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- Un terribile momento
Liberata
Esther e fattala scendere dalla rupe, il marchese ed El-Haggar si misero senza
indugio in cerca di Ben e di Rocco. Erano tutti molto inquieti, temendo che si
fossero rifugiati in una caverna priva di qualsiasi apertura. Le sabbie,
otturando l'ingresso, forse avevano intercettato l'entrata dell'aria e quei due
disgraziati potevano trovarsi alle prese coll'asfissia.
Erano sicuri
che avevano trovato anche essi un rifugio; si trattava però di sapere in quale
fossero entrati essendovene altri tre lungo l'enorme parete rocciosa.
“Cerchiamo
innanzi tutto il mehari,” aveva detto il marchese. “Se le sabbie non lo
hanno sepolto, in qualche luogo lo vedremo.”
“È
precisamente l'assenza di quell'animale che m'inquieta,” aveva risposto
El-Haggar, la cui fronte si era oscurata. “Se fosse ancora vivo, a quest'ora si
sarebbe alzato e ci avrebbe fiutati.”
“Che si sia
rifugiato anch'essa nella caverna occupata da Ben e da Rocco?” chiese Esther,
la quale non era meno inquieta del moro.
“Non escludo
questa probabilità,” rispose El-Haggar. “Nondimeno sarei più tranquillo se lo
vedessi alzarsi fra le sabbie.”
“Dove si
trova la seconda grotta?” chiese il marchese. “A quattro o cinquecento passi da
qui.”
Si misero a
seguire la parete rocciosa, guardando attentamente le sabbie che il simun aveva
accumulato in enorme quantità contro quel gigantesco ostacolo.
Già avevano
percorso quasi tutti la distanza che li separava dal secondo rifugio, quando un
grido di stupore sfuggì al moro.
“Là! Là!” esclamò,
indicando una piccola duna. “Vedo il mehari! Esso è coricato fra le
sabbie!”
“Che sia
morto soffocato?” chiese il marchese. “Se fosse vivo si sarebbe alzato.”
Quando gli fu
vicino, dovette convincersi che il povero animale era veramente morto. Esso giaceva
su un fianco, colle zampe rattrappite, la bocca coperta di schiuma sanguigna ed
il ventre squarciato in così orribile modo che ne uscivano gl'intestini.
“Chi può
averlo ucciso?” esclamò il moro, al colmo dello stupore. “Le sabbie ed il simun
non entrano per nulla nella sua morte!”
Il marchese
si era chinato sul povero animale, osservandolo attentamente.
“È stato
sventrato da qualche belva,” disse, rialzandosi. “Solamente un colpo d'artiglio
può aver prodotto questa spaventevole ferita.”
“Che un leone
affamato lo abbia assalito?” si chiese il moro, guardando con paura le dune che
li circondavano e armando precipitosamente il suo lungo fucile rabescato.
“Se non è
stato un leone, sarà stata qualche pantera,” aggiunse Esther. “Queste caverne
devono servire di rifugio a non poche belve.”
“E Ben! E
Rocco! Che siano stati divorati?” si chiese il marchese. “Si vedrebbero altre
macchie di sangue o qualche brandello delle loro vesti,” rispose El-Haggar.
“No, non è possibile che siano stati assaliti durante il simun.”
“Cerchiamoli,
El-Haggar,” disse Esther, che era diventata pallidissima.
“Dov'è la
caverna?”
“Si trova
dinanzi a noi, dietro quell'ammasso di sabbie.”
Il moro aveva
portato con sé due pale ed una zappa, che aveva sospeso alla sella del cavallo,
immaginandosi che potessero essere utili. Mentre Esther, armata della sua
carabina, si metteva in sentinella, temendo che l'animale che aveva sventrato
il povero mehari si aggirasse dietro le dune, il marchese ed il moro si
misero a scavare febbrilmente.
La sabbia
accumulata dinanzi al rifugio era moltissima e dello spessore di parecchi
metri, però avendo essi assalito la massa verso la cima, ad ogni scossa franava
in quantità straordinaria.
In pochi
minuti la parte superiore della volta doveva scoprirsi.
Il lavoro era
tutt'altro che facile. La sabbia, continuando a scivolare lungo la china,
minacciava ad ogni istante di travolgere e anche seppellire i due uomini.
Già il
marchese ed il moro ne avevano fatto cadere una quantità enorme, mettendo a
nudo la parete rocciosa, quando entrambi s'arrestarono, guardandosi l'un
l'altro con viva ansietà.
“Hai udito?”
chiese il marchese al moro. “Sì,” rispose questi.
“Dei ruggiti,
è vero?”
“E anche
delle grida umane.”
“Che il leone
o la pantera, dopo aver sventrato il mehari, si siano rifugiati qui
dentro?”
“Tutti gli
animali temono il simun e quando le sabbie si sollevano cercano un
ricovero.”
“Scaviamo,
El-Haggar! Sono impaziente di chiarire questo mistero.”
“Adagio,
signore,” disse il moro, raccogliendo il suo fucile e mettendoselo accanto. “Il
leone potrebbe slanciarsi su di noi d'improvviso, appena vede un'apertura.”
Il marchese
afferrò la zappa e si rimise a scavare, mentre il moro colla pala continuava a
far largo.
D'improvviso
videro aprirsi dinanzi un buco e si sentirono mancare il terreno sotto i piedi.
Avevano messo allo scoperto la cima dell'entrata e la sabbia era caduta entro
il rifugio.
Stavano per
impugnare le armi, quando vennero rovesciati indietro, travolti e precipitati
fino in fondo all'ammasso sabbioso.
Quattro
antilopi si erano scagliate attraverso a quel primo passaggio, colla velocità
d'un uragano, atterrandoli con una spinta irresistibile.
Non si erano
ancora alzati, che quelle agilissime bestie erano di già scomparse in mezzo
alle dune, sfuggendo al colpo di carabina sparato da Esther.
“Tuoni
dell'Argentaro!” esclamò il marchese, rialzandosi prontamente col fucile in
pugno.
A quel grido
una voce a lui ben nota, che usciva dalla caverna, aveva risposto
“Padrone!
Badate ai leoni!”
“Rocco!” gridò
il marchese.
Come potevano
trovarsi là dentro, ancora vivi, se in quel rifugio si trovavano dei leoni?
“È
impossibile che siano là dentro!” aveva esclamato Esther. “Ho udito la voce di
Rocco,” disse il marchese.
“Ben! Ben!”
gridò Esther.
Una voce che
pareva uscisse da sotto terra, rispose subito “Esther!”
“Dove sei?”
“Nella
caverna.”
“Solo?”
Un
formidabile concerto di ruggiti spaventevoli impedì di udire la risposta.
“Indietro!”
gridò il marchese. “Preparate le armi!”
Si erano
precipitati giù dall'ammasso sabbioso, prendendo posizione dietro una duna la
quale s'alzava di fronte alla caverna, alla distanza di quaranta o cinquanta
passi.
I ruggiti
continuavano sempre più cavernosi, indizio certo che quelle formidabili fiere
cominciavano ad impazientirsi.
“Pare che
siano in parecchi,” disse il marchese, il quale teneva il fucile puntato verso
l'apertura.
“Una famiglia
intera,” rispose El-Haggar, le cui membra tremavano mentre i suoi denti
stridevano.
“Che si
decidano a uscire?”
“Devono
essere impazienti di ricuperare la libertà.”
“Attento,
marchese!” gridò Esther.
Un leone
aveva cacciato la testa fra lo scavo e si sforzava di allargarlo, facendo
crollare le sabbie.
Il marchese,
il moro e la giovane puntarono rapidamente le armi mirando quella testa
minacciosa, la quale mandava ruggiti assordanti. “Aspettiamo che esca,” disse
il corso. “Se lo uccidiamo sul posto, impedirà l'uscita agli altri.”
La fiera,
scorgendo quelle persone armate, esitò qualche momento, poi d'un colpo, con uno
slancio gigantesco, si precipitò giù dall'ammasso di sabbia.
El-Haggar ed
Esther fecero fuoco simultaneamente e forse troppo precipitosamente, perché il
leone non parve che fosse stato toccato dalle loro palle.
Con un
secondo slancio raggiunse la cima d'una duna, dove si fermò in atto di sfida,
facendo rintronare il deserto dei suoi possenti ruggiti.
Il marchese
stava per prenderlo di mira, intanto che il moro e la giovane ebrea
ricaricavano frettolosamente le armi, quando vide un altro animale precipitarsi
fuori dalla caverna.
Era una
superba leonessa, grossa quasi quanto il maschio e certamente non meno
pericolosa.
Con uno
slancio superò la distanza e raggiunse il compagno.
“Ritiratevi
verso la caverna!” gridò il marchese al moro ed alla giovane. “Stanno per
assalirci!”
I due leoni avevano
abbandonato la duna e si erano messi a girare attorno al piccolo gruppo,
ruggendo spaventosamente e mostrando i formidabili denti.
Il maschio
soprattutto faceva paura, con quella criniera irta che lo faceva parere due
volte più grosso.
“Stringetevi
a me,” disse il marchese a El-Haggar e alla giovane. “Tenetevi pronti a fare
una scarica. Io mi occupo del maschio; voi della femmina.”
Egli era
sicuro del proprio colpo, ma dubitava molto di El-Haggar, il quale pareva che
avesse perduto completamente la testa. Il povero diavolo tremava come se avesse
la febbre ed il fucile ballava fra le sue mani malferme.
“Esther,”
disse, “conto su di voi. Mirate con calma.”
“Lo farò,
marchese,” rispose la giovane la cui voce però era malferma.
In quel
momento verso la cima dell'ammasso di sabbia udirono echeggiare due urla di
terrore. Rocco e Ben Nartico erano comparsi sul margine della caverna, entrambi
inermi.
“Fuggite!”
gridò il marchese.
I due leoni,
udendo le grida dei loro prigionieri, si erano arrestati, guardandoli, come se
fossero indecisi sulla scelta delle loro vittime. L'occasione era propizia per
colpirli. Il marchese mirò il leone e fece fuoco.
La belva
mandò un ruggito spaventevole, girò due volte su se stessa volteggiando sulle
zampe deretane, cadde, poi si rialzò tentando di riprendere lo slancio, ma
stramazzò giù dalla duna.
La leonessa,
vedendo cadere il suo compagno, s'avventò furiosamente contro il marchese e lo
atterrò di colpo, posandogli una zampa sul petto. Nel tempo stesso le palle di
El-Haggar e di Esther la colpivano alla gola e alla testa.
Non ebbe
nemmeno il tempo di mandare un ruggito e cadde addosso al marchese, fulminata.
Esther,
pallida, coll'angoscia ed il terrore scolpiti sul viso, si era precipitata
verso il signor di Sartena, credendo che fosse stato ferito. “Marchese!
Marchese!” esclamò con voce rotta.
Il corso con
una violenta scossa si era sbarazzato della fiera e si era alzato sorridente e
tranquillo.
“Grazie,
Esther,” disse con voce commossa.
“Se foste
morto...”
“Vi sarebbe
rincresciuto, Esther?”
“Vi avrei
pianto per sempre,” mormorò la giovane abbassando gli occhi.
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