Un vecchio mastro cannoniere,
dalla lunga barba brizzolata, colle spalle quadre, s'avanzò con quel dondolìo particolare
ai vecchi lupi di mare.
- Il capitano che ci ha venduto
questa nave mi ha detto che tu sei un famoso artigliere, - disse Sandokan,
mentre il mastro si levava di bocca il pezzo di sigaro che stava masticando e
salutava con gravità.
- Gli occhi sono ancora buoni,
comandante, - rispose il vecchio.
- Saresti capace di mandare una
palla a quel curioso che cerca di accostarci? Se lo tocchi o lo affondi avrai
cento dollari di premio.
- Non vi chiedo, comandante, che
di far fermare il Re del Mare per cinque minuti.
- Ti domando un colpo da maestro.
- Mi ci proverò, comandante.
Il punto nero, diventato ormai
una striscia visibilissima, entrava allora nella seconda zona fosforescente.
- Lo vedi? - gli chiese Sandokan.
- Deve essere una di quelle
brutte bestie inventate dai miei compatriotti, che portavano una torpedine
fissa su un'asta, - disse il vecchio. - Sono pericolose se si accostano.
- Al tuo posto!
Yanez aveva già dato il comando
di macchina indietro.
Il Re del Mare, trasportato
dal proprio slancio, aveva continuato la sua corsa per duecento metri,
nonostante che le eliche funzionassero furiosamente in senso contrario, poi si
era arrestato, conservando una immobilità assoluta, essendo l'oceano
perfettamente tranquillo.
Il mastro cannoniere si era collocato
già dietro uno dei grossi pezzi da caccia.
Un silenzio profondo regnava
sulla tolda della nave. Tutti aspettavano ansiosamente il colpo, tenendo gli
sguardi fissi sulla scialuppa, la quale filava a tutto vapore in mezzo alla
fosforescenza, cercando d'accostarsi nascostamente all'incrociatore.
Ad un tratto, il profondo
silenzio fu rotto da un grido che usciva dalla torre.
- Pronto!
La scialuppa a vapore doveva
trovarsi allora a circa millecinquecento metri dal Re del Mare. Il suo
scafo nero spiccava nettamente sulla luminosa superficie delle acque.
Una detonazione echeggiò, mentre
un lampo rompeva le tenebre. Per alcuni istanti si udì in aria un rauco sibilo
che rapidamente si affievoliva. Il proiettile, di buon calibro, s'allontanava
radendo le onde.
D'improvviso risuonò in distanza
una detonazione. Una fiamma s'alzò sulla scialuppa torpediniera, seguìta da un
nembo di scintille.
Quasi nello stesso momento la
fosforescenza cessava bruscamente. Le nottiluche, le meduse e gli anemoni, spaventati
forse da quel rombo, si erano prontamente inabissati nelle profondità
misteriose del mare.
- Toccata! - gridò Sandokan.
Un grido di trionfo si era alzato
a bordo dell'incrociatore. Il vecchio mastro artigliere si era avanzato verso
Sandokan con volto ilare.
- Comandante, - gli disse. - Ho
guadagnato i miei cento dollari.
- No, duecento, - corresse la
Tigre della Malesia.
Ad un tratto fece alcuni passi
innanzi, esclamando: - Saccaroa! Lo sospettavo! Sia: vi farò
correre!
Alcuni punti luminosi, appena
distinguibili, erano comparsi sull'orizzonte un momento dopo l'immersione dei
molluschi fosforescenti.
Non dovevano esser già stelle,
per gli occhi di quei marinai invecchiati sugli oceani; dovevano essere fanali
di navi, probabilmente di navi da guerra lanciate sulle tracce del Re del
Mare.
- Che sia la squadra del
rajah, o quella di Labuan? - aveva chiesto Yanez.
- Mi pare che quelle navi vengano
dal settentrione, - rispose Sandokan. - Scommetterei che quella inglese cerca
di unirsi con quella di Sarawak. Qualcuno li avrà informati che noi battiamo
questo mare e si sono messi in caccia.
- Ciò guasta i nostri progetti.
- È vero, Yanez perché saremo
costretti a fuggire verso il nord. Il Re del Mare è potente, ma non tale
da affrontare una squadra.
- Che cosa intendi di fare?
- Rimandare a tempi migliori la
distruzione dei depositi di carbone di Sarawak e rimontare fino al capo
Tanjong-Datu, per incontrare la Marianna, poi
gettarci sulle linee di navigazione, dopo esserci provvisti di combustibile a
Mangalum. Quando la squadra verrà a cercarci nei paraggi di Labuan, torneremo a
fare i conti col rajah o col figlio di Suyodhana.
- Sei nato grande ammiraglio, -
disse Yanez, ridendo.
- Mi approvi?
- Pienamente. E la Marianna?
- La manderemo ad
attenderci alla foce del Sedang ed incaricheremo il suo equipaggio di armare i
nostri vecchi amici, i dayaki.
- Filiamo allora presto,
fratellino. Le navi si accostano.
- Signor Horward! - gridò
Sandokan. - A tutto vapore!
- Andremo a tiraggio forzato,
comandante, - rispose l'americano.
Il Re del Mare aveva
ripreso lo slancio. Tonnellate di carbone erano state rovesciate nei forni e le
macchine funzionavano rabbiosamente, imprimendo allo scafo un tremito sonoro.
Tutti erano saliti in coperta,
perfino Darma e Surama. Poteva darsi che da un momento all'altro, qualche nave
distaccata dal grosso e mandata in esplorazione verso levante, si trovasse
improvvisamente dinanzi all'incrociatore e tutti volevano essere pronti ad
impegnare la lotta.
In quella direzione però non si
vedeva brillare alcun fanale.
Sandokan, Yanez e
Tremal-Naik, ritti sul ponte di comando, guardavano
attentamente i punti luminosi, i quali pareva che avessero cambiata posizione.
Certo i comandanti inglesi, vedendo il corsaro fuggire verso il
nord-ovest avevano cambiato la rotta colla speranza di
catturarlo.
La distanza però, invece di
diminuire, aumentava di minuto in minuto non potendo quelle navi, anche
forzando i fuochi, gareggiare col velocissimo corsaro.
Dopo un'ora di corsa furiosa, i
punti luminosi erano diventati quasi invisibili.
- Credo che sia tempo di
riprendere la nostra rotta verso il nordovest, - disse Sandokan a Yanez. - Gli
inglesi continueranno ad inseguirci verso il nord.
Fece spegnere tutti i fanali, poi
il Re del Mare, dopo d'aver descritta una gran curva, si diresse
nuovamente al nord-ovest.
La manovra doveva essere completamente
riuscita, poiché per alcuni minuti si videro i fanali brillare nell'oscura
linea dell'orizzonte, poi scomparire.
- Orsù, - disse Yanez con tono
soddisfatto. - Tutto va bene e possiamo andare a dormire qualche ora. Il riposo
è stato ben guadagnato.
Quando l'alba sorse, il mare era
completamente deserto. Non si vedevano che degli uccelli marini volteggiare fra
i cavalloni, alzatisi colla brezza mattutina. Il Re del Mare aveva
ridotta la sua marcia a otto nodi, essendo il combustibile troppo prezioso per
sprecarlo.
Sandokan, ai primi raggi del
sole, era tornato in coperta un po' ansioso, quantunque non avesse alcun dubbio
sulla buona riuscita della sua manovra notturna.
- Li abbiamo bene ingannati, -
disse a Yanez, che lo aveva raggiunto insieme a Darma. - Noi raggiungeremo il
capo Tanjong senza fare cattivi incontri. A proposito, cosa avrà pensato sir
Moreland della cannonata che abbiamo sparato?
- Il dottor Held mi ha detto che
si era molto inquietato, temendo che qualche nave fosse stata colata a fondo, -
rispose Yanez.
- Andiamo a trovarlo.
- Mi permettete di venire con
voi? - chiese Darma.
- Non trovo alcun inconveniente,
- rispose Sandokan. - Sarà anzi lieto di rivedere la sua graziosa prigioniera.
Vieni, fanciulla.
- Ciò farà piacere a lui e...
anche a te, - aggiunse Yanez, sottovoce accostandosi alla giovane.
Quando scesero nel quadro, sir
Moreland era già sveglio e chiacchierava col medico.
Vedendo apparire Darma dietro a
Sandokan ed a Yanez, una viva fiamma animò gli sguardi dell'anglo-indiano
e per qualche istante non le staccò di dosso gli occhi.
- Voi, miss! - esclamò. - Quanto
sono lieto di rivedervi!
- Come state, sir Moreland? -
chiese la giovane, arrossendo.
- Oh! La ferita si va
cicatrizzando rapidamente, è vero dottore?
- Fra otto o dieci giorni sarà
interamente chiusa, - rispose l'americano. - Una guarigione veramente
miracolosa.
- Avrei preferito non vedervi
ferito, sir Moreland, - disse Darma.
- Allora non mi avreste di certo
trovato qui, - rispose l'anglo-indiano. - Mi sarei lasciato
affondare assieme alla mia nave, a fianco della bandiera della mia patria.
- Sono più lieta che vi abbiano
strappato alla morte.
Il giovane capitano la guardò
sorridendo, poi disse:
- Grazie miss, ma...
- Che cosa volete dire, sir
Moreland?
- Che sarei stato più contento
anch'io se avessero salvata anche la mia nave ed i miei marinai. Ah! Miss, non
m'aspettavo di dover subire una così disastrosa sconfitta e da parte dei vostri
protettori. Tuttavia, credetelo, non rimpiango la mia prigionia.
- sir Moreland, - disse Sandokan,
- sapete che questa notte le navi inglesi ci hanno quasi sorpresi?
- La squadriglia di Labuan? -
esclamò il ferito con emozione.
- Suppongo che fosse quella, ma
siamo riusciti ad ingannarla ed a sottrarci facilmente al pericolo.
- Non illudetevi tuttavia di
poter aver sempre una tale fortuna, - disse
l'anglo-indiano. - Un giorno, quando meno lo supporrete, vi
troverete dinanzi ad un uomo che forse non vi accorderà quartiere.
- Volete alludere al figlio di
Suyodhana? - chiese Sandokan.
- Non posso spiegarmi di più. È
un segreto che io non posso tradire, - rispose
l'anglo-indiano.
- Non può essere che lui, - disse
Yanez, - quantunque voi abbiate affermato di non saper nulla su quel nostro
ostinato e misterioso avversario.
Sir Moreland pareva che non lo
avesse nemmeno udito. Guardava Darma con un senso di profonda angoscia.
Sandokan, Yanez e la giovane
s'intrattennero alcuni minuti ancora nella cabina, scambiando qualche parola
col dottore, poi si accommiatarono.
Prima però che la giovane
uscisse, sir Moreland le disse, guardandola con una certa tristezza:
- Spero, miss, di rivedervi
presto e che non vorrete considerarmi sempre come un nemico.
Quando la giovane fu uscita,
l'anglo-indiano rimase a lungo alzato, tenendo gli occhi
fissi sulla porta della cabina e le braccia incrociate sul petto, in attitudine
pensierosa, poi si riadagiò, dicendo al dottore, con un lungo sospiro:
- Che triste cosa è la guerra.
Getta l'odio perfino fra due cuori che potevano battere insieme col medesimo
affetto.
- Ed il vostro avrebbe battuto
assai, è vero, sir Moreland? - disse l'americano sorridendo.
- Sì, dottore, ve lo confesso.
- Per miss Darma?
- Perché dovrei nascondetelo?
- Una bella e coraggiosa giovane,
degna di suo padre e di voi.
- E che non sarà giammai mia, -
disse sir Moreland, con accento strano. - Il destino ha scavato fra noi, senza
nostra colpa, un abisso che nessuno potrà mai colmare.
- Per quale motivo? - chiese
Held, stupito dal tono che pareva avesse in sé dell'angoscia e dell'odio
profondo. - Questi uomini sono nemici del rajah, e degli inglesi e non
già vostri.
Sir Moreland guardò l'americano
senza rispondere. Il suo viso però in quel momento aveva assunto una
espressione così terribile da colpire vivamente l'americano.
- Si direbbe che vi è un segreto
nella vostra vita, - disse il dottore.
- Maledico il destino, ecco
tutto, - rispose il giovane con voce sorda.
Poi, cambiando bruscamente tono,
chiese:
- Dottore, dove ci conduce il
comandante?
- Va al
nord-ovest, per ora.
- A Sarawak forse?
- Può darsi, Sir.
- Che voglia sbarcarmi?
- Vi rincrescerebbe?
- Forse sì.
- Per lasciare miss Darma?
- Per altri motivi più gravi, -
rispose l'anglo-indiano.
- Quali, se è lecito saperlo?
- Perché il rajah mi
lancerà nuovamente contro di voi e forse spetterà a me compiere il doloroso
dovere di darvi il colpo mortale e di sommergere la donna che amo, - disse
Moreland.
- Quel giorno può essere molto
lontano.
- Io credo il contrario, perché
la vostra nave non potrà tenere eternamente il mare, né rifornirsi sempre di viveri,
di munizioni e di combustibile, senza avere un porto amico.
- L'oceano è immenso, Sir.
- Sì, è vero, ma quando dieci o
venti navi solcheranno da tutte le parti quest'oceano e chiuderanno, come in un
cerchio di ferro, il vostro incrociatore, quale speranza vi rimarrà? Ammiro
l'audacia di questi pirati della Malesia, come ammiro la loro nave, un
capolavoro dell'ingegneria navale, tuttavia permettetemi di dubitare sul buon
esito della vostra crociera.
Che gravi danni possiate recare
alla marineria inglese e creare molti fastidi al rajah, non lo nego,
essendo il vostro Re del Mare il vascello più rapido che ora esista e
forse il meglio armato, nondimeno non la durerete a lungo.
- Questi formidabili corsari non
hanno la pretesa di tenere in iscacco, per molti anni, le squadre inglesi, sir
Moreland. Sanno perfettamente la sorte che li attende e non ignorano che un
giorno i loro cadaveri andranno a dormire il sonno eterno nelle tenebrose
vallate del mar della Sonda o in fondo a qualche spaventevole baratro.
- E anche miss Darma lo sa? -
chiese l'anglo-indiano con un brivido.
- Lo suppongo, sir Moreland.
- Ah! Sbarcatela! Salvatela!
- Qui combattono suo padre ed i
suoi protettori, ai quali deve la vita, a quanto mi si disse, e non li lascerà,
- rispose l'americano.
Sir Moreland si passò una mano
sulla fronte, poi disse come parlando fra sé:
- Sarebbe meglio che domani le
squadre riunite affondassero tutte, me compreso. Almeno sarebbe finita e non
udrei più mai il grido del sangue che reclama vendetta!
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