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- El-Melah
L'indomani,
quando il marchese uscì dalla tenda, trovò l'uomo che aveva strappato
miracolosamente alla morte, seduto sulla sella d'un cammello, cogli sguardi
fissi sulle bande d'uccelli di rapina che continuavano ad accorrere da tutti i
punti dell'orizzonte onde prendere parte a quell'orgia di carne corrotta.
“Come state,
giovanotto?” gli chiese il signor di Sartena, battendogli familiarmente sulle
spalle. “Potete vantarvi di godere una forza fenomenale ed una resistenza
incredibile.”
Il superstite
si era alzato guardando il marchese attentamente e quasi con diffidenza.
“È a voi che
devo la vita, è vero?” chiese, dopo qualche istante di silenzio.
“Sì, sono
stato io a strapparvi dalle sabbie.”
“Grazie,
signore.”
Poi guardandolo con maggior attenzione riprese, con un accento che
tradiva una certa inquietudine
“Voi non
siete un arabo.”
“Che cosa ve
lo fa sospettare?”
“Avete un
accento che tradisce la vostra origine francese.”
“Forse
conoscete la mia lingua natia?” chiese il marchese, con stupore.
“Sono stato parecchi
anni in Algeria,” rispose il giovane, dopo una breve esitazione.
“Siete anzi
un algerino.”
“No,
v'ingannate; sono del Tuat,” rispose il giovane con vivacità.
“Sono stati i
Tuareg a distruggere la vostra carovana?”
“Si, signore.
Ci hanno sorpreso l'altra sera, mentre ci eravamo appena accampati ed il loro
assalto fu così violento e terribile, da impedirci di preparare la difesa.
“Erano tre o
quattrocento, per la maggior parte armati di lance e di fucili e hanno fatto di
noi uno spaventevole macello. Che orrore! Vivessi mille anni, non mi scorderò
giammai quella strage.”
“E perché
hanno risparmiato voi?”
“Non lo so,
signore,” rispose il giovane, con aria quasi imbarazzata. “Invece di uccidermi
mi hanno seppellito vivo. Un capriccio feroce del loro capo; ma una tortura ben
peggiore della morte toccata agli altri, perché senza il vostro provvidenziale
aiuto, chissà quanto si sarebbe prolungata la mia agonia.”
“Da dove era
partita la carovana?”
“Da
Tafilelt.”
“E andava a
Marabuti?”
“Chi ve lo ha
detto?” chiese il sahariano, guardandolo con sorpresa.
“E doveva
spingersi a Tombuctu, è vero?” continuò il marchese.
“Ah!”
“Confessatelo.”
“È vero.”
“Era quella
che noi cercavamo di raggiungere!” esclamò il marchese. “L'uomo che io cercavo
sarà morto! Maledizione!...”
“Quale uomo,
signore?”
“Un
algerino.”
“Ve n'erano
parecchi nella carovana. Come si chiamava?”
“Scebbi o
meglio El-Abiod: l'avete conosciuto?...”
Il sahariana
aveva provato un trasalimento nervoso ed era rimasto muto, guardando il
marchese quasi con terrore. Il signor di Sartena era però così preoccupato, che
non si era accorto della viva inquietudine che traspariva sul volto del
giovane.
“El-Abiod!...”
disse finalmente. passandosi una mano sulla fronte. “Io non ho mai udito questi
nomi, signore. Eravamo in centosessanta e non tutti ci conoscevamo. Già,
quell'uomo sarà caduto anche lui ed il suo cadavere sarà stato dilaniato dagli
avvoltoi.”
Poi
lasciandosi cadere sulla sella che gli serviva da sedia, come se fosse stato
colto da una improvvisa debolezza, aggiunse con voce lamentevole
“Sono stanco,
signore. Mi pare che le dune girino intorno a me.”
“Ritiratevi
sotto la tenda e riposatevi,” disse il marchese. “Oggi ci fermeremo qui, non
avendo ormai nessuno scopo per raggiungere presto i pozzi di Marabuti. Frugate
e rifrugate la vostra memoria; forse quel nome l'avete udito ripetere dagli
uomini della carovana.”
“Mi proverò,
signore; ma anche se mi rammentassi a che cosa vi servirebbe? Quell'uomo non
sarà sfuggito al massacro.”
“I Tuareg possono
averlo risparmiato; doveva contare non pochi amici fra gli assalitori. Forse è
stato quel miserabile a far sorprendere la carovana. A proposito, come vi
chiamate voi?”
“El-Melah,
signore,” rispose il sahariano, con voce appena distinta, mentre grosse gocce
di sudore gli irrigavano la fronte.
“Andate a
riposarvi e non temete; siete fra persone che non si lasceranno sorprendere dai
Tuareg, e che sapranno anche vendicare i vostri compagni.”
Mentre il
sahariano si ritirava sotto la tenda, Rocco e Ben avevano raggiunto il
marchese.
“Mi sembrate
assai preoccupato,” disse l'ebreo. “Forse quel colloquio vi ha messo dei
timori?”
Il marchese
li trasse lontani dalla tenda del sahariano e li mise al corrente di quanto
aveva appreso.
“Il traditore
è morto!” esclamò Rocco.
“La cosa è
grave,” disse Ben. “Se quell'El-Abiod è stato ucciso, noi non potremo sapere
più nulla della sorte toccata al povero colonnello Flatters ed ai suoi
compagni.”
“Non ci resta
che fare una cosa,” rispose il marchese. “Continuare la nostra marcia verso
Tombuctu. Se è vero che il colonnello è stato condotto colà per essere venduto
al sultano, noi lo troveremo e lo libereremo.”
“Volete che
vi dica che cosa penso dell'uomo scampato?” disse Rocco.
“Parla,”
comandò il marchese.
“L'ho
esaminato attentamente quando parlava con voi e non mi è piaciuto. Mi pare che
abbia qualche cosa di falso nel suo sguardo.”
“È una
opinione tutta tua. Quel povero diavolo dev'essere ancora spaventato.”
“Sarà come
voi dite, marchese, nondimeno lo sorveglierò da vicino.”
“E farete
bene,” disse Nartico. “Noi non sappiamo ancora chi sia ed a Tombuctu non è
prudente presentarsi con un uomo poco fidato.”
“Quando
partiamo?” chiese Rocco.
“Questa sera,
se i Tuareg non si mostrano,” rispose il marchese. “Approfitteremo di questa
fermata per esplorare i dintorni,” disse Ben. “Non son tranquillo.”
Il marchese e
Ben presero i fucili e le rivoltelle, si provvidero di abbondanti cartucce e
saliti sui cavalli si spinsero attraverso le dune, dirigendosi verso il campo
della strage.
Quella corsa
però non diede alcun risultato. Pareva che i Tuareg avessero definitivamente
rinunciato a raccogliere le poche armi e gli oggetti rimasti ancora fra le
sabbie.
Quando
tornarono dopo una galoppata di quasi due ore, trovarono il sahariano seduto fuori
della tenda, intento ad osservare con particolare attenzione Esther e Rocco, i
quali si affaccendavano a preparare il pranzo. I suoi sguardi, che avevano
strani bagliori, erano specialmente fissi sulla giovane ebrea, seguendone i più
piccoli movimenti.
Era così
profondamente immerso nella sua contemplazione, che non udì nemmeno il marchese
accostarglisi.
“Vi sentite
meglio?” chiese il corso.
Il sahariano
udendo quella voce trasalì come un uomo colto di sorpresa.
Invece di
rispondere, chiese con una intonazione quasi selvaggia: “È vostra sorella
quella giovane?”
“No, è
sorella di quell'uomo che sta scendendo da cavallo.”
“Il sultano
di Tombuctu la pagherebbe ben cara.”
Il marchese
lo guardò, aggrottando la fronte.
“Sareste forse
un provveditore di carne umana a quel sultano?” chiese.
“Io!” esclamò
El-Melah. “Oh! No, signore.”
“Perché avete
detto che il sultano la pagherebbe cara?”
“Pensavo in
questo momento ai Tuareg, i quali vendono a quel monarca tutte le donne che
fanno prigioniere. Se sapessero che qui vi è una così splendida perla,
metterebbero sossopra tutte le loro tribù per rapirvela. Quella giovane è un
pericolo per la vostra carovana.”
“Sapremo
difenderla, El-Melah. Noi non temiamo quei ladroni, ve lo dissi già.”
“Voi siete
troppo buono, signore.”
Esther e
Rocco avevano fatto dei veri prodigi. Dopo tanti giorni di privazioni si erano
promessi di offrire al marchese ed a Ben un vero banchetto per festeggiare il
ritorno dell'acqua, un banchetto ornato anche di due bottiglie di Bordeaux.
Tutti fecero
onore al pranzo, anche il sahariano, il quale forse non si era mai trovato ad
un simile banchetto, e le due bottiglie bagnarono, forse per la prima volta, le
gole di El-Haggar e dei beduini, a dispetto di Maometto e del Corano.
Durante il
pasto, El-Melah si era mantenuto silenzioso, però non aveva levato un solo
istante gli sguardi di dosso a Esther, tanto che la giovane aveva finito per
accorgersene.
Dapprima lo
attribuì ad una pura curiosità, ma poi provò qualche inquietudine, perché in
quegli occhi nerissimi aveva sorpreso talvolta dei lampi selvaggi, quasi
feroci.
Alla sera,
rassicurato dalla calma che regnava nel deserto, il marchese dava il segnale
della partenza, premendogli di frapporre il maggior spazio possibile fra la
carovana ed il campo della strage.
“Faremo una
lunga marcia,” aveva detto El-Haggar. “Quantunque l'acqua non ci manchi,
desidererei essere già ai pozzi di Marabuti.” Lasciò sfilare dinanzi a sé la
carovana e si mise alla retroguardia con Ben, mentre Rocco vegliava sul
cammello di Esther in compagnia di El-Melah.
Avevano già
percorso un paio di miglia, mantenendo la direzione del sud, quando il
marchese, che distanziava l'ultimo cammello di tre o quattrocento passi, nel
volgersi credette di scorgere qualche cosa di bianco apparire sulla
cima d'un monticello di sabbia, per poi scomparire subito.
“Alto, Ben,”
disse. “Siamo seguiti.”
“Da chi?”
chiese l'ebreo, arrestando il cavallo.
“Forse dai
Tuareg.”
“Oh! che vi
siate ingannato, marchese?”
“No, ho
scorto una forma umana avvolta in un ampio mantello bianco. È comparsa sulla
cima di quella duna, quella che si alza a quattro o cinquecento passi da noi.”
“Sarà qualche
spia dei Tuareg!...” osservò Ben.
“Se non fosse
uno di quei predoni, non si sarebbe nascosto.”
“È vero,”
mormorò Ben. “Cosa fare, marchese?”
“Lasciamo che
la carovana prosegua la sua marcia e andiamo a scovare quella spia.”
“Forse non è
sola, marchese.”
“Abbiamo
quattordici colpi da sparare, senza aver bisogno di ricaricare le armi, e siamo
entrambi buoni bersaglieri. Venite, Ben; chiarita la cosa, saremo più
tranquilli.”
Esaminarono i
fucili e le rivoltelle, si sbarazzarono degli ampi caic onde essere più
liberi, poi spronarono i cavalli dirigendosi verso la collinetta sabbiosa,
sulla quale il marchese aveva veduto comparire quella forma bianca.
El-Haggar e
Rocco, credendo che eseguissero una semplice ricognizione, avevano continuato
la loro marcia aizzando i cammelli onde allungassero il passo.
Giunti a
circa cento passi dalla duna, rallentarono la corsa e presero i fucili.
“Dividiamoci,”
disse il marchese. “Voi girate la duna a destra ed io a sinistra. In tal modo
prenderemo la spia fra due fuochi.”
“Alto,
marchese,” disse Ben, trattenendo di colpo il cavallo e facendolo impennare.
“Avete veduto
qualche cosa?”
“Sì, un
oggetto brillante sulla cima della collinetta, forse la punta d'una lancia o la
canna d'un fucile.”
“Dunque non
mi ero ingannato!”
“Accostiamoci
con prudenza e giriamo la duna senza separarci.” Il marchese si guardò alle
spalle.
La carovana
era lontana allora quasi un miglio e s'avanzava in mezzo ad un labirinto di
montagnole di sabbia, le quali la proteggevano a destra ed a sinistra.
“Avanti,
Ben,” disse. “I nostri compagni sono al sicuro.”
Stavano per
girare la duna, quando tre o quattro lampi balenarono verso la cima, seguiti da
fragorose detonazioni.
Il cavallo
del marchese s'impennò violentemente cercando di sbarazzarsi del cavaliere e
mandò un nitrito di dolore.
“Signore!”
gridò Ben.
“È nulla!”
rispose il corso. “Una palla ha portato via la punta d'un orecchio al mio
cavallo. Fuoco, Ben, e carichiamo!”
Vedendo
comparire sulla duna alcuni turbanti, scaricarono i loro fucili, poi impugnate
le rivoltelle lanciarono i cavalli al galoppo per snidare gli assalitori.
Un urlio
assordante, terribile, arrestò quasi subito il loro slancio.
Quelle grida
li avevano avvertiti del grave pericolo che stavano per affrontare.
“Fermate,
marchese!” aveva comandato Ben, facendo fare al proprio cavallo un fulmineo
volteggio.
Dodici mehari,
montati da altrettanti uomini armati di lance e di moschettoni, erano
sbucati dietro alla duna e si preparavano a loro volta a caricare i due
imprudenti.
“Un agguato!”
esclamò il marchese, lasciando la rivoltella e introducendo rapidamente una
cartuccia nel fucile. “Alto là, briccone! Non siamo marocchini da lasciarci
sgozzare come montoni!”
Mirò
freddamente il capo fila che si dimenava come un ossesso sulla cima del suo mehari,
incoraggiando con acute urla i compagni, e fece fuoco alla distanza di
centocinquanta passi.
Il Tuareg
allargò le braccia, lasciò cadere il moschettone e la lancia, poi stramazzò al
suolo fulminato.
“Gambe ora!”
gridò il marchese, spronando vivamente il cavallo.
I predoni,
spaventati dall'ammirabile precisione di quel colpo di fucile, si erano arrestati,
mandando urla feroci.
Ben ed il
marchese ne approfittarono per guadagnare altri trecento passi, distanza
sufficiente per mettersi fuori di portata da quei moschettoni vecchi di qualche
secolo e d'un tiro molto dubbio.
“Fuciliamoli
con calma,” disse il marchese, rallentando la corsa.
“E stiamo per
ricevere anche dei soccorsi,” disse Ben.
“Da chi?”
“Ecco Rocco
che galoppa verso di noi.”
“Un
bersagliere di vaglia, mio caro Ben. Quel sardo tira come uno svizzero di S.
Gallo.”
Dopo un
momento di esitazione i predoni avevano ripreso la corsa urlando a squarciagola
e agitando furiosamente le loro armi.
“Faremo fare
loro una splendida galoppata,” disse il marchese. “Prima gli uomini e poi i mehari.”
In quell'istante
un colpo di fucile rimbombò e un altro Tuareg cadde mandando un grido
terribile.
Rocco aveva
fatto fuoco alla distanza di quattrocento metri, annunciando con quel superbo
colpo la sua presenza.
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