No, le ultime tigri di Mompracem
non erano vinte ancora, però potevano esserlo ben presto, non sapendo più dove
rifornirsi del combustibile così necessario a loro, quanto e forse più della
polvere da sparo.
Il carbone diminuiva a vista
d'occhio ed i pozzi erano quasi vuoti e nessuna speranza si offriva
d'incontrare qualche nave. Era necessario prendere una decisione suprema, e fu
subito presa da Sandokan e da Yanez, d'accordo con
Tremal-Naik e coll'ingegnere americano.
Fu deliberato di raggiungere
senza indugio l'isola di Gaya, dove si erano raccolti i prahos in attesa
della fine della guerra, non già che colà potessero sperare di trovare del
combustibile, ma per aver almeno, nel momento supremo, l'appoggio di quei
velieri e nel medesimo tempo per inviarne alcuni a Bruni a far carico.
Trattandosi di piccoli legni
mercantili, che potevano inalberare qualsiasi bandiera, nessuno avrebbe potuto
sollevare ostacoli se avessero chiesto d'imbarcare del carbone.
La questione consisteva nel poter
raggiungere quell'isola, lontana più di quattrocento miglia, prima che la
squadra alleata che doveva ormai aver abbandonate definitivamente le acque di
Sarawak, piombasse sul Re del Mare e lo sorprendesse coi fuochi
semispenti, obbligandolo ad accettare la lotta contro forze enormemente
superiori.
Pel momento non pareva che quel
gran pericolo lo minacciasse perché al mattino, da un giong che veniva
dal sud, avevano avuto l'assicurazione che nessuna nave da guerra era stata
veduta nelle acque di Labuan, né in quelle di Bruni.
Il Re del Mare, appena
terminato quel breve consiglio, fu subito diretto verso il
nord-est, in modo da passare molto lontano anche da
Mompracem e di tenersi a ponente dei due grandi banchi di Samarang e di Vernon.
Per economizzare più che era
possibile il carbone, erano stati spenti mezzi forni, sicché l'incrociatore non
s'avanzava più che colla velocità di appena sei nodi all'ora.
Sandokan, più che Yanez, era
diventato nervosissimo, di pessimo umore.
Lo si vedeva passare delle lunghe
ore sulla passerella di comando, scrutare ansiosamente l'orizzonte, in preda ad
una crescente preoccupazione. Non era più l'uomo tranquillo, impassibile d'un
tempo, sicuro della sua nave e delle sue artiglierie, che se ne rideva dei pericoli
e li affrontava col sorriso sulle labbra, fumando flemmaticamente la sua pipa.
Parecchie volte al giorno
scendeva nei depositi di carbone, ormai quasi vuoti, o si arrestava dinanzi ai
forni, a quelle bocche affamate che domandavano insistentemente alimento,
provando delle terribili strette al cuore quando i fuochisti precipitavano, fra
le fiamme quasi morenti, palate di combustibile.
Quando risaliva aveva la fronte
tempestosa e passeggiava cupo, taciturno, per lungo tempo, fra le torri di
poppa e di prora, colle braccia incrociate e la testa china, senza parlare con
chicchessia.
Solo duecentotrenta miglia
dividevano il Re del Mare dalle coste occidentali del Borneo, quando una
grave notizia si sparse a bordo.
Un piccolo veliero che veniva dal
sud e che era stato interrogato, aveva dato una risposta che aveva fatto
fremere l'intero equipaggio dell'incrociatore.
- Incrociatori inglesi al
sud-ovest.
- Quanti?
- Due.
- Incontrati quando?...
- Ieri sera. -
Bisognava fuggire. Quelle due navi
dovevano essere le avanguardie di qualche squadra e potevano giungere da un
momento all'altro e scoprire il corsaro.
- Vadano le nostre ultime
provviste di combustibile, - aveva detto Sandokan a Yanez.
- E poi?
- Saremo pronti pel
combattimento.
Il Re del Mare aveva
subito affrettata la corsa. Fuggiva a precipizio, dodici nodi all'ora,
sacrificando le ultime tonnellate di combustibile, colla magra speranza
d'incontrare qualche nave mercantile e di saccheggiarla del suo carbone prima
che giungesse la squadra.
La sorveglianza era stata
raddoppiata a bordo. Uomini dagli occhi di linee vegliavano sulle coffe.
Intanto Sandokan aveva dato
l'ordine di prepararsi per la battaglia, che presumibilmente doveva essere
l'ultima, a meno d'un miracolo.
Centoquaranta miglia ancora, poi
la velocità si rallenta. I pozzi sono esausti e le caldaie rantolano
affievolendosi di minuto in minuto.
Il momento terribile s'avvicina,
eppure tutti sono calmi a bordo perché tutti, da lungo tempo, hanno fatto il
sacrificio della loro vita. Nessuno ha paura della morte che li minaccia e
guardano impassibili le acque che diverranno i loro veli funebri.
Forse rimpiangono una cosa sola:
quella di morire lontani da Mompracem.
Alle otto di sera il Re del
Mare s'arrestò quasi, addosso al grande bacino di Vernon. Tutto quello che
poteva dar calore era stato divorato dagli immani forni delle macchine.
I barili di catrame, le casse di
canape imbevute colle provviste di liquore del quadro, le materie grasse della
dispensa, i mobili delle sale, perfino le brande e gli effetti dell'equipaggio.
Se si fossero potute trasformare
le pareti metalliche della nave in altrettanto combustibile, quegli uomini non
avrebbero esitato a farlo, pur di raggiungere le coste del Borneo già ancora
troppo lontane.
Sandokan, sentendo la nave ad
arrestarsi, si era diretto lentamente verso poppa, più cupo che mai,
appoggiandosi alla murata.
Non aveva pronunciata una parola,
né aveva fatto alcun gesto. Aveva solamente accesa la pipa, fumando con
maggiore furia del solito, fissando gli sguardi sull'orizzonte, che rapidamente
diventava tenebroso e Yanez lo aveva imitato.
Era da quella parte che veniva il
pericolo e lo sentivano appressarsi terribile, formidabile, schiacciante ed
implacabile.
L'oscurità era piombata sul mare,
tingendo le acque d'un colore quasi nero. Qualche rada stella appariva in
cielo, fra gli strappi delle nubi salite colla brezza che soffiava dal sud.
Un silenzio profondo regnava a
bordo, da che le macchine avevano cessato di funzionare, eppure tutti i duecento
e cinquanta uomini che formavano l'equipaggio dell'incrociatore erano sulla
coperta, chi sulle murate, chi dietro i giganteschi pezzi delle torri. Ma
nessuno parlava.
Verso mezzanotte
Tremal-Naik s'avvicinò a Sandokan, il quale non aveva
ancora abbandonato il suo posto.
- Amico mio, - gli disse, - che
cosa ci rimane da fare?
- Prepararci a morire, - rispose
la Tigre della Malesia, con voce calma.
- Io sono pronto, e le fanciulle?
Sandokan invece di rispondere,
stese la destra verso l'ovest, e disse:
- Eccole: le vedi?
- Chi, Sandokan?
- Le navi nemiche.
- Di già! - mormorò l'indiano che
non seppe frenare un brivido.
- Accorrono come belve feroci per
distruggere le ultime tigri della Malesia. I loro sguardi sono ormai fissi su
di noi.
Tremal-Naik
guardò nella direzione indicata, mentre gli uomini di guardia sulla piattaforma
gridavano:
- Navi a poppa!
Parecchi punti luminosi
scintillavano sull'orizzonte ed ingrandivano rapidamente.
- Sono pronti i nostri uomini? -
chiese Sandokan.
- Sì, - rispose Yanez che gli
stava presso.
- E le fanciulle? - domandò con
un tremito.
- Sono tranquille.
- Vorrei salvarle.
- Che cosa dovremmo fare?
- Sbarcarle su una scialuppa e
allontanarle prima che quelle navi ci rinchiudano.
- Si rifiuteranno; mi hanno
giurato che se dovremo morire, esse s'inabisseranno con noi.
- Vi è la morte qui!...
- L'aspettano.
- Salvale, Yanez.
- Ti ripeto che si
rifiuterebbero; non insistere.
- Ebbene, sia!... Se dovremo
morire, non cadremo invendicati!... A me, tigri di Mompracem!
Le navi nemiche accorrevano a
tutto vapore, formando un ampio semicerchio, che doveva più tardi restringersi
fino a rinchiudersi, per prendere in mezzo il Re del Mare e mandarlo
rotto, fracassato, a picco col numero strabocchevole delle loro artiglierie.
Sandokan e Yanez, che nel supremo
momento del pericolo avevano ritrovata la loro calma, impartivano gli ordini
con voce tranquilla.
Quando videro che tutti gli
uomini erano a posto di combattimento, andarono sulla passerella di comando.
Sull'albero militare di poppa
avevano fatto innalzare la bandiera rossa colla testa di tigre nel mezzo.
Quattro fasci di luce, proiettati
dai riflettori, si erano concentrati sul Re del Mare, sempre immobile,
illuminandolo come in pieno giorno.
- Sì, guardateci: siamo noi, -
disse Sandokan.
Quattro grosse navi a vapore,
senza dubbio le più poderose della flotta degli alleati, si erano
silenziosamente disposte in semi-cerchio intorno al Re
del Mare, minacciandolo colle numerose artiglierie. Nessun colpo era però
stato sparato.
Aspettavano l'alba per impegnare
la lotta o per intimare la resa, parola questa che non esisteva nella lingua
del fiero pirata.
Darma si era accostata
silenziosamente alla murata di poppa. Era pallidissima, ma tranquilla, come
tutto l'equipaggio dell'incrociatore. Il suo sguardo vagava da una nave
all'altra con viva insistenza. Che cosa cercava? Certo sir Moreland.
Una voce segreta le diceva che
l'uomo amato doveva essere vicino, su una di quelle poderose corazzate che
dovevano demolire il povero ed ormai impotente Re del Mare.
Intanto le navi alleate, che
avevano spenti i riflettori elettrici, giravano lentamente intorno
all'incrociatore, stringendo sempre più il cerchio. Sfilavano come fantasmi nella
notte tenebrosissima e pareva che i loro fanali, come occhi ardenti, si
fissassero sanguinosamente sulla loro vittima.
Non erano però ancora a portata
utile delle grosse artiglierie. Sicuri ormai di tenere le tigri di Mompracem,
non si davano premura di stringersi troppo addosso ad esse.
Verso le due del mattino,
Sandokan e Yanez che non avevano mai lasciato il loro posto, furono veduti
scendere lentamente dalla passerella, e dirigersi verso il centro della nave.
Erano sempre freddi, impassibili.
S'avvicinarono a
Tremal-Naik che stava appoggiato ad un argano, seguendo con
gli sguardi inquieti sua figlia che vagava, come un fantasma sul castello di
prora.
- Amico, - gli disse Sandokan con
accento triste. - Qui domani si inabisseranno le ultime tigri di Mompracem.
Tremal-Naik
aveva provato un brivido ed aveva alzata vivamente la testa.
- Chi credi che siano quegli
incrociatori per poter vincere la tua poderosa nave? - chiese.
- I quattro grossi incrociatori
che hanno cercato di catturarci nella baia di Sarawak. Noi siamo certi di non
ingannarci.
- E quelli affonderanno il tuo Re
del Mare?
- Ne ho la convinzione.
- Ed anch'io, - disse Yanez. -
Quelle navi devono possedere un'artiglieria formidabile e sono in quattro.
- E poi siamo immobilizzati, -
aggiunse Sandokan.
- Infine che cosa volete
concludere? - chiese l'indiano.
- Proporti di recarti a bordo di
una di quelle navi e di arrenderti, conducendo con te tua figlia e Surama.
Tremal-Naik
si era rizzato, facendo un gesto di sorpresa e insieme di dolore.
- Io allontanarmi da voi! -
esclamò. - Oh no, mai! Se qui morranno le ultime tigri di Mompracem a cui io
debbo la vita e tanta riconoscenza, morranno anche il vecchio cacciatore della jungla
nera e sua figlia.
- Io debbo avvertirti però che
tua figlia ama ed è riamata da un uomo che potrebbe farla felice, - disse
Sandokan.
- sir Moreland, è vero? - disse
Tremal-Naik. - Me n'ero accorto. Avete informato Darma del
grave pericolo che corriamo?
- Sì, - rispose Yanez.
- Che cosa ti ha detto?
- Che non lascerà la nostra nave.
- Non poteva rispondere
diversamente, - disse l'indiano, con orgoglio. - Il buon sangue non mente. Se
il destino ha segnato la nostra fine, si compia il fato.
Si strinsero la mano e si
diressero tutti tre verso il ponte di comando.
Ad un tratto Yanez si fermò,
mandando un grido:
- Stupido! Ed io che lo avevo
ancora dimenticato.
- Chi? - chiesero ad una voce
Sandokan e Tremal-Naik.
- Il demonio della guerra.
Una pazza speranza aveva
attraversato il cervello del portoghese. Si era rammentato in quel momento
dello scienziato americano, di Paddy O'Brien, che teneva come prigioniero in
una delle cabine del quadro, guardato giorno e notte. Scese rapidamente sotto
coperta, attraversò la corsia e s'arrestò dinanzi alla stanzetta occupata
dall'omiciattolo:
- Sveglia il prigioniero, - disse
al malese di guardia.
- È già in piedi, signor Yanez.
Yanez aprì la porta ed entrò. Paddy
O'Brien stava seduto dinanzi ad un tavolo e pareva immerso in un calcolo
intricatissimo, col naso su un foglio di carta coperto di cifre.
- Voi, signor de Gomera? - disse
il dottore, assicurandosi gli occhiali. - Qual vento vi conduce qui? È molto che
non vi vedo e vi aspettavo.
- Dottore, - disse il portoghese
senza preamboli, - le navi nemiche ci hanno circondati e stiamo per venire
colati a fondo.
- Ah! - fece l'americano senza
scomporsi.
- Voi mi avete detto che siete
possessore d'un tremendo segreto.
- E ve lo confermo.
- Ecco giunto il momento di
esperimentarlo, signor demonio della guerra.
- Fate portare in coperta
le mie casse.
- Non farete saltare la nostra
nave, invece? - chiese Yanez un po' inquieto.
- Salterei anch'io insieme a voi
e per ora non ho alcuna voglia di morire, - rispose il dottore. - Signor de
Gomera, approfittiamo di questi momenti di calma.
Salirono in coperta, mentre i
marinai portavano le casse del dottore.
- Sono là le navi alleate, -
disse Sandokan accostandosi allo scienziato.
- Sì e vedo che vi hanno
circondato, - rispose Paddy O'Brien, corrugando la fronte. - Ecco quella che
salterà per prima.
Una nave, un piccolo
incrociatore, che prima non era stato scorto, si era staccato dal grosso della
squadra e girava attorno al Re del Mare mantenendosi ad una distanza di
due a tremila metri. Veniva per spiare o per provocare il fuoco dei pirati di
Mompracem?
Paddy O'Brien fece aprire le sue
casse che contenevano degli apparati elettrici, incomprensibili per Yanez e per
Sandokan.
Esaminò attentamente ogni cosa,
senza fretta e con gran calma, come un uomo sicuro del fatto suo, poi
volgendosi verso Yanez che lo sorvegliava colla destra appoggiata al calcio
della pistola, gli disse:
- Quando vorrete?
- Fate funzionare il vostro
apparecchio.
- Ecco che la nave ci passa a
tribordo: salterà, - disse Paddy freddamente.
Un brivido era corso per le ossa
di tutti i marinai che circondavano l'americano. Sarebbe stato capace di
operare quel miracolo quel piccolo uomo?
- Attenzione, - gridò ad un
tratto l'americano.
Aveva appena pronunciate quelle
parole che un lampo accecante ruppe bruscamente le tenebre, seguìto da uno
spaventevole rimbombo.
Una immensa colonna d'acqua s'era
alzata attorno al piccolo incrociatore, mentre una tempesta di rottami cadeva
tutto all'intorno.
Un immenso urlo, sfuggito da
centinaia di petti, era echeggiato lugubremente per l'aria, spegnendosi
bruscamente.
La nave era saltata e affondava
rapidamente coi fianchi squarciati.
Nel medesimo istante una granata
scoppiava sul ponte del Re del Mare fra l'apparecchio e Paddy O'Brien.
L'americano aveva mandato un grido ed era caduto quasi ai piedi di Yanez, il
quale era sfuggito miracolosamente alle scheggie del proiettile.
- Dottore! - gridò il portoghese,
precipitandosi verso di lui.
- Le... mie... le... mie... -
mormorò il disgraziato inventore, agitando le braccia con un gesto disperato.
Si portò le mani al petto, per
comprimersi il sangue che sfuggiva da un'orribile ferita.
Sandokan si era slanciato verso
le casse.
Un grido di disperazione gli
sfuggì.
La granata aveva distrutto
l'apparato, e sminuzzato le pile.
Yanez aveva alzato dolcemente la
testa dell'americano.
- Signor O'Brien, - disse, mentre
un singhiozzo gli moriva in gola.
Il ferito aprì gli occhi
fissandoli sul portoghese. Un rauco sibilo gli usciva dalle labbra a lunghi
intervalli.
- Fi... nito... fi... nito... -
rantolò. Colla destra lorda di sangue strinse quella di Yanez, poi si
raggomitolò su se stesso e ricadde.
- Morto, - disse Yanez con voce
triste.
- Ecco la prima vittima, -
rispose Sandokan.
Yanez depose sulla tolda il
disgraziato inventore, gli chiuse gli occhi, lo coprì con una tenda strappata
lì presso, poi levandosi in tutta la sua altezza, disse:
- Tutto è finito: qui morranno le
ultime tigri di Mompracem. Tremal-Naik, Darma, Surama,
nella mia torretta e voi, ai vostri pezzi! Le nostre vite sono nelle mani di
Dio!...
- Ai vostri posti di
combattimento! - gridò Sandokan. - Mostriamo a costoro come sanno morire i
pirati della Malesia.
L'alba, un'alba rosea che
annunciava una superba giornata, fugava rapidamente le tenebre, tingendo le
acque di miriadi di pagliuzze d'oro.
Un colpo di cannone in bianco
partì dall'incrociatore più prossimo, il più grosso dei quattro: intimava la resa.
Sandokan fece alzare subito la
bandiera rossa, segnale di combattimento.
L'incrociatore nemico invece di
aprire il fuoco fece dei segnali colle bandiere che significavano:
- Prima di cominciare il fuoco,
mandate al mio bordo le due fanciulle. Sir Moreland risponde delle loro vite.
- Ah! - esclamò Yanez. - Abbiamo
l'anglo-indiano dinanzi. Cercheremo di affondargli una
seconda volta la nave. Darma, Surama!
Le due fanciulle erano uscite
dalla torretta.
- Si propone a voi di salvarvi su
quelle navi, - disse Sandokan. - Accettate voi? Una scialuppa è pronta.
- Mai! - risposero energicamente
le due fanciulle.
- Pensateci.
- No, - disse Darma. - Non
lascerò né voi, né mio padre.
- Comunicate la loro risposta, -
comandò Yanez.
Un quartiermastro americano
segnalò subito.
Allora si videro salire
lentamente sugli alberetti di maestra dei quattro incrociatori, quattro
bandiere nere. Un colpo di vento le allargò mostrando nel mezzo, in giallo, una
mostruosa figura con quattro braccia che tenevano nelle mani degli strani
emblemi.
Un grido di stupore ed insieme di
furore era sfuggito dalle labbra di Yanez, di Sandokan e di
Tremal-Naik. Avevano riconosciuto l'emblema dei thugs, degli
strangolatori indiani.
Erano dunque quelle le navi del
figlio di Suyodhana, del loro implacabile e invisibile nemico? Quelle bandiere
lo confermavano.
A bordo del Re del Mare successe
un lungo silenzio, tanto era lo stupore che aveva invaso tutti, poi la voce
metallica di Sandokan lo ruppe bruscamente:
- Fuoco! Fuoco! Fuoco!
Spaventevoli detonazioni coprono
le sue ultime parole. Le granate piovono da tutte le parti sul Re del Mare, che
il flusso ha insensibilmente portato verso il banco di Vernon e che si trova
sempre immobilizzato coi fuochi spenti.
Sono uragani di ferro e d'acciaio
che escono dai grossi pezzi della coperta e da quelli di medio calibro delle
batterie: ma non sono diretti sul ponte del Re del Mare dove si trovano,
entro la torretta blindata, Darma e Surama.
Quelle masse metalliche battono
invece solamente i fianchi dell'incrociatore, come se gli artiglieri avessero
ricevuto l'ordine di risparmiare le fanciulle, i due comandanti e
Tremal-Naik che sono con loro.
Delle granate vengono però
lanciate contro le torri che riparano i grossi pezzi da caccia, cercando
d'imbroccarli o di frantumare le grosse piastre di ferro.
Il Re del Mare si difende
furiosamente. È un vulcano che fiammeggia da tutte le parti. Le ultime tigri di
Mompracem sono ben risolute a far pagar cara la vittoria allo strapotente
nemico.
I suoi grossi obici battono in
breccia le navi avversarie, danneggiando i ponti, squarciando le ciminiere e
aprendo larghi fori nelle piastre metalliche. In mezzo a quel rimbombo
assordante, si ode tratto tratto la voce formidabile di Sandokan che urla:
- Fuoco, tigri di Mompracem!
Distruggete, massacrate!
Ma quanto potrà resistere il Re
del Mare al tiro terribile di tante bocche da fuoco?
I suoi fianchi, quantunque
solidissimi, dopo mezz'ora cominciano a cedere; anche i suoi pezzi uno ad uno
vengono smontati e ridotti al silenzio. Le sue torri, ad eccezione della
torretta di comando, sempre risparmiata, cominciano a sfasciarsi sotto quella
pioggia incessante di granate, e nelle batterie i morti si accumulano.
Sandokan e Yanez, chiusi nella
torretta, contemplano quel terribile spettacolo, calmi e sereni. Il primo si
morde di quando in quando le labbra a sangue; il secondo fuma flemmaticamente
la sua eterna sigaretta e sembra solamente un po' commuoversi, quando il suo
sguardo s'incontra con quello di Surama.
Darma, seduta in un angolo, su un
mucchio di cordami, a fianco di Tremal-Naik, colle mani
appoggiate agli orecchi per attenuare il rombo assordante delle grosse
artiglierie, sembra che guardi nel vuoto.
D'improvviso, il Re del Mare, sollevato
da una forza misteriosa, sobbalza da prora a poppa, mentre una enorme colonna
d'acqua si rovescia sulla sua coperta spazzandola. Tutto il suo scafo vibra e
sembra sfasciarsi come se scoppiassero le munizioni del Re del Mare.
Horward, l'ingegnere americano,
si precipita in quel momento entro la torretta, pallido, esterrefatto:
- Hanno torpedinato il Re del
Mare! - grida. - Coliamo a fondo!
Grida selvagge salgono dalle batterie,
confondendosi cogli ultimi spari dei due pezzi da caccia della coperta, ancora
servibili.
Il fuoco cessa bruscamente sulle
quattro navi nemiche.
Sandokan volge un triste sguardo
ai suoi due compagni, poi dice:
- Ecco il momento supremo: la tomba è aperta
per le ultime tigri di Mompracem.
Alza Darma ed esce dalla
torretta, seguìto da Yanez, da Tremal-Naik e da Surama, e
si arresta al di fuori a guardare la sua nave.
Povero Re del Mare! La
superba nave che ha resistito a tante prove e che pareva invincibile, non è più
che una carcassa affondante.
Ondate di fumo sfuggono dai
boccaporti dai quali irrompono, neri di polvere e lordi di sangue, gli uomini
delle batterie.
- Una scialuppa in mare! -
comanda Sandokan.
- Non occuparti di noi. Gli
equipaggi degli incrociatori vengono a raccoglierci.
Infatti numerose imbarcazioni si
staccano dai fianchi delle navi vittoriose ed accorrono a forza di remi. Nella
prima si vede sir Moreland, il quale sventola un fazzoletto bianco.
La scialuppa, montata dalle due
fanciulle, da Tremal-Naik, da Kammamuri e da quattro
rematori, s'allontana dal Re del Mare perché la nave affonda sempre.
- Ed ora, - disse Sandokan con un
gesto superbo, - lassù, avvolto nella mia bandiera. Vieni Yanez: tutto è
finito.
- Bah! - fece il portoghese,
gettando in aria una boccata di fumo. - Non si può mica vivere all'infinito.
Attraversarono il ponte ingombro
di frammenti di palle e di granate e salirono sulle griselle dell'albero militare,
arrestandosi sulle piattaforme.
In lontananza,
Tremal-Naik, Darma e Surama facevano cenno a loro di
gettarsi in acqua. Risposero con un saluto della mano e un sorriso.
Poi Sandokan, strappando la sua
rossa bandiera che gli sventolava sopra la testa, si avvolse fra le sue pieghe,
dicendo:
- È così che muore la Tigre della
Malesia.
Sotto di loro, gli ultimi
Tigrotti di Mompracem, un centinaio circa, per maggior parte feriti,
aspettavano, impassibili e silenziosi, che il gran gorgo li aspirasse, tenendo
gli sguardi fissi sui loro due capi.
Il Re del Mare affondava
lentamente, vibrando, e si udivano le acque a muggire cupamente entro la stiva.
Le scialuppe degli incrociatori
facevano sforzi disperati per giungere in tempo a raccogliere quei naufraghi,
votatisi volontariamente alla morte. Quella di sir Moreland era sempre la prima
ed era subito seguìta da quella montata da Tremal-Naik e
dalle due fanciulle che tornava verso la nave, avendo l'indiano compreso il disegno
disperato dei suoi vecchi amici.
Sandokan, sempre avvolto nella
sua bandiera, li guardava impassibile, con un superbo sorriso sulle labbra.
Yanez, colla fronte un po' corrugata, fumava la sua ultima sigaretta colla sua
calma abituale.
Quando le acque cominciarono ad
invadere la coperta, il portoghese lasciò cadere la sigaretta quasi finita,
dicendo:
- Va' ad aspettarmi in fondo al
mare!
Ad un tratto, quando pareva che
lo scafo dovesse tutto sommergersi, la discesa di quella enorme massa cessò
bruscamente. Il flusso che aveva spinto la nave verso l'est, doveva averla
portata addosso al banco di Vernon, più di quanto l'equipaggio supponeva e la
chiglia doveva essersi indubbiamente posata sul fondo.
Ed infatti, nel momento in cui le
due scialuppe montate una da sir Moreland e da sei marinai indiani e l'altra da
Tremal-Naik, Darma e Surama coi rematori malesi giungevano
sotto la scala di babordo, lo scafo s'inclinava dolcemente a tribordo
coricandosi di sul fianco.
Sir Moreland, vedendo la nave
ormai immobile, erasi affrettato a salire sul ponte, seguìto subito da
Tremal-Naik e dalle due fanciulle.
Yanez si era voltato verso
Sandokan, la cui faccia appariva assai abbuiata.
- Nemmeno la morte ci vuole, -
gli disse. - Che cosa vuoi fare?
Si sbarazzò della bandiera e
scese lentamente la grisella, colla maestà d'un re che scende i gradini d'un
trono e si fermò dinanzi a sir Moreland, dicendogli:
- Ebbene? Che volete fare di noi?
L'anglo-indiano,
che pareva in preda ad una viva commozione, si levò il berretto salutando i due
eroi della pirateria, poi disse con nobiltà:
- Permettetemi una parola, prima,
signori.
Prese per una mano Darma, che era
salita a bordo con Surama e, conducendola dinanzi a Tremal-Naik,
gli disse:
- Io l'amo ed ella m'ama: io non
potrei vivere senza vostra figlia, eppure i numi dell'India sanno quanto io ho
fatto per dimenticarla. Colmate con una vostra parola il rivo di sangue che mi
separava da voi onde il grido terribile del mio assassinato genitore si spenga
per sempre. La sua anima mi è comparsa ieri notte e mi ha detto di perdonare a
tutti!
- Che cosa dite, sir Moreland? Di
qual genitore parlate? - chiese Tremal-Naik, con angoscia.
- Darma, mi amate? - chiese sir
Moreland, senza rispondere all'indiano.
- Sì, immensamente, - rispose la
fanciulla arrossendo e abbassando gli occhi.
- La guerra è finita fra noi, -
disse sir Moreland, - e la macchia di sangue è cancellata.
Tremal-Naik benedite i vostri figli.
- Ma chi siete voi? - gridarono
ad una voce Yanez, Sandokan e Tremal-Naik.
- Io sono... il figlio di
Suyodhana! Venite! Siete miei ospiti.
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