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- Tre contro mille
Quel piccolo edificio,
che i fuggiaschi avevano occupato senza nemmeno prendersi la briga di chiedere
il permesso al suo proprietario, si componeva di due sole stanze di pochi metri
quadrati, ingombre di gabbie che servivano da sedili, di brocche, di cocome di
rame, di tazze di metallo o di terra cotta, per la maggior parte schiacciate o
screpolate, e di sacchetti di caffè.
I mobili
consistevano in un banco massiccio e in un letto. Vi era anche un fornello di
ferro su cui bolliva un pentolone d'acqua.
“Rocco,”
disse il marchese, dopo aver gettato un rapido sguardo all'intorno. “Si può
barricare la porta?”
“Il banco
basterà,” rispose il colosso. “È pesante e di vera noce e arresterà le palle
dei moschettoni.”
Detto ciò,
spostò il banco che era stato infisso solidamente al suolo, poi senza alcuno
sforzo lo trasportò fino alla porta, che fu chiusa fino a metà altezza.
L'ebreo vi
aveva subito sovrapposto il fondo del letto, mentre il marchese accumulava
rapidamente i sacchetti di caffè.
“È fatto,”
disse Rocco.
“Ed a tempo,”
rispose il marchese. “Ecco quei dannati fanatici che arrivano come una banda di
lupi affamati.”
Urla feroci
echeggiavano al di fuori. I fanatici ed i loro ammiratori, vedendo la porta
barricata, erano montati in furore.
“Fuciliamoli!”
gridò una voce.
“Adagio, mio
caro,” disse il marchese, il quale non aveva perduto un atomo della sua flemma.
“Non siamo già fagiani da lasciarci tranquillamente fucilare. Abbiamo anche noi
delle palle e ne faremo buon uso.”
“E anche
dell'acqua bollente,” aggiunge Rocco. “Basta salire sulla terrazza e vuotare la
pentola.”
“M'incarico
io,” disse l'ebreo.
“Vi consiglio
di non mostrarvi, per ora. Sembra che siate molto odiato voi.”
“Perché sono
ebreo.”
“Avete molti
nemici in città?” chiese il marchese.
“Nessuno,
signore; mi trovo a Tafilelt da soli due giorni e...”
La
conversazione fu interrotta da un colpo di fucile.
Un marocchino
si era avvicinato cautamente alla porta, tenendosi nascosto dietro la parete,
ed aveva scaricato il suo moschetto attraverso una fessura lasciata fra i sacchetti;
la palla era sibilata dinanzi al marchese ed all'ebreo.
Vedendo il
marocchino fuggire, Rocco impugnò rapidamente la rivoltella che aveva deposto
sul banco e a sua volta fece fuoco.
L'uomo mandò
un grido, però continuò la corsa mescolandosi alla folla che si era fermata a
cinquanta passi dall'edificio, non cessando un solo istante di urlare e di
minacciare.
“Mancato?”
chiese il marchese.
“No, toccato,
signore,” rispose Rocco. “In Sardegna non si tira mica male.”
“E anche in Corsica,”
rispose il marchese, ridendo.
“Ne ho avuto
una prova poco fa, quando avete mandato quel fanatico a trovare Maometto con
trenta grammi di piombo nella zucca.”
“Scherzate!”
esclamò l'ebreo, stupito per l'inaudito sangue freddo dei suoi salvatori.
“Che volete?
Io e Rocco ci divertiamo,” rispose il marchese.
“Non sperate
che i marocchini ci lascino tranquilli, signore.”
“Bah! Si
vedrà.”
“Ci
piomberanno addosso e ci massacreranno.”
“E voi avete
paura, è vero?”
“No, signore,
ve lo giuro. Mi rincresce per voi... e per mia sorella,” disse il giovane con
un sospiro.
“Ah! Voi
avete una sorella? E dove si trova?”
“Presso un
mio correligionario.”
“Al sicuro?”
“Lo spero.”
“Allora non
inquietatevi; la rivedrete. Le guardie del governatore non lasceranno assassinare
impunemente due europei.”
“Voi verrete
forse salvati, ma non io... Io sono un ebreo ed il governatore non esiterà ad
abbandonarmi alla folla.”
“Udiamo un
pò: siete suddito marocchino?”
“Sono di
Tangeri.”
“Vi conoscono
le autorità di Tafilelt?”
“No, signore.”
“Allora noi
affermeremo che siete sotto la protezione della Francia o dell'Italia e vedremo
se oseranno toccarvi... Ah! Ricominciano? Rocco, bisogna tentare qualche cosa.”
“Signor
marchese,” disse Rocco. “Vi sono quattro o cinque di quei birbaccioni nascosti
dietro il banco. Ci faranno una scarica addosso.”
“Mi pare che
la pentola del caffè sia piena. Perché non offriamo a quei messeri un buon
sorso di Moka?”
“Una fontana,
signor marchese.”
“Li peleremo
vivi.”
“Peggio per
loro.”
Mentre il
marchese e l'ebreo si ritiravano dietro le pareti per non ricevere una scarica
a bruciapelo, il sardo si munì d'uno straccio, levò dal fornello l'enorme
pentola che conteneva per lo meno dieci litri di Moka più o meno autentico e
salì la scaletta che metteva sul terrazzo.
Si tenne
curvo fino al parapetto per non farsi fucilare dai moschetti che brillavano fra
la folla tumultuante, poi alzò bruscamente la pentola e la rovesciò, gridando
“Guardatevi
le teste! Brucia!”
Urla terribili,
strazianti, s'alzarono dinanzi alla porta. Cinque o sei uomini si scagliarono
come pazzi attraverso la piazza, comprimendosi le teste e ululando come belve
feroci.
“Che
innaffiata!” esclamò il gigante.
Venti o
trenta colpi di fucile partirono fra la folla. Il sardo però, che stava attento
alle mosse degli assedianti, aveva avuto il tempo di abbassarsi, sicché le
palle non fecero altro che scrostare la cima del parapetto.
“Anche se non
hanno polvere inglese, non tirano mica male,” brontolò il sardo. “È meglio
scendere e riempire la pentola.”
Scese poi la
scala a precipizio, mentre una seconda grandine di palle cadeva sibilando sulla
terrazza.
“Pare che ora
l'abbiano più con te che con questo signore,” disse il marchese. “Sono male
armati, caro il mio Rocco. Hanno certi moschettoni, che fanno più fracasso che
danno.”
“E qui, come
la va?” domandò all'ebreo.
“Sono
fuggiti.”
“Sfido io!
Dopo quel caffè!”
“Nondimeno mi
pare che altri tornino alla carica,” osservò l'ebreo.
“E noi saremo
pronti a riceverli, signor...”
“Ben
Nartico,” rispose l'ebreo.
“Si direbbe
dal nome che siete mezzo arabo e mezzo spagnuolo.”
“Può essere,
signor...”
“Marchese di
Sartena.”
“Un corso,
forse?” chiese l'ebreo.
“Sì, signor
Nartico. Un isolano al pari del mio fedele Rocco il quale invece è sardo.”
“Ecco là i
marocchini, li vedete?... Per bacco!... giungono a passi di lupo. Alto là!...
Qui ci siamo noi!”
Due colpi di
rivoltella accompagnarono quelle parole, seguiti dai due colpi di pistola
dell'ebreo.
“Tira bene
l'israelita,” mormorò Rocco, vedendo uno degli assalitori girare su se stesso e
piombare a terra.
A quei due
colpi di rivoltella e di pistola rispose però un nutrito fuoco di fucileria che
fece balzare indietro i tre assediati.
I marocchini
avevano cominciato la battaglia sul serio. Le palle fischiavano attraverso la
porta schiacciandosi contro le pareti e staccando larghi pezzi di calce, si
cacciavano, con sordo rumore, nel pancone di legno crepandolo.
Essi
avanzavano a masse compatte, incoraggiandosi con urla feroci, risoluti questa
volta ad opprimere i tre kafir che osavano sfidare una intera
popolazione.
“Signor di
Sartena,” disse l'ebreo, “sta per suonare la nostra ultima ora.”
“Ho ancora
tre palle,” rispose freddamente il gentiluomo.
“Ed io ho le
mie cariche intatte,” aggiunse Rocco.
“La vita di
otto uomini.”
“E le mie
braccia non le contate, marchese? Valgono qualche cosa.”
“Ma vi sono
almeno mille uomini sulla piazza,” disse l'ebreo. “Avete un pugnale?”
“E me ne
servirò, signore, non dubitate.”
“Abbiamo già un
bel numero e... Toh! Cos'è questo fracasso? Si direbbe che la cavalleria
carichi sulla piazza.”
Fra le urla
della folla si udivano distintamente dei nitriti di cavallo, un fragor di zampe
ferrate che percuotevano le pietre e grida di:
“Balak!...
Balak!... [largo!... largo!...]”
“Pare che ci
giungano dei soccorsi,” disse Rocco, il quale guardava fuori. “Vedo la folla
che si precipita a destra e a manca e scorgo dei cavalieri.”
“Che quel
brav'uomo di governatore si sia finalmente deciso a non lasciarci scannare?”
disse il marchese. “Giunge un pò in ritardo, però ancora a tempo per salvare la
pelle nostra e anche quella dei suoi amministrati. M'immagino la scena che ci
farà.”
“Con una
buona borsa d'oro si calmerà subito, signore,” disse Ben Nartico. “Se mi permettete
gliela offrirò a vostro nome.”
“Un favore
che non rifiuterò, perché in questo momento non ho più un luigi in tasca. Più
tardi vi rimborseremo.”
“Oh! Signor
marchese!” esclamò Ben Nartico. “Tocca a me pagare e vi sarò per sempre
riconoscente.”
“Ecco un
ebreo che è un pò diverso dagli altri,” mormorò Rocco. “Deve essere un buon
ragazzo.”
Intanto, i
cavalieri, dopo aver respinto brutalmente la folla adoperando le aste delle
lance, si erano fermati di fronte al caffè.
Erano una
trentina, tutti di alta statura e neri come carboni, giacché le migliori truppe
vengono reclutate fra i negri dell'interno, importati prima come schiavi,
uomini coraggiosi e fidati che non esitano a dare addosso ai mori, agli arabi
ed agli ebrei che formano la maggioranza della popolazione marocchina.
Indossavano
tutti degli ampi caffettani, azzurri o rossi, cappe bianche e fez a
punta ed avevano le gambe nude ed i piedi chiusi in babbucce di cuoio giallo,
armate di speroni a due punte di ferro, molto lunghe.
Montavano
cavalli piccoli, cogli occhi ardenti, la fronte un pò schiacciata, la testa
bellissima ed il ventre stretto, animali impareggiabili che corrono come il
vento, che resistono alle fatiche e alla sete e che volteggiano con una
rapidità ed agilità veramente straordinarie, quantunque portino una sella
altissima e assai pesante.
Precedeva il
drappello un uomo d'aspetto maestoso, dalla tinta molto bruna, con una barba
imponente, un turbante bianco, cappa azzurra ricamata in oro, calzoncini rossi,
stivali di cuoio giallo ed un caic bellissimo, di stoffa trasparente.
“Il
governatore!” esclamò il marchese, il quale aveva subito riconosciuto quel
superbo cavaliere. “Ben gentile, l'amico!...”
“O troppo
pauroso?” disse Rocco. “Scommetterei che ha creduto di vedere le corazzate francesi
ed italiane navigare sulle sabbie del deserto.”
“Per venire a
bombardare la sua città,” aggiunse il marchese.
Il colosso in
tre colpi abbatté la barricata e intanto il governatore era giunto dinanzi alla
porta. Questi, vedendo uscire il marchese colla rivoltella ancora in mano,
corrugò la fronte e fece indietreggiare vivamente il suo cavallo.
“Non temete,
Eccellenza,” disse il corso.
“Quali
imprudenze avete commesso per scatenare contro di voi tutta la popolazione? Voi
avete dimenticato di essere uno straniero e anche un cristiano,” disse il
governatore, con accento severo.
“Datene la
colpa ai vostri amministrati, Eccellenza,” rispose il marchese, fingendosi in
collera. “Come? Non si può passeggiare per le vie di Tafilelt forse? In Francia
ed in Italia questa libertà non è negata a nessuno straniero, sia pure anche un
marocchino.”
“Voi avete
ucciso dei sudditi del sultano.”
“Dovevo
lasciar uccidere i miei servi?...”
“Mi hanno
detto che non si trattava d'uno dei vostri servi bensì d'un immondo ebreo.”
“Quello che
voi chiamate, con poco rispetto, un immondo ebreo era un mio servo,
Eccellenza.”
“Voi avevate
un israelita ai vostri servigi?” chiese il governatore, stupito. “Perché non me
lo avete detto? L'avrei fatto rispettare, non amando il sultano avere fastidi
colle potenze europee.”
“Credevo che
non fosse necessario dirvelo.”
“Così vi
siete messo in certi impicci che possono avere conseguenze gravi. I miei
concittadini sono furibondi e reclamano giustizia. Volete un consiglio?
Consegnate loro l'ebreo e lasciate che lo appicchino.”
“Non ho
l'abitudine di lasciar trucidare i miei servi senza difenderli e mi vedrei
costretto ad impegnare la lotta contro i vostri concittadini.”
“Uno contro
mille!... Vi ucciderebbero subito.”
“E la Francia
più tardi vendicherebbe la mia morte come l'Italia vendicherebbe quella del mio
compagno.”
Udendo quelle
parole, la fronte del governatore si era oscurata.
“Ah, no!”
disse. “Non voglio complicazioni diplomatiche che potrebbero condurre ad una
guerra disastrosa per noi... Se non volete consegnare l'ebreo, almeno
affrettate la vostra partenza; io non posso rispondere sempre della vostra
vita.”
“Fatemi
preparare la carovana ed io me ne vado.”
“Badate, il
gran deserto è pericoloso e qualcuno potrebbe seguirvi.”
“Mi
difenderò.”
“Venite con
me, ora. Questa sera partirete.”
“Volete
condurmi al vostro palazzo?”
“È l'unico
luogo ove potrete essere al sicuro. Mettetevi in mezzo alla mia scorta assieme
ai vostri compagni.”
“Come
arrestati?...”
“Lasciate che
dia alla folla questa piccola soddisfazione. Avrete tutto da guadagnare.”
“Sia pure,”
disse il marchese. “Rocco, Nartico, andiamo e non lasciate le armi. Non c'è da
fidarsi.”
“E mia
sorella?” gli chiese l'israelita.
“Ah!...
diamine!... Mi dimenticavo che voi avete una sorella. Bah!... Troveremo un
mezzo per farla avvertire che voi siete salvo. Per ora accontentatevi di essere
ancora vivo.”
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