7 - Una caccia al re delle foreste
Dopo aver raccomandato
al moro ed ai due beduini di fare buona guardia attorno agli animali, il
marchese ed i suoi compagni lasciavano l'accampamento, gettandosi in una folta
macchia formata da querce assai basse, in mezzo alla quale potevano facilmente
nascondersi.
Il leone
doveva essersi fermato a non più di tre o quattrocento passi dal campo. Ora non
ruggiva più e forse s'accostava strisciando, per non farsi scorgere e piombare
sull'accampamento di sorpresa.
Percorsi
cinquanta passi, il marchese si era arrestato sul margine della macchia, di
fronte ad uno spazio scoperto.
“Il leone
passerà certamente da qui,” disse volgendosi verso i compagni. “È la via più
breve che conduce al nostro campo.”
“Non
facciamoci però scorgere,” disse Ben Nartico. “Se ci fiuta girerà al largo e
piomberà sui nostri animali dall'altra parte.”
“Siamo
sottovento,” osservò Rocco, “quindi non ci sentirà.”
“Non facciamo
fuoco tutti insieme,” aggiunse il marchese. “Talvolta una sola scarica non
basta ad atterrare quegli animali. Lasceremo l'onore del primo fuoco alla
signorina Esther, ed a voi, Ben.”
“Grazie,
marchese,” rispose la giovane ebrea. “Cercherò di non mancare la belva.”
“Silenzio,” disse
Nartico. “Ho udito lo spezzarsi di un ramo. Il leone ha certo ripreso la sua
marcia.”
“Allora prendiamo
posizione,” disse Esther inginocchiandosi presso il tronco d'una quercia.
“Io ammiro la
vostra tranquillità,” disse il marchese. “Una donna che non trema dinanzi al re
delle foreste!”
Esther si
volse verso di lui, guardandolo coi suoi occhi neri, dal lampo vivissimo, e
sorrise silenziosamente.
“Badate!”
esclamò in quel momento Rocco.
Una forma
nera, non ben definita, per l'oscurità che regnava sotto le piante, s'avanzava
cautamente attraverso lo spazio scoperto, arrestandosi ogni tre o quattro
passi.
“Che sia il
leone?” chiese Esther.
“È
impossibile saperlo,” rispose il marchese che le stava dietro, pronto a
coprirla nel caso d'un improvviso assalto. “Con questa oscurità non si
distingue nulla. Aspettiamo che si avvicini.”
“Intanto lo
prendo di mira,” disse la giovane.
“Ed io faccio
altrettanto, sorella,” aggiunse Ben Nartico. L'animale si trovava allora ad un
centinaio di passi e pareva che non avesse molta fretta di avvicinarsi. Forse
aveva fiutato il pericolo e diventava prudentissimo, specialmente ora che
camminava su quello spazio sgombro d'alberi e di cespugli.
“Dal suo modo
di procedere non mi pare che sia un leone,” disse Ben, dopo qualche istante di
silenzio. “Ha troppe esitazioni.”
“Sarà una
belva prudente,” rispose il marchese. “Si è fermato,” disse Rocco.
L'animale
avendo trovato sulla sua via un gruppetto di cespugli quasi privi di foglie vi
si era nascosto dietro.
“Il
briccone!” esclamò il marchese. “Non osa avanzare.”
“Ma è a buon
tiro,” disse Esther. “Lo scorgo benissimo e posso abbatterlo.”
“Lo miro
anch'io,” rispose il sardo.
La giovane
ebrea aveva alzato la carabina americana, appoggiando la canna al tronco d'una
acacia per mirare con maggior sicurezza. Era tranquillissima come se si trovasse
dinanzi ad un bersaglio anziché ad una delle più pericolose belve dell'Africa.
Le sue belle
braccia non avevano il minimo tremito, cosa veramente straordinaria in una
donna.
“Bella e
coraggiosa,” mormorò il marchese, con ammirazione. “Se...”
L'acuta detonazione
della carabina gli ruppe la frase. La belva che stava nascosta dietro al
cespuglio s'alzò di colpo sulle zampe deretane, girando su se stessa, poi cadde
senza mandare un grido.
“Bel colpo!”
esclamò il marchese. “Signorina Esther, i miei complimenti!”
“Una cosa
assai facile, come ben vedete,” rispose la giovane.
“Ma che cosa
abbiamo ucciso?” chiese Ben Nartico. “Il leone o qualche altro animale?”
“Ora lo
sapremo,” disse il marchese.
Stava per
slanciarsi fuori dalla macchia, quando verso l'accampamento echeggiarono urla
di terrore, seguite da tre detonazioni.
“Chi assale i
nostri uomini?” gridò il signor di Sartena, arrestandosi.
Un ruggito
formidabile rintronò nella foresta come un colpo di tuono, uno di quei ruggiti
così possenti che non si dimenticano più una volta uditi.
“Mille
cabili!” disse Ben Nartico.
Si lanciarono
di corsa attraverso la macchia. Avevano percorso cinquanta passi quando videro
un'ombra balzare fuori da un cespuglio, passare sopra le loro teste colla
rapidità di una freccia e scomparire subito in mezzo agli alberi.
Il marchese e
Rocco avevano subito alzato i fucili.
“Troppo
tardi,” disse il signor di Sartena.
“Un leone di
statura gigantesca e che per poco non mi ha atterrato,” disse Ben Nartico.
“Attenzione!
Forse sta per riprendere lo slancio.”
Tutti avevano
puntato i fucili verso gli alberi fra i quali era caduta la belva, credendo di
vederla ricomparire.
“Che si sia
già allontanato?” chiese il marchese, dopo qualche istante d'angosciosa attesa.
“Non si ode più nulla.”
“Ripieghiamo
sull'accampamento,” disse Ben Nartico. “Qui non siamo sicuri.”
Ripresero la
marcia tenendo le armi puntate a destra ed a manca, pronti a fare una scarica,
e giunsero in pochi minuti presso i fuochi. Il moro ed i due beduini erano
ancora in preda ad una grande paura e scagliavano da tutte le parti tizzoni
accesi.
“Signore,”
disse El-Haggar, con voce alterata, “il leone ha approfittato della vostra
assenza per assalirci. È piombato su uno dei nostri asini, spezzandogli la
spina dorsale con un terribile colpo d'artiglio.”
“E se lo è
portato via?”
“No, signore,
perché gli abbiamo sparato addosso.”
“E lo avete
mancato.”
“L'assalto è
stato così improvviso che non abbiamo avuto il tempo di mirarlo.”
“Da quale parte
è fuggito?” chiese Ben. “In mezzo a quel gruppo d'alberi.”
“Dinanzi a
voi!” esclamò il marchese. “Allora i leoni sono due invece d'uno.”
“Certo,”
disse Rocco; “quello che ci è passato sopra doveva essere un altro.”
“Diavolo!”
esclamò il marchese. “La faccenda si fa seria.”
“E la bestia
che è caduta presso il cespuglio?” chiese Esther. “Che fosse anche quello un
leone?”
“Me lo
domandavo in questo momento,” rispose il corso. “Che cosa fare?” chiese Rocco.
“Dare una
buona lezione all'assassino del nostro asino,” disse il marchese, senza
esitare.
“Sono in due,
signore,” disse Ben Nartico. “Un'idea!” esclamò Rocco.
“Gettala
fuori.”
“Voi sapete
che i leoni hanno l'abitudine di ritornare là dove hanno abbattuto una preda.”
“Sì, per
divorarsela, quando le iene e gli sciacalli la lasciano.”
“Trasciniamo
l'asino fuori del campo e aspettiamo il ritorno dell'assassino. Oh! Non tarderà
a mostrarsi, ve lo assicuro.”
“Mettiamo in
esecuzione la tua idea,” disse il marchese.
Chiamò i
beduini ed il moro e diede l'ordine di trascinare l'asino a centocinquanta
metri dall'accampamento, presso un gruppetto di cespugli.
Mentre
obbedivano, egli, aiutato da Rocco e da Ben, accumulò parecchi grossi rami
verso uno dei fuochi, in modo da formare una specie di barricata alta un buon
metro e solidissima.
“Ci
nasconderemo qui dietro,” disse. “I leoni, non vedendoci, ci crederanno
addormentati e non tarderanno a venire per portarsi via la preda.”
“Signorina
Esther, potete prendere un pò di riposo. Quando si mostreranno, vi
sveglieremo.”
Fece sdraiare
i due beduini ed il moro presso i cammelli, poi si nascose dietro la barricata
assieme con Ben Nartico e con Rocco. La foresta era tornata silenziosa. Pareva
che i due leoni, scoraggiati dalla mala riuscita del loro primo assalto, si
fossero allontanati. Nondimeno né il marchese, né i suoi compagni ne erano
convinti.
“È un'astuzia
vecchia,” aveva detto il signor di Sartena. “Sono certo che ci spiano.”
Checché sia
stato detto e scritto, il leone dell'Africa settentrionale, molto più grosso e
più forte di quello dell'Africa meridionale, non rinuncia mai alla sua preda,
anche quando sa di essere insidiato.
Possiede
un'audacia incredibile e non teme l'uomo, sia arabo o europeo, soprattutto
quando ha cominciato ad assaggiare la carne umana. In ciò rassomiglia alle
tigri dell'India. Anche queste, dopo che hanno divorato la prima vittima umana,
diventano eccessivamente sanguinarie e affrontano risolutamente qualsiasi
pericolo, pur di provvedersene altre.
Generalmente
il leone che vive di animali sorpresi nelle foreste sfugge quasi sempre il
cacciatore. Se per caso ne atterra uno e prova ad assaggiarlo, allora diventa
estremamente pericoloso.
Osa entrare
di notte nei duar per rapire i beduini o gli arabi addormentati, e non
lo trattengono né i fuochi accesi attorno ai campi, né le siepi spinose e
nemmeno le palizzate che varca con facilità, possedendo uno slancio
incredibile.
Per citare un
caso dell'audacia di questi animali, basterà narrare un aneddoto.
A Tsavo, nell'Uganda
inglese, si stava costruendo un tronco ferroviario.
Una notte due
operai cinesi scomparvero. Erano stati portati via da un leone, il quale aveva
avuto l'audacia di andarli a rubare in mezzo ad un accampamento difeso da
trincee, da siepi e da fuochi e abitato da centinaia di persone.
Poche sere
dopo quell'animale, che aveva preso molto gusto alla carne umana, ritornava in
quel medesimo accampamento e si portava via un indiano di cui aveva lasciato
intatta la sola testa.
Il signor
Patterson, uno dei direttori del tronco in costruzione, spaventato dal
crescente numero delle vittime, prepara un'imboscata; ma il leone sfugge con
un'abilità incredibile, entra nell'accampamento dalla parte opposta e rapisce
un altro lavorante.
Si
raddoppiano le siepi, i fuochi e le sentinelle, ma tutto è invano.
Il
formidabile mangiatore d'uomini due sere dopo salta la cinta, sventra la tenda
che serviva da ospedale, ferisce mortalmente due malati, atterra un infermiere
e se ne porta via un altro che va a divorarsi tranquillamente nella foresta.
Il signor
Patterson prepara un nuovo agguato presso l'ospedale, ed al mattino s'accorge
che il leone ha ucciso uno dei portatori d'acqua, non lasciando che un pezzo di
cranio ed una mano.
Soltanto dopo
parecchi agguati venne finalmente ucciso insieme ad un compagno, quando aveva
già divorato, in poche settimane, una cinquantina d'operai fra negri, indiani e
coolies cinesi.
Il marchese
di Sartena poteva quindi essere certo che i due leoni sarebbero ritornati per
riprendersi la preda o fare qualche nuova vittima.
Ed infatti
non era ancora trascorsa un'ora quando Rocco s'accorse che un'ombra scivolava
cautamente dietro i cespugli, cercando d'avvicinarsi all'accampamento.
“Marchese,
vengono,” disse.
“Me lo
immaginavo,” rispose il corso. “Ci sono tutti e due?”
“Non ne ho
veduto che uno.”
“Dove sarà
l'altro? Stiamo in guardia onde non ci piombi addosso da qualche altra parte.
“Lasciate che faccia fuoco solamente io, per ora; voi serbate i vostri
colpi per l'altro.”
“Eccolo,
marchese guardatelo!” esclamò Ben Nartico.
“Che animale superbo,” disse il corso. “Non ne ho veduto di così
grossi, nemmeno nella Cabilia.”
Il leone era
uscito dai cespugli e si era piantato dinanzi al primo fuoco, percuotendosi i
fianchi colla lunga coda.
Era un
animale veramente splendido, uno dei più grossi e dei più maestosi della
famiglia leonina.
Doveva
misurare non meno di due metri ed aveva una criniera abbondantissima, molto
oscura, che gli dava un aspetto maestoso.
I suoi occhi,
che mandavano cupe fiamme, s'erano fissati sull'ammasso formato dai rami, come
se già avesse indovinato che colà si nascondevano i suoi avversari.
Nondimeno si
teneva ritto, colla testa alta, il corpo raccolto, come se si preparasse a
slanciarsi e ad impegnare risolutamente la lotta.
Il marchese
passò silenziosamente la canna del suo Martini in una fessura fra due rami e
mirò attentamente quel terribile nemico. Già stava per far partire il colpo,
quando un ruggito terribile, assordante, seguito dalle urla dei beduini e del
moro e dai nitriti dei cavalli, risuonò dietro di lui.
“Il leone!...
Il leone!...” urlavano i carovanieri.
Il marchese
ritirò prontamente l'arma e si volse.
Il secondo
leone era piombato improvvisamente in mezzo all'accampamento, varcando i fuochi
con un salto immenso.
Spaventato
forse dalle grida dei beduini e del moro, era rimasto un momento immobile,
probabilmente anche sorpreso dalla propria audacia.
“Occupatevi
dell'altro, marchese!” gridò Rocco, facendo fuoco contemporaneamente a Ben
Nartico.
Ai due spari
aveva fatto eco un nuovo ruggito, più formidabile del primo. La belva era
caduta, ma poi si era subito risollevata.
Con un salto
abbatté la tenda di Esther, poi varcando nuovamente i fuochi si slanciò fuori
dall'accampamento.
Quasi nel
medesimo istante le barricate rovinavano addosso al marchese, atterrate da un
urto irresistibile, ed il secondo leone piombava a sua volta nel campo.
Vedendosi
vicino un cammello, gli balzò sulle gobbe, ruggendo spaventosamente, mentre Ben
Nartico e Rocco si gettavano dinanzi alla tenda, fra le cui pieghe si dibatteva
Esther, cercando d'uscire.
Il marchese
però non aveva perduto il suo sangue freddo. Quantunque intontito dal rovinio
delle casse, si era prontamente rialzato col fucile in mano.
“A me!”
gridò.
Il leone non
era che a dieci passi e si sforzava di tenere al suolo il cammello, che faceva
sforzi disperati per sbarazzarsi di quello strano cavaliere.
“Badate!”
gridò Ben, che ricaricava precipitosamente il fucile, mentre Rocco aiutava
Esther a liberarsi dalla tenda che la soffocava. Il marchese muoveva
intrepidamente contro la fiera, dalla cui gola spalancata uscivano sordi
ruggiti che aumentavano rapidamente d'intensità.
Aveva puntato
il fucile, mirando la belva in pieno petto, onde colpire il cuore.
Anche Ben
Nartico aveva alzato il fucile e Rocco ed Esther stavano per imitarlo. I
beduini ed il moro invece si erano rifugiati dietro un falò.
Ad un tratto
il leone, dopo aver dilaniato le gobbe al povero cammello, si raccolse su se
stesso abbassando la testa e digrignando i denti.
Il marchese
si trovava allora a solo sei passi.
“Sta per
slanciarsi!” gridò Rocco. “Fuoco, padrone!”
Un colpo di
fucile rimbombò. Il leone stramazzò in mezzo ai cammellí, ma subito si rialzò
ruggendo spaventosamente.
Stava per
scagliarsi sul marchese il quale ricaricava l'arma quando Esther, Ben Nartico e
Rocco fecero una scarica.
Il leone era
ricaduto e questa volta per non più rialzarsi.
Si dibatté
per qualche istante, cercando ancora di lacerare i fianchi al povero cammello,
poi si irrigidì.
“Perbacco!...
Che pelle dura!” esclamò il marchese con voce tranquilla. “Eppure l'avevo
colpito al cuore!”
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