchi di
ferro e scheggiando i ponti, smussando i pennoni e massacrando le manovre.
Le granate, scoppiando,
lanciavano in alto getti di fuoco, minacciando ad ogni istante di incendiare le
alberature.
I fucilieri, coricati dietro le
murate, a loro volta avevano aperto il fuoco, facendo delle scariche nutrite.
Una fitta nuvola di fumo
avvolgeva le due navi, rotta da lampi, mentre il fracasso era diventato così
formidabile da soffocare la voce dei comandanti.
La nave americana, meglio
protetta, meglio armata e anche più rapida, e montata da un equipaggio ormai
incanutito fra il fumo delle battaglie, aveva buon gioco contro l'avversario.
Le sue poderose artiglierie
battevano terribilmente l'incrociatore, coprendolo di fuoco e di ferro,
demolendogli le murate, massacrando le sue manovre e aprendogli fori
considerevoli nello scafo.
Invano la povera nave, che aveva
creduto di annientare facilmente i pirati di Mompracem, cercava di tener testa
a quell'uragano di ferro che cadeva sui suoi ponti con un orrendo frastuono,
facendo strage degli artiglieri della coperta e dei fucilieri. Le sue palle
rimbalzavano sulle piastre metalliche del Re del Mare e le sue granate
non riuscivano a demolire le torri blindate, dietro le quali gli artiglieri di
Mompracem, sotto la direzione dei quartiermastri americani, sparavano al
sicuro.
Sandokan aveva fatto ritirare
sotto coperta i suoi fucilieri, avendo compresa l'inutilità di quegli uomini,
necessari sui prahos, ma non su simili navi, e aveva dato il comando di
muovere addosso all'incrociatore per dargli l'ultimo colpo.
Il Re del Mare, quasi
ancora incolume, nonostante il furioso e ininterrotto cannoneggiamento
dell'avversario, si era slanciato innanzi descrivendo una immensa curva attorno
all'incrociatore che si era fermato.
A quattrocento metri gli scaricò
addosso una terribile bordata coi pezzi del ponte e quelli di babordo,
demattandolo e rasandolo come un pontone.
Perfino le due ciminiere erano rovinate
in coperta, divelte da due granate scoppiate alla loro base.
- È finito, - disse Yanez. -
Intimiamogli la resa.
- Se si arrenderanno, - rispose
Sandokan.
Lasciò che il vento diradasse il
fumo e fece innalzare sulla cima dell'alberetto maestro la bandiera bianca. La
risposta fu una bordata che fulminò metà dei timonieri del Re del Mare.
- Non ne avete abbastanza?
- gridò Sandokan. - Calatelo a fondo! Fuoco! Fuoco senza tregua!
Il cannoneggiamento ricominciò
con un crescendo spaventevole. Il Re del Mare continuava la sua rapida
corsa circolare opprimendo il disgraziato incrociatore sotto un fuoco
spaventevole.
La nave americana faceva
meraviglie. Pareva un vulcano avvampante, pronto a tutto distruggere.
L'incrociatore nondimeno opponeva
una resistenza eroica, quantunque ormai fosse ridotto ad un ammasso di rovine.
I due pezzi della coperta, smontati da quella grandine di granate, non
rispondevano più.
Il ponte era pieno di morti e di
feriti mescolati a pezzi di murate, a pennoni spaccati, a lembi di manovre
cadute dalle alberature sotto gli ultimi uragani di mitraglia ordinati da
Sandokan.
Getti di fuoco correvano da prora
a poppa, illuminando sinistramente il mare, mentre dagli ombrinali di babordo e
di tribordo sfuggivano getti di sangue.
La nave si sfasciava sotto i
colpi furiosi, mortali del Re del Mare.
- Basta! - gridò ad un
tratto Yanez, che dalla torre di comando assisteva a quella strage. - Cessate
il fuoco! Le scialuppe in mare!
Sandokan che guardava
freddamente, terribilmente impassibile, si volse verso il portoghese,
dicendogli:
- Che cosa comandi, fratello?
- Che il massacro cessi.
La Tigre della Malesia ebbe un
momento di esitazione, poi rispose:
- Hai ragione: salviamo i
superstiti. Quegli uomini o meglio il loro comandante è un eroe! Mettete in
acqua le scialuppe!
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