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- Il colpo di pugnale di El-Haggar
El-Haggar,
come già i lettori penseranno, era miracolosamente sfuggito ai kissuri del
sultano ed al tradimento dell'arabo.
Mentre il
marchese, Rocco e Ben, impazienti di vedere il colonnello, avevano scavalcato
precipitosamente il davanzale, il moro, trattenuto forse da un sospetto, si era
fermato sotto la finestra, volendo che salisse prima l'arabo.
“Monta,” gli
aveva detto. “Io sarò l'ultimo.”
“No,” aveva
risposto la guida. “Io rimarrò qui in sentinella.” Quella risposta, lungi dal
rassicurare il moro, gli aveva destato un subitaneo lampo di diffidenza.
“Sali,” aveva
ripetuto. “Ti ho detto che voglio essere l'ultimo.” Invece di obbedire l'arabo
aveva accostato due dita alle labbra come per mandare un fischio. Nello stesso
momento dalle case che occupavano l'estremità della piazza erano usciti
precipitosamente alcuni kissuri.
Era stato
allora che El-Haggar aveva gridato: “Tradimento! I kissuri!...”
Accortosi che
l'arabo cercava di sfoderare l'jatagan, con due colpi di rivoltella
l'aveva fulminato, poi si era precipitato attraverso la piazza a corsa
sfrenata, scomparendo in mezzo ad un dedalo di viuzze strette e deserte.
Certo di
essere inseguito, invece di proseguire la corsa aveva scavalcato il muro d'un
orticello, gettandosi sotto un cespuglio.
Quella
manovra, eseguita a tempo, lo aveva salvato; pochi minuti dopo un drappello di kissuri
era passato per quella viuzza, correndo a tutta lena.
Appena gli
inseguitori furono lontani, El-Haggar, abbandonato il nascondiglio, si era
gettato in un'altra viuzza e attraversando ortaglie incolte aveva potuto
raggiungere indisturbato i quartieri più meridionali della città.
Avendo
promesso al marchese di recarsi da Esther per avvertirla dell'esito della
spedizione, desiderava vedere subito la giovane.
“Sarà un
colpo terribile per lei,” mormorò il moro, che si sentiva stringere il cuore a
quel pensiero. “A meno d'un miracolo, il padrone, Ben e Rocco sono perduti; chi
può averci traditi? Chi?...”
Ad un tratto
un sospetto gli attraversò il cervello.
“El-Melah!”
esclamò. “Non può essere stato che quel miserabile! È stato lui a condurci
l'arabo, è stato lui a preparare il piano e anche la sua scomparsa l'accusa.
Ah!... Per Maometto!... La pagherà cara!... E la signora Esther? Che sia in
pericolo?”
Allungò il
passo, in preda a mille angosciosi pensieri. Temeva di giungere troppo tardi
alla casa dell'ebreo.
Quando si
vide nei pressi del giardino, prima d'impegnarsi nella viuzza, fece il giro
della casa e non vide nulla che potesse confermare i suoi sospetti.
I dintorni
parevano deserti e la porta della casa era ancora chiusa, come quando era
partito assieme al marchese ed a Ben.
Un pò
rassicurato, girò lungo il muro del giardino per giungere al cancello e subito si
arrestò indeciso. Dietro l'ammasso di rottami che ingombrava la via, aveva
scorto un turbante che poi era subito scomparso.
“Vi sono
degli uomini nascosti là,” disse. “Chi saranno? Dei kissuri forse?”
Stette un
momento esitante, poi impugnata la rivoltella colla sinistra e l'jatagan colla
destra varcò la porta.
Anche nel
giardino nessun disordine, né alcuna traccia di violenza. I cammelli ed i mehari,
coricati l'uno presso l'altro, sonnecchiavano, mentre presso il pozzo
bollivano alcune pentole.
“Nessuno!”
esclamò, impallidendo. “Dove sono Tasili ed i beduini? E la signora Esther?”
Ad un tratto
udì delle voci che echeggiavano dalla parte del cortile.
“C'è qualcuno
qui,” disse.
Si slanciò
verso l'andito ed entrò nel cortile, ma giunto sotto il porticato s'arrestò,
poi retrocesse con orrore.
Tasili
giaceva presso una colonna, coricato su di un fianco, colle mani raggrinzite
sul petto e le gambe distese. Una larga macchia di sangue si dilatava
lentamente attorno al disgraziato.
“L'hanno
assassinato!” esclamò. Stava per curvarsi sul vecchio, quando udì Esther
gridare: “Aiuto! Tasili!”
El-Haggar in
certi momenti era coraggioso. Quantunque ignorasse con quanti avversari avesse
a che fare, si slanciò risolutamente in soccorso della giovane ebrea.
Attraversò le
due stanze e nella terza vide El-Melah che tentava di trascinare con sé la
giovane.
Comprese
tutto. Alzò la rivoltella per far fuoco sul rapitore, poi, temendo che la palla
potesse ferire anche la giovane, l'abbassò impugnando invece l'jatagan e
si scagliò sul traditore, sprofondandogli l'arma fra le spalle.
Il colpo
vibrato dal moro fu così tremendo, da troncare di colpo la spina dorsale. La
morte dell'assassino del colonnello Flatters era stata, si può dire, quasi
fulminante.
Esther
vedendolo cadere, si era precipitata verso El-Haggar, il quale teneva ancora in
pugno l'arma.
“Ringraziate
Allah, signora,” disse il moro, “che mi ha fatto giungere in tempo per salvarvi
e per vendicare il padrone e vostro fratello. Questo miserabile ci aveva
venduti tutti al sultano.”
“E il
marchese? E Ben?” gridò Esther, con un singhiozzo straziante.
“Temo,
signora, che siano perduti,” rispose El-Haggar con voce triste.
“Potente
Iddio!” esclamò la giovane, coprendosi il viso.
“Ignoro però
se siano stati fatti prigionieri, perché quando fuggii per venire ad
avvertirvi, i kissuri non avevano ancora assalito il padiglione.”
“Narrami
tutto, El-Haggar! Voglio sapere tutto.”
Il moro in
poche parole raccontò tutto ciò che era avvenuto dopo la loro partenza, fino al
momento in cui i kissuri accorrevano da tutte le parti della piazza.
“El-Haggar,”
disse la giovane, con suprema energia. “Andiamo alla kasbah. Dove sono i
beduini e Tasili?”
“I primi sono
scomparsi ed il vostro servo è stato assassinato da El-Melah.”
“Tasili
ucciso!” esclamò Esther, con dolore.
“Andiamo a
vederlo, signora, se ne avrete il coraggio.”
“Ne avrò,
El-Haggar.”
Stavano per
uscire, quando il moro le disse
“Armatevi,
signora. Ho veduto degli uomini nascosti presso la cinta del giardino.”
“Dei kissuri?”
“Suppongo che
siano dei complici di El-Melah.”
“Ho la mia
carabina e la rivoltella.”
Esther
rientrò nella sua stanza, si annodò rapidamente i capelli, indossò il giubbetto
ricamato, si gettò sulle spalle un caic fornito d'un ampio cappuccio,
prese le sue armi e raggiunse il moro il quale era già uscito dal porticato.
“Mio povero e
fedele Tasili!” gemette la giovane, curvandosi sul vecchio servo di suo padre.
“È morto,
signora,” disse El-Haggar. “Il traditore lo ha colpito al cuore.”
“L'infame!”
Sollevò
dolcemente il capo del vecchio moro, guardandolo per alcuni istanti cogli occhi
lagrimosi, sperando forse di sorprendere su quel volto qualche indizio di vita,
poi lo lasciò ricadere.
“Riposa in
pace, mio fedele Tasili,” disse. “Avrai onorata sepoltura.”
“Venite,
signora,” disse El-Haggar, allontanandola con dolce violenza.
Giunti nel
giardino, il moro bardò il cavallo e l'asino, aiutò Esther a salire sul primo,
inforcò il secondo, e si diresse verso il cancello.
“Adagio, signora,” disse il moro staccando dalla sella il suo lungo
fucile marocchino e armandolo. “Gli uomini che ho scorti sono dietro
quell'ammasso di macerie.”
“Vuoi
cacciarli?”
“Potrebbero
seguirci o approfittare della nostra assenza per derubarci dei bagagli e dei
cammelli. Ah! I beduini!”
All'estremità
della viuzza erano comparsi i due figli del deserto, tenendo in mano i loro
moschettoni.
Vedendo
El-Haggar ed Esther, affrettarono il passo.
“Signora,”
disse uno dei due. “Non abbiamo veduto nessuno sulla piazza del mercato.”
“Chi vi ha
mandati colà?” chiese Esther, stupita.
“El-Melah. Ci
aveva detto che il servo del marchese ci attendeva.”
“Ora
comprendo,” disse El-Haggar. “Quel miserabile li aveva allontanati per
assassinare Tasili ed impadronirsi di voi.”
“Vi sono
degli uomini dietro a quei rottami,” disse El-Haggar ai beduini.
“Che cosa
dobbiamo fare?” chiese il primo.
“Noi non
abbiamo paura di nessuno,” rispose il secondo. “Seguiteci,” disse Esther.
Spronò il
cavallo, imbracciò la sua piccola carabina americana e si diresse risolutamente
verso le macerie, mentre i due beduini giravano al largo.
I quattro
Tuareg, che non si erano ancora mossi, non avendo udito il segnale di El-Melah,
vedendo quelle quattro persone armate di fucili balzarono sul cumulo, puntando
le lance.
“Che cosa
fate qui?” chiese El-Haggar, con voce minacciosa.
“Aspettiamo
un uomo che abita in quella casa,” rispose uno di loro.
“El-Melah,
forse?”
“Sì, El-Melah
o El-Aboid, come vi piace.”
“Non ha più
bisogno di voi,” disse Esther.
I quattro
Tuareg s'interrogarono collo sguardo.
“Andate,” disse
El-Haggar, vedendo che non si decidevano. “E dove?” chiese il Tuareg che aveva
parlato pel primo.
“El-Melah è
partito per Kabra.”
I Tuareg si
scambiarono alcune parole, poi vedendo che non avrebbero potuto resistere a
quelle quattro persone armate di fucili e che parevano molto risolute,
abbassarono le lance, scesero il cumulo e partirono frettolosamente, forse
molto soddisfatti che le cose fossero passate così lisce.
“Voi rimanete
a guardia dei cammelli e dei bagagli,” disse El-Haggar, quando i predoni furono
scomparsi. “Attendete il nostro ritorno.”
I due beduini
rientrarono nel giardino chiudendo il cancello.
“Ed ora,
signora,” continuò il moro. “Abbassate il cappuccio onde non s'accorgano che
siete una donna, avvolgetevi bene nel caic e seguitemi.”
“Andiamo alla
kasbah?” chiese Esther, con voce tremante. “Sì, signora. In un quarto
d'ora noi vi saremo.”
Aizzarono il
cavallo e l'asino e si diressero verso i quartieri centrali della città,
scegliendo le vie meno frequentate.
Essendovi
festa in tutte le case, la festa della carne di montone, pochissime erano le
persone che s'incontravano e quelle poche non erano che dei miserabili negri
che non potevano certo dare impiccio.
Nondimeno per
maggiore precauzione El-Haggar aveva pure alzato il cappuccio, in modo da
nascondere buona parte del viso, quantunque fosse più che certo di non aver
lasciato tempo ai kissuri di riconoscerlo.
Già non
distavano dalla kasbah più di cinquecento passi, quando udirono tuonare
in quella direzione un pezzo d'artiglieria.
“Il cannone!”
esclamò El-Haggar, trasalendo. “Ah! Signora! Disgrazia!”
“Perché dici
questo?” chiese Esther, impallidendo e portandosi una mano al cuore.
“Il marchese
ed i suoi compagni devono essersi rifugiati nel minareto del padiglione,
signora.”
“E tu credi...”
chiese la giovane con estrema angoscia.
“Che
dirocchino a cannonate il minareto per costringerli alla resa.”
“Gran Dio!
El-Haggar!”
“Coraggio,
signora: venite!”
Sferzò
l'asino costringendolo a prendere un galoppo furioso e pochi minuti dopo
giungeva, sempre seguito da Esther, sulla piazza della kasbah, di fronte
ai due padiglioni.
La lotta era
finita. Non si scorgevano che pochi curiosi che stavano radunati dinanzi alla
finestra del padiglione più piccolo, osservando una larga pozza di
sangue.
I kissuri del
sultano erano invece scomparsi.
El-Haggar
guardò il minareto e vide che un angolo della base era stato diroccato,
probabilmente da una palla di non piccolo calibro.
“Signora,”
disse con voce tremante, “sono stati presi.”
Esther vacillò
e sarebbe certamente caduta dalla sella se il moro, accortosene a tempo, non
l'avesse sorretta.
“Badate,
signora,” le disse. “Ci osservano e se nasce loro qualche sospetto, prenderanno
anche noi.”
“Hai ragione,
El-Haggar,” rispose la giovane reagendo energicamente contro quell'improvvisa
commozione. “Sarò forte. Informati di ciò che è avvenuto. Ah! Mio povero Ben!
Povero marchese!”
Il moro,
vedendo un vecchio dalla barba bianca che attraversava la piazza, camminando
quasi a stento, gli si accostò.
“È successo
qualche grave avvenimento?” gli chiese, facendogli segno d'arrestarsi. “Ho
udito tuonare il cannone.”
Il vecchio si
fermò guardandolo attentamente, quasi con diffidenza. Era un uomo di sessanta e
forse più anni, col volto rugoso ed incartapecorito, il naso ricurvo come il
becco dei pappagalli, gli occhi neri e ancora vivissimi. Non pareva che fosse
né arabo, né un fellata e tanto meno un moro a giudicare dal colore della sua
pelle molto bianca ancora.
“Eh, non
sapete?” chiese il vecchio, dopo d'averlo guardato a lungo. “Hanno preso degli
stranieri e anche un ebreo.”
Aveva
pronunciato l'ultima parola con un accento così triste, che il moro ne era
stato colpito.
“Anche un ebreo?”
chiese El-Haggar.
“Sì,” rispose
il vecchio con un sospiro.
“Che cosa avevano
fatto quegli stranieri?”
“Io non lo
so. M'hanno detto che si erano rifugiati su quel minareto dove opponevano una
disperata resistenza, minacciando di precipitare sulla piazza un marabuto che
avevano sorpreso lassù.”
“Hanno poi
effettuato la minaccia?”
“No, perché i
kissuri hanno bombardato il minareto, costringendoli ad arrendersi subito.
Se avessero resistito ancora pochi minuti, tutta la costruzione sarebbe
precipitata e gli stranieri insieme.”
“Dunque sono
stati presi?”
“Si, e anche
quel disgraziato israelita.”
“V'interessava
quel giovane ebreo?” chiese El-Haggar.
Il vecchio
invece di rispondere guardò nuovamente il moro, poi gli volse le spalle per
andarsene.
“Non così
presto,” disse El-Haggar, prendendolo per un braccio. “Vi ho scoperto.”
“Che cosa
dite?” chiese il vecchio, trasalendo.
“Voi
compiangete quel vostro correligionario.”
“Io, ebreo?”
“Silenzio,
potreste perdervi e perdere anche quella giovane che monta quel cavallo. È la
sorella del giovane ebreo che i kissuri hanno arrestato.”
“Voi volete
ingannarmi.”
“No, non sono
una spia del sultano,” disse il moro, con voce grave. “Quella giovane è la
figlia di Nartico, un ebreo che ha fatto la sua fortuna in Tombuctu.”
“Nartico!”
balbettò il vecchio. “Voi avete detto Nartico!... Chi siete voi dunque?...”
“Un servo
fedele degli uomini che sono stati presi dai kissuri.”
“E quella
donna è la figlia di Nartico?... Del mio vecchio amico?...”
“Ve lo giuro
sul Corano.”
Un forte tremito
agitava le membra dell'ebreo. Stette alcuni istanti senza parlare, come se la
lingua gli si fosse paralizzata, poi facendo uno sforzo, balbettò:
“Alla mia
casa... alla mia casa... Dio possente! La figlia di Nartico qui!... Il figlio
prigioniero! Bisogna salvarlo... Venite! Venite!...”
“Precedeteci,”
disse il moro con voce giuliva. “Noi vi seguiamo.” Raggiunse Esther la quale
attendeva, in preda a mille angosce, la fine di quel colloquio e la informò di
quella insperata fortuna.
“È Dio che ce
lo ha mandato,” disse la fanciulla. “Quell'ebreo, che deve essere stato un
amico di mio padre, salverà il marchese e mio fratello.”
“Ho fiducia
anch'io in quell'uomo, signora,” rispose El-Haggar. Raggiunsero il vecchio, il
quale si era diretto verso una viuzza assai stretta, fiancheggiata da giardini
e da casupole di paglia e di fango abitate da poveri negri, tenendosi però ad
una certa distanza onde non suscitare dei sospetti.
L'ebreo
pareva che avesse acquistato una forza straordinaria; camminava con passo rapido
e senza servirsi del bastone. Di quando in quando si arrestava per osservare
Esther, poi riprendeva il cammino con maggior velocità.
Attraversò
così quattro o cinque viuzze e si arrestò dinanzi ad una casetta ad un solo
piano, di forma quadrata, sormontata da un terrazzo e ombreggiata da un gruppo
di superbi palmizi.
Aprì la porta
e volgendosi verso Esther disse:
“Entrate
nella casa di Samuele Haley, vecchio amico di vostro padre. Tutto quello che
possiedo è vostro; consideratevi quindi come la padrona.”
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