Un momento dopo, fatti imbarcare
i superstiti dell'incrociatore in una scialuppa provvista di viveri sufficienti
per poter raggiungere Redjang, senza che corressero il pericolo di provare le
strette della fame, il Re del Mare si slanciava attraverso il golfo di
Sarawak colla prora al sud.
Regnava una calma quasi completa,
soffiando molto di rado le brezze in quelle regioni infuocate, regioni assai
temute dai velieri, i quali sovente si trovano immobilizzati per delle lunghe
settimane. Solamente di quando in quando un'ondata lunghissima, rumoreggiante,
giungeva dall'est gonfiandosi gradatamente e dopo essere passata sotto
l'incrociatore, scuotendolo bruscamente, si perdeva in direzione opposta.
Passato però quel cavallone, che proveniva forse dalle lontane coste delle
isole della Sonda, l'oceano riprendeva la sua immobilità.
Nessuna nave si scorgeva al
largo, né all'est, né all'ovest, né al nord, né al sud. Abbondavano invece gli
uccelli dei tropici, instancabili volteggiatori che s'incontrano perfino a
parecchie centinaia di miglia dalle coste. Erano nembi di sule e di prionfinus
cinereus, specie di procellarie le quali, cosa davvero strana, portano
quasi sempre, attaccati alle penne dell'addome, dei granchiolini di mare, dei
piccolissimi cirripedi, costringendoli così a vivere, loro malgrado, in
aria. Sembra però che non si trovino troppo a disagio in quei viaggi aerei,
perché non pare che ne soffrano.
Sul mare poi si vedevano apparire
di quando in quando, sospese fra due acque, ad un metro sotto la superficie,
delle lunghe file di splendide meduse, in forma d'ombrelli trasparenti, le
quali si lasciavano mollemente trasportare dal flusso. Oppure si vedevano
guizzare dinanzi allo sperone della nave, rapidi come frecce, dei prontoporia,
i più piccoli delfini della specie, armati d'un lunghissimo rostro e delle
grosse dorate dalle splendide scaglie a tinte azzurre e giallo oro, nemiche
accanite dei pesci volanti, dotate d'una voracità incredibile e che quando
vengono prese, prima di morire perdono i loro brillanti colori diventando
grigiastre.
Il Re del Mare filava
rapido, sorpassando i dieci nodi, muovendo direttamente verso la costa di Sarawak
per andare a distruggere i depositi di carbone della squadra del rajah.
Era davvero una splendida nave,
dotata di straordinarie qualità marinaresche, nonostante le sue corazze, le sue
torri e le sue artiglierie; una vera nave corsara assolutamente moderna,
l'unica forse che avesse potuto intraprendere quella terribile crociera contro
la potente flotta inglese, senza un porto entro cui trovare rifugio.
- Ebbene,
Tremal-Naik? - chiese Sandokan, il quale era allora risalito
in coperta dopo d'aver fatta una breve visita a sir Moreland. - Che cosa ne
dici del nostro Re del Mare?
- Che è il migliore ed il
più potente incrociatore che io abbia veduto: una vera meraviglia, - rispose
l'indiano con entusiasmo.
- Sì, sono dei bravi costruttori
gli americani. Vent'anni or sono ricorrevano all'estero per formare le loro
flotte ed ora nelle loro costruzioni vincono tutti. Solide e potenti, ecco come
sono le loro navi d'oggidì. Con questa noi daremo ben da fare ai nostri avversari.
- E se l'Inghilterra ci lanciasse
addosso le migliori navi della sua flotta? Hai pensato a questo, Sandokan?
- Le faremo correre, mio caro, -
rispose la Tigre della Malesia. - L'oceano è vasto, la nostra nave è la più
rapida, e dei trasporti inglesi da assalire per privarli del loro carbone ne
troveremo sempre. Non ho la pretesa di poter continuare indefinitamente questa
guerra, ma prima di quel giorno in cui noi avremo recati enormi danni ai nostri
avversari, tali da fare loro rimpiangere il giorno in cui ci hanno cacciati
dalla nostra isola.
Accese il suo splendido narghilè,
prese sotto il braccio l'indiano e dopo d'aver passeggiato per qualche
minuto fra la ruota del timone e le torri poppiere, disse:
- Sai che il capitano va
migliorando?
- sir Moreland? - chiese
Tremal-Naik.
- Sì, malgrado l'orribile ferita,
non ha che una leggera febbre. Il signor Held è stupefatto e credo che abbia
ragione. Che fibra meravigliosa ha quell'uomo!
- Ti ha riconosciuto?
- Sì, anche or ora.
- Deve esser rimasto stupefatto
di vedersi in nostra mano. Non credeva certo di dover trovarsi così presto coi
suoi antichi prigionieri. Dorme?
- Sì e anche tranquillamente.
- Non ci darà dei fastidi
quell'uomo?
- Può darsi, ho dei progetti su
di lui.
- Quali?
- Non so ancora nulla per ora, -
disse Sandokan. - Ci penserò a che cosa potrà giovarci. Cerchiamo innanzi a
tutto di farcelo amico. Ci deve bene un po' di riconoscenza per averlo
strappato alla morte.
- Indovino il tuo pensiero, -
disse Tremal-Naik. - Tu speri di aver da lui qualche
notizia sul figlio di Suyodhana.
- È vero, - rispose Sandokan. -
Combattere un nemico sconosciuto, che non si sa dove si trovi, né che cosa stia
tramando, inquieta assai. Bah! Un giorno o l'altro si svelerà, si mostrerà,
suppongo, e quel giorno la Tigre divorerà anche il tigrotto dell'India.
Il dottor Held era in quel
momento comparso sulla porta del quadro. Quell'americano, che come abbiamo
detto, aveva accettato le proposte fattegli da Sandokan, proposte che potevano
costargli però la vita, era un bel giovane di ventisei o vent'otto anni, alto,
piuttosto magro, dallo sguardo intelligentissimo e vivo, colla fronte spaziosa
ed il viso roseo come quello d'una fanciulla, adorno d'una barbetta bionda
tagliata a punta.
- E dunque, signor Held? - gli
chiese Sandokan muovendogli sollecitamente incontro.
- Ormai rispondo della sua
guarigione, - rispose il medico. - Fra quindici giorni quell'uomo starà
perfettamente bene. Quegli anglo-indiani hanno la pelle ben
dura.
La campana che annunciava il
pranzo interruppe la loro conversazione.
- A tavola o Yanez
s'impazienterà, - disse Sandokan.
Mentre scendevano nel salone del
quadro, il Re del Mare continuava la sua corsa verso il
sud-sud-ovest.
L'oceano era sempre deserto,
percorrendo la nave una zona pochissimo frequentata dai velieri e dai
piroscafi, i quali ordinariamente si tengono più al nord o più al sud, gli uni
per evitare le calme e gli altri per evitare i banchi sottomarini che sono
numerosissimi intorno alle coste di Borneo.
Di quando in quando una banda di
volatili calavano sulle coffe degli alberi, prendendone possesso e lasciandosi
avvicinare dai marinai senza dimostrare di spaventarsi.
Erano dei grossi uccellacci,
specie di procellarie giganti, colle penne brune, chiamati dai marinai rompitori
d'ossa e dagli scienziati quebranta huesos, formidabili pescatori,
armati d'un rostro così acuto e così robusto che permette loro di affrontare i
più grossi pesci, colpendoli mortalmente nel cranio.
Anche qualche splendido albatro
veniva a volteggiare intorno alla nave, salutando i marinai con dei grugniti da
porco e attraversando senza paura la tolda, nonostante le fucilate che
sparavano i malesi.
Magra selvaggina però, perché se sembravano
immensi, misurando le loro ali unite perfino tre metri e mezzo, è molto se i
loro corpi pesano otto o dieci chilogrammi, senza contare poi che le loro carni
sono coriacee e impregnate d'un pessimo odore di pesce.
Comunque erano ammirabili nei loro
voli, essendo dei volteggiatori straordinari. Certi momenti rimanevano quasi
immobili al di sopra dell'incrociatore, vibrando appena le loro gigantesche
ali, poi partivano come fulmini e calavano in mare a pescare i piccoli
cefalopodi, i loligo, dei quali si nutrono di preferenza.
Le prede d'altronde non mancavano
a quegli avidissimi volatili, perché le acque dell'oceano si mostravano
straordinariamente ricche di pesci, con molto piacere anche dei marinai, i
quali o con reticelle o con fiocine, nonostante la rapidità dell'incrociatore,
s'ingegnavano di prenderli onde variare la minuta di bordo.
Oltre a grosse bande di dorate,
di piccoli delfini e di serpenti di mare, lunghi un metro, di forma cilindrica,
colla pelle bruna nera e la coda gialla, si vedevano a galleggiare un numero
sterminato di diodon, pesci assai strani, che abitano quasi
esclusivamente le zone torride e che hanno l'abitudine di navigare col ventre
in aria e di gonfiarsi fino a diventare completamente rotondi.
Salivano dagli abissi dell'oceano
a centinaia e centinaia, mostrando le loro spine acute che coprono i loro
corpi, facendoli rassomigliare ai ricci terrestri, a tinte però svariate,
bianche, violacee o macchiate in nero, mentre in mezzo a loro sfilavano, coi
tentacoli al vento onde approfittare del menomo soffio d'aria, lunghe file di nautilus.
Di quando in quando un improvviso
terrore si manifestava fra tutti quegli abitanti dell'oceano tropicale. Le
dorate scomparivano precipitosamente, i diodon si sgonfiavano
rapidamente, lasciandosi colare a picco; i nautilus ripiegavano i loro
tentacoli, rovesciavano la loro conchiglia navigante fino allora come una
leggera barchetta, e si sommergevano.
Un nemico terribile e avidissimo,
si era bruscamente scagliato in mezzo alle bande colla formidabile bocca
spalancata, irta di denti acuti come quelli delle tigri. Era un vorace charcharias,
un pescecane di cinque o sei metri di lunghezza, che aveva sparso
quell'improvviso terrore, un nemico pericoloso anche per gli uomini.
Con rapidità fulminea ingoiava i
ritardatari, poi scompariva, sempre preceduto dal suo pilota, un grazioso
pesciolino colla pelle azzurra porporina, a striscie nere, non più lungo di
venticinque centimetri e che serve di guida al suo formidabile padrone e
protettore.
Cessato però il pericolo, le
dorate ricomparivano giuocherellando e i diodon si rigonfiavano
ballonzolando sulle onde e le splendide conchiglie dei nautilus dai
margini di madreperla raddrizzavano gli otto tentacoli leggermente arrotondati
all'estremità.
Verso il tramonto, quando
Sandokan e Yanez scesero nella cabina dove trovavasi
l'anglo-indiano, constatarono con piacere che il ferito si
trovava in condizioni migliori che al mattino. La febbre era quasi cessata e la
ferita, sapientemente cucita dall'abile americano, non dava più sangue.
Quando entrarono, sir Moreland
stava parlando, con voce abbastanza chiara, col signor Held, chiedendo
informazioni sulla potenza della nave corsara.
Vedendoli,
l'anglo-indiano fece uno sforzo per alzarsi a sedere;
Sandokan con un gesto glielo impedì.
- No, sir Moreland, - disse. -
Siete troppo debole e per ora dovete evitare qualsiasi sforzo. È vero, mio caro
Held?
- La ferita potrebbe riaprirsi, -
rispose il dottore. - Vi ho proibito, Sir, di fare qualsiasi movimento.
L'anglo-indiano
porse la mano all'americano, a Yanez e a Sandokan, dicendo loro:
- Grazie di avermi salvato,
signori, quantunque avessi desiderato di affondare assieme alla mia nave ed ai
miei disgraziati marinai.
- Vi è sempre tempo a morire per
un marinaio, - rispose Yanez, sorridendo. - La guerra non è ancora finita, anzi
per noi è appena cominciata.
Una nube oscurò la fronte
dell'anglo-indiano.
- Credevo che la vostra missione
terminasse colla liberazione di quella fanciulla e di suo padre, - disse.
- Non avrei acquistata una nave
di tale potenza per una simile impresa, - disse Sandokan. - I miei prahos sarebbero
stati sufficienti.
- Sicché voi continuerete a
corseggiare?
- Sì e finché avrò un solo uomo
ed un pezzo d'artiglieria servibile.
- Io vi ammiro, signori, ma credo
che le vostre corse finiranno presto. L'Inghilterra ed il rajah non
tarderanno a farvi inseguire dalle loro squadre. Come resisterete voi a simili
attacchi? Il carbone vi verrà meno e sarete costretti ad arrendervi o a farvi
colare a picco dopo una inutile resistenza.
- Lo vedremo...
Poi Sandokan, cambiando
bruscamente tono, chiese:
- Come state, sir Moreland?
- Relativamente bene; il dottore
mi assicura che io potrò alzarmi fra una diecina di giorni.
- Avrò molto piacere di vedervi
passeggiare sul ponte della mia nave.
- Sicché contate di tenermi
prigioniero, - disse l'anglo-indiano, sorridendo.
- Anche se volessi rendervi la libertà
in questo momento non potrei farlo, perché siamo ben lontani dalle coste.
- Risalite verso il nord?
- No, sir Moreland, andiamo
invece verso il sud; desidero vedere la foce del Sarawak.
- Vi comprendo, signore.
Tenterete un colpo di mano sui depositi di carbone del rajah.
- Non lo so ancora.
- Signor Sandokan, desidererei
una spiegazione, se lo permettete.
- Parlate, sir Moreland, -
rispose la Tigre della Malesia. - Poi, se me lo permettete, vi farò anch'io
qualche interrogazione.
- Desidererei sapere perché avete
coinvolto nella guerra anche il rajah di Sarawak.
- Perché noi siamo convinti che
egli sia il protettore dell'uomo misterioso che ha scatenato contro di noi gli
inglesi di Labuan e che in un solo mese ci ha recato tanti danni.
- Chi è costui?
Sandokan fissò
sull'anglo-indiano uno sguardo acutissimo, come se avesse
voluto leggergli fino in fondo al cuore, poi disse:
- È impossibile che voi, che
appartenete alla marina del rajah, non lo abbiate conosciuto.
Qualche cosa, come un fremito,
passò sul viso di sir Moreland, il quale rimase per qualche istante muto.
- No, - disse poi, - non ho mai
veduto l'uomo a cui voi alludete. Ho udito però a narrare che un individuo
misterioso, che pare possegga delle ricchezze favolose, ha visitato il rajah,
mettendogli a sua disposizione navi e uomini per vendicare James Brooke.
- Un indiano, è vero?
- Non lo so, - rispose sir
Moreland. - Io non l'ho mai veduto.
- È quell'uomo che ha spinto gli
inglesi ed il rajah contro di noi?
- Così mi hanno narrato.
- Il figlio d'un famoso capo di thugs
indiani.
- Non ve lo saprei dire.
- E vuole misurarsi colle tigri
di Mompracem?
- Ed è anche certo di vincervi.
- Cadrà come è caduto suo padre e
come è caduta tutta la sua setta, - disse Sandokan.
Un secondo fremito passò sul viso
dell'anglo-indiano, mentre negli occhi nerissimi balenava
come una fiamma. Stette un'altra volta qualche istante muto, come se qualche
improvviso pensiero lo turbasse, poi disse:
- L'avvenire ve lo dirà.
Poi, cambiando bruscamente
discorso, chiese:
- Sono sempre a bordo
quell'indiano e sua figlia?
- Non ci lasceranno, perché la
loro sorte è unita alla nostra, - rispose Sandokan.
Sir Moreland si lasciò sfuggire
un sospiro e s'abbandonò sul guanciale.
- Riposate tranquillo, - gli
disse Sandokan. - Non accadrà nulla questa notte.
- Uscì insieme a Yanez e salì sul
cassero. Surama e Darma stavano prendendo il fresco, chiacchierando con
Tremal-Naik.
Vedendo Yanez, Darma gli si
appressò, interrogandolo collo sguardo.
- Tutto va bene, - le sussurrò il
portoghese col suo solito sorriso.
- Potrò visitarlo?
- Domani nessuno te lo impedirà,
se...
La frase gli fu spezzata dal
grido della vedetta istallata sulla coffa dell'albero di trinchetto:
- Fumo all'orizzonte! Guarda
all'ovest!
Quel grido aveva fatto balzare in
piedi Sandokan, che si era appena allora seduto presso
Tremal-Naik e fatto accorrere in coperta tutto
l'equipaggio.
Sul cielo ancora fiammeggiante,
non essendosi il sole ancora completamente immerso, si vedeva una sottile
colonna di fumo alzarsi nella limpida e tranquilla atmosfera.
- Che sia qualche nave da guerra
in cerca di noi? - chiese Yanez, - o un pacifico piroscafo in rotta per
Sarawak?
- Sospetto più che sia una nave
da guerra, - disse Sandokan, che aveva puntato un cannocchiale recatogli da
Sambigliong. - Ah! Toh! Sembra che si allontani verso l'ovest; il pennacchio di
fumo si è piegato verso la nostra parte.
- Che ci abbia scorti? - chiese
Tremal-Naik, che li aveva raggiunti.
- Come noi ci siamo accorti della
sua presenza, è probabile che il suo comandante abbia veduto anche il nostro
fumo.
- Mi viene un sospetto, - disse
Yanez.
- Quale?
- Che sia qualche esploratore.
- È possibile, Yanez, - rispose
Sandokan.
- Che cosa risolvi di fare?
- Seguirlo a distanza. Domani, ai
primi albori, ci metteremo in caccia e tanto peggio per lui se appartiene alle
squadre del rajah o di Labuan. Passeremo la notte in coperta.
Le tenebre che calavano rapidissime
non permettevano più di poter scorgere quel pennacchio di fumo, ma il Re del
Mare aveva messa la rotta a ponente per seguirlo nella sua rotta.
Colle sue poderose macchine era
certo di raggiungerlo prima dell'alba e di catturarlo o di affondarlo colle sue
formidabili artiglierie.
La guardia franca, per
precauzione, era stata tenuta in coperta, potendo darsi che durante la notte
gravi avvenimenti accadessero.
- A dodici nodi! - aveva
comandato Sandokan. - Lo seguiremo da presso.
Il comando era stato appena dato
che il Re del Mare ripartiva colla prora a ponente.
La notte era splendida, una vera
notte tropicale piena di fascino e d'incanto, come solo si possono vedere in
quelle regioni delle calme quasi eterne.
Quantunque il sole fosse
scomparso da parecchie ore, pareva che avesse lasciato dietro di sé una
porzione della sua luce, perché nel firmamento non regnava oscurità completa.
Un vago chiarore, scialbo, d'una trasparenza incredibile, regnava lassù e si
proiettava sulle acque dell'oceano, permettendo agli uomini di quarto di
spingere i loro sguardi a distanze infinite.
Le acque, tratto tratto, parevano
incendiarsi. Dai profondi abissi del mare salivano a battaglioni le meduse,
mentre gli splendidi anemoni schiudevano le loro brillanti corolle rosee, bianche
azzurre, gialle e violette, ondeggiando mollemente le loro frange sfolgoranti.
In mezzo a quelle ondate di luce
sottomarina, di quando in quando si vedevano scivolare dei mostri, i quali
spargevano il terrore e la confusione fra quei molluschi.
Ora erano dei charcharias, pericolosi
e sempre affamati squali; ora dei calamari giganti dal becco da pappagallo, gli
occhi glauchi e fissi e i tentacoli coperti da ventose. Ora invece, una massa
enorme appariva bruscamente a galla, lanciando in alto spruzzi fiammeggianti e
ricadendo poi con un tonfo cupo.
Era una balenottera dal dorso
nero-verdastro, lunga una quindicina di metri, cetaceo
ancora abbastanza comune nei mari intertropicali, nonostante la caccia accanita
delle navi baleniere.
Sandokan e Yanez, quantunque la
giornata fosse stata assai faticosa e nessun pericolo, almeno apparentemente,
minacciasse la loro nave, non si erano coricati. Non era già per godersi quella
splendida notte, né per ammirare i fulgori variopinti degli anemoni, spettacoli
oramai troppo noti a loro, vecchi naviganti dei mari della Malesia.
Un segreto timore li tratteneva
sul ponte. Camminavano con una certa agitazione, fermandosi sovente per fissare
i loro sguardi verso ponente.
Quel fumo li preoccupava vivamente,
temendo che quel legno fosse l'avanguardia di qualche flottiglia.
- Hai scorto qualche cosa? -
chiese Yanez, verso la mezzanotte, vedendo Sandokan arrestarsi per la decima
volta e puntare il cannocchiale verso ovest.
- Io giurerei d'aver veduto, alcuni
minuti or sono, un punto bianco, splendidissimo, brillare nella direzione ove è
scomparso quel pennacchio di fumo, - rispose la Tigre.
- Il fanale del trinchetto di
quella nave oppure una stella?
- No, Yanez: né l'uno né l'altra.
Poi, dopo una breve pausa,
riprese:
- Credi tu che la squadra di
Labuan non ci cerchi? Non sarà certo rimasta inoperosa a Victoria, dopo la
nostra dichiarazione di guerra.
- Colla velocità che possediamo,
non ci sarà difficile lasciarla indietro.
- Ed il carbone ci mancherà presto,
- rispose Sandokan. - Le nostre carboniere sono ormai
semi-vuote.
- Ci riforniremo a spese del
rajah.
- Se potremo giungere alla
foce del Sarawak.
- Che cosa temi?
Sandokan non rispose. Guardava
attentamente sempre verso ponente, percorrendo tutta la linea dell'orizzonte.
Ad un tratto abbassò il cannocchiale.
- Un lampo, - disse.
- Dove, Sandokan?
- È brillato nella direzione
presa da quella nave. Mi parve un lampo di luce elettrica.
- Sì, signore, - confermò
l'americano Horward, che per un momento aveva lasciato la sala delle macchine.
- L'ho scorto anch'io.
- Che quella nave corrisponda con
qualche altra? - chiese Yanez.
- È quello che temo. - rispose
Sandokan. - Fortunatamente l'orizzonte è chiaro e vedremo subito il nemico.
Signor Horward, date ordine in macchina che si preparino a portare la nostra
velocità a quattordici nodi. Sono curioso di sapere chi potrà gareggiare con
noi.
- L'americano aveva appena
trasmesso il comando, quando un nuovo lampo balenò nella direzione di prima.
Pareva che una lampada elettrica di grande potenza, avesse proiettato un ampio
fascio di luce sull'oceano.
Un momento dopo una sottilissima
striscia di fumo s'alzò sull'orizzonte.
- Un razzo, - disse Yanez. - Sono
due navi che corrispondono e una deve essere quella che è fuggita al nostro
avvicinarsi. Segnala di certo la nostra rotta.
- Signor Sandokan, - disse
l'americano. - Se non m'inganno vedo un punto nero scorrere sull'oceano. Sta
attraversando un tratto d'acqua fosforescente.
- Un punto! Allora non può essere
una nave.
- E che si muove con rapidità
straordinaria, a quanto pare.
- Che sia qualche scialuppa a
vapore?
Allungò nuovamente il
cannocchiale, mantenendolo orizzontale per qualche minuto. Il punto nero, che ingrandiva
rapidamente, aveva attraversato la zona fosforescente confondendosi colla tinta
cupa delle acque, ma più oltre ve n'era una seconda formata da migliaia di
nottiluche, di anemoni e di meduse.
- Sì, sembra una grossa scialuppa
a vapore, - disse Sandokan. - Non è che a duemila metri. La manderemo a far
compagnia alle meduse. Mastro Steher!
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